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Autore Discussione: 4 uomini più forti, più soli  (Letto 2081 volte)
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« inserito:: Febbraio 04, 2018, 08:57:28 pm »

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4 uomini più forti, più soli

 03/02/2018 10:39 CET | Aggiornato 3 ore fa

Dopo cinque anni di bla-bla sulla caduta di credibilità della politica e sul distacco fra cittadini e istituzioni, il numero degli aspiranti candidati presentatisi al soglio dei segretari di partito per essere nominati è stato (almeno per me) sorprendente. In particolare mi hanno sorpreso le richieste arrivate proprio dalle aree in cui la politica è stata più disprezzata in questi anni: i giornalisti, i giovani e i pentastellati - il cui assalto alla piattaforma ha mandato in tilt l'intero sistema.

Il clima da ultima spiaggia, tuttavia, non è casuale. Grazie a un mix unico di formule politiche – la combinazione fra maggioritario e proporzionale con listino bloccato (cioè senza preferenze, dunque in mano al leader) e la tendenza al partito personale – le liste sono servite a cambiare i rapporti di forza in ogni partito e fra tutti i partiti. Al punto da aver funzionato quasi come un primo turno.

La campagna elettorale partita poche settimane fa con una spinta coalizionale, si presenta infatti oggi come una sostanziale sfida fra quattro uomini, ognuno alla guida di una organizzazione a forte impronta "personale".

Una semplice osservazione di ciascuno dei raggruppamenti in campo chiarisce bene questo passaggio.

Matteo Renzi. Partiamo dal Pd, che come sempre in questi ultimi anni ha funzionato da partito leader delle sorprese e della trasformazione. Plateale il cambiamento delle carte in tavola: il segretario ha ridimensionato molti dei suoi ex ministri, e quasi tutti i dissidenti interni con cui pure si era accordato al momento della scissione dell'ala bersaniana. Il risultato è che sia la nuova organizzazione, sia i futuri gruppi parlamentari, sono a questo punto sotto il controllo del segretario, come è stato già ampiamente scritto. Quello che pare non sia stato ancora notato è che con questa svolta vengono meno anche le condizioni iniziali della campagna del Pd: la disparità fra il potere del segretario, in Parlamento e fuori, è a questo punto tale da ridurre drasticamente il ruolo di minoranze interne e di apporti esterni. La debolezza di +Europa di Emma Bonino e di Insieme, e sia pur all'esterno, di Liberi e Uguali, si è trasformata oggi in irrilevanza. Con buona pace di chi come Romano Prodi pensa ancora di poterne ricreare le condizioni, lo spirito coalizionale è fallito prima ancora di avviarsi. Il Pd è oggi in una condizione politica molto diversa da poche settimane fa, quando generosamente il segretario si poneva come il miglior sostenitore di Paolo Gentiloni futuro premier, e il più grande ammiratore di ministri del suo governo come Marco Minniti, Dario Franceschini, Carlo Calenda, additati come "simboli". È evidente che nel forno dei sacrifici per le liste è rimasta bruciata la tanto celebrata idea di una continuità del governo Gentiloni. Sempre che qualcuno vi abbia mai creduto.

Luigi Di Maio. Anche le liste pentastellate hanno bruciato il furore e l'idea di una forza politica in cui il cittadino conti più delle ambizioni individuali. La mancanza di trasparenza - qualunque ragione ne venga oggi fornita, privacy o non privacy - dei criteri con cui sono stati prima selezionati e poi riselezionati i candidati dei 5 Stelle, ha sottolineato una sola cosa: che le scelte del deus di questa machina hanno coinciso anche con la investitura di un uomo solo al comando, cioè Luigi Di Maio. La sua presa sulle liste ha sottolineato il più o meno silenzioso allargarsi dello spazio intorno al candidato premier: la separazione di Beppe Grillo e l'allontanarsi dell'ala più radicale. M5S non è una coalizione, ma ugualmente il diversificato e paritario gruppo che ne guidava il vertice fino a solo poche settimane fa in una forma che avremmo potuto considerare coalizionale interna, si è disfatto.

Matteo Salvini. Per essere un uomo molto rumoroso, il segretario della Lega ha ottenuto l'obiettivo di un suo controllo personale sulla sua organizzazione in maniera curiosamente accorta e quasi silenziosa. Anzi, potremmo avanzare l'ipotesi che la sua ingombrante presenza pubblica sia stata la perfetta copertura del cambiamento che ha attuato. Dopo molti mesi di tensioni, la battaglia interna alla Lega si è fatta intensa in queste ultime settimane. Le ricandidature sono state, non a caso, anche qui, ragione e mezzo di scontro. La non candidatura di Roberto Maroni è stata la materializzazione del conflitto, nonché la semplificazione della esistenza di due linee dentro la Lega e dentro la coalizione del centrodestra – con Maroni scelto come uomo dei moderati e Salvini indicato come leader dei populisti. Incompatibilità fra i due suggerita per altro dalle numerose pressioni delle elite del paese e dell'Europa. Salvini ha fatto fuori i maroniani senza nemmeno farsene accorgere più di tanto. Il suo capolavoro è stato quello di registrare un diverso stato legale per la Lega - mettendosi al riparo legalmente da "rapine" future, e al contempo diventandone il capo padrone. Anche lui dunque un uomo solo al comando. La coalizione con cui anche formalmente si era partiti a destra si è svuotata ancora prima di cominciare ad operare.

Silvio Berlusconi. Solo Silvio sembra si sia sprecato pochissimo in questa tornata delle liste. Ha infatti generosamente – anche se molto infastidito e affaticato dalle pressioni, raccontano – confermato tutti. È stato così generoso che, pare, Gianni Letta sia un po' risentito perché avrebbe dato troppo a chi non è di Forza Italia. Se fosse vero, sarebbe un esempio di generosità in un mare di leader che vogliono solo i propri uomini! D'altra parte Silvio è l'unico che non ha bisogno di combattere per formare un partito tutto per sè, dal momento che è una formula che ha inventato lui. E quel partito è letteralmente suo, cioè sostenuto dai suoi soldi e la sua azienda. La formulazione delle liste gli ha portato comunque un vantaggio: il suo scarso interventismo e la "generosità" hanno confermato il ruolo che Berlusconi intende giocare in queste elezioni: Silvio è oggi il moderato che tutti vogliono che sia, il vecchio sparviero diventato un pacato interlocutore del mondo politico italiano e internazionale.

La corsa elettorale, dopo questa sorta di primo turno, è ora nelle mani di 4 personaggi e 4 organizzazioni. Ma nessuno di loro però può vincere da solo. Ci troviamo di fronte dunque a quattro uomini che sono tutti più forti di prima, ma anche più isolati. Un elemento, questo, che introduce nel futuro delle alleanze necessarie dopo voto un gioco molto più imprevedibile e spregiudicato.

Da - http://www.huffingtonpost.it/lucia-annunziata/piu-forti-piu-soli_a_23351048/?ref=RHPPLF-BH-I0-C8-P7-S1.8-L
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