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Autore Discussione: La Democrazia inquinata dalla MANIPOLAZIONE MEDIATICA, non è Democrazia ...  (Letto 4045 volte)
Arlecchino
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« inserito:: Marzo 19, 2018, 11:21:59 am »

Le dieci regole della manipolazione mediatica

1. La strategia della distrazione

L’elemento primordiale del controllo sociale è la strategia della distrazione che consiste nel deviare l’attenzione del pubblico dai problemi importanti e dei cambiamenti decisi dalle élite politiche ed economiche, attraverso la tecnica del diluvio o inondazioni di continue distrazioni e di informazioni insignificanti. La strategia della distrazione è anche indispensabile per impedire al pubblico d’interessarsi alle conoscenze essenziali, nell'area della scienza, l’economia, la psicologia, la neurobiologia e la cibernetica. Mantenere l’Attenzione del pubblico deviata dai veri problemi sociali, imprigionata da temi senza vera importanza. Mantenere il pubblico occupato, occupato, occupato, senza nessun tempo per pensare, di ritorno alla fattoria come gli altri animali.

2. Creare problemi e poi offrire le soluzioni
Questo metodo è anche chiamato "problema- reazione- soluzione". Si crea un problema, una "situazione" prevista per causare una certa reazione da parte del pubblico, con lo scopo che sia questo il mandante delle misure che si desiderano far accettare. Ad esempio: lasciare che si dilaghi o si intensifichi la violenza urbana, o organizzare attentati sanguinosi, con lo scopo che il pubblico sia chi richiede le leggi sulla sicurezza e le politiche a discapito della libertà. O anche: creare una crisi economica per far accettare come un male necessario la retrocessione dei diritti sociali e lo smantellamento dei servizi pubblici.

3. La strategia della gradualità
Per far accettare una misura inaccettabile, basta applicarla gradualmente, a contagocce, per anni consecutivi. È in questo modo che condizioni socioeconomiche radicalmente nuove (neoliberismo) furono imposte durante i decenni degli anni 80 e 90: Stato minimo, privatizzazioni, precarietà, flessibilità, disoccupazione in massa, salari che non garantivano più redditi dignitosi, tanti cambiamenti che avrebbero provocato una rivoluzione se fossero state applicate in una sola volta.

4. La strategia del differire
Un altro modo per far accettare una decisione impopolare è quella di presentarla come "dolorosa e necessaria", ottenendo l’accettazione pubblica, nel momento, per un’applicazione futura. È più facile accettare un sacrificio futuro che un sacrificio immediato. Prima, perché lo sforzo non è quello impiegato immediatamente. Secondo, perché il pubblico, la massa, ha sempre la tendenza a sperare ingenuamente che "tutto andrà meglio domani" e che il sacrificio richiesto potrebbe essere evitato. Questo dà più tempo al pubblico per abituarsi all'idea del cambiamento e di accettarlo rassegnato quando arriva il momento.

5. Rivolgersi al pubblico come ai bambini
La maggior parte della pubblicità diretta al gran pubblico, usa discorsi, argomenti, personaggi e una intonazione particolarmente infantile, molte volte vicino alla debolezza, come se lo spettatore fosse una creatura di pochi anni o un deficiente mentale. Quando più si cerca di ingannare lo spettatore più si tende ad usare un tono infantile. Perché? Se qualcuno si rivolge ad una persona come se avesse 12 anni o meno, allora, in base alla suggestionabilità, lei tenderà, con certa probabilità, ad una risposta o reazione anche sprovvista di senso critico come quella di una persona di 12 anni o meno.

6. Usare l’aspetto emotivo molto più della riflessione
Sfruttate l'emozione è una tecnica classica per provocare un corto circuito su un'analisi razionale e, infine, il senso critico dell'individuo. Inoltre, l'uso del registro emotivo permette aprire la porta d’accesso all'inconscio per impiantare o iniettare idee, desideri, paure e timori, compulsioni, o indurre comportamenti...

7. Mantenere il pubblico nell'ignoranza e nella mediocrità
Far sì che il pubblico sia incapace di comprendere le tecnologie ed i metodi usati per il suo controllo e la sua schiavitù. "La qualità dell’educazione data alle classi sociali inferiori deve essere la più povera e mediocre possibile, in modo che la distanza dell’ignoranza che pianifica tra le classi inferiori e le classi superiori sia e rimanga impossibile da colmare dalle classi inferiori".

8. Stimolare il pubblico ad essere compiacente con la mediocrità
Spingere il pubblico a ritenere che è di moda essere stupidi, volgari e ignoranti...

9. Rafforzare l’auto-colpevolezza
Far credere all'individuo che è soltanto lui il colpevole della sua disgrazia, per causa della sua insufficiente intelligenza, delle sue capacità o dei suoi sforzi. Così, invece di ribellarsi contro il sistema economico, l’individuo si auto svaluta e s’incolpa, cosa che crea a sua volta uno stato depressivo, uno dei cui effetti è l’inibizione della sua azione. E senza azione non c’è rivoluzione!

10. Conoscere agli individui meglio di quanto loro stessi si conoscano
Negli ultimi 50 anni, i rapidi progressi della scienza hanno generato un divario crescente tra le conoscenze del pubblico e quelle possedute e utilizzate dalle élites dominanti. Grazie alla biologia, la neurobiologia, e la psicologia applicata, il "sistema" ha goduto di una conoscenza avanzata dell’essere umano, sia nella sua forma fisica che psichica. Il sistema è riuscito a conoscere meglio l’individuo comune di quanto egli stesso si conosca. Questo significa che, nella maggior parte dei casi, il sistema esercita un controllo maggiore ed un gran potere sugli individui, maggiore di quello che lo stesso individuo esercita su sé stesso.

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« Risposta #1 inserito:: Marzo 25, 2018, 06:12:16 pm »

Rispettare le istituzioni democratiche e le persone che le rappresentano, anche se si dissente dai loro temi, sono comportamenti "normali" di un Cittadino democratico e "sano".

L'ingiuria è una comoda terapia per disinformati-disimpegnati e depressi sociali tifosi delle opinioni più semplici e spesso false.

Opinione personale.
ciaooo.     
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« Risposta #2 inserito:: Marzo 26, 2018, 12:27:07 pm »

L'Algoritmo-ruba-coscienze ci obbligherà ad essere più consapevoli, del noi in rapporto con gli altri ... ma anche con noi stessi.

Quindi ad essere più consapevoli degli effetti del nostro agire.

ggiannig
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« Risposta #3 inserito:: Aprile 01, 2018, 07:52:01 pm »

Ci facciamo condizionare da poteri senza scrupoli sino a votare come pare loro e non sappiamo "usare" a vantaggio del nostro lavoro il digitale.

Bisogna cambiare.

ggiannig

Da Fb del 1 aprile 2018
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« Risposta #4 inserito:: Aprile 02, 2018, 01:54:00 pm »

La nostra dignità di Nazione, progressivamente logorata in questi ultimi 20 anni, è alla battuta finale dopo il risultato del referendum e delle politiche del 4 marzo.

Allo stato delle cose è difficile che la politica possa risalire la china in tempi brevi, mancano gli statisti in grado di tentarlo.

Solo il mondo della cultura, nella totalità delle sue diverse espressioni e dimensioni, può iniziare un Risorgimento e una Riscoperta dei valori nazionali e locali da riportare alla ammirazione del Mondo.

 ggiannig
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« Risposta #5 inserito:: Aprile 04, 2018, 12:32:56 pm »

Altre divagazioni, forse colte, ma laterali non mi interessano.

Sono le divagazioni sui temi sociali che hanno affossato la nostra realtà, sino ad arrivare al 4 marzo 2018.

Io questo ho scritto non altro!

“”La Cultura ha bisogno di menti sane, ben-disposte verso il sociale, deve esser capace di rafforzarsi unendosi a schiera, senza schierarsi.
Deve essere capace di comunicare nei luoghi e nelle occasioni più diversi.
Deve misurare la pienezza dei propri saperi con la capacità d'essere semplice, quasi umile, come lo furono e lo sono, i veri Grandi uomini di cultura.
Deve essere elitaria tra le elite e allo stesso tempo e modo, contadina tra i contadini e operaia tra gli operai, concittadina tra i Cittadini, per poter imparare da ognuno di loro.””

ggiannig
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« Risposta #6 inserito:: Aprile 25, 2018, 04:54:54 pm »

La soluzione sta nel Parlamento.

La lezione di Giovanni Sartori davanti allo stallo politico di oggi

02/04/2018 11:37 CEST | Aggiornato 02/04/2018 11:37 CEST

Ma la democrazia parlamentare ha bisogno di parlamentari consapevoli del loro ruolo. Per sapere come si sta e cosa si fa

    Marco Valbruzzi

Classico è, per Italo Calvino, quel libro o quell'autore che "non ha mai finito di dire quel che ha da dire". Non è un caso che mi sia tornata alla mente questa definizione mentre pensavo alla figura intellettuale di Giovanni Sartori. Ormai è un anno che non possiamo più ascoltare dalla sua viva voce o leggere dalla sua vivace penna quello che pensa della situazione politica italiana e della nostra malandante democrazia. Ma a pensarci bene Sartori – che classico lo è già a buon diritto – ha ancora tante cose da dire e da insegnare. È sufficiente (ri)leggerlo. Così ho pensato che potrebbe essere utile, come facevano gli antichi greci con i loro oracoli, tornare a consultare le opere e i pensieri di Sartori per avere alcune illuminazioni sul presente e, perché no, sul futuro.

La prima questione – mi perdoneranno i lettori – è di strettissima attualità e forse neppure Sartori vorrebbe essere disturbato per una piccolezza tanto piccola. Però, visto che in questi giorni si fa un gran parlare, spesso a vuoto, di accordi di governo, improbabili alleanze e possibili ri-elezioni, forse vale la pena chiedere un rapido consulto. In questo caso, la risposta del politologo fiorentino è molto secca: di fronte a un'elezione "indecisiva" (come quella che gli capitò di commentare nel 2006) evitate la "frenesia del rivotismo" (Il sultanato, 5 gennaio 2006) e tornate alle sane "regole del sistema parlamentare, o rischiamo davvero di sprofondare nel nulla" (Il sultanato, 20 aprile 2006). La medicina del rivotare si regge sulla premessa che se il popolo vota uno stallo, allora ha votato "male" e deve tornare alle urne finché non voterà "bene". Se è così, è evidente che il rivotismo è una cura che non cura, e anzi rischia di aggravare ancora di più il problema, ingessando o irrigidendo le posizioni dei partiti.

Ma se il rivotare fa male, qual è la ricetta alternativa? Cioè: se il popolo sovrano non ha prodotto una maggioranza chiara e auto-sufficiente, che si fa? Il responso di Sartori è tutt'altro che sibillino: se quella maggioranza non c'è, "allora il sistema parlamentare rinvia la soluzione dello stallo, appunto, alla sovranità del Parlamento. Punto e finito qui. Il di più viene dal maligno" (Il sultanato, 6 marzo 2007). Bisognerebbe dirlo ora a tutti i maligni che si sono arroccati a difesa dei loro gruppi parlamentari, rifiutando il confronto o, peggio, addirittura il contagio con le altre forze politiche.

In ogni caso, la soluzione sta nel sistema parlamentare, che è un "gioco" con le sue regole da conoscere e praticare. Ma il problema italiano non è tanto delle regole, ma dei "giocatori" che quelle regole non intendono affatto ri-conoscerle. Qui nasce l'inghippo: perché è davvero difficile far funzionare una democrazia parlamentare senza parlamentari consapevoli del loro ruolo e delle loro funzioni. Quando il Parlamento è svuotato della sua sovranità, che consiste anche nella ricerca-formazione di una maggioranza di governo, allora la democrazia parlamentare diventa un guscio vuoto o un misnomer: una definizione che mal definisce.

Purtroppo, dopo tanti anni di malinteso bipolarismo – che, nella sua variante italica, Sartori non ha mai smesso di criticare – è difficile tornare alle buone pratiche del parlamentarismo. Il che consentirebbe, con la pazienza necessaria in queste circostanze, non solo di individuare una via di uscita allo stallo attuale, ma soprattutto di insegnare ai tanti neofiti della democrazia parlamentare come si sta e cosa si fa in Parlamento. Si tratterebbe inoltre di una soluzione pedagogica, utile per chi ancora pensa che si possa esaltare la "centralità del Parlamento" imbavagliando deputati e senatori con il vincolo di mandato. E ancora più utile se l'obiettivo è – come dovrebbe essere – di spingere alcune forze politiche ad uscire dal loro infantilismo politico per farle entrare in una sempre benvenuta maturità democratica.

Fin qui, sull'Italia e sulla politica italiana. Ma quando ci si confronta col pensiero di Sartori è inevitabile volare un po' più alto per superare i confini della politica nazionale e del suo chiacchiericcio quotidiano. La curiosità va allora allo stato della democrazia e soprattutto al suo futuro. Stavolta però la risposta di Sartori si fa meno categorica e più dubitativa: la democrazia è sempre una "ideocrazia" (cioè, costruita sulle idee, dove le idee contano e si confrontano) e la sua qualità così come la sua sopravvivenza dipendono delle teste che dovrebbero pensarla e capirla. Che è come dire che il futuro della democrazia è nelle nostre mani/menti. Ma è proprio qui che cominciano i guai, che sono per di più di duplice natura. Da un lato, c'è il problema delle élite politiche, che hanno barattato la competenza (il sapere) con l'obbedienza (il potere), abdicando così al loro ruolo dirigente per rincorrere i sondaggi o gli umori del momento. Con il rischio di dar vita a democrazie irresponsabili nelle quali il presente si mangia il futuro. Dall'altro lato, si trova, invece, il problema della qualità dell'opinione pubblica e, in particolare, delle modalità attraverso le quali i cittadini ricercano o ricevono le informazioni. È il grande tema della democrazia della (nella) rete e, soprattutto, di chi controlla il flusso di informazioni su cui i cittadini formano oggi le loro opinioni. Era un tema già scottante per l'homo videns sartoriano, che sa solo quel che vede, ma che ora esplode tra le pieghe del web, dove l'homo navigans corre il rischio di sapere solo quello che i motori di ricerca gli suggeriscono di sapere.

Di fronte a queste nuove sfide per la democrazia, non esistono soluzioni facili o scorciatoie a buon mercato. Chi le promette, promette il falso. E il miglior antidoto contro il semplicismo di queste promesse rimane la lettura, lo studio, l'analisi – anche critica, se si è capaci – delle opere di Giovanni Sartori.

    Marco Valbruzzi

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