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Autore Discussione: GIOVANNI SPADOLINI· 16 marzo: nulla sarà più come prima (1978)  (Letto 1747 volte)
Arlecchino
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« inserito:: Marzo 17, 2018, 12:55:22 pm »

16 marzo: nulla sarà più come prima (1978)

Da G. Spadolini, “Da Moro a La Malfa. Marzo 1978-marzo 1979.
Diario della crisi italiana”, Vallecchi, Firenze 1979, pp. 9-13.

16 marzo. Il Senato decide di chiudere entro la notte il voto di fiducia al nuovo governo Andreotti, prima risposta al massacro di via Fani, all’agguato contro Aldo Moro e all’annientamento della sua scorta. Parlo alle 23 circa, in un’aula tesa, sgomenta.
Ricordo la lunga polemica contro Moro, da sponde opposte, le accuse di “fatalismo” e di “rassegnazione”, lo snervante dibattito su una mediazione instancabile. “In realtà il massimo esponente dello scudo crociato avvertiva, e non da oggi, la dissoluzione di alcune fondamentali tavole di valore che pure avevano accompagnato la nostra evoluzione democratica; cercava di cogliere le aperture al nuovo, le assecondava, le favoriva, con l’intuito dello statista cui è concesso di guardare oltre la cronaca e oltre l’episodica, ma non si nascondeva la frana di taluni princìpi, la disgregazione di una parte del nostro tessuto sociale, l’infiltrazione di taluni fermenti eversivi verso i quali Moro non ha mai civettato, verso i quali non ha mai avuto, da democratico severo e conseguente, civetterie o indulgenze di alcun genere.
“L’escalation di quella violenza, che rendeva indecifrabile il nostro futuro, confuso il nostro passato, precario il nostro presente, ha toccato, con l’agguato ad Aldo Moro, col rapimento dello statista, con l’assassinio dei cinque uomini della scorta, il suo acme, un acme drammatico, che non consente più neanche i paragoni, una volta d’obbligo, col Cile. Rischiamo di uscire dalla prospettiva cilena. Quello che è avvenuto a Roma supera tutti i precedenti delle società in via di destabilizzazione. Si è voluto colpire il cuore del potere politico, dopo aver investito, con la raffica degli attentati, i rappresentanti della pubblica sicurezza, i carabinieri, i magistrati, i giornalisti.
“Quale traguardo più ambizioso si potevano porre i terroristi? Moro non è soltanto il presidente della democrazia cristiana, il partito al quale noi rivolgiamo oggi un commosso pensiero di solidarietà, nel ricordo delle battaglie comuni di questo dopoguerra, alcune delle quali recentissime e legate proprio al suo nome. No: Moro è un uomo che appartiene all’intera democrazia italiana, uno statista cattolico che è caro anche al cuore dei laici, per la sofferta comprensione della complessità della nostra storia, della sua molteplicità, della sua, talvolta, a lui non meno che a noi, impenetrabilità.

Aldo Moro e Giovanni Spadolini
“Protagonista della stagione del centro-sinistra, una stagione che coincise con l’allargamento di respiro della società italiana, col suo arricchimento, con la sua democratizzazione, con la più larga immissione di masse popolari nella vita dello Stato, Moro è l’unico che, in mezzo alle incertezze e spesso alle incomprensioni del suo stesso partito, ha intuito la terza fase, quella che solo da pochi mesi si è convenuto di chiamare l’ ‘emergenza’ ma di cui tanti si sono ostinati a negare l’attualità e la validità.
“Moro non ha mai condiviso nella sua lunga battaglia politica nessuno schema di intolleranza o di manicheismo. È stato sempre l’avversario dello scontro e della lotta radicalizzata; si è battuto con influenza decisiva, anche nel corso dell’ultima crisi, per scongiurare la tentazione funesta delle elezioni anticipate, per elaborare una formula di composizione delle forze che nella storia della Repubblica hanno avuto un ruolo determinante, non importa se su posizioni diverse o anche contrapposte per anni e per decenni.
“La risposta alla sua intelligente, ostinata, vorremmo dire inflessibile mediazione è giunta dalle bande terroristiche, che hanno alzato il segno fino alla sua persona, in vista di piegare la Repubblica, presumibilmente in coincidenza con la vicenda giudiziaria di Torino e con una perfezione tecnica agghiacciante che ricorda la recente vicenda germanica. È una risposta che la Repubblica deve raccogliere con assoluta fermezza ma anche con assoluta padronanza dei propri nervi.
“Nessun discorso di circostanza; nessuna indulgenza alla retorica. Si è dichiarato guerra allo Stato democratico; e la sfida deve essere raccolta. Chi pensava di spaccare il paese in due sul referendum proposto per la legge Reale (una legge che l’incalzare del terrorismo rende ogni giorno più inadeguata, ma in senso opposto ai suoi detrattori) ha avuto una risposta consapevole e vorremmo dire anticipata dagli accordi di governo che il presidente del Consiglio ha riassunto nella forma abbreviata e drammatica che la gravità del momento richiedeva. Non è il caso di introdurre motivi di divisione in un paese su cui si protende l’ombra di un’aggressione armata, ormai incondizionata; il Parlamento deve apprestare nuovi strumenti di prevenzione e di difesa delle istituzioni che non consentano l’impunità finora troppe volte tollerata.
“Vorrei ricordare ai colleghi che pochi uomini, come l’on. Moro, si sono battuti contro l’irresponsabile smantellamento dei nostri servizi segreti che ha trovato tante complicità e tanti colpevoli aiuti. Una polizia, che disponesse di un minimo di strumenti per indagare sulle origini e sulle colleganze internazionali del terrorismo, avrebbe potuto presumibilmente prevenire alcuni dei colpi che sono stati indirizzati, con insanguinato successo, a colpire i simboli del potere, giuridico, politico o morale del paese. Fautore di un’apertura alle classi più disagiate del nostro paese, nemico di ogni accigliato o rassegnato conservatorismo sociale, Moro è nel suo partito fermissimo nella difesa di una certa idea dello Stato, della democrazia, idea che non lascia nessun margine, neanche di circostanza, alla retorica permissiva degenerata poi nel terrorismo spietato di oggi.
“Ha detto giustamente l’amico La Malfa, nell’altro ramo del Parlamento, che se nessuno può proteggere noi, come esponenti della classe politica, oltre un certo limite che i fatti del resto hanno vanificato, noi possiamo proteggere tutti con le nostre leggi. Non aver attuato, per esempio, le modifiche e le integrazioni alla legge Reale, previste nelle intese di luglio, è stato un errore, un errore grave, di cui portiamo intera, come classe politica, la responsabilità. L’aver trascinato stancamente tanti dibattiti sull’ordine pubblico, senza far seguire alle parole i fatti, ha accentuato quella tensione, quella pericolosa esasperazione dell’opinione pubblica di cui chi giri oggi per le strade di Roma avverte i segni, premonitori di una tempesta delle anime che potrebbe essa stessa abbattersi sulle nostre istituzioni: risvegliando istinti di autodifesa che anche nel mondo insegnante hanno avuto di recente talune zone di sviluppo (e il dramma della scuola italiana, una scuola che Moro ama con la sua fedeltà di docente all’antica, è sempre presente nella mente del presidente della democrazia cristiana, vittima dell’agguato terroristico).
“Ricordo un’altra dolorosa coincidenza, proprio qui per la nostra aula di palazzo Madama. Il 15 novembre era terminato da due ore il dibattito, purtroppo abbreviato nei tempi, sull’ordine pubblico che da Torino giungeva la notizia dell’atroce ferimento di un giornalista che Moro ha sempre molto stimato, che tutti noi rimpiangiamo, nella pericolosa tendenza a tutto dimenticare che caratterizza questo nostro paese: Carlo Casalegno. Ancora Torino: ancora lo scenario delle Brigate Rosse. Qualcuno osservò allora che la mano del terrorismo non si sarebbe arrestata alla soglia dei giornalisti. Ed era stato facile anche se inascoltato profeta.
“La Repubblica ha ancora sufficiente forza per resistere alle tendenze di disgregazione che si muovono nel suo seno, frutto anche di errori culturali che hanno avuto talvolta protezioni o indulgenze oggi purtroppo irripetibili o addirittura inconcepibili. Dobbiamo riaffermare in primo luogo il primato della ragione, contro l’ondata di un irrazionalismo dilagante che ha portato a esaltare il valore della violenza per la violenza, che ha risvegliato il clima del peggiore nazismo, quale che sia la maschera sotto la quale è contrabbandato. Se l’uomo non è più, come diceva Vauvenargues, al centro dell’universo, al centro dell’universo dei valori, noi dobbiamo ricollocare al vertice del nostro codice di vita la tolleranza, la libertà, il rispetto dell’uno per l’altro, la convivenza di tutte le fedi. In ogni momento, nella scuola, nella fabbrica, nella vita civile. Contro l’ondata della violenza e del terrorismo che mette in forse le stesse basi della Repubblica, che esige da noi, dal governo e dal Parlamento, un supremo coordinato sforzo di salvezza.
“Credo che nessuno possa più dubitare, oggi, sulla legittimità dell’emergenza. Sia questo, almeno, un viatico per il governo che in mezzo a tante incertezze ha avviato oggi il suo cammino, circondato dalla fiducia delle forze costituzionali e assecondato dalle speranze di un paese umiliato, ferito e provato nella sua coscienza più profonda. Da oggi nulla sarà come prima”.

Giovanni Spadolini, 16 marzo 1978.

Da - https://www.facebook.com/notes/giovanni-spadolini/16-marzo-nulla-sar%C3%A0-pi%C3%B9-come-prima-1978/1657540584337540/
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