Il fattore C
19/02/2018 16:33 CET | Aggiornato 17 ore fa
Carlo Renda Vice Direttore, HuffPost
Twitter è la sua arma preferita, che usa con costanza "trumpiana". Martella sui tasti con frequenza tale che sono sorti anche profili fake, fra cui un rivoluzionario sudamericano in rivolta contro gli oppressori, di cui è diventato subito un follower. Virginia Raggi è il bersaglio preferito dei suoi strali sull'incapace gestione di Roma, Matteo Salvini l'oggetto degli apprezzamenti più coloriti - dalla "proposta più fessa" sui dazi al "cialtrone" con gli operai – Matteo Renzi il destinatario di odio e amore, Paolo Gentiloni ed Emma Bonino i "pilastri" da cui ripartire. Nato capitalista liberista d'antan e cresciuto laburista, ha messo l'accento sul marcio che c'è fra gli imprenditori e difeso i diritti degli operai. Ha chiuso con successo importanti tavoli di crisi – in ultimo Alcoa e Ideal Standard - mentre altri restano impantanati – Alitalia, Ilva ed Embraco su tutti. È di fatto l'identikit del candidato premier uscito dalle Assisi Generali di Confindustria e sta ricevendo plausi dalle associazioni di categoria, datoriali e anche sindacali.
Tutto questo, in campagna elettorale, è il fattore C, inteso come Calenda. Non ce ne voglia il ministro se prendiamo in prestito la celebre espressione che Edmondo Berselli regalò a Romano Prodi per indicare altro, ovvero l'importanza per il Professore del contributo di parti poco nobili - che tutti auspicano figuratamente sviluppate - nel proprio percorso professionale.
Non è candidato alle elezioni politiche, ma da ministro dello Sviluppo Economico Carlo Calenda sta giocando una partita doppia in campagna elettorale, tra Gentiloni e Bonino – voterà per il premier alla Camera, per la radicale al Senato, "fortunato di poterlo fare" – tra centralismo del Pd e contraddizione del renzismo, tra lotta e governo nella gestione dell'industria italiana, tra liberismo capitalistico e socialismo reale.
Negli ultimi mesi Calenda ha assunto posizioni rigorosamente istituzionali nella trattativa su Fincantieri con i francesi, nella discussione con Tim sull'evoluzione della infrastrutture di rete, nel salvataggio dell'Ilva – in durissima contrapposizione con Michele Emiliano – nella difesa del progetto Tap dalle proteste nei cantieri salentini sfociate in scontri, nello sviluppo del progetto Industria 4.0. Calenda ha tuttavia anche assunto posizioni forti su molti temi che incrociavano i comportamenti degli imprenditori e i diritti dei lavoratori, dal "mai in Italia" sui futuribili braccialetti dei lavoratori Amazon alla battaglia per i 3 mila lavoratori dell'Aferpi di Piombino, dalla frecciata contro il "capitalismo fragile" che vende Italo-Ntv agli americani alla guerra annunciata contro la "gentaglia" di Embraco pronta a lasciare a casa 500 dipendenti nel torinese.
Una presenza costante, fattuale, talvolta ironica, in pieno stile anglosassone. Le vicende degli ultimi mesi hanno avvicinato Calenda al mondo dei lavoratori, che fino ad ora lo ignorava. Generale l'apprezzamento ricevuto per la chiusura della vertenza Ideal Standard, molto partecipata specie in Sardegna la parziale soluzione del caso dell'Alcoa di Portovesme, sostenuta dal sindacato la sua battaglia per Embraco.
Tre passaggi importanti per comprendere l'evoluzione della figura politica di Calenda, finora ritenuta elitaria. Ha lavorato in azienda, poi la sua carriera si è sviluppata a braccetto con Luca Cordero di Montezemolo. Se oltre ad aver impatto dentro il Palazzo riuscirà anche a spostare voti, potrebbe dirlo il 4 marzo. Certo è che Carlo Calenda sembra l'uomo politico che più ha beneficiato della campagna elettorale. E certamente è uno degli uomini ombra della teoria delle larghe intese, allontanato a parole, ma in fondo apprezzato da Pd e Forza Italia. Il Fattore C potrebbe tornare, quindi, se il prevedibile stallo post-voto diventerà realtà. Enrico Letta l'ha chiamato come ambasciatore a Bruxelles, poi Matteo Renzi l'ha voluto come ministro dello Sviluppo Economico. Ha provato a candidarsi una volta, con Scelta Civica di Mario Monti, e ricorda spesso la batosta ricevuta alle urne. Dal senatore a vita avrà imparato più di qualche lezione. Prima fra tutte quella che in Italia per vincere l'importante è non candidarsi.
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