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Autore Discussione: A BORDO DELLA REGINA DEI CIELI. di Mark Vanhoenacker  (Letto 1703 volte)
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« inserito:: Marzo 12, 2018, 04:24:39 pm »

A BORDO DELLA REGINA DEI CIELI
Al comando di un Boeing 747: dalla prima volta, all’ultimo decollo

–di Mark Vanhoenacker 09 marzo 2018

Era la fine del 2007 e mi trovavo nella cabina di pilotaggio di un Boeing 747 diretto a Hong-Kong, impegnato con grande concentrazione nel rullaggio di quella che potrebbe essere considerata l'invenzione alata più grande della nostra specie lungo la pista di decollo nord dell'aeroporto di Heathrow. Avevo appena concluso un corso di volo di vari mesi in classe e al simulatore e, da lì a qualche minuto, sotto lo sguardo vigile del capitano istruttore seduto accanto al me avrei dato inizio al mio primo decollo.

Il capitano aveva ragione: tra le migliaia di voli che ho effettuato nella mia carriera di pilota, il mio primo volo alla console di un 747 resterà per sempre impresso nella mia memoria. Oggi, poco più di dieci anni dopo, impegnato nel rullaggio di un 747 lungo la stessa pista di Heathrow, provo emozioni completamente diverse, perché sto per effettuare il mio ultimo decollo ai comandi di un aereo noto confidenzialmente tra i piloti con la sigla “QOTS”, che sta per “Queen of the Skies” (la Regina dei cieli). Questa sera siamo diretti a Città del Capo.

Nel decennio intercorso tra il mio primo e il mio ultimo volo ai comandi di un 747, sono cambiate molte cose. L'illuminazione a Heathrow è stata ammodernata, e quindi questa vecchia e veneranda pista di decollo oggi appare appena uscita dal film di fantascienza e realtà virtuale “Tron”, più che a qualcosa che lo scrittore e pioniere dell'aviazione Antoine de Saint-Exupéery potrebbe mai riconoscere. All'interno del Boeing, il cervello di sinistra e quello di destra del 747, altrimenti noti come i due computer di volo, sono stati sostituiti con modelli potenti e nuovissimi. Per quanto mi riguarda, mi sono sposato, ho pubblicato un paio di libri sul volo, e ho avuto l'opportunità di volare più o meno in ogni grande città del mondo, tra cui Sidney una volta, Vancouver 17 e Los Angeles 41. Qualcosa che non è mai cambiato negli ultimi dieci anni, tuttavia, c'è ed è l'euforia unica che si prova facendo alzare da terra un 747. Quando dalla torre di controllo ci danno il via libera definitivo, ripenso alle parole che mi disse il capitano istruttore in quella stessa fase, su quella stessa pista, a pochi secondi dal mio primo decollo nel 2007: “Andiamo. Goditela”. Sì, lo farò.

Spingo le manette fino alla posizione di decollo e 370 tonnellate di pura leggenda dell'aviazione iniziano lentamente a muoversi. Subito dopo, rulliamo sulla superficie terrestre più o meno come un treno ad alta velocità. Il capitano impartisce l'ordine e io tiro indietro la cloche. La coda del 747 si abbassa, il suo naso iconico si solleva e ci alziamo in volo nella notte, senza scossoni, agevolmente. Una volta fatto rientrare il carrello di atterraggio, ci incliniamo a sinistra, virando verso le luci di Southampton, la città dalla quale intere generazioni di transatlantici Union Castle diretti a Città del Capo scioglievano un tempo gli ormeggi.

Di recente si è parlato dei 747 nei notiziari, come quando Delta e United – gli ultimi due operatori di voli passeggeri con 747 con sede negli Stati Uniti – hanno detto addio ai loro ultimi jumbo jet. Le notizie di una sua scomparsa definitiva, però, sono quanto meno esagerate. Alcune compagnie aeree come KLM, Lufthansa e British Airways (il mio datore di lavoro) utilizzano ancora i 747. Non molto tempo fa, UPS ha confermato un ordine di tutto rispetto per nuovi 747 come vettori cargo, rassicurando i molti appassionati della “Regina dei cieli” che essa rimarrà in produzione fino a buona parte del decennio 2020-2030. Ciò nonostante, mentre aerei sempre più moderni integrano le flotte di 747 o li sostituiscono, molti piloti che forse sognano fin da piccoli di pilotarne uno dovranno dire addio al QOTS (per esempio una mia collega che, fin da bambina, aveva le idee assai chiare in materia: non voleva diventare pilota di linea, bensì unicamente pilota di 747).

Io ho preso la decisione di aggiornare la mia formazione e diventare pilota di Boeing 787, un aereo di ultima generazione che si sta rivelando popolare tra equipaggi e passeggeri (uno dei vantaggi che offre è un'aerazione più naturale in cabina, un altro è che, pur non potendo esistere un aereo più bello del 747, il 787 si difende molto bene con il suo naso slanciato e le sue ali arcuate con eleganza verso l'alto). Mi restano ancora alcune ore di volo e alcune migliaia di miglia da percorrere per portare a termine il mio incarico di pilota di 747, e mentre voliamo a velocità di crociera a un'altezza iniziale di 9448 metri, lo splendido panorama che si apre sotto di noi – Barcellona che risplende come un gioiello ben illuminato custodito in una teca a sfondo nero, e poi Algeri e le ramificazioni di luce che si spingono verso sud attraverso le montagne dell'Atlante fino a diventare evanescenti a mano a mano che si addentrano nel deserto del Sahara – mi offre l'occasione di riflettere su un aeroplano che ha rappresentato tutto per me.

Fin da bambino ho sempre provato un amore irrazionale per il 747 – per le sue dimensioni, per la sua forma unica, e soprattutto per la meraviglia e la sensazione di libertà che evoca nell'immaginario collettivo la sua sola sigla, formata da quelle cifre così famose. Il mio nome Twitter è @markv747, che utilizzo anche come indirizzo personale di posta elettronica. Forse, la prova più paradossale del mio folle amore per il 747 l'ebbi durante un viaggio in Texas, alcuni anni fa. Allo Space Center Houston – sede, ovviamente, di molte meraviglie dell'era spaziale – vidi parcheggiata fuori dall'ingresso una sagoma iconica familiare, che conoscevo bene e, del tutto inconsapevolmente, dissi al mio partner: “Che meraviglia! Un 747!”. Tenete presente che l'unico motivo per il quale mi trovavo a Houston era che poche ore prima avevo fatto atterrare un 747 nell'aeroporto locale... Ecco, forse adesso potete iniziare a capire quanto sia grande la mia passione per questo aeroplano. Si diceva che il 747 – che effettuò il suo primo volo nel febbraio del 1969, nel periodo antecedente all'atterraggio sulla Luna, avvenuto nell'estate di quello stesso anno – avrebbe inaugurato “l'era spaziosa” dei viaggi, una definizione che era qualcosa di più di un semplice gioco di parole: alcune componenti del sistema avanzato di navigazione del 747, per esempio, derivavano dalla tecnologia usata per il programma spaziale Apollo. A rivoluzionare l'economia dei viaggi in aereo, e di conseguenza i rapporti con popoli e località molto distanti, tuttavia, furono altri due elementi: le dimensioni dell'aereo e un numero doppio di posti a sedere per i passeggeri rispetto ai suoi predecessori. Sono un entusiasta (e un beneficiario) di quel cambiamento culturale come tanti altri. Eppure, perfino io non mi sono ancora abituato alla portata tecnologica e storica di viaggi come quello di stanotte verso Città del Capo. Domani pomeriggio andrò in escursione al Capo di Buona Speranza, nei pressi di due croci che commemorano i viaggi di Bartolomeo Diaz e Vasco da Gama, circa cinque secoli fa.

Ora, mentre voliamo tra le stelle sopra e il Camerun sotto, mi chiedo che cosa potrebbero mai comprendere quei due esploratori di quanto mi circonda: un monitor che visualizza la nostra posizione nella plancia della cabina di pilotaggio, le mappe aggiornate in tempo reale e dalla luce soffusa collocate sullo schienale posteriore di centinaia di posti a sedere, le ampie ali dell'aereo, alla estremità delle quali brillano le luci, che ci portano sempre più in alto, e i vassoi della colazione che nella notte sopra i continenti vanno e vengono. Adesso imbocchiamo la rotta a sud-ovest, che corre più o meno parallela al fiume Congo, e arriva per me il momento di una pausa. Mi dirigo verso la piccola cuccetta all'interno della cabina. Il secondo pilota mi sostituisce, prendendo posto nel sedile di destra della cabina di pilotaggio. (Tra pochi giorni, nel volo di ritorno, sarò io il secondo pilota, che non effettua né decollo né atterraggio.)

Presto sorvoleremo l'ex Congo belga, dove visse mio padre alla fine degli anni Cinquanta. Amava molto gli aeroplani, ma di sicuro non avrebbe potuto immaginare che, a distanza di sessant'anni, uno dei suoi figli avrebbe volato in quello stesso cielo. Mentre srotolo il mio sacco a pelo blu, ricordo un episodio che mi raccontò al riguardo di un volo che fece una volta a bordo di un DC-7C, un aereo che pesava soltanto una minima parte di un Boeing 747. L'aereo dovette atterrare per una sosta non programmata, durante la quale mio padre osservò il pilota che, sudato fradicio nel sole tropicale, riparava un motore in avaria con un pezzo prelevato da un altro perfettamente funzionante. Mi allaccio la cintura di sicurezza sul sacco a pelo e mi ricordo un dato statistico straordinario citato una volta dallo storico dell'aviazione Douglas J. Ingells. La potenza del primo motore dei fratelli Wright era di circa un cavallo vapore ogni 4,5 chilogrammi di peso del motore. Fu soltanto a distanza di alcuni decenni che i potenti e rivoluzionari motori a reazione ribaltarono quel rapporto, producendo 10 cavalli vapore ogni mezzo chilo di peso. Mio padre, che è mancato nel 2005 e non ha mai volato con me a bordo di un 747, avrebbe amato conoscere questo dato. Nel tranquillizzante ronzio ovattato dei quattro motori Rolls-Royce migliori in assoluto, scivolo dolcemente nel sonno. Circa tre ore dopo, il caratteristico “ding-dong” del campanello della sveglia del 747 riecheggia in cuccetta. Ritorno in cabina di comando, ma mi serve qualche secondo prima che i miei occhi si adeguino all'accecante luce mattutina ad alta quota nei cieli dell'Africa meridionale.

Mi faccio portare una colazione all'inglese completa, con caffè macchiato. Alla mia destra osservo in basso dune ondulate rosso carminio rincorrersi in linee nette e precise come le onde della risacca. È il deserto del Namib. In lontananza, sulla sinistra, dal finestrino del capitano vedo il Kalahari. Portiamo a termine i controlli per la discesa ed è il momento di aggiornare i passeggeri. Quando scendiamo verso Città del Capo, commento sempre il panorama e fornisco spiegazioni su quello che potranno ammirare. Qui il tempo delude di rado e per molti passeggeri, naturalmente, un viaggio a Città del Capo è il viaggio della vita. Davanti a me riesco già a vedere Table Mountain e le cime allineate dei monti profilarsi verso sud, verso Cape Point, dietro il quale l'oceano e il cielo si fondono nella lucentezza di un blu magnifico. Spesso, quando arrivo qui, penso che sia il posto più blu della Terra. Proseguiamo la discesa senza sobbalzi, e ben presto siamo su False Bay: risplende luminosa nel sole mattutino, con lunghe chiazze increspate che riflettono la luce in modo diverso. La brezza si muove sull'acqua, visibile e incantevole come le impronte lasciate da un personaggio invisibile dei cartoni animati.

Città del Capo, come quasi tutta l'Africa, ormai è alle nostre spalle. Davanti a noi c'è soltanto l'Antartide. Iniziamo la prima delle dolci virate che ci porteranno a terra. Poco prima di sorvolare la costa per la seconda volta, abbassiamo il carrello. Il capitano augura “buona fortuna” – consueta allusione al film “L'areo più pazzo del mondo”, piccola presa in giro che ben si merita ogni pilota che abbia scritto un libro intitolato “Come far atterrare un aereo”. Davanti a noi si profila la pista di atterraggio principale di Città del Capo – larga 61 metri, lunga 3201, a un'altezza sul livello del mare di 43 metri –, e si staglia limpida come la luce mattutina. A circa 9 metri dalla pista tiro su poco alla volta la punta del grande aereo e inizio ad abbassare le manette che avevo alzato nell'oscurità di Londra, circa 11 ore e 9600 chilometri fa. Ora il 747 si libra in alto sopra l'Africa, mentre le ruote attendono il contatto che le farà galoppare di nuovo. E questo segnerà la fine dei miei anni felici di pilota dell'aereo che sognavo da bambino. Trascorre un attimo, e siamo già a terra. Dopo aver parcheggiato al gate, saluto i nostri passeggeri. Mentre li ringrazio, non posso fare a meno di aggiungere che “spero che sia loro piaciuto volare in questa splendida città, a bordo di questo splendido aeroplano, proprio quanto è piaciuto a me”. Poi mi dirigo giù, sul ponte principale, per salutare di persona qualche centinaio di passeggeri.

All'interno del terminal, i miei colleghi mi scattano delle foto: alle mie spalle, il 747 fermo e silenzioso, riempie tutta la finestra. Mentre ci avviamo verso il controllo passaporti, accendo il cellulare. Tra i messaggi di “benvenuto in Sudafrica” che arrivano, ricevo anche una mail da un caro amico pilota. Mi chiede notizie sul mio ultimo volo e, alludendo all'indirizzo e-mail al quale ha appena scritto, mi domanda: “È giunta l'ora di cambiarlo, vero Mark?”. Sta scherzando, naturalmente: sa benissimo, come lo so io, che è un indirizzo da mantenere per sempre.

Mark Vanhoenacker è un pilota della British Airways. Ha pubblicato ‘Skyfaring' e ‘How to Land a Plane'.
Traduzione di Anna Bissanti

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