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Autore Discussione: Laura Balbo - Scene di caccia a Cittadella  (Letto 2125 volte)
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« inserito:: Novembre 29, 2007, 11:59:05 pm »

Scene di caccia a Cittadella

Laura Balbo


Ero in Veneto nei giorni scorsi. Ho letto il Gazzettino, il «quotidiano del Nord Est», e l’inserto di Padova; le lettere inviate ai giornali dai lettori; ho visto le locandine che in prossimità dei chioschi presentano con titoloni le notizie importanti, e naturalmente ho seguito il telegiornale regionale. I resoconti sulla manifestazione a Cittadella, le adesioni di molti sindaci e le dichiarazioni di esponenti politici nazionali.

Ora si legge che anche Treviso e Thiene aderiranno all’ordinanza. Dichiarazioni della moglie del sindaco «in questo momento più noto d’Italia, Massimo Bitonci» (il Gazzettino, 26 novembre).

Per la Lega «il Veneto è all’avanguardia per tutto il Nord».
Titoli a tutta pagina. Rapidamente si è diffuso un linguaggio nuovo: il «caso Cittadella», l’«ordinanza», diventata poi «direttiva», «anti-sbandati»; il «corteo pro Bitonci»; la «rivolta dei sindaci veneti»; «gli eurodeputati contro Cittadella». E le immagini: il cartello che dice «10, 100, 1000 Bitonci», in una fotografia ripresa anche dal Corriere della Sera.

Anche altre voci, va detto: il pezzo intitolato «Una battaglia da vincere con civiltà» di Ulderico Bernardi: importante.
Ho anche incontrato, andando in giro, persone che di queste cose parlavano (naturalmente non si tratta di un “campione rappresentativo”, ma erano persone diverse, in contesti diversi) Soprattutto persone anziane, ma non solo. tutte sullo stesso tono: Padova «è invasa dagli stranieri», «nessuno qui rispetta più le regole» (a un semaforo, qualcuno passava col rosso); «una volta si stava molto meglio». E la paura: per le strade, in casa.

Ho anche incontrato una giovane immigrata (“badante”, naturalmente) che a Padova vive da molti anni, parla l’italiano benissimo: dice che si sente isolata, che i vicini non la salutano, e che il marito, che lavora come idraulico e quindi va nelle case della gente, ha deciso di presentarsi come polacco, che è meglio.
Naturalmente sono impressioni rapide, accenni. Ci penseremo, spero, a questi giorni e a questi fatti, con maggiore attenzione. Almeno fino al 3 dicembre, data dell’incontro dei sindaci della zona con il pretore a Padova, la questione resterà molto visibile (poi vedremo: gli effetti mediatici in genere non durano a lungo).
Pensiamoci: anche perchè, come ha detto il ministro Amato, «il problema esiste». Avrà sviluppi complicati.

E cerchiamo di allargare lo sguardo, come ha fatto Gian Antonio Stella (ci suggerisce questo parallelo, Ellis Island e Cittadella) nel suo articolo sul Corriere. Ha descritto le condizioni dei migranti italiani, a cavallo tra la fine del secolo precedente e poi all’inizio del novecento: certo, “sbandati”, “pericolosi”, “criminali”. Così sono visti nei libri, oggi divenuti un pezzo importante della narrativa americana, di John Fante.

O anche, sempre per allargare lo sguardo, voglio ricordare la retorica in cui siamo immersi: il 2007 è l’anno europeo delle pari opportunità per tutti. Ma l’Europa intera è segnata dai nuovi razzismi (ormai questa parola desueta ritorna). Che ci siano persone non proprio come noi, non ci piace, adesso lo si dice apertamente, che abbiano tradizioni e culture e religioni che non sono le “nostre” ci dà fastidio. Vogliamo che se ne vadano. Soprattutto se sono poveri.
Eurocentrici, siamo, in senso “moderno”. Con questo termine mi pare che si metta bene a fuoco quel che sta succedendo, dall’Olanda a Parigi, da Cittadella a Milano (le vicende di pochi mesi fa sulla presenza cinese, le vicende di pochi giorni fa su rumeni e rom, le ricordiamo?)

Per allargare lo sguardo può anche essere utile richiamare qualche vicenda del passato. Gli “sbandati” non sono mai piaciuti, e in fasi diverse si è pensato cosa farne. Non del tutto irrilevante richiamare il “panem et circenses” dell’epoca romana (anche se adesso, pane poco, e ad altro, circenses appunto, non ci pensiamo affatto). Durante le carestie o le epidemie di molti secoli, i più derelitti e sfortunati venivano rinchiusi e lasciati al loro destino. Ampio ricorso alle condanne a morte e alle deportazioni verso colonie lontane, più avanti, e naturalmente al carcere, per tutti quelli che si consideravano, appunto, “sbandati”.

In un libro appena uscito dal Mulino Giacomo Todeschini parla appunto di come nella storia sono state trattate “le persone sospette”.

Il titolo è «Visibilmente crudeli».

Pubblicato il: 29.11.07
Modificato il: 29.11.07 alle ore 8.38   
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