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Autore Discussione: Vincenzo CERAMI.  (Letto 11992 volte)
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« inserito:: Novembre 27, 2007, 11:19:09 am »

Celentano sale sul ring

di Vincenzo Cerami

La paura per la scienza, la forza dell'amore e le virtù dell'arte.

Confessioni di un rocker inossidabile. Che continua a credere nell'utopia. Anche a costo di finire al tappeto. Colloquio con Adriano Celentano  FOTO:
 

La copertina di questo mio nuovo cd mi rappresenta come un pugile. Così mi ha interpretato il pittore che l'ha realizzata. Forse ha visto giusto. Il pugile si batte. Le prende e le dà, anche per uscire un po' dalla mediocrità. Una volta vince, un'altra perde. E la notte se ne torna a casa pesto, con un cerotto sul sopracciglio. Però è soddisfatto, ha sognato di vincere e adesso si domanda se ha fatto bene o male a sognare. Sì, perché il pugile è insieme romantico e concreto. Mi riconosco nel mestiere del boxeur...

In questi giorni la Francia rende omaggio al nostro Adriano. Lo chiamano 'Il grandissimo', sottotitolo 'Adriano Celentano per sempre': uno dei migliori servitori della chanson populaire. Io lo amo senza riserve, la colonna sonora della mia vita non sarebbe la stessa senza di lui. E mi è piaciuta, mi ha fatto buona compagnia, le emozioni non mi sono mancate. Intimorito dalla lettura francese, metto la cravatta e mi rivolgo a monsieur Celentano con la dovuta riverenza.

"Dicono che il piacere è più vicino al dolore che alla felicità. Lei, Adriano, con le sue canzoni ha per anni allietato i suoi numerosi appassionati, li ha fatti gioire e anche pensare. Tutto questo con la musica e il canto. Tuttavia lei, con voce intensa, ironica e spesso festosa, ha sempre raccontato un mondo piuttosto racchio, popolato di infelicità e destinato a un imbruttimento senza scampo. Quando, nella sua vita, è stato ottimista e quando pessimista? Io penso che lei sia un intramontabile ottimista, malgrado lo sdegno che dimostra per gli scempi che ogni giorno vengono consumati contro la santità della natura e degli uomini. Il fatto stesso di cantare la sua passione per la vita è la prova che lei lascia spazio per la speranza. Mi sbaglio?".

Adriano mi guarda come se fossi uno scemo: "Ti rivolgi a me con il lei per dare l'impressione di essere oggettivo nei tuoi giudizi? Caro Vincenzo io ti darò del tu perché siamo talmente amici, che non riesco a fingere. L'obiettività non bisognerebbe mai recitarla. Dunque: sì, sono un ottimista nato, ed è per questo che cerco di dire, di scrivere e di cantare ciò in cui credo, anche se talvolta racconto cose brutte, dolorosamente, disperatamente. Non fa niente se chi ascolta può anche sprofondare nella tristezza.
Io però rimango ottimista, forse anche un utopista. Non bisognerebbe mai abbandonare le proprie idee e le proprie battaglie. Vanno difese sempre. Nonostante gli scempi consumati ogni giorno dai vari governi e dai municipi contro la santità della natura e dell'uomo - come dici tu - in me non è mai morta la speranza e la passione per la vita. Ho sempre cantato la stessa canzone, quella che cerca di denunciare ciò che non va. A volte l'ho fatto con serietà, a volte con ironia e gioco. Ma più spesso da incazzato, e quest'ultimo sentimento è quello che negli ultimi tempi prevale".

I talenti di Adriano sono molteplici. Noi tutti lo conosciamo come artista della canzone, pochi come scienziato di orologi e di viti meccaniche (non quelle dell'uva, ma quelle dei falegnami, con tanto di testa, gambo, verme e passo), che produce millimetricamente con gli strumenti tecnologici più avanzati. Allora gli chiedo: "L'arte è fatta per inquietare e la scienza per rassicurare. Questo almeno pensava il grande pittore cubista Georges Braque. Oggi sembra che stia accadendo il contrario: l'arte tranquillizza e la scienza fa paura. Tu, cosa ne pensi?".

Sono curioso di vedere cosa sceglie tra tornio e canzone, tra arte e scienza. Sono sicuro che preferisce l'arte. E invece no. Mi dice: "L'arte e la scienza potrebbero essere entrambe rassicuranti o inquietanti. Se ci troviamo di fronte alla bellezza della Gioconda è impossibile non sentirsi rassicurati e migliori. Ci sentiamo rassicurati e migliori anche davanti all'urlo di Munch, perché è altrettanto importante ricordare che il male e il brutto sono in mezzo a noi. Ti confesso che se Rubbia mi dice che sta lavorando sulla fusione fredda per cercare di sconfiggere la radioattività nucleare, io sono felice e rasserenato. Se invece cerca di farmi mangiare una patata che poi scopriamo essere un pesce, o viceversa, mi terrorizzo".

Si ferma un attimo a riflettere, facendo un paio di giri su se stesso. E io comincio a sudare ricordandomi di aver mangiato un'oretta prima, a morsi, una mela. Mi chiedo se in verità, senza saperlo, non ho mangiato uno spiedino di calamari. Lui mi fissa e dice: "Onestà e libertà. questo è tutto! Sia per le creazioni artistiche che scientifiche. A me fa paura quando cercano di tranquillizzarmi nonostante le evidenti ingiustizie e le straripanti bugie con cui ci travolgono. La menzogna ci ucciderà, se non riusciamo a sconfiggerla".

Impossibile dargli torto, questa è l'epoca della demagogia, dei giochi di prestigio e dell'illusione ottica. È come se ti girassero la testa dall'altra parte per non farti vedere la grande landa desolata, infetta, prosciugata e diserbata che si espande sul pianeta come l'impetigine, come la rogna.

Domanda a bruciapelo: "Passando tutte le tue canzoni in rassegna, in ordine cronologico, si sente fortemente l'epoca che cambia: nella musica, nella tecnologia d'incisione, nell'orchestrazione eccetera. Dietro a ogni canzone si vede uno squarcio dell'Italia che cambia, dalla fine degli anni Cinquanta a oggi. Hai cantato l'Italia dei geometri e dei palazzinari, e da qualche tempo anche quella dei mostri di cemento, dal bianco e nero al colore, dalla povertà al benessere, dal Sessantotto al terrorismo, all'attuale società di massa. Quale Italia fa da sfondo a quest'ultimo disco? È un cuore dolente che la canta?".

Gli occhi che mi guardano sono proprio quelli di Celentano: un sopracciglio alto e l'altro basso. È uno sguardo che alla Mori non fa più nessuna paura. Io cerco di fronteggiarlo con le mie sopracciglie a forma d'accento circonflesso. Ma vince lui. Capisco che risponde alla mia domanda solo perché sono un caro amico.

"Come sai, nasco figlio di immigrati, e le mie radici rimangono quelle, anche se sono nato a Milano. Questo essere figlio del Sud, di famiglia povera, ma allegra e solidale (abbiamo vissuto, mia madre, mio padre ed io, per lungo tempo a casa di mio fratello, tornato dalla prigionia in Germania). ha sviluppato in me curiosità e un poetico, struggente interesse per la quotidianità. I miei amici più intimi sono rimasti quelli dell'infanzia, con i quali si parlava delle cose più normali di questo mondo. Tanto normali quanto necessarie. Andare al cinema all'ultimo spettacolo era l'unica vera festa. Quindi, quando ho iniziato a cantare è stato istintivo per me partire da quel che ero. Sentivo l'esigenza intrattenibile di dire la mia verità, le cose a cui credevo. Lo facevo alla mia maniera, a volte anche stramba, ma ero sempre me stesso. Forse l'unica verità che esiste è quella che ognuno di noi si porta dentro fin da bambino. Non bisogna avere paura della sincerità, anche se non è compresa. Ogni persona sincera fino in fondo è come il pugile della copertina, deve lottare e restare integro dentro, anche se perde. I sogni vanno coltivati, senza scoraggiarsi mai. Spesso sono accusato di essere uno che cerca l'isola che non esiste. È vero. E sono fermamente convinto che l'unica via di salvezza sia proprio l'utopia. Un esempio della mia 'utopismosità' sta proprio in questo mio ultimo cd. Vedi, Milano, per come la stanno riducendo, dovrebbe essere rasa al suolo. Naturalmente bisognerebbe salvare da un simile 'bombardamento' i cittadini e i pochi edifici scampati allo sfacelo dei palazzinari e dei loro complici politici.L'Italia che fa da sfondo a questo mio ultimo lavoro è sintetizzato nel titolo 'Dormi amore, la situazione non è buona'. Ci sono tuttavia sia l'amore che la denuncia verso chi dovrebbe migliorare le nostre vite, e invece se ne frega. Canto la rabbia. Ma la rabbia non avrebbe alcun senso se non le facesse da contrappunto l'amore. Un mondo senza amore farebbe ancora più schifo. Come ti ho detto, sono disperatamente ottimista!".

Consumiamo una frugalissima cena in cucina, tra piatti e tegami colorati. Ad arredare il piatto del pesce c'è una bella cornice di patate in umido. Di una cosa sono sicuro: in casa Celentano le patate sono patate e i pesci sono pesci. Parola di Claudia Mori che ogni mattina va a fare la spesa al mercato.

(26 novembre 2007)

da espresso.repubblica.it
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« Risposta #1 inserito:: Novembre 27, 2007, 11:31:58 am »

SPETTACOLI & CULTURA

Il ritorno del Molleggiato su RaiUno con "La situazione di mia sorella non è buona"

Appello ai tifosi violenti: "Mettete via i vostri simboli, dal fango può nascere il fiore più bello"

Celentano, canzoni e provocazioni "Ultrà, siate motore del cambiamento"

Prodi "forse è sulla strada giusta, ma il popolo non gradisce". "Silvio, dai un segnale che non sei più quello di ieri"

"Mastella deve avere il coraggio di dire che ha sbagliato a rimuovere il magistrato che indagava su di lui"

di ALESSANDRA VITALI

 
MILANO - Poco più di un'ora e mezza di canzoni e provocazioni e un appello agli ultrà affinché depongano le armi e divengano motore della "rivoluzione" che deve partire dalla "gente" perché "le votazioni non servono, non cambiano nulla". Tanta musica, come anticipato nei giorni scorsi, e una buona dose di provocazione nel nuovo show di Adriano Celentano La situazione di mia sorella non è buona, che segna il ritorno del Molleggiato in tv a due anni da Rockpolitik. In una forma diversa dai maxishow del passato: niente spazi sconfinati e quinte panoramiche ma effetto-caminetto, uno studio radiofonico e un salotto, poltrone con gli amici. Quelli di sempre, come Mogol e Gianni Bella, che hanno lavorato a Dormi amore. La situazione non è buona, il nuovo album dell'artista uscito in questi giorni. E quelli nuovi, come Carmen Consoli e Ludovico Einaudi, anche loro fra le firme del nuovo disco. E Antonio Cornacchione, Laura Chiatti, Max Pisu.

Politici e nucleare. Si parte con un siparietto gigione (prima però, sui titoli di testa, c'è la silhouette della Chiatti che accenna a uno strip), con Celentano, Mogol e Bella a parlar di canzoni, di come cantare l'amore. C'è Fabio Fazio, intervistatore-spalla che dà la stura a un primo sermone del Molleggiato sui rischi di nucleare, radiazioni e polveri sottili. Casini, Berlusconi, la destra e anche D'Alema che hanno il torto di sostenere "che oggi le centrali nucleari sarebbero più sicure, ma il rischio sono le scorie". I politici "hanno fretta, non possono aspettare sennò perdono i voti". Prodi forse "è sulla strada giusta, fa promesse che si possono attuare ma il popolo non gradisce". Canta, scorrono le immagini della repressione in Birmania e di Aung San Suu Kyi.

Architetti-kamikaze. Ce n'è per il debito pubblico, i pochi investimenti nella ricerca, i grattacieli nei quali "i deficienti identificano il benessere", gli "architetti-kamikaze che distruggono ogni cosa", "a Milano hanno fatto la Bocconi, un mostro". Poi sposta l'azione nella toilette, un gruppo di amici a scambiarsi aneddoti, barzellette, ricordi. Con Milena Gabanelli al telefono si interroga sul perché i quotidiani non diano il dovuto risalto ai casi sollevati dal suo Report, invece "se all'Isola dei famosi c'è uno che va a casa o litiga con un altro, gli danno risalto".

"Ultrà, fate la rivoluzione". E' la fine, il sermone più consistente. Celentano invoca una "vera rivoluzione", "le votazioni non servono, non cambiano niente se la gente non risorge da dentro". XChiede la svolta agli ultrà: basta andare negli stadi "con spranghe e bastoni a colpire la polizia". Piuttosto, "cambiate il vostro simbolo, togliete l'accento e diventate 'ultra', seppellite gli oggetti di violenza che caratterizzano la vostra identità". Gli "ultra" motori del cambiamento: "Deve partire da voi l'input primitivo. Dal fango nasce il fiore più bello. Se lo farete - continua Celentano - costringerete il potere a piegarsi agli ideali di amore, uguaglianza, bellezza".

Mastella e Berlusconi. Agli "ultra" Celentano affida anche la moralizzazione dei costumi: "Obbligherete i politici a non commettere atti impuri" e Mastella "a una riflessione importante, a dire 'ho sbagliato a togliere l'indagine al magistrato che stava indagando su di me, lo rimetto al suo posto'". Quanto a Berlusconi, "è bello il successo del suo nuovo partito, ma Silvio, se vuoi voltare pagina devi fare una rivoluzione dentro di te, dare un segnale che non sei più quello di ieri". Per questo, serve "guardarsi negli occhi con lo sguardo di chi non ha paura di mettere in discussione i progetti della Moratti e tutto ciò che è contro la natura. Se non lo farai non sarai un 'ultra' e il tuo partito - conclude Celentano - invecchierà quando meno te lo aspetti".

(26 novembre 2007)

da repubblica.it
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« Risposta #2 inserito:: Febbraio 13, 2008, 11:11:49 pm »

Se la politica non ha cultura

Vincenzo Cerami


Il Partito Democratico si pone in modo complesso e problematico di fronte alla politica della cultura. Non la chiude nell’ambito meramente ministeriale e istituzionale. Oltre a voler occuparsi con sollecitudine del buon funzionamento del teatro, del cinema, della musica, dei beni culturali, ecc., in accordo con coloro che vi lavorano con passione e sacrificio, guarderà a tutto ciò che cambia nel nostro modo di essere e di vivere. Un partito, per dare senso alla politica, non può esimersi da una costante analisi della realtà, a tutti i livelli.

Partiamo dal principio che la maggior parte delle leggi promulgate dal Parlamento hanno una ricaduta culturale nelle nostre case e dentro di noi. La più semplice definizione di cultura è la seguente: «Il patrimonio delle conoscenze, dei comportamenti, dei gusti e dei bisogni spirituali di una comunità».

La politica ha sempre mostrato un certo disinteresse per le mutazioni culturali: troppe varianti sfuggono alla sua attenzione e ai suoi obiettivi, che sono sempre immediati, schiacciati sul presente, quindi un po’ orbi. Per esempio non è stata minimamente in grado di prevedere ciò che oggi è davanti agli occhi di tutti e che Pasolini, ai suoi tempi, aveva chiamato «rivoluzione antropologica» (oggi «globalizzazione»). Un poeta e non un politico (o uno storico) ha fatto la cronaca quotidiana dei cambiamenti culturali del nostro paese, dal fascismo alla metà degli anni Settanta. La vera storia d’Italia è quella che racconta la vita che scorre, più del succedersi degli avvenimenti. La politica è figlia e non generatrice della cultura.

I politici, nel dopoguerra, hanno giustamente contribuito alla diffusione del benessere, però non si sono interessati delle conflittualità culturali che sarebbero fatalmente seguite, sia buone che cattive. L’euforia della società cosiddetta dei consumi, ha nascosto a tutti lo sconvolgimento che stava provocando. Qualcuno dice che ha trasformato il popolo italiano in gente, i cittadini in consumatori e, più tardi, i consumatori in telespettatori. Il mercato, semplicemente facendo il suo dovere, ha travolto la politica decentrandola dal suo ruolo sociale, allontanandola pian piano dai veri “bisogni spirituali di una società”, cioè dalla cultura, e facendola ripiegare in se stessa.

Oggi assistiamo a una sorta di reificazione della cultura: acquistando un oggetto di consumo facciamo nostro anche il vasto corredo mitologico che lo anima, e ci comportiamo in conformità. Un ragazzino che si fa acquistare dai genitori un paio di scarpe di una marca precisa, fa una scelta culturale: quel prodotto suggerisce un comportamento, un ambiente, un modo di essere al mondo. Il ragazzino che indosserà quelle scarpe frequenterà certi locali e non altri, apprezzerà una precisa musica, sceglierà solo un certo tipo di amici, ecc. Tutto questo con estrema naturalezza, nell’illusione di agire spontaneamente. Per certi aspetti si potrebbe dire che il mercato, specie quando non sa intercettare la reale domanda dei consumatori, si preoccupa di crearla, di generare bisogni.

A questo punto ci troviamo ancora di fronte all’annosa questione della libertà in democrazia, come al tempo di Marcuse e Adorno, preoccupati per l’invasione dei mass media. Ci chiediamo: è libero l’individuo che ha separato il gesto dalla volontà, che agisce sotto il condizionamento di una mitologia che lo vuole vittima di un bisogno coatto?

Non si tratta certamente di attribuire al mercato responsabilità dirette del fenomeno, ma tra i compiti fondamentali della politica c’è la difesa di ogni genere di libertà, compresa quella esistenziale. Chi non ricorda Giovanni Paolo II che punta il dito contro la politica incapace di creare contrappesi all’anarchico agire del mercato?

Come si vede, è definitivamente chiusa la stagione che vedeva nella cultura una sovrastruttura sociale. La cultura oggi è strutturale, determinante per la crescita civile di una comunità, dove i suoi membri agiscono nella consapevolezza e pienezza del loro fare. Non esiste società più conformista di quella massificata, e la scuola, tempio della cultura, e la famiglia non devono insegnare ai ragazzi a essere tutti uguali, ammaliati dal canto delle sirene. Al contrario hanno il dovere di renderli tutti diversi, unici, irripetibili, ognuno con la propria personalità e la propria testa. Solo così, acuendo il senso critico dei cittadini, si può difendere la libertà sostanziale, distinguendola da quella apparente. Occuparsi della cultura vuol dire occuparsi della libertà.

Pubblicato il: 13.02.08
Modificato il: 13.02.08 alle ore 9.05   
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« Risposta #3 inserito:: Marzo 07, 2008, 03:29:29 pm »

Silvio l’Inseguitore

Vincenzo Cerami


Ecco una lista della spesa in 5 punti sulla storia politica italiana di questi ultimi mesi.

1) Si uniscono due grandi partiti, nasce il Pd. In seguito Veltroni pronuncia la decisione storica: il Pd andrà da solo.

Berlusconi corre ai ripari: annuncia, subito dopo, l’accordo con Gianfranco Fini per dar vita a una lista unica, federata con la Lega, che avrà il simbolo del Popolo della libertà: «Un movimento grande e importante che unisse tutti i cittadini italiani, liberali e moderati, che non si riconoscono nella sinistra».

2 Il Pd organizza le primarie per scegliere il candidato premier.

Berlusconi organizza i gazebo per scegliere il nome della nuova formazione: Partito della libertà o Popolo della libertà? L’ex premier ci tiene a sottolineare che non si tratta di una risposta alla corsa solitaria di Veltroni.

3) Il 25 febbraio Veltroni presenta il programma del Pd in 12 punti.

Il giorno dopo, 26 febbraio, Berlusconi dichiara che il Pdl presenterà un programma in 10 punti. Un testo che sara’ siglato probabilmente il 29 ad Arcore da tutti i leader della coalizione.

L’1 marzo Berlusconi non bada a spese, accelera il passo: programma in 7 punti, detto «Le Sette missioni per salvare il paese»

4) Veltroni decide di non accogliere nelle liste elettorali tutti coloro che hanno procedimenti penali in corso o che sono condannati in via definitiva. Alla domanda: come pensa di ridurre la spesa pubblica, il Segretario del Pd risponde: abolendo le province e accorpando alcuni comuni.

Berlusconi poi, a Matrix, fa l’indiano, dice di voler tagliare le province e, seguendo a ruota Veltroni, dichiara che anche nel Pdl non verranno candidati personaggi con la fedina penale sporca o con processi in corso. Ovviamente bisognerà fare qualche eccezione per i reati «di chiara origine politica».

5) Un passo indietro: cade il governo Prodi, Veltroni propone un’intesa con l’opposizione per le riforme: «"Facciamo le riforme, poi andiamo al voto con la nuova legge elettorale».

«No e poi no» urla Berlusconi. «Elezioni subito!»

«È un rischio», insiste Veltroni, «al Senato con questa legge potrebbe succedere quel che è successo a Prodi. Sarebbe un problema per chiunque governi. Facciamo un’intesa: prima le riforme, poi le elezioni».

«Ho detto no! Nessuna intesa, elezioni subito, al Senato da soli con ampia maggioranza!»

Dissolvenza… 5 marzo.

Visti gli ultimi sondaggi, Berlusconi dice: «Se la maggioranza al Senato non sarà ampia, io non farò come Prodi». E ancora: «Senza una affermazione netta, non sarò io a formare il governo…Senza una coalizione forte, in Italia non si può fare niente. Contro la sinistra, contro i sindacati, non si riesce a fare niente».

Pubblicato il: 06.03.08
Modificato il: 06.03.08 alle ore 9.39   
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« Risposta #4 inserito:: Aprile 27, 2008, 07:01:02 pm »

Lasciarsi

Vincenzo Cerami


«Lasciarsi», non c’è parola più attuale, per via di partiti che si accommiatano, si ingoiano vicendevolmente, se ne vanno a spasso, si separano, si riaccoppiano altrove in copule impossibili. Ci si lascia in mille modi. Il più comune comincia così: «Ti devo parlare!»

Quando si è in due e si resta soli per decisione dell’altro, e neanche le bugie servono più a nulla, quando non c’è altro da fare che arrampicarsi sugli specchi, in amore talvolta le lacrime possono fare molto.

«E se le lacrime - come scriveva Ovidio - mancano perché non vengono sempre a tempo, tu allora toccati gli occhi con la mano umida».

Il lasciato che vuol giocare l’ultima carta deve saper piangere nel momento giusto, se non vuole andare in giro con la cipolla in tasca. Nei tempi felici, quando il lasciante e il lasciato stavano bene assieme, non dovevano dimenticare che il cuore è barbaro, barbaro, barbaro.

Dice il saggio che diamo l’arrivederci a qualcuno quando speriamo di non vederlo più. E che siamo felici di rincontrarlo dopo che gli abbiamo detto addio. Questo significa che in amore e in amicizia c’è sempre qualcosa di beffardo: si sta insieme tra un arrivederci e l’altro, sperando nell’addio. Tutto a nostra insaputa. Si sa, la verità è una menzogna che non è stata ancora scoperta.

Un aspetto allegro comunque c’è nel «lasciarsi». Quando ripensiamo a ciò che abbiamo detto nel momento di abbandonare qualcuno, ci sbellichiamo spesso dal ridere. La scempiaggine e il patetismo sono d’obbligo. Ecco ad esempio l’ultimo saluto di Celentano alla ragazza francese: «Michelle, ma belle, tu cucini come un grande chef. Mia Michelle io ti amo, ma tu sei un po’ troppo francese per me!» Forse era una scusa per lasciarla.

Pubblicato il: 27.04.08
Modificato il: 27.04.08 alle ore 14.54   
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« Risposta #5 inserito:: Luglio 20, 2008, 06:08:33 pm »

Pazienza

Vincenzo Cerami


Mai come in questo periodo siamo chiamati ad avere pazienza: attendere, sbuffare, uffare, porgere l’altra guancia in attesa di tempi migliori.
E in più ci si mette il caldo. La malasorte ci ha costretto a fare da ascoltatori davanti a qualcuno che suona male il pianoforte. Il pianista è mediocre e stonato, va a braccio, esegue San Martino Campanaro con un dito. Per impedirgli di suonare non serve fischiare o tirargli pomodori, bisognerebbe mettergli davanti agli occhi uno spartito. Allora sì che si ferma.

Stando ai sondaggi, pare che la cosiddetta luna di miele tra il suonatore e i suoi sostenitori stia finendo.
Si sa che da noi succede spesso che vai a letto con tua moglie e ti risvegli con tua madre, nel senso che speri di avere incontrato la donna giusta e invece ti ritrovi al punto di partenza, addirittura a quand’eri in fasce.

Dunque il dolce sguardo degli italiani rivolto alla maggioranza s’invola.
È forse il caso di consultare un oculista, perché si tratta, a quanto dicono i sondaggisti, di un male in parte fisiologico e per il resto logico, a causa dei pessimi risultati fin qui accumulati. L’indimenticabile Jacques Prévert, il poeta delle foglie morte, dice che il ministero delle Finanze dovrebbe chiamarsi ministero della Miseria, visto che il ministero della Guerra non si chiama ministero della Pace. Noi diremmo, fuor di metafora, che dovrebbe chiamarsi ministero della Miseria semplicemente perché lavora con dovizia per lei, per farla prosperare.

Ci vuole pazienza, la santa pazienza fa miracoli, col tempo l’erba diventa latte, e quindi mozzarella, caciocavallo, provolone e sottilette.
I nostri ministri finanziari, con una trovata geniale, per sanare l’economia del paese senza cambiare la sostanza delle cose, ci dicono che bisogna brucare l’erba, perché è come mangiare il formaggio.

Pubblicato il: 20.07.08
Modificato il: 20.07.08 alle ore 14.58   
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« Ultima modifica: Agosto 10, 2008, 11:57:57 pm da Admin » Registrato
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« Risposta #6 inserito:: Luglio 27, 2008, 11:13:07 pm »

Idee

Vincenzo Cerami


È vero, il governo Berlusconi fa politica di sinistra. Dice Mark Twain che la sinistra inventa delle buone idee, e che quando si sono consumate la destra le adotta. Così succede da noi. Per esempio, i comunisti duri e puri odiavano i petrolieri. E non avevano una grande simpatia per gli impiegati fannulloni piccolo borghesi. Senza parlare dell’ostilità verso le forze dell’ordine, che volentieri avrebbero messo alla fame. Facevano controinformazione. Complottavano contro la democrazia dei padroni.

Non riconoscevano l’autorità del Parlamento. Promuovevano ronde proletarie. Facevano attentati ai magistrati cloaca. Avrebbero tolto il boccone di bocca anche ai baroni delle Università. Erano per la statalizzazione delle coscienze e per la proletarizzazione di tutti gli italiani.
L’aver copiato le vecchie idee degli altri, permette alla destra di oggi di agire senza dover troppo parlare e far parlare. Infatti, là dove non ci sono idee, ci sono tante parole. Nell’altra loro legislatura parlavano tutti, un vespaio, perché non sapevano da che parte cominciare. In cinque anni una sola idea: la patente a punti, copiata dagli stranieri. Questa volta hanno imparato la lezione sfogliando e fotocopiando proprio quelle pagine di storia che dicono di voler «revisionare». Adesso non aprono quasi bocca, hanno da fare, c’è molto da trascrivere. Due, tre ministri si sono rimboccati le maniche, tutti gli altri, insieme ai loro parlamentari, hanno fatto un nodo al fazzoletto per ricordarsi che esistono.
A onor del vero, fino ad oggi il governo ha realizzato solo un’idea, un’idea fissa. Quella che rendeva insonni le notti del premier. Intanto si mettono già in pista provvedimenti che renderanno insonni le notti degli italiani. Gira voce che qualcuno di loro, uno di quelli con il fazzoletto annodato, ha intenzione di proporre al Consiglio dei Ministri una legge che riduca il mese a due settimane, in modo che non si possa più dire ciò che da tempo è nella bocca di tutti, e cioè che ormai si fatica ad arrivare alla fine del mese. L’idea non sembra buona, ce ne vorrebbe un’altra inedita. Speriamo che un giorno o l’altro salti fuori. Che dire? Quando vediamo quel che vediamo, quando sappiamo quel che sappiamo, non dobbiamo meravigliarci di pensare ciò che pensiamo.

Pubblicato il: 27.07.08
Modificato il: 27.07.08 alle ore 14.39   
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« Risposta #7 inserito:: Luglio 30, 2008, 11:10:04 pm »

Pietà per il Sud

Vincenzo Cerami


Perché questo governo, con sfacciataggine, ha redatto la sua manovra economica girando le spalle al Sud, visto che è stato proprio il Sud a regalare alla destra la vittoria? Basta pensare al pieno di voti fatto in Sicilia. Davvero i meridionali hanno creduto alle belle parole elettorali? Sono state promesse di marinaio e loro neanche se ne sono accorti. A loro si può promettere di tutto, impunemente: tanto hanno sempre votato per chi li ha turlupinati e vessati. Per la destra sono voti sicuri, comunque. Anzi, sono più sicuri se continuano a chiedere l’elemosina alla politica. Si sa, una grande parte delle schede elettorali sta in mano alla malavita organizzata, alla quale giova il degrado civile, morale, culturale e ambientale di quelle terre. Possiamo essere più che certi: i presidenti delle regioni, delle province e dei comuni, di fronte agli scempi della finanziaria, faranno finta di niente.

Quando Bossi ha tirato violente bordate contro i docenti meridionali che insegnano al Nord, loro hanno messo la coda tra le gambe e non hanno aperto bocca.

Prendo occasione da questa storica tragedia nazionale per dire a quei meridionali che non sono ancora scappati al Nord, di non essere troppo severi con i loro miseri concittadini, ridotti a carne da macello dall’ignoranza in cui sono strategicamente tenuti. È difficile per loro scegliere tra un pezzo di pane e un minimo di dignità. L’escogitare del disperato non ha mai fine, ma i cittadini del Sud subiscono e basta, con l’antica pazienza dei reietti, vendono il loro voto e la loro anima per un piatto di lenticchie, poi, fino alle prossime elezioni prendono solo bastonate. E non dicono niente.

Sarebbe bene che i meridionali che amano la loro terra provassero a smuovere nei cuori dei loro compaesani, ingenuamente complici dei carnefici, l’amor proprio e l’orgoglio che sono antico patrimonio della cultura mediterranea. Si può tenere la schiena dritta e la testa alta, anche con le pezze al culo.

Capisco che è difficile comunicare con chi non può ascoltare. Nel Sud si legge pochissimo, sia libri che giornali. Al massimo ci si informa grazie alla televisione, che purtroppo è tutta nelle mani dei loro persecutori. Tuttavia è necessario risvegliare negli schiavi il sentimento di riscatto civile e morale che certamente sopravvive in una cultura antica e nobile. Bossi tratta i meridionali da analfabeti morti di fame, fa finta di ignorare che la cultura meridionale non ha pari in tutta Europa, per prestigio e spessore. Altro che Padania.

Chi scrive è autorizzato a trattare la questione con toni così decisi e dolenti perché ha un padre siciliano e una madre pugliese. Si sente fratello anche del più umiliato dei meridionali. Abbiate pietà di lui. Abbiate pietà della Sicilia.

Pubblicato il: 30.07.08
Modificato il: 30.07.08 alle ore 8.19   
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« Risposta #8 inserito:: Agosto 10, 2008, 11:58:25 pm »

Verità


Vincenzo Cerami


È successo a Palazzo Chigi: «La Verità svelata dal Tempo», un’opera sublime del Tiepolo, è stata velata nella riproduzione che fa da fondale ai conferenzieri della sala stampa. Aver coperto il tenero e gentilissimo seno della fanciulla che incarna la Verità, fa venire in mente un episodio accaduto in Francia quando andavano di moda gli artisti maledetti. Uno scultore aveva invitato nel suo atelier un gruppo di signore di buona famiglia. Siccome quasi tutte le statue erano nude, l’artista aveva opportunamente fornito gli omaccioni marmorei di foglie di fico. Finita la visita lo scultore chiese alle gentili donne: «Che ve ne pare?». Dopo un momento di silenzio una di loro rispose: «Io riserbo il mio giudizio a quest’autunno... quando saranno cadute le foglie!». Non si copre la Verità, specie nelle conferenze stampa. Le signore giornaliste non si scandalizzano. Ne vedono e ne sentono di tutti i colori. La verità può anche andare in giro nuda, mentre le menzogne devono sempre andare in giro vestite. Per questo forse il Braghettone di Palazzo Chigi ha velato la Verità. L’eccesso di castigatezza ci sembra fuori luogo. L’iniziativa della Presidenza del Consiglio ha scandalizzato perfino gli addetti ai musei del Vaticano. Ancora non digeriscono ciò che successe nel Cinquecento allorché Daniele da Volterra, detto appunto il Braghettone, mise le mutande a tutti i nudi della Cappella Sistina. Possibile che nel terzo millennio il seno nudo sia ancora un tabù? A nessuno viene in mente che tutti, da neonati, abbiamo avuto a che fare con un seno nudo. Da adulti dobbiamo vergognarcene? Vedendo il petto di una donna è più sano pensare al latte e non al letto. Invece il Braghettone di Palazzo Ghigi è convinto che Dio ha dato alla donna due seni perché l’uomo ha due mani.

Pubblicato il: 10.08.08
Modificato il: 10.08.08 alle ore 14.29   
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« Risposta #9 inserito:: Agosto 17, 2008, 11:24:03 pm »

Giustizia


Vincenzo Cerami


Ai tempi di Richelieu c'era un maneggione che sapeva come cavarsela a questo mondo. Proprio per il suo fare da traffichino era perseguitato dalle malelingue, e soprattutto dalla Giustizia, che lo chiamava quasi ogni giorno a rispondere delle più disparate accuse. Un giorno, esausto, si sfogò con il segretario del famoso cardinale: «Lo sa, caro amico, che i giudici mi accusano di ben cento reati?»

Il segretario non si meravigliò affatto, guardò a lungo il poveretto e con aria saputa gli rispose: «Caro signore, con la Giustizia bisogna fare sempre la tara, e credere solo alla metà delle loro accuse!»

La parola di oggi è «Giustizia», e sta ad indicare la conformità a una norma. Due sono i modi per conformarsi alla Giustizia: pagare se si compie un reato, o eliminare legalmente la norma. Non è dato sapere se il personaggio in questione avesse incontrato casualmente l'amico segretario, o se si fosse recato da lui con la speranza di convincere Richelieu a modificare la tradizionale definizione di Giustizia. Di fatto, se fosse riuscito a far sostituire il termine "giudicare" con "giustificare", le leggi sarebbero passate dalla malinconica giurisprudenza umana alla dottrina teologico-cristiana per la quale Dio può far passare l'uomo dalla condizione di peccatore a quella di santo.

La leggenda narra che il maneggione, a forza di maneggiare, riuscì ad arrivare davanti alla porta del potente cardinale. In attesa di udienza, era seduto nell'anticamera. C'era anche un maresciallo che aspettava, e il trafficone gli chiese: «È vero che Richelieu è famoso per le sue spiritosaggini?» Il maresciallo rispose: «Si ride prima di sapere quel che sta per dire!» E l'altro: «Perché?» Il militare, conclusivo: «Perché dopo non si riderebbe più!»

Spaventato, il nostro eroe perseguitato dai giudici, alzò il culo dalla sedia e se ne andò in punta di piedi, rassegnato ad aspettare il verdetto finale della Giustizia, attaccato con le unghie e con i denti al sacrosanto istituto della prescrizione.

Pubblicato il: 17.08.08
Modificato il: 17.08.08 alle ore 7.16   
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« Risposta #10 inserito:: Settembre 04, 2008, 07:03:47 pm »

Quel che penso di Gramsci

Vincenzo Cerami


In un passaggio del mio incontro con il ministro Sandro Bondi alla Festa Nazionale del Pd, si è accennato alla figura di Antonio Gramsci. Il ministro ha lodato il nostro grande intellettuale con toni che gli sono propri, edificanti, crepuscolari, concilianti. Non potevo non essere d’accordo con le sue belle parole ma ho sentito il bisogno di far capire al ministro in carica che noi, proprio perché ci siamo nutriti per più di mezzo secolo dell’intelligenza e dell’insegnamento di Gramsci, puntiamo criticamente lo sguardo al presente e al futuro che molto ci preoccupano.

Qualcuno ha voluto interpretare il mio intervento come una presa di distanza dal dettato gramsciano niente di più assurdo. Gramsci è per noi un caposaldo, un punto di partenza etico fondamentale per una concezione alta della lotta politica. Quando fui chiamato dal partito per ricoprire il ruolo di responsabile della cultura nell’esecutivo, alla domanda dei giornalisti che mi hanno chiesto a quale figura di intellettuale il Pd dovrebbe ispirarsi, ho risposto senza esitazione: Antonio Gramsci. Qualche giornale ha ironizzato sulla mia scelta che a loro è parsa fin troppo scontata. Ma ho lasciato correre.

L’opera di Gramsci, anche grazie al mio maestro Pasolini, è parte di me come di tutta la sinistra italiana. Negli anni Settanta ho perfino fondato una rivista di poesia a lui dedicata nel cui titolo «I tre giganti» era tratto dai suoi scritti familiari. Ed è la sua lezione che mi ha fatto dire l’altra sera che bisogna guardare il presente per capirlo e per meglio agire politicamente e culturalmente.

La vitalità del fondatore del Pci e de l’Unità sta proprio nell’attualità della sua voce. Ma l’omologazione pasoliniana si è compiuta e l’Italia è diventata ben altra cosa rispetto agli anni del fascismo. Si impone in questi giorni un’analisi nuova della nostra società, che ha ben pochi agganci con il passato. A mio avviso siamo alla vigilia di una profonda e inedita trasformazione degli assetti sociali, e quindi culturali. Giorno dopo giorno emerge la nuova classe degli «impoveriti», una classe che i linguisti chiamerebbero «sincretica».

Noi dovremo essere in grado di offrire a queste persone la sicurezza reale e non quella plateale, di facciata, del governo. Dobbiamo prospettare un’Italia giusta, serena, fiduciosa del futuro. Abbiamo risorse e intelligenze per questo. Gramsci, con i suoi scritti e con il suo esempio, esorta gli uomini a non rassegnarsi mai, a non accettare supinamente lo stato delle cose. Insieme con gli altri padri delle nostre idealità, laici e cattolici progressisti, ci dice di studiare, di organizzarci, di agire per «cambiare il mondo».

Parole quantomai sacrosante in questo periodo di depressione sociale. Non dimentichiamo certamente i nostri padri, ma neanche i nostri figli.

Pubblicato il: 04.09.08
Modificato il: 04.09.08 alle ore 8.08   
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« Risposta #11 inserito:: Settembre 28, 2008, 04:40:14 pm »

Immondizia

Vincenzo Cerami


Parola in voga e nauseabonda quella di oggi: «Immondizia». Immaginiamo una scolaresca della scuola elementare «San Francesco» a Crotone. Ma potremmo immaginare anche altre scuole della zona. I bambini sono meridionali e fra poco dovranno indossare il grembiulino di marca dozzinale, mentre in regioni più fortunate i bimbi vestiranno zinali Armani o Benetton, cifrati e con fiocchi fru fru.

Li vediamo nei banchi scalcagnati tra pareti costruite con i rifiuti tossici destinati alle discariche. I piccoli respirano arsenico, zinco, piombo, e mercurio. Tutte sostanze cancerogene. Non solo, ma tornando a casa cammineranno su strade fatte sempre di rifiuti mescolati e compressi. Le immondizie, infatti, da quelle parti vengono riciclate in forma di pareti, tetti, strade, cortili e aule scolastiche: un bouquet di veleni che se non ammazza ingrassa.

Poi, al suono della campanella, questi innocenti ragazzini tornano a casa scansando i cassonetti rigonfi che sanno di pesce marcio. Per fortuna la nuova legge della Gelmini risparmia loro il ritorno pomeridiano a scuola, e i piccoli fegati possono riprendere fiato. Fatti i compiti, guardano la televisione. Ed ecco riversarsi in casa una cascata di altra immondizia: ore e ore di uomini e donne che fanno finta di piangere davanti alla telecamera perché abbandonati dal loro amore, che si rattristano per non aver indovinato il quiz, che cercano fortuna perché non ce la fanno ad andare avanti con il misero stipendio o perché da sempre sognano un viaggio alle Canarie.

I genitori di questi bambini, altrettanto ignari dell’immondizia che li circonda e che respirano, si sentono privilegiati nel vedere che gli immigrati stanno peggio di loro perché non sono italiani. La mattina dopo, fieri di sé, accompagnano i figli a scuola, in quella scuola costruita da poco, nuova di zecca, con le pareti intonse e verniciate di fresco. Portano i figli nel braccio della morte e non lo sanno. Non sanno che qualcuno li avvelena, sanno solo quello che dice la televisione.

Pubblicato il: 28.09.08
Modificato il: 28.09.08 alle ore 14.50   
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« Ultima modifica: Settembre 30, 2008, 11:58:53 pm da Admin » Registrato
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« Risposta #12 inserito:: Settembre 30, 2008, 11:58:17 pm »

Sognando un Paese normale

Vincenzo Cerami


Non vorrei che la snervante battaglia quotidiana contro il governo mettesse in ombra lo slancio e l’entusiasmo con i quali è nato il Partito Democratico. Non lasciamoci impastoiare dalla politica degli inganni e dei solenni proclami orditi nei meandri di Palazzo Chigi. Combattiamo, ma ritroviamo il cuore e il clima della grande svolta democratica che abbiamo operato nel Paese, chiedendo agli italiani tutti di lavorare assieme per rendere giusta, sicura e fertile la nostra vita civile. Dicevamo che l’Italia, grazie alla sua creatività, ai suoi talenti e alle sue bellezze, merita ben altra sorte, ben altro paesaggio politico. Oggi nel mirino della destra sono gli immigrati, i fannulloni, le prostitute, i gay, i voti in condotta, per distrarci dai veri problemi, per rimuovere il sentimento di frustrazione e di delusione che comincia a minare le già carenti certezze dei cittadini.

Cito un passo del discorso che Obama ha tenuto a Springfield (Illinois) il 10 febbraio del 2007. Si adatta perfettamente alla nostra situazione. Riferendosi ai cinici, alle lobby e agli interessi particolari che hanno trasformato il governo in un gioco che esclude la nazione, Obama dice: «Loro staccano gli assegni e voi restate al chiodo con le bollette, loro hanno libero accesso là dove a voi tocca scrivere lettere, loro pensano di essere padroni di questo governo, ma noi oggi siamo qui per riprendercelo. Il tempo di questa politica è scaduto. È il momento di voltare pagina».

Il Partito Democratico non deve smettere di rivolgersi a tutti gli italiani chiamandoli all’unità, spronandoli a superare ogni pregiudiziale spaccatura per costruire un Paese in grado di affrancarsi dai ricatti della brutta politica, dalle minacce della criminalità, dai lacci e dai costi delle tradizionali fonti d’energia, dall’uso personale del potere, dall’inquinamento della politica nella Sanità, nella Rai e in molti Consigli di Amministrazione. Chiediamo di azzerare le vecchie controversie e le rendite di posizione per creare un clima collaborativo e solidale, necessario alla rinascita del Paese. Chiediamo agli italiani del Nord e del Sud di riconoscersi figli della stessa patria, come chiediamo ai nuovi italiani di abbracciare la nuova bandiera. A tutti va garantita una buona qualità della vita, la sicurezza di un lavoro (come è scritto nella Costituzione), di una pensione decente, di una scuola di livello, di un’assistenza sanitaria gratuita e funzionante. Non si vuole la luna, ma un clima sereno per poter lavorare, per fare buon uso del tempo libero e per abbattere il muro che questo governo alza davanti al nostro futuro. È vero, ci aspettano tempi difficili, ma quanti altri tempi difficili abbiamo superato! Bisogna tornare a quando cercavamo il benessere e disfarsi della mitologia della ricchezza che svuota ogni altro valore. Il divario tra ricchi e poveri è oggi scandaloso. La principale causa della crisi mondiale è nell’aver tolto dal centro dell’universo l’uomo, di averlo ridotto a famelico consumatore. Il mercato spregiudicato e amorale ha finito per mangiare tutto, anche se stesso. L’Italia deve ritrovare l’umanesimo cristiano, la sua radice più autentica.

Nel progetto culturale del Partito Democratico c’è il sogno di un Paese semplice, dove tutto è chiaro, dove le risorse sono equamente distribuite, un Paese che rispetta uomini e cose, prudente ma anche, com’è nella sua natura, inventivo e intraprendente. Un paese in cui la parola amicizia prenda il sopravvento sul termine tolleranza: un amico è chi ti conosce bene e ti ama in ogni caso. Non si dovrà più dire “non posso trovare una casa, non posso lavorare, non posso risparmiare, non posso comprare libri, non posso sperare nel domani, non posso avere figli”. La natalità zero ci racconta che viviamo senza un domani. La nostra società si risana costruendo un mondo ragionevole, nel quale ai sacrifici consegue una migliore prospettiva di vita. Le vecchie ideologie vanno sostituite con nuove idealità. Bisogna prendere coscienza che il mondo è andato come è andato, ci piaccia o no. Ma non possiamo andar dietro ai fantasmi. Mettiamoci insieme e voltiamo pagina. Guardiamo avanti con fiducia, altrimenti si va dritti verso il disastro. La destra non ha più carte in mano e tenta disperatamente il bluff. Ma i fatti, diceva Huxley, non smettono di esistere anche se li ignoriamo. I democratici dimostrino di agire sulla realtà delle cose, e che i sogni non sono necessariamente chimere.

Pubblicato il: 30.09.08
Modificato il: 30.09.08 alle ore 8.38   
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« Risposta #13 inserito:: Ottobre 13, 2008, 09:53:53 am »

Girolimoni, l'innocente trasformato in mostro

 
di Vincenzo Cerami


ROMA (12 ottobre) - Tra le tante cose bellissime che ha scritto Aldo Palazzeschi, un nostro grande scrittore, c’è un piccolo brano che perfettamente s’addice a un fatto orrendo accaduto a Roma nella sua epoca più nera, quella delle camicie nere. In Tre imperi... mancati (1945) si legge «Non esiste né mai è esistito il Duce, ma esiste questa immagine che è uno specchio fedele nel quale guardarvi. Siamo noi che giorno per giorno gli abbiamo dato quelle mani e quella voce, quegli occhi e quelle mandibole: il Duce è una creatura nostra, è carne della nostra carne, è sangue del nostro sangue, e lo abbiamo creato in un’ora di vanità, di assenza, di esaltazione: guardatevi bene in questa immagine come dentro uno specchio, altrimenti non costruirete la nuova civiltà ma una nuova immagine vana e folle, la mistificazione di una civiltà».

È la sera del 31 marzo 1924. A Monte Mario una donnetta, che forse non si è ancora accorta che l’Italia ha cambiato i suoi governanti, passando accanto a una siepe sente la voce di una bambina che piange. Scopre che là dietro sta morendo una creatura di quattro anni: la gonnellina lacerata, un fazzoletto sgargiante serrato intorno al collo, brutalizzata e violentata.
La bambina si chiamava Emma, era scomparsa mentre giocava nei giardinetti di piazza Cavour. All’ospedale riuscirono a salvarla. Qualcuno di Monte Mario aveva visto scappare un uomo sulla cinquantina, alto e magro.
Due mesi dopo, ed esattamente il 4 giugno, uno sconosciuto rapisce in via Paola una bimba di appena due anni, di nome Armanda. Per fortuna la bambina si mette a strillare così forte da costringere il maniaco alla fuga. La piccola Armanda si salva, ma come vedremo, due anni più tardi il mostro si farà di nuovo vivo e questa volta riuscirà nella sua turpe impresa.

Ma torniamo al 4 giugno: quella sera stessa, verso le 22, scompare un’altra bambina in via del Gonfalone. Si chiama Bianca e anche lei ha quattro anni. Tutta la notte la cercano la polizia e la gente di Trastevere, ma invano: la troveranno cadavere alle 11 della mattina successiva, vicino a San Paolo fuori le Mura. Anche questa volta qualcuno dice di aver visto la bimba, tenuta per mano da un signore alto, elegante, sui cinquant’anni.
Quasi tutta la città va al funerale della piccola Bianca, forte la commozione, più forte la paura. È stata trovata completamente nuda, strangolata e violentata.

Roma contava poco più di un milione di abitanti, il terrore volava da una casa all’altra con la velocità di una lampadina che si accende. Mentre le bambine venivano chiuse in casa, i romani gridavano giustizia. Fu quasi linciato un colonnello in pensione perché a piazza Vittorio s’era teneramente messo a giocare con una bambina.

Un vetturino, forse scapestratello, un po’ strano, insospettì con varie balordaggini i vetturini amici suoi, i quali, come tanti Maigret, si misero a pedinarlo e a organizzargli trappole per riuscire a prenderlo con le mani nel sacco. Erano convinti, i cari colleghi, che il poveretto fosse il mostro che tutti cercavano.

Tanto fecero e tanto lo torturarono che l’innocente fu preso dal terribile dubbio di essere effettivamente lui la belva umana. «Sarò stato io allora, senza accorgermene - si ripeteva - sono un mostro!» E poiché quelli erano tempi in cui non esistevano verità diverse da quella di tutti, il vetturino si convinse di avere commesso quei disgustosi delitti. In un momento di sconforto, inorridito, si suicidò.

Tutte le mamme di Roma si precipitarono a vedere il cadavere del vetturino suicida e tirarono un bel sospiro di sollievo: quello era senz’altro l’uomo visto in compagnia della piccola Bianca.

Ma il 25 novembre 1924, dopo che i sorrisi erano tornati a brillare sulle dentature di tutti, Rosina, una bambinetta bionda di soli tre anni, fu rapita in piazza San Pietro, all’ombra del cupolone, mentre rincorreva la sorellina, a pochi passi dalla madre.

Il cadavere di Rosina venne rinvenuto la mattina dopo in una fornace di mattoni a Monte Mario. Lì accanto la polizia trovò un asciugamano, in un angolo del quale, in stile gotico, erano stampate le lettere «R. L.»
A questo punto il panico fu totale e Mussolini in persona scese in campo chiedendo la testa dell’uccellaccio del malaugurio che stava dando tinte un po’ troppo fosche alla risorta Roma dei Cesari. Urlò, minacciò la polizia.
Retate su retate, taglia su taglia: niente. Come risposta il maniaco infanticida, il 30 maggio 1925, stuprò e strangolò la piccola Elisa, di sei mesi. Il cadaverino fu trovato sul greto destro del Tevere, fra il ponte gianicolense e la fonte dell’acqua Lancisiana. Anche questa volta l’assassino aveva lasciato una traccia: un fazzoletto bianco con una bella «C» gotica ricamata nell’angolino e alcuni pezzi di una lettera scritta in inglese.

Alcuni cominciarono a pensare che si trattasse di uno straniero, di un maniaco ignorato dagli schedari della polizia italiana. Tre mesi dopo, visto che ormai nelle strade e nei giardinetti le bambine scarseggiavano, il criminale si fece più ardito: una bimba di 17 mesi, Celeste, fu presa dentro una casa, in via dei Corridori, nel rione Borgo. Il cadavere fu scoperto in un canneto sulla via Tuscolana. All’interno di una casa, il 2 febbraio 1926, venne rapita anche Elvira: per fortuna all’ospedale la salvarono.

Mussolini, a questo punto, visto che la polizia non cavava il ragno dal buco, piuttosto che mostrare l’impotenza dello Stato, decise di mettere la museruola ai giornali. Le brutture spariscono anche così, chiudendo gli occhi.

Ma il mostro non leggeva i giornali e di Mussolini si faceva un baffo. Un anno dopo tornò a fare visita ad Armanda, una vittima che gli era sfuggita tempo prima, a via Paola. La portò via dal suo lettino e questa volta riuscì nella sua orrenda impresa. La violentò e la uccise. Il corpo fu trovato sull’Aventino. Lì accanto pezzi di carta bruciacchiata, pagine di un catalogo inglese di libri ascetici.

È in questo momento che esplode come una bomba il nome di Gino Girolimoni.

Un oste della malora, certo Giovanni Massaccesi, credette di riconoscere in Girolimoni l’uomo che entrò con la piccola vittima Armanda nella sua osteria. Anche gli altri avventori se lo ricordavano bene. Anzi ricordavano che lui aveva sul collo un foruncolo purulento, che asciugava di continuo con un fazzoletto.

Girolimoni fu arrestato e la sua vita, che fino a quel giorno era stata quella di un giovanotto allegro, intelligente, scanzonato e sensibile, diventò quella di un essere bruto e maligno, divoratore di bambine.

Girolimoni si trasformò in uno spettro nazionale, l’immagine stessa del Male. E probabilmente proprio il suo fantasma dette un alibi alla restaurazione della pena di morte operata subito dopo da Mussolini.
Girolimoni era un uomo con una Torpedo verde, venuto su dal nulla, dai mille onestissimi mestieri. Gli piacevano le donne, gli piaceva ridere. Era scapolo. La sua vita fu sviscerata granello per granello, cominciando da quando aveva emesso il primo vagito. Ogni suo piccolo errore fu ingigantito. Scoprirono che frequentava una servetta dodicenne, che pareva ancora più piccola e alla quale regalava tante caramelle.

Il mostro era lui, senza ombra di dubbio: Gino Girolimoni. La stampa, opportunamente sbavagliata, annunciò al popolo italiano che il mostro era stato assicurato alla Giustizia. Mussolini passò un’intera giornata ad appuntare medaglie sul petto di ministri, questori e investigatori.

Intanto il passato e il presente della vittima Girolimoni venivano massacrati dalle malelingue e dall’odio nazionale. Un soldato dichiarò che quando il mostro faceva il bersagliere, aveva violentato una bambina dentro il cimitero di Casarsa della Delizia, vicino a Udine. Tutto questo compariva sui giornali. Mentre non compariva sui giornali che un certo Domenico Marinutti si presentò alla polizia dicendo che era lui quello del foruncolo. Mostrò perfino la piccola cicatrice sul collo. Affermò che la bambina scambiata per la vittima altri non era che la sua figliola. Non gli fu dato credito.

Si scoprì, sempre nel silenzio di stanze chiuse, che il giorno della morte di Armanda, il Girolimoni non era neanche a Roma. Si scoprì ancora che la servetta dodicenne lavorava nella casa di una bella signora e faceva da postina tra lei e Girolimoni, l’innamorato clandestino. Il poveretto, per non mettere nei pasticci l’adultera, se n’era rimasto zitto, non si era difeso. Si scoprì insomma che Girolimoni era più innocente di un passerotto sull’albero. Ma tutti tacquero: il mostro in galera faceva bene a tutti. Il primo a dormire sonni tranquilli era proprio Mussolini.

La fortuna del fascismo coincise perfettamente con la sfortuna di Gino Girolimoni. In effetti, dopo l’arresto dell’innocente, non fu ammazzata più nessuna bambina. Una coincidenza tutta a danno del prigioniero, che già si vedeva vecchio e marcio dentro quelle quattro pareti. Una belva in gabbia. Per sua disgrazia, ma per il bene di tutte le bambinette romane, il vero assassino aveva lasciato l’Italia. Era partito, era andato a far danni in altri paesi.

Dopo un po’ Girolimoni fu scarcerato, ma alla chetichella, lo fecero uscire di galera in punta di piedi. Fu scaricato e lasciato per strada come una cacatina, con un pochino di vergogna.

Purtroppo ancora oggi il nome Girolimoni fa venire i brividi: scomparendo il vero assassino, l’immagine del mostro, nella testa dei romani, è quella di quest’uomo inoffensivo, mite e disgraziato.

L’assassino vero, il demonio in persona, rimase nell’ombra. Era un pastore protestante, Ralph Lyonel («R.L.») Brydges, pastore nella Holy Trinity Church di via Romagna a Roma. Morì, poveraccio, in un manicomio del Sud Africa. Era una delle tre persone che a Roma riceveva il catalogo in lingua inglese di pubblicazioni religiose. In qualsiasi posto del mondo i suoi superiori lo trasferivano, lui, dopo le preghiere e i mea culpa, se ne andava in giro a violentare e a strangolare le bambine.


da ilmessaggero.it
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« Risposta #14 inserito:: Ottobre 19, 2008, 04:32:18 pm »

Fannulloni


Vincenzo Cerami


Che nei nostri uffici pubblici il fannullone sia colui il quale fa finta di lavorare è un luogo comune, e per questo corrisponde un po’ a verità. Oggi si canta vittoria perché gli impiegati che se ne stavano a casa o facevano un altro lavoro tornano alle loro scrivanie, anche se hanno la febbre a quaranta. Sono tutti a regime grazie alla stretta del governo.
Ci aspettiamo quindi un aumento di produttività, ma i dubbi di un esito controproducente sono tanti.
Diamo una piccola occhiata al passato. In Italia, per molti decenni, si è impunemente praticato il sottogoverno, ha regnato il vezzo della raccomandazione. In quasi tutti i ministeri e negli enti statali e locali esistevano occulti uffici che raccoglievano domande di impiego fatte dai politici. Venivano addirittura stampati dei moduli da riempire da parte del raccomandante. Molti voti si raccoglievano così, nell’unanime complicità di tutto l’arco parlamentare. Tanto per fare qualche esempio, si pensi al sovraffollamento di Alitalia, della Rai e di quasi tutti gli enti parastatali (o parassitari) e i ministeri. Si assumeva personale senza alcuna specializzazione il quale, magicamente, conquistava i primi posti in concorsi non necessari e indetti ad hoc. Così le scrivanie sono aumentate a dismisura. È successo che nel meno peggiore dei casi si è avuta una poco efficiente parcellizzazione del lavoro (uno aveva il compito di tenere il chiodo e l’altro di dare martellate), e nella peggiore un'alta concentrazione di impiegati che non avevano obiettivamente niente da fare. Ai capuffici, quindi, faceva comodo che molti di loro restassero a casa, per non intasare le stanze e i corridoi, e per risparmiare sulle imponenti bollette telefoniche di chi, non avendo appunto nulla da fare, passava il tempo a conversare con i parenti, con gli amici e con le amanti.
Adesso, grazie allo zelo del governo, quest’esercito di disoccupati con lo stipendio torna tra le scartoffie, davanti ai computer (Internet offre appetitosi viaggi nei videogiochi) e accanto alle tentazioni del telefono. Per non parlare dell’usura sedie, dello spreco di cancelleria e dei necessari corsi d’aggiornamento. I fannulloni, insomma, non sono i colpevoli ma le vittime, di ieri e di oggi. I dubbi che la frusta del ministro Brunetta non riesca ad addomesticare il problema sono reali. Fumo se n’è fatto tanto, aspettiamo l’arrosto. È vero, gli uffici si sono riempiti di tutti gli assenteisti e dei finti malati, ma questo non significa affatto che assisteremo a un aumento automatico della produttività. Non sempre l’unione fa la forza, qualche volta fa solo casino.

Pubblicato il: 19.10.08
Modificato il: 19.10.08 alle ore 14.51   
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