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Autore Discussione: ALESSIA CANDITO. Massoneria, la Commissione antimafia: "Rilevate infiltrazioni..  (Letto 2020 volte)
Arlecchino
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« inserito:: Dicembre 23, 2017, 09:08:01 pm »

Massoneria, la Commissione antimafia: "Rilevate infiltrazioni delle cosche nelle logge"

La relazione dopo le audizioni e i contestati sequestri delle liste di affiliati: quasi 200 'fratelli' sono stati coinvolti in inchieste sulla criminalità organizzata.

E non tutti i condannati sono stati espulsi

Di ALESSIA CANDITO
22 dicembre 2017

Quasi 200 "fratelli" toccati o lambiti da indagini di mafia. Sei condannati per associazione mafiosa, di cui due ancora attivi. Più di 130 logge calabresi e siciliane abbattute dal 1990 dalle quattro principali obbedienze massoniche in Italia, il Goi, la Gran Loggia degli Alam, la Gran Loggia regolare d'Italia, la Serenissima Gran Loggia d'Italia-Ordine generale degli Alam.

Sebbene l'analisi del fenomeno sia stata solo parziale e nessun nome venga esplicitamente fatto, è un quadro inquietante quello ricomposto dalla Commissione parlamentare antimafia nella relazione appena approvata su "Mafia e massoneria". "L'esistenza di forme di infiltrazione delle organizzazioni criminali mafiose nelle associazioni a carattere massonico - si legge - è suggerita da una pluralità di risultanze dell'attività istruttoria della Commissione, derivante dalle audizioni svolte, dalle missioni effettuate e dalle acquisizioni documentali". I rapporti fra mafie e massonerie ci sono. E la Commissione ne ha la prova concreta.

Dalle audizioni dei magistrati calabresi e siciliani sono emersi dati allarmanti. Gli inquirenti  trapanesi e palermitani hanno infatti evidenziato "un filo conduttore che ipotizza come le logge coperte si annidino ancora all'ombra delle logge ufficiali; come gli uomini, pur risultati iscritti alle logge coperte, abbiano continuato a far carriera sia nel mondo politico, sia nel mondo degli affari, non essendoci mai stata un'efficace reazione delle Istituzioni per isolarli anche dopo che i loro nomi e la loro appartenenza fosse divenuta palese; come vi sia riscontro che già appartenenti a logge segrete e irregolari siano poi trasmigrati in altre logge; di come sia possibile passare da una loggia regolare a una coperta e viceversa". Una situazione delicata soprattutto nel trapanese, "regno" di Matteo Messina Denaro. Nell'area, in cui si concentra un numero di iscritti, soprattutto provenienti dalla borghesia cittadina, assolutamente sproporzionato rispetto ad altre zone d'Italia - hanno riferito in commissione i magistrati -  c'è il rischio che le logge si trasformino in comitati d'affari. Ancor più compromessa, se possibile, sembra la situazione in Calabria, dove - hanno riferito i magistrati - la massoneria, tramite la Santa (la direzione strategica dell'organizzazione, ndc)  "si è piegata alle esigenze della 'ndrangheta, così creando all'interno di quel mondo in cui convivevano mafiosi e società borghese professionale, all'ombra delle logge, un ulteriore livello ancor più riservato formato da quei soggetti che restano occulti alla stessa massoneria. Si tratta di coloro che, dovendo schermare l'organizzazione ed essendo noti soltanto a determinati appartenenti ai vertici più elevati, non si possono esporre a nessuna forma evidente, quali possono essere le organizzazioni massoniche".

Indicazioni importanti, sebbene necessariamente generiche a causa di indagini e accertamenti in corso. Ma la commissione non si è fermata qui. Il lavoro principale è stato fatto sugli elenchi sequestrati alle quattro obbedienze con decreto firmato dalla presidente della commissione Rosy Bindi e affidati allo Scico per i controlli sulla fedina penale degli iscritti. Un'indagine che dimostra come i Gran Maestri, che si sono avvicendati in Commissione per giurare di non avere condannati o indagati per mafia tra i propri ranghi, abbiano mentito.

 Sono 193 - è emerso dal lavoro dei parlamentari - gli affiliati alle logge massoniche di Sicilia e Calabria coinvolti o lambiti da inchieste di mafia. In molti casi, si tratta di procedimenti conclusi con decreto di archiviazione, proscioglimento o sentenza di proscioglimento per morte del reo, ma si tratta - si sottolinea nella relazione - di "un consistente numero di iscritti che è stato coinvolto in procedimenti per gravi delitti". Non per tutti però le inchieste si sono concluse con un nulla di fatto. In 6 sono stati condannati per associazione mafiosa piena, mentre altri 8 sono stati puniti per traffici di stupefacenti, ricettazione, falso, bancarotta fraudolenta o sono stati destinatari in via definitiva di misure di prevenzione personali e dunque indicative della pericolosità sociale (semplice o qualificata). E non tutti sono stati espulsi dalle logge a cui appartenevano. Tanto meno sono stati tutti allontanati gli ulteriori 25 massoni che risultano condannati per altri reati gravi o sono tuttora sotto processo per associazione mafiosa o per intestazione fittizia di beni.

Al contrario, 12 sarebbero ancora iscritti e attivi, di cui "10 presso logge del Grande oriente d'Italia, uno con una domanda di regolarizzazione presentata presso una loggia calabrese del Goi e membro del consiglio regionale della Calabria dal 2005 al 2010, il che fa desumere che fosse a quei tempi quantomeno pienamente iscritto ad altra obbedienza; uno, imprenditore agricolo, presso una loggia calabrese della Glri". E fra i fratelli che frequentano regolarmente le logge ci sarebbero anche i due, un commercialista e un pensionato, condannati definitivamente per mafia. "Tale dato - si legge nella relazione - che si riferisce ai soli nominativi compiutamente identificati assume significativi profili di inquietudine considerato che 193 soggetti, così come segnalati dalla Direzione nazionale antimafia, hanno avuto modo di operare nelle obbedienze massoniche e così segnalando una mancata o quanto meno parziale efficacia delle procedure predisposte dalle varie associazioni per la selezione preventiva dei propri membri".

 Ma per i parlamentari c'è un altro dato preoccupante. "Al di là delle condanne o dei procedimenti in corso per gravi reati e al di là dell'appartenenza alle singole obbedienze - si legge nella relazione  non può sottacersi che nell'ambito dei 193 soggetti segnalati, molti dei quali incensurati, a fronte di 35 pensionati e otto disoccupati, vi sono numerosi dipendenti pubblici.
Le categorie professionali prevalenti sono avvocati, commercialisti, medici e ingegneri. Presenti in numero rilevante anche soggetti impiegati nel settore bancario, farmaceutico e sanitario, nonché imprenditori dei più diversi settori, in primis quello edile".
 
© Riproduzione riservata 22 dicembre 2017

Da - http://www.repubblica.it/cronaca/2017/12/22/news/massoneria_la_commissione_antimafia_rilevate_infiltrazioni_mafiose_nelle_logge_-184861733/?ref=RHPPLF-BH-I0-C8-P8-S1.8-T1
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« Risposta #1 inserito:: Febbraio 08, 2018, 06:25:43 pm »

'Ndrangheta, condannati per mafia ma regolarmente stipendiati dall'Asp'
Medici, infermieri e dirigenti in carcere per reati gravissimi continuano a percepire regolarmente la busta paga.

C'è anche il mandante dell'ex presidente del Consiglio regionale Francesco Fortugno.

Lo ha scoperto la direzione generale dell'azienda sanitaria di Reggio Calabria

Di ALESSIA CANDITO
05 febbraio 2018

Medici, infermieri, dirigenti. Tutti condannati per associazione mafiosa e altri gravi reati. E tutti - ancora, da anni - regolarmente retribuiti dall'Asp di Reggio Calabria. A scoprirlo è stata la direzione generale dell'azienda, che da tempo sta tentando di mettere ordine nella caotica struttura. Nel corso di una ricognizione straordinaria del personale, necessaria per far luce sulla pianta organica, sono emerse una serie di difformità fra gli stipendi erogati e i dipendenti in servizio, come pure sulla collocazione del personale nei diversi reparti. Anomalie su cui il management ospedaliero ha deciso di andare a fondo.

Così, grazie ad una serie di controlli incrociati è emerso che per anni sono stati regolarmente retribuiti personaggi come Alessandro Marcianò, l'ex caposala dell'ospedale di Locri, condannato definitivamente all'ergastolo come il mandante dell'ex presidente del Consiglio regionale, Francesco Fortugno. Insieme a lui hanno regolarmente percepito lo stipendio anche il medico Filippo Rodà e l'infermiere Giovanni Morabito, tutti condannati per gravi reati e tutti regolarmente retribuiti dall'ente ogni mese. Per loro, l'Asp ha disposto l'immediato blocco dello stipendio, approvato per delibera solo qualche ora fa. Allo studio però ci sono altri sette casi.

Uno è stato immediatamente escluso. Tutti gli altri invece - è emerso dalle verifiche disposte dalla direzione generale - sono medici, infermieri, tecnici condannati per mafia o altri gravi reati, ma non in via definitiva. I loro casi sono all'esame dei legali dell'azienda, che stanno verificando anche se, come la norma in teoria prevede, siano stati attivati i procedimenti disciplinari nei confronti di medici e infermieri condannati. Ma ad occuparsi di loro da oggi sono anche i magistrati della Direzione distrettuale antimafia, che sul caso hanno aperto un fascicolo. Al centro dell'inchiesta, le possibili connivenze che per anni hanno permesso a dipendenti dell'Asp condannati e interdetti dai pubblici uffici di percepire regolarmente lo stipendio per anni. Sulle loro posizioni - si ipotizza - qualcuno ha chiuso un occhio e adesso gli inquirenti vogliono capire chi e perché.

Nel frattempo, all'Azienda sanitaria si lavora anche su un altro fronte. In queste ore, sono in corso le verifiche a ritroso sulla contabilità per capire quanto siano costati all'Asp anni e anni di stipendi non dovuti. Stime al momento non ce ne sono perché - informa il direttore generale Giacomino Brancati - sarà necessario ricostruire l'iter di tutte le procedure, prima di avviare le pratiche per recuperare il denaro indebitamente versato e interessare la Corte dei Conti per eventuali azioni contro i responsabili. Un lavoro lungo, complicato e difficile, soprattutto perché da anni l'Asp è territorio di caccia per la 'ndrangheta, che negli ospedali trova fin troppo spesso voti e lavori. Anche perché - fanno notare dall'azienda sanitaria - fino a qualche tempo fa a Reggio Calabria, capitale dei clan, per partecipare ad una gara dell'Asp non era neanche necessario presentare il certificato antimafia. Bastava una semplice autocertificazione. Un invito a nozze per la 'ndrangheta e i suoi troppi imprenditori.

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