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Autore Discussione: Silvana Silvestri ANGHELOPULOS, Theo Regista cinematografico greco, ...  (Letto 10148 volte)
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« inserito:: Dicembre 23, 2017, 09:22:57 pm »

ANGHELOPULOS, Theo

Di Silvana Silvestri

Enciclopedia del Cinema (2003)

Anghelopulos, Theo (propr. Thodoros)

Regista cinematografico greco, nato il 27 aprile 1936 ad Atene. La sua opera rappresenta il trionfale riemergere di una cultura nazionale che le vicende storiche interne avevano oscurato dallo scenario europeo; in evidente contrasto con il genere 'turistico' che aveva dominato la produzione greca sin dal dopoguerra, i suoi film mettono in scena tutto il rimosso della storia, soprattutto novecentesca, del Paese. Lo stile personale e rigoroso di A., che trova nel piano-sequenza la sua unità grammaticale, ha offerto in un montaggio immune dalla temporalità della narrazione una risposta originale al dibattito che anche in Grecia negli anni Settanta opponeva il nuovo cinema alla logica commerciale del prodotto cinematografico. Il film di esordio alla regia, Anaparastasi (1970; Ricostruzione di un delitto), impose subito all'attenzione internazionale il nome di A., che raggiunse la piena fama con la trilogia successiva composta da Meres tu '36 (1972; I giorni del '36), O thiasos (1975; La recita), I kynighi (1977; I cacciatori). Nel corso della carriera è stato premiato alla Mostra del cinema di Venezia con il Leone d'oro per O Megalexandros (1980; Alessandro il Grande) e il Leone d'argento per Topio stin omichli (1988; Paesaggio nella nebbia), e al Festival di Cannes con la Palma d'oro per Mia eoniotita ke mia mera (1998; L'eternità e un giorno) e con il Gran premio della giuria per To vlemma tu Odyssea (1995; Lo sguardo di Ulisse).
Proveniente da una famiglia di commercianti, studiò diritto all'università di Atene, interrompendo poi gli studi per trasferirsi a Parigi, dove seguì corsi di letteratura alla Sorbonne, si iscrisse all'IDHEC ed ebbe modo di conoscere il regista Jean Rouch. Nel 1964 tornò ad Atene, dove collaborò con articoli sul cinema a "Dimokratiki allaghi", quotidiano soppresso nel 1967 dopo la presa del potere da parte dei colonnelli. Nel 1965, unico tra i cineasti della sua generazione, lavorò al progetto di un lungometraggio, Forminx story, dedicato alla tournée greca del gruppo pop Forminx: il progetto prevedeva il montaggio in parallelo dei concerti e dei retroscena dell'industria discografica, ma fu bloccato dal produttore non appena si accorse che non si trattava di un lavoro commerciale. Il regista tornò presto con piglio satirico sul mondo dello spettacolo con il cortometraggio Ekpombi (1968, La tramissione). Anaparastasi, presentato al Festival di Salonicco del 1970, è considerato il primo film del 'nuovo cinema greco' (NEK, Neos Ellenikos Kinematografos), espressione con cui venne designato quel fermento culturale che allontanava il linguaggio cinematografico dagli schemi della produzione commerciale. A. ebbe il controllo sul film, girato a bassissimo costo; il regista scelse come ambientazione un angolo sperduto dell'Epiro, una location significativamente lontana dagli itinerari archeologici e dalle spiagge frequentate dai turisti. La storia ricostruisce l'indagine sull'uccisione di un uomo, un emigrato in Germania al suo ritorno al villaggio d'origine, da parte della moglie e del suo amante; una vicenda drammatica basata su un fatto di cronaca, che nella trasposizione cinematografica portò alla luce la sotterranea realtà delle vedove bianche e le lacerazioni di una cultura primitiva e degradata. L'impostazione politica sottesa al primo film fu ripresa in maniera ben più esplicita nella trilogia, a cominciare da Meres tu '36, che racconta l'avvento della dittatura del generale Metaxàs lasciando emergere le analogie con il regime dei colonnelli, sotto il quale il film fu realizzato. Anche in questo caso un omicidio ‒ l'uccisione di un sindacalista alla vigilia delle elezioni del 1936 ‒ fornisce il pretesto all'ampio disegno dell'opera, i cui elementi formali fanno convergere l'attenzione sul problema storico e politico della nascita di una dittatura. Meres tu '36 non mancò di lasciare tracce sul nuovo cinema che si andava affermando in Grecia; poco tempo dopo, nell'anno della fine della dittatura, uscì O thiasos, film che esibisce nel suo complesso intreccio di piani differenti ‒ il mito, la tragedia, i racconti popolari, la cronaca familiare, la storia del Novecento, la ciclicità degli eventi storici ‒ la genialità di un'opera che continua a offrire stimoli a ogni nuova lettura. Premiato dalla critica al Festival di Cannes, O thiasos è ambientato durante la Seconda guerra mondiale e segue il viaggio di una compagnia teatrale itinerante che mette in scena Golfo, la pastorella, un poema ottocentesco di S. Peresiadis che aveva già ispirato i primi film del cinema nazionale all'epoca del muto; la rappresentazione è continuamente interrotta dalle vicende che accadono nel Paese dal 1939 al 1952 (dalla dittatura di Metaxàs al consolidamento della destra dopo la guerra civile), mentre le vicende personali degli attori ricalcano quelle degli Atridi, in un inestricabile disegno che il tipico stile del regista delinea con piani-sequenza orchestrati secondo il drammatico e incessante susseguirsi degli eventi storici.
Il governo di K. Karamanlìs, succeduto alla dittatura militare, non fu meno ostile dei regimi precedenti nei confronti del regista. Quando A. realizzò I kynighi, lo Stato gli negò ogni finanziamento e lo ostacolò in ogni modo, fino a diffidarlo dal rappresentare ufficialmente la Grecia al Festival di Cannes. Pervenuto clandestinamente al Festival, il film ottenne un grande successo di pubblico. Anch'esso, come le opere precedenti, s'incentra sul confronto con la storia nazionale, prendendo avvio questa volta dalle vicende di alcuni borghesi che, nel corso di una partita di caccia, scoprono sotto la neve il corpo di un partigiano ucciso nel 1949 durante la guerra civile. Le deposizioni rese ai commissari di polizia che indagano sulla scoperta diventano una rivisitazione della loro vita dagli anni della Resistenza in poi, e assumono il senso dell'autoassoluzione dalle responsabilità di un intero ceto nelle vicende che hanno sconvolto la Grecia dal dopoguerra alle elezioni del 1977. O Megalexandros prende invece spunto dal tema del banditismo, fenomeno che aveva preservato la cultura greca nelle epoche di dominazione. Il film porta in scena una di queste figure di bandito, un evaso (Omero Antonutti), che prende in ostaggio un gruppo di turisti inglesi e si mette a capo di una sorta di comunità anarchica. L'uso del campo lungo impone un distacco dalla storia raccontata, ma in qualche modo rende palpabile il pericolo che l'istanza di ribellione si trasformi a sua volta in un nuovo dispotismo. Con una valenza ironica grazie alla quale il mito antico e la storia moderna interagiscono in modo inatteso, l'opera conclude una prima fase di cinema politico. Taxidi sta Kythira (1984, Viaggio a Citera) segna, anche stilisticamente, un cambiamento nella filmografia di A., e l'inizio di una nuova fase caratterizzata da tematiche in cui la dimensione personale comincia ad affiorare accanto a quella politica. Il motivo del viaggio compare in tutti i film successivi: in Taxidi sta Kythira il protagonista, dopo trent'anni di esilio in Unione Sovietica, decide di tornare al suo Paese, ma non riuscirà a liberarsi dalla sua condizione di straniero, divenuta ormai tratto interiore. In O melissokomos (1986; Il volo), con il quale ha avuto inizio la collaborazione con lo sceneggiatore Tonino Guerra e con Marcello Mastroianni, un anziano apicoltore parte dall'Epiro verso il Sud con le sue arnie e si lascia infine uccidere dalle api, in un viaggio estremo che un'ultima, inaspettata passione sottolinea amaramente. A O melissokomos si contrappone in un certo senso Topio stin omichli, che racconta il viaggio verso l'età adulta di due bambini alla ricerca di un padre sconosciuto emigrato in Germania, che forse esiste soltanto nella narrazione materna. Girato nell'Epiro, location prediletta di A., To meteoro vima tu pelargu (1991; Il passo sospeso della cicogna) riflette non solo sulla complessità dell'assetto politico balcanico e sulla labilità delle sue frontiere, ma anche, di nuovo, su alcuni fondamentali aspetti della storia greca: un reporter, in una zona di confine crocevia di rifugiati, riconosce in un vecchio coltivatore di patate (ancora Mastroianni) un uomo politico di cui si erano perse le tracce, ma non riesce a svelare il mistero che avvolge la sua vita. Le peregrinazioni, anche iniziatiche, di alcuni dei film precedenti trovano il culmine nella dimensione mitica del ritorno rappresentata in To vlemma tu Odyssea, in cui l'alter ego del regista, un cineasta esiliato negli Stati Uniti (Harvey Keitel), torna nella sua città natale, dove la fedele Penelope non lo riconosce; dopo aver incontrato altre figure femminili archetipiche, prosegue la sua ricerca dei negativi di un film girato negli anni Dieci da due pionieri del cinema, i fratelli Janaki e Milton Manaki, attraversando i Balcani fino a Sarajevo, luogo emblematico della tragedia balcanica. Il film descrive lo strazio della guerra ma anche una fiducia insopprimibile nell'umanità, e afferma al contempo l'impossibilità per l'uomo contemporaneo di conservare le proprie radici. Un A. sempre più semplice e astratto ha offerto poi un tesoro di emozioni in un'opera esemplare, Mia eoniotita ke mia mera, in cui Bruno Ganz è un celebre scrittore ‒ alla vigilia del ricovero in un ospedale da cui forse non uscirà più ‒ cui un bambino albanese porge la chiave della conoscenza di sé e del mondo.

Bibliografia
S. Arecco, Thodoros Anghelopulos, Firenze 1978.
L. Miccichè, La ragione e lo sguardo: saggi e note sul cinema, Cosenza 1979, pp. 55-96.
G. Soldatos, Istoria tu elleniku kinematografu, Athine 1982, passim.
N. Kolovos, Le voyageur et le poète, in Le cinéma grec, sous la direction de M. Demopoulos, Paris 1995, pp. 163-73.

Da - http://www.treccani.it/enciclopedia/theo-anghelopulos_(Enciclopedia-del-Cinema)/

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