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Autore Discussione: Orfini: "Il partito non si ricostruisce senza il contributo dell'ex premier".  (Letto 2502 volte)
Arlecchino
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« inserito:: Marzo 12, 2018, 04:42:32 pm »

Direzione Pd, oggi le dimissioni di Renzi e la "reggenza" a Martina

Il leader uscente potrebbe non partecipare.

Orfini: "Il partito non si ricostruisce senza il contributo dell'ex premier".

Il nodo dei capigruppo a Camera e Senato. L'ipotesi di "primarie", sempre meno consistente e il Congresso che si vorrebbe nel 2019

12 marzo 2018

La lettera di dimissioni di Matteo Renzi. E la relazione del vicesegretario Maurizio Martina, con al centro le parole d'ordine "unità" e "collegialità". Così la direzione del Partito democratico ufficializzerà oggi la fine dell'era Renzi. Il leader uscente potrebbe non esserci e parlare tra un mese in assemblea, ma fino all'ultimo si riserva di cambiare idea. Di sicuro non spariranno i renziani: il Pd, sostiene Matteo Orfini, non si "ricostruisce senza il contributo di Renzi".

Ma tra i Dem si moltiplicano i 'rumors' su un possibile nuovo partito di Renzi, "alla Macron". In particolare si parla di un lavorio in corso soprattutto sul fronte milanese per creare le basi per un nuovo partito dell'ex premier. Ma i suoi per ora smentiscono: non sarà più segretario, ma non molla il Pd. La 'reggenza' del Pd passa intanto a Martina, che in direzione annuncerà una gestione collegiale (in forme da definire) della travagliata fase di transizione. "Spetta a chi ha vinto la responsabilità del governo", dovrebbe dire Martina, ponendo il Pd all'opposizione. E la direzione dovrebbe approvare a stragrande maggioranza le sue parole, che potrebbero essere tradotte in un documento finale.

Ma il 'dopo', che passa per le nomine in Parlamento e la formazione del governo, riserva tante incognite: lo stesso Orfini non chiude preventivamente a un eventuale governo del presidente sostenuto da tutti i partiti. Il tentativo è per ora evitare 'conte', sia oggi in direzione che la prossima settimana, quando si dovranno eleggere i capigruppo. Già si ragiona di una presidenza renziana e una di mediazione (si citano Guerini e Rosato alla Camera, Bellanova e Parrini o anche Pinotti al Senato).

E Matteo Orfini tira il Pd fuori anche dalle presidenze delle Camere, definendo "legittimo" che vadano a M5s e Lega, con una soluzione che eviterebbe dispute interne. Ma i prossimi passaggi sono tutt'altro che scontati e tra i Dem c'è chi non reputa chiusi i giochi neanche per la presidenza delle Camere: il primo ostacolo - ammettono però - è che il Pd dovrebbe essere tutto unito per trattare.

Oggi si ripartirà da dimissioni "vere" di Renzi e da una analisi della sconfitta che Martina promette non assolutoria. Poi alla metà di aprile dovrebbe tenersi l'assemblea del partito. In quella sede si dovrà scegliere se eleggere un nuovo segretario o convocare il congresso. Ma molti nel partito (tranne qualche pasdaran renziano) sembrano concordare sull'inopportunità di primarie subito, anche se questa ipotesi, nelle ultime ore, ha cominciato a essere meno "pressante". Dunque si dovrebbe cercare un segretario 'di unità' in vista del congresso, da tenersi nel 2019 o, come preferirebbero i renziani, nel 2021. In questo caso la scelta potrebbe ricadere come una figura come Graziano Delrio, che per ora si tira fuori, mentre avrebbero meno chance nomi come Nicola Zingaretti (che unisce un ampio fronte di sinistra) o Carlo Calenda, vicino a Paolo Gentiloni e sempre più attivo ("E' urgente riaprire le iscrizioni", twitta).

Ma la resa dei conti può ancora riservare sorprese, perché gli animi sono accesi. Non si cerchi in Renzi, avverte Orfini alla vigilia della direzione, il "capro espiatorio" con "abiure" per "cancellare responsabilità" della sconfitta che sono di tutti, incluso chi "ha fatto il ministro per cinque anni" (un riferimento a Franceschini?). In un clima così incerto, la direzione si annuncia molto partecipata (secondo qualcuno potrebbe esserci anche Walter Veltroni) e le diverse aree serrano le truppe (orlandiani ed emilianiani si riuniranno prima della direzione, mentre i renziani smentiscono 'vertici').

Orfini, che da presidente del partito dovrebbe partecipare alle consultazioni al Colle con il vicesegretario Martina e i futuri capigruppo, afferma che sostenere un governo M5s sarebbe "la fine del Pd". Ma Emiliano spinge per un'intesa con i Cinque stelle e i suoi avanzano il sospetto che alla fine un accordo si faccia con il centrodestra: "Renzi vuole trasformare il Pd in una bad company", attacca Dario Ginefra.

© Riproduzione riservata 12 marzo 2018

Da - http://www.repubblica.it/speciali/politica/elezioni2018/2018/03/12/news/direzione_pd_oggi_le_dimissioni_di_renzi_e_la_reggenza_a_martina-191042095/?ref=RHPPLF-BH-I0-C8-P1-S1.8-T1
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« Risposta #1 inserito:: Aprile 29, 2018, 09:47:12 pm »

IL BLOG
Di Davide RICCA

Davide Ricca Esperto di politiche attive del lavoro. Presidente Circoscrizione 8 di Torino.

09/12/2015 11:17 CET |
Aggiornato 09/12/2016 11:12 CET


Renzi e la Leopolda, una narrazione che non è solo metodo
Non ho scritto per un po'. Ho deciso infatti che avevo bisogno di ascoltare. Anche nella politica non credo sia possibile mantenere sempre lo stesso passo e lo stesso ritmo. Soprattutto per chi alla politica dedica il proprio tempo liberato, credo sia utile confrontare la propria esperienza di vita e di lavoro con i momenti di militanza ed impegno più propriamente politici. Staccare la possibilità a questi vasi di comunicare sarebbe a mio avviso una errore madornale, come lo sarebbe pensare che un partito possa vivere esclusivamente sulle gambe, sulle braccia e sul cervello di chi vive di politica.

A due anni dal successo di Matteo Renzi nelle primarie dell'Immacolata del 2013 e a meno di una settimana dalla Leopolda numero 6, in molti provano a tracciare un primo bilancio della sua azione come segretario del Pd e come Presidente del Consiglio. Ma a due anni dall'8 dicembre del 2013 è anche possibile tracciare un primo bilancio di quella che è stata la portata della vittoria di Renzi all'interno del Partito Democratico.

Questo periodo di ascolto, ed in particolare i banchetti di #italiacoraggio dello scorso weekend, mi hanno confermato che chi ha sostenuto Renzi lo ha fatto essenzialmente per due motivi, che possono essere considerati i pilastri sui quali l'ex sindaco di Firenze ha costruito il proprio successo: il ricambio (rottamazione) della classe dirigente di questo paese; la proposta di politiche e di riforme innovative (cambiaverso) per questo paese.

Potremmo, semplificando, dire che qualcuno ha visto in Renzi un "metodo diverso", una sorta di "strumento" e qualcun altro lo ha interpretato come portatore di "contenuti diversi", una sorta di "fine". Inutile chiedersi se hanno ragione i primi o se hanno ragione i secondi. Nella figura e nella proposta di Renzi (potremmo dire nella sua narrazione) contenuto e metodo si tengono. Ed è questo equilibrio che sostiene la popolarità, non solo italica, del Premier e la sua autorevolezza nel dettare l'agenda politica.

E come sempre la variabile tempo non è indifferente in politica. È proprio il tempo che oggi spinge chi ha puntato tutto sul metodo a non essere completamente soddisfatto dell'azione di Renzi, mentre chi ha visto in lui la possibilità di una proposta innovativa e di sinistra moderna non può che osservare in numero e qualità uno stock di riforme che mai un governo (e un partito attraverso i suoi gruppi parlamentari) nella storia repubblicana era riuscito ad avanzare e approvare in così poco tempo.

A chi sarà alla Leopolda il prossimo weekend e a chi critica il Pd di Renzi va proprio ricordato il poco tempo che separa il 2015 dal 2013. A chi preme sull'acceleratore pensando di guidare su un'autostrada con soli rettilinei, dimenticandosi che i piloti esprimono il loro talento nelle curve dei circuiti più impegnativi, va semplicemente rammentata la sconfitta del 2012, va ricordato che nel 2012 i gruppi parlamentari non furono scelti da Matteo Renzi, va ricordato che il tempo aiuta a separare l'acqua dall'olio e che, se veramente vogliamo fare la storia e non la cronaca, Renzi non può essere strumentale alle ambizioni personali, ma solo alle ambizioni dell'Italia.

(Dall’archivio post di Gianni Gavioli)
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