Antifascismo, l’ultimo rifugio
Di Marcello Veneziani
L’antifascismo è diventato l’ultimo rifugio dei farabutti. Quando non hai più niente da dire, nulla di vero, di concreto, di significativo da esprimere, quando non hai nulla di serio su cui fondare la tua legittimità, il tuo ruolo e la tua superiorità, quando non hai motivo per occupare un posto di potere – di sindaco, di ministro, di presidente, di qualche cosa – e non hai un merito, una capacità, un valore per essere quello che immeritatamente sei, quando vuoi sedare i conflitti e i mugugni, quando vuoi vincere facile con un avversario che non sta in piedi, perché non c’è più, perché non si regge, e se esistesse un sua estrema traccia, non avrebbe nemmeno possibilità di esprimersi e di contendere, allora tiri fuori l’antifascismo.
Che fu cosa seria e nobile ai tempi del fascismo, quando c’era un regime imperante e ci voleva coraggio e onestà per sottrarti alla dittatura, ci voleva senso dell’onore per rifiutare di allinearti e giurare fedeltà.
Ma questo antifascismo postumo e posticcio, usato da posizioni di potere, in assenza ormai secolare del fascismo, ormai morto e sepolto; questo antifascismo diventato un mestiere travestito da missione, una speculazione mascherata da rieducazione, è roba da vigliacchi e da mascalzoni.
C’è gente, spesso nullità, mediocrità assolute, nonostante i ruoli importanti che coprono o i titoli accademici e culturali di cui si vantano, che si legittima, si fa bello, fa la voce grossa sulle ceneri di un cadavere che non può essere nemmeno difeso da posteri e passanti solo per pietà, storia e amor di verità.
È facile fondare la propria superiorità etica e la propria legittimazione politica e istituzionale sulla lotta a un nemico che non c’è, e non potrebbe mai difendersi; si ha la certezza di vincere a tavolino, prima di combattere, avendo pure dalla tua parte l’Apparato e tutte le sue ramificazioni, i suoi altoparlanti.
Il fascismo è male assoluto, non ha lati positivi e lati negativi, magari prevalenti; no, è solo IL Male, punto e basta. E non si può discutere, nemmeno sul piano storico, perché hai ragione a norma di legge e di carica. A me ripugna vedere la verità così oltraggiata, calpestata, vilipesa.
Ripugna vedere fatti, opere, persone, eroi, pensatori, poeti, popoli trattati come bestie, peggio che bestie. Senza distinguere, senza capire, senza riconoscere. Mi fa schifo vivere tra ciechi e sordi e muti a norma di regime.
Lo dico oggi che è la giornata della memoria, anzi la mesata della memoria, forse l’annata della memoria, perché non c’è giorno dell’anno che un film, una fiction, una testimonianza, un anniversario, una lapide, una cerimonia, un libro, un evento non affronti quel tema.
La giornata della memoria, semmai è quel giorno, che poi dura una settimana, in cui tutti queste manifestazioni si concentrano nell’arco di poche ore. Indica solo il giorno intensivo di una pratica estensiva, quotidiana, come non era mezzo secolo fa. Più si allontana nel tempo e più viene surrettiziamente considerato attuale.
E l’uso politico di una tragedia e di un orrore, l’uso strumentale a distanza di settanta, ottant’anni, e l’elevazione di un solo orrore al rango di paradigma unico e universale, assoluto e incomparabile, dimenticando ogni altro orrore, infanga la memoria stessa che si vuole onorare.
Sporca il ricordo di quei morti, annebbia la vista e la memoria dei contemporanei, suscita odii e rancori fuori tempo.
E serve per lanciare ombre criminali su chi semplicemente ha un altro giudizio storico sul passato, non sulla Shoah, per carità; o più semplicemente ama la patria, la tradizione, la civiltà che per un’assurda proprietà transitiva diventano sintomi di fascismo e di razzismo.
Per questo dico, parafrasando Samuel Johnson, che non il patriottismo, ma l’antifascismo è l’ultimo rifugio delle canaglie.
MV, Il Tempo 27 gennaio 2018
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