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Autore Discussione: LIETTA TORNABUONI  (Letto 59518 volte)
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« Risposta #45 inserito:: Giugno 18, 2009, 10:18:05 am »

18/6/2009 - PERSONE
 
Altro che privacy dei cittadini
 

 
LIETTA TORNABUONI
 
Vengono i brividi a sentir dire e ridire, proclamare e ripetere, insistere e garantire che gli interventi sulle intercettazioni telefoniche hanno lo scopo di «salvaguardare, proteggere la privacy dei cittadini». I cittadini comuni se ne infischiano delle intercettazioni. Gli unici a cui le intercettazioni stiano a cuore sono i criminali, e alcuni politici, industriali, alti funzionari statali, affaristi, giornalisti, magistrati, insomma la classe dirigente e la classe delinquente, i soli che dalle intercettazioni possano avere guai o danni all’immagine.

Alla gente comune cosa potrebbe eventualmente importare che venissero intercettate quelle loro telefonate che si ascoltano a volte per via o sui mezzi di trasporto pubblici? Quelle che dicono magari: «Sei lì? Io sono qui. Sto venendo lì, spero di far presto», oppure «Sarò a casa con un po’ di ritardo» o ancora: «Ti senti meglio? Il dottore è venuto, che ha detto?». La loro privacy non può essere violata dalle intercettazioni telefoniche. Del resto è passato il tempo in cui, sospettando qualche brigadiere in ascolto, ci si rivolgeva a lui amichevolmente («Capito, brigadiere?») oppure si diceva: «Ne parleremo a voce», «Non al telefono, per favore», «Ti dirò direttamente». Adesso i cittadini comuni neppure ci pensano, parlano con disinvoltura: a chi può interessare quel che dicono? Magari qualcuno li stesse a sentire, ogni tanto.

Per gli altri, per la classe dirigente o delinquente, il discorso è diverso: circola infatti da mesi la voce umiliante che tutto il casino legislativo e parlamentare delle intercettazioni sia dovuto alla esistenza di registrazioni d’un paio di conversazioni molto, molto salaci tra il primo governante e due giovani donne ministro. Sarà falso, sarà vero, certo è che si produce uno strano fenomeno: pur sapendo di poter essere ascoltati, i governanti non usano alcuna cautela nel parlare al telefono; pur sapendo di poter essere identificati, i delinquenti non rinunciano a usare i cellulari rubati alle loro vittime. La voglia di fare e dire quel che vogliono, la speranza se non la certezza di impunità, li spingono a non limitare in alcun modo la propria libertà, a fare i propri comodi: tanto poi ci sono le leggi protettive. Ma non protettive della privacy dei cittadini.
 
da lastampa.it
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« Risposta #46 inserito:: Giugno 25, 2009, 11:25:55 am »

25/6/2009 - PERSONE
 
Il mondo va meno male?
 

LIETTA TORNABUONI
 
Se la grossolanità, la faccia di bronzo e le bugie sfrontate del vertice politico ti fanno star male, ti danno un senso di nausea esasperata quando al mattino sfogli i giornali, un rimedio può anche essere il pacco della corrispondenza quotidiana. Ti accorgi che mentre gli appassionati e i moralisti temono che il nostro Paese sia alla catastrofe economico-etico-politica, la vita va avanti come se nulla fosse.

Vediamo. Tra biglietti e cartoncini, il centro internazionale di fotografia Forma propone immagini giapponesi, incontri sulla fotografia (il vero, il falso), discussioni sui paparazzi (l’estate, gli scandali, il potere), convegni su «un certo modo di essere al mondo» e su «lo sguardo sensibile». Un lettore gentilissimo avvisa che in alcuni forum tipi della troupe di un film italiano di prossima uscita «sembrano spacciarsi per lei, firmandosi Lietta T.». La Triennale di Milano invita a «Steelife», «l’acciaio in mostra da protagonista grazie ai suoi magistrali interpreti: gli artisti»; e alla mostra Pirelli sul lavoro manuale «Working. Uomini, macchine, idee». Il Goethe-Institut italiano sosteneva (ahimè, è troppo tardi) «La cultura dell’energia produce energia culturale: mutamenti climatici, politica energetica in Germania e in Italia, potenzialità delle energie rinnovabili, progetti bioclimatici, costruzioni solari, Bauhaus ieri e oggi. La Triennale di Milano rimembra ancora che nel 1964 Umberto Eco e Vittorio Gregotti commissionarono a Tinto Brass due video sul tema «Tempo libero e tempo di lavoro» che adessso, oltre quarant’anni dopo, sono stati ritirati fuori, «Teatro Agorà, ingresso libero fino a esaurimento dei posti». Per non parlare di «Letterature 2009», 5 giugno, con «Il verso della luna» alla romana Basilica di Massenzio.

Istituzioni e persone appaiono vivissimi, ricchi d’energia nonostante l’estate; nonostante la crisi e gli altri guai, nessuno rinuncia al proprio ruolo e alle proprie iniziative. La cultura è l’ultima ad arrendersi. Il mondo non si ferma, va. Meno male?
 
da lastampa.it
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« Risposta #47 inserito:: Luglio 02, 2009, 06:11:27 pm »

2/7/2009
 
Chi è pettegolo
 
 
LIETTA TORNABUONI
 
Il breve biglietto lasciato dallo scrittore prima di togliersi la vita terminava con la frase: «Non fate troppi pettegolezzi». Desiderio comprensibile, ma improponibile. Non erano gli amici ad essere pettegoli e linguacciuti: era lui che aveva compiuto un gesto fatale, quello di uccidersi, che sarebbe stato ragionevolmente meditato, ripensato, discusso, caricato di dubbi e di ipotesi, per molti molti anni.

Ci troviamo in una situazione analoga: si può anche dire, per carità di patria, «nei giorni in cui sono in Italia i governanti del G8, piantiamola con pettegolezzi e polemiche». La posizione potrà essere discutibile (e anche inutile perché i governanti stranieri leggono i loro giornali), in ogni caso non ci riguarda. Non siamo noi i pettegoli o polemici, e neppure i media né l’opposizione. Se il governante la smettesse di compiere azioni improprie, se smettesse di abbandonarsi a manie particolari, nessuno farebbe il minimo pettegolezzo né la minima polemica: ma a lasciarsi andare a rivelazioni sono lui stesso, la moglie, i magistrati, le co-protagoniste, le fonti meno labili. Se poi i media riprendono e pubblicano quanto affermato da queste fonti, sarà informazione: non pettegolezzo, spazzatura, marciume, complotto, vergogna e persino fango o melma, come dicono i sostenitori o dipendenti del protagonista. Personalmente ritengo che l’attività sessuale abbia nulla a che fare con la vita pubblica, che una persona non possa né debba essere giudicata a partire dalle proprtie abitudini sessuali: ma quando è la quantità a fare la qualità, quando si consente di credere che uno non pensi ad altro, la faccenda diventa diversa e impone una scelta: o ti controlli o rinunci alla vita pubblica. Gli elettori che hanno votato (ma grazie ai pastici partitico-legislativi nessuno viene votato personalmente) rimarranno delusi, ma poi voteranno qualcun altro: nessuno è insostituibile.

La situazione viene resa persino più complessa dall’uso del protagonista di dire apertamente il contrario della verità: lo scoraggiamento prevale, se oggi tutti lo sentono dire alla tv che bisognerebbe chiudere la bocca a organizzazioni internazionali, persone e giornali che giudicano la crisi pericolosa e seria, e domani afferma di non aver mai detto nulla del genere.

da lastampa.it
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« Risposta #48 inserito:: Luglio 09, 2009, 10:22:13 pm »

9/7/2009
 
Tanto vale vivere

 
LIETTA TORNABUONI
 
L’autorevole marocchino Nour Dacham in nero, oro e berrettino bianco, venuto a rappresentare i sette morti della comunità islamica già commemorati in Marocco, e al suo fianco un vescovo cattolico con grandi occhiali da sole: pare un film di Francesco Rosi. Ai solenni funerali delle vittime di Viareggio tutto era esatto e perfetto: la geometrica ressa di gente devastata dal sole a picco di mezzogiorno in una confusione di lacrime e sudore, il vento leggero, la musica d’organo e i cori, il nostro impeccabile e caro Presidente della Repubblica, i corpi militari o paramilitari addetti come al solito ai lavori di fatica, le bare coperte di fiori bianchi sul prato, le bandiere abbrunate, l’andirivieni solenne e insieme veloce di arcivescovo, vescovi, sacerdoti, chierici.

Il funerale, si sa, è il primo momento conclusivo del lutto, quello collettivo. Esprime dolore, rimpianto, gratitudine, nostalgia struggente, ma constata pure: «E’ andata così». Per questo i funerali pubblici solenni si celebrano sempre al più presto possibile dopo la morte: per poter considerare esaurita la cosa e andare avanti, vennero celebrati con la massima fretta a Monaco i funerali degli uccisi alle Olimpiadi, o i funerali a Roma dei morti di Nassirya. In queste cerimonie, noi siamo molto bravi: non perdiamo tempo in ragionamenti o promesse (ma: «Bisogna fare chiarezza», ha detto ancora una volta il presidente Napolitano), badiamo piuttosto a che tutto funzioni come deve, a che non ci siano durante la cerimonia errori, esplosioni di dolore, rombo di elicotteri dal cielo, presenze inopportune di compagne non legittimate. La scelta delle musiche è stata fatta da sempre; le cerimonie religiose sono sempre uguali; i discorsi (quando ci sono) risultano sempre opportunamente brevi. La consolazione di chi ha perduto un essere amato è ovviamente relativa: ma la nobile bellezza della cerimonia ha il compito di far sentire che tanto vale vivere.

Siamo più bravi a commemorare i morti che a lasciar campare i viventi: se la manutenzione dei vagoni di Viareggio fosse stata migliore, se l’Aquila fosse stata costruita secondo i giusti criteri antisismici, se l’avidità di soldi non fosse stata la più forte, decine e decine di italiani sarebbero ancora vivi.
 
 da lastampa.it
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« Risposta #49 inserito:: Luglio 16, 2009, 11:45:00 am »

16/7/2009 - PERSONE
 
La scuola ignorante
 
 
LIETTA TORNABUONI
 
Adesso tocca all’Università: qualità, merito, bravura, test per dare prova di abilità caratterizzerebbero le nuove disposizioni. Le altre scuola sono già state sistemate. Migliaia di bocciati: siamo contenti? Un sacco di rinviati: va bene così? A giudicare dall’esultanza ostentata dal governo (e purtroppo anche da giornali e telegiornali), parrebbe di sì: che gioia, è finito il Sessantotto (sfido, son passati oltre quarant’anni), è sparito il voto politico (mai comparso), è cancellata la mefitica indulgenza. Ma il sospetto è che questi siano soltanto pensieri antiquati, conservatori, formulati da gente incolta che odia le società contemporanee; luoghi comuni estranei al nostro mondo, che procurano agli studenti e alle loro famiglie i peggiori danni possibili.

Le scuole all’origine servivano soltanto ad educare e preparare le classi dirigenti. Nel tempo la loro azione si è estesa alle altre fasce sociali: man mano che le società evolvevano, si comprendeva la necessità che tutti i cittadini avessero diritto all’istruzione e la acquisissero. Con lo stabilirsi e il crescere delle società di massa, il fenomeno è diventato ancora più esteso: le scuole di massa non servono a identificare e scegliere i bravi o bravissimi, gli studenti degni di emergere domani nel Paese, ma a dare a tutti un grado accettabile di istruzione, una più o meno sufficiente cultura personale. Le scuole non sono il luogo d’una selezione di futuri dominanti, l’occasione di una gara a chi ha più meriti. Poi, si capisce che i più bravi emergono, studiano meglio. Si fanno avanti, mentre ai meno bravi restano certi insegnamenti: ma è impossibile, da ignoranti e da reazionari, reggere la scuola come una istituzione di élite. Nello stesso modo, è impossibile conservare le strutture impraticabili e ristrette della scuola d’un tempo, e dar la colpa agli studenti se succede qualcosa.

E’ ragionevole correggere gli estremismi e gli eccessi dell’indulgenza, se ce ne sono: ma con misura, con realismo, senza ideologie, senza ricorrere a illogiche rigidità. Se no la devastazione culturale del nostro Paese diventa sempre peggiore: e magari qualcuno ne è contento.
 
da lastampa.it
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« Risposta #50 inserito:: Luglio 25, 2009, 11:22:18 am »

23/7/2009 - PERSONE
 
Mangia che ti passa
 
 
LIETTA TORNABUONI
 
Viene rabbia e tristezza quando leggi con tutte le cifre bene allineate accompagnate dalle loro fonti attendibili, che i padroni o gestori di ristoranti dichiarano al fisco di incassare in un anno quanto i pensionati; e quando lo stesso giorno t’hanno raccontato che in un ristorante dei Parioli a Roma un antipasto di mare costa 160 euro.

La rabbia non è contro padroni o gestori che fanno gli affari loro e cercano come tutti di non pagarle, le tasse. Fa invece rabbia constatare che queste persone, come milioni di altre, non sono sottoposte ad alcun controllo, mentre ai lavoratori dipendenti ogni centesimo viene esosamente calcolato e ritirato alla fonte.

Chi incassa di più paga enormemente di meno: bella giustizia. E i controlli mancano non per carenza di personale o Guardia di Finanza con la testa tra le nuvole o mazzette: non vengono fatti perché non si vogliono fare.

Un tempo si diceva che la Democrazia cristiana non intendesse colpire i suoi elettori, che non volesse limitare una parte sommersa e superfiorente dell’economia nazionale. La Democrazia cristiana è scomparsa, i suoi ex elettori restano evasori. Questo accade da moltissimi anni.

Si estende naturalmente a medici, ingegneri, negozianti, avvocati, rapinatori, mediatori, liberi professionisti d’ogni genere, persone delle quali si può dire che siano fasce sociali privilegiate, amici del governo, elettori del partito dominante. Gente che guadagna molto e che non collabora al mantenimento del Paese (o collabora molto poco).

E non bisognerebbe arrabbiarsi, quando magari per le tasse devi rateizzare, fare sacrifici, battere la testa al muro?

La tristezza e l’avvilimento sopravvengono quando fai i conti e ti accorgi che gli evasori fiscali non sono soltanto due proprietari di barche o tre padroni di ville, ma una vera e propria massa di italiani.

Sono evasori pure i meno benestanti che lavorano in nero facendo gli autisti, i lavoratori domestici, gli infermieri a domicilio, gli idraulici, le baby sitter eccetera.

Vuol dire che l’illegalità è da noi un’abitudine o un’aspirazione così radicata che Dio sa se potrà mai essere sradicata: chissà se smetteremo mai di essere quei truffatori abituali che i giapponesi ci considerano.
 
da lastampa.it
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« Risposta #51 inserito:: Agosto 06, 2009, 03:45:20 pm »

6/8/2009 - PERSONE
 
La pillola va giù
 
LIETTA TORNABUONI
 
Chi vuol prendere la pillola antiabortiva RU486, la prende. Chi non vuol prenderla (per motivi medici, etici, religiosi, varii) non la prende. Nessuno è obbligato a nulla. La scelta è chiara, semplice: infatti in altri Paesi europei questo farmaco è liberamente in vendita. Da noi, no. Da noi la Chiesa cattolica, dotata di un potere politico che è oppure sembra forte, che altrove ha già perduto la partita, che non pare avere fiducia nell’obbedienza e osservanza dei suoi fedeli, ha già dato inizio a tutte le possibili pressioni negative.

Non si tratta affatto di ragioni di principio. La ragione di principio cattolica riguarda l’aborto (come il divorzio, anch’esso legale in Italia): non le sue modalità. Il farmaco RU486 è una modalità semplificante, che riduce le complicazioni e il lavoro degli ospedali, che allevia i disagi e dolori delle donne: in tempi varii si prendono tre pillole, e basta. Non è quindi per motivi di principio che la Chiesa avrebbe già ottenuto dal governo diverse difficoltà altrove inesistenti: mancata libera vendita del farmaco, assunzione del farmaco soltanto in ospedale (dove i medici ricevono pressioni per dichiarare la propria obiezione di coscienza) e con ricovero (si sa quanto difficile), eccetera. A quale scopo? Dare tormento, fare dispetto, scoraggiare? Sarebbe un’assurdità. Anche in passato, quando la clandestinità, i divieti della Chiesa, la minaccia di galera e i pericoli erano molto più gravi, le donne che si trovavano nella necessità di abortire, abortivano. Nessuna compie un atto simile con leggerezza o fatuità, senza che sia indispensabile: non si può dire infatti che gli aborti siano diventati spensierati da quando sono stati legalizzati. Neppure è possibile ipotizzare che la Chiesa voglia ad ogni costo seguitare a circondare l’aborto di un senso di castigo, di punizione, di dolore: sarebbe davvero crudele, e inutile. Invece pure questo può sembrare un banco di prova del proprio potere politico nei confronti del governo italiano, a spese (come è già capitato troppe volte) delle donne. E’ un esercizio che ignora le persone e serve esclusivamente alle gerarchie: non è una bella cosa, e per un governo non confessionale dovrebbe essere inaccettabile.

da lastampa.it
 
 
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« Risposta #52 inserito:: Agosto 13, 2009, 04:05:39 pm »

13/8/2009 - PERSONE
 
Un pasticcio di giustizia
 

LIETTA TORNABUONI
 
Se c’è un favore, un’indulgenza, una paura, una conoscenza o altro, pazienza: non sarà la prima volta che càpita, in Calabria o altrove. Se non c’è nulla di simile, l’episodio è persino più grave.

Riassumiamo? Nel febbraio 2007, un giovane ammazza con quattro colpi di pistola la ragazza di diciassette anni: pare che lei non lo volesse più, e si sa quanto oggi diventi pesante un rifiuto amoroso per uomini che spesso hanno nulla, non un buon lavoro, non soldi, non posizione, non speranze di futuro, che vedono nell’abbandono un’umiliazione cocente o una ferita all’onnipotenza criminale. Reo confesso, arrestato subito dopo l’omicidio, condannato in primo grado a trent’anni, esce di prigione e vi ritorna per estorsione, condannato a quattro anni; presto liberato e presto nuovamente arrestato per pericolo di fuga. O meglio, per pubblicità: all’ultima liberazione, il padre della vittima scrive indignato ai giornali, protesta; il ministro di Giustizia Alfano manda subito ispettori a Catanzaro a indagare tra i magistrati. Precisa Gasparri: «E’ stato il governo Berlusconi a supplire allo scarso senso di responsabilità di magistrati che rimettono in libertà assassini»; lo smentisce, con l’accusa di non conoscere i fatti e di parlare a vanvera, il presidente dell’associazione dei magistrati. L’assassino, tornato dietro lo sbarre, dice: «Ho sbagliato, è giusto che io debba pagare». L’errore sarebbe aver ammazzato una ragazza.

Ma in questo oceano di pasticci, la protesta comprensibile d’un cittadino, del padre della vittima che abbiamo sentito piangere in televisione («era dolcissima, bella, solare, per noi era tutto...»), può bastare a cambiare un iter giudiziario? In questo mare d’ipocrisia colpisce quella di Gasparri: allora è il governo che da noi amministra la giustizia, che decide secondo il proprio tornaconto? E’ il governo a stabilire, secondo il proprio vantaggio o svantaggio mediatico, chi sta dentro e chi va fuori di prigione? E’ il governo e non la legge che decide sulla sorte degli uomini in base a un ipotetico effetto sul pubblico? Oppure sono tutti e due, governo e magistratura, a comportarsi in modo inaccettabile per una democrazia?

 
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« Risposta #53 inserito:: Agosto 19, 2009, 12:09:16 pm »

19/8/2009
 
Guerra e crisi, il cinema invidia la storia
 
 
LIETTA TORNABUONI
 
Non basta. A ottobre si vedrà un film antinazista e antifascista collocato nella Francia occupata dai tedeschi durante la Seconda Guerra Mondiale, Bastardi senza gloria di Quentin Tarantino. Alla Mostra di Venezia si vedranno Le ombre rosse di Francesco Maselli, analisi critica della sinistra contemporanea; Capitalismo: una storia d’amore di Michael Moore sulla crisi finanziario-economica mondiale; L’uomo che verrà di Giorgio Diritti, storia dei nove mesi precedenti la strage di Marzabotto nella quale le SS nel 1944 fucilarono 780 civili.

Tratto da Miccia corta di Sergio Segio, si vedrà a novembre La prima linea, di Renato De Maria. Si aspetta il nuovo film di Nanni Moretti sullo psicoanalista del Papa. Premono due film sul Medio Oriente in guerra: il documentario su Gaza di Stefano Savona Piombo Fuso - Cast Lead premiato a Locarno; The Man Who Stares at Goats di Grant Heslow, protagonista George Clooney.

In produzione, post-produzione, preparazione, sono molti i film che hanno al centro fotoreporter o gionalisti di guerra, episodi e scontri politici, memorie. Come mai? Può essere, nel magma della scemenza presente, una nostalgia di cose serie, di sentimenti nobili, di grandi momenti eroici.

Può essere una tendenza controcorrente, a smentita della puerilità attuale del cinema. Può essere il rimpianto invidioso per quei registi che affrontavano la Storia italiana, per un cinema che potesse servire d’insegnamento ai suoi spettatori. Può essere la maggiore facilità di realizzazione per i film sovvenzionati dallo Stato. Può essere una voglia di storie importanti. Può essere nulla, un caso.
 
 
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« Risposta #54 inserito:: Agosto 21, 2009, 11:23:36 am »

21/8/2009
 
Balle d'estate
 
 
LIETTA TORNABUONI
 
Agosto è sempre stato un gran mese per le frottole giornalistiche, fatti intesi a sostituire avvenimenti autentici latitanti nell’atonia dell’estate, balle destinate a intrattenere i lettori svogliati delle vacanze. Protagonista storico, il mostro di Lochness, grosso drago-serpente che emergeva dalle acque del lago per combinarne di tutti i colori. Poi, molte varianti animali della mostruosità: il cane con due teste, la mucca con sei zampe, il gatto dal volto umano, la formica gigantesca. Alla fine, diversi esempi di sensazionalismo: la bimba divenuta madre a sette anni, il neonato parlante, la donna-scimmia capace di saltare e correre per centinaia di chilometri, le sacre apparizioni.

Le balle attuali sembrano meno fantasiose e più concrete: la scoperta della assoluta inutilità dell’esercizio fisico (jogging, palestra) per chi voglia dimagrire; l’uso del laser nella depilazione soprattutto maschile e pettorale; l’ammonimento a non mangiare frutta e verdura sinora caldamente raccomandate (sono mediterranee, ma fanno venire la colite); un eventuale matrimonio di George Clooney, eccetera. Ma il cambiamento s’è fatto molto più sensibile: ha mutato settore, dal terreno della varietà s’è spostato a quello della politica, ormai fonte d’ogni curiosità e interesse giornalistico.

Sul giornalino di pettegolezzi che sembra aver eletto a proprio portavoce, il presidente del Consiglio dichiara severamente che nelle sue residenze «mai si sono svolti festini, ma cene simpatiche» (chissà come sono le cene antipatiche). I burloni della Lega, che cento ne fanno e mille ne pensano per tenere su i seguaci, spaventare gli alleati e far parlare di sé, dichiarano che intendono cambiare l’inno nazionale (e non sarebbe poi una cattiva idea, tanto l’inno è pomposo, arcaico, brutto) e che vogliono che a scuola si parli in dialetto (siccome pochi li parlano, i dialetti possono essere considerati lingue morte e studiati come il latino o greco). Basterà aspettare qualche giorno per veder spuntare altre sciocchezze del genere: ma quello che conta è che la politica sia diventata, come le barzellette salaci, il terreno prediletto delle balle d’estate (e anche delle altre stagioni).

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« Risposta #55 inserito:: Agosto 27, 2009, 04:21:44 pm »

27/8/2009 - PERSONE

Vostra eccellenza
   
LIETTA TORNABUONI


Chissà chi ha introdotto nel nostro linguaggio ufficiale, già tanto deplorevole, la parola «eccellenza». Un tempo, nel Seicento e oltre, destinata alle persone (governatori, arcivescovi, presidenti), «eccellenza» è passata ora alle cose: uva e vini, affettati, Università (che pure sono tra le peggiori d’Europa), pomodori pelati, imbarcazioni, Grotta Azzurra caprese (nonostante i miasmi) e altri paesaggi naturali. Bisognerebbe tagliare la lingua a chi la adopera, questa espressione «eccellenza italiana» (a volte, in caso di necessità, anche plurale: «eccellenze»).

E’ falsa. Trovare cose eccellenti da noi è molto raro; risulta più facile trovare cose alterate, manipolate, rovinate per incuria o per farci più soldi, oppure cose che non funzionano affatto. E’ un’espressione ridondante, un esempio di linguaggio-maschera che serve a occultare una situazione miserevole e a tenersi su a forza di chiacchiere. E’un’espressione invadente: da quando è stata introdotta, viene applicata a qualunque sciocchezza, son diventati eccellenti pure l’aspirina, le creme di bellezza piene d’acqua a confronto con quelle straniere di pari marca e volume; le cipolle rosse al mercato, i vini «famigliari» dai nomi illusori. Insomma, «eccellenza» è un’espressione ridicola e fuori posto, da tempi di crisi, da governi incapaci e vantoni.

Eppure, a irritare non è soltanto la sua enfasi e il suo uso: piuttosto, il disprezzo per la normalità che nasconde. Che nostalgia, invece, per una normalità in cui i bagagli dei viaggiatori non vengano saccheggiati o perduti, gli aerei non tardino minimo due ore, il pane e la mozzarella non siano gonfi d’aria, i panorami non offrano veleni, i turisti non vengano sistematicamente derubati, nessuno pretenda torvamente mance e mazzette, la gente non venga ammazzata in mezzo alla strada. Che sollievo sarebbe, la normalità. Come permetterebbe di non vergognarsi ogni giorno, ogni minuto: altro che eccellenza.

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« Risposta #56 inserito:: Settembre 17, 2009, 05:03:26 pm »

17/9/2009 - PERSONE


Per chi suona la campana
   
LIETTA TORNABUONI

Non è che ci troveremo davanti le figure ottocentesche che nei libri per l’infanzia illustravano bambini eroici che dalla montagna raggiungevano la scuola camminando per chilometri a piedi nudi nella neve? La decisione di abolire le scuole di paesi sperduti perché «costano troppo» è veramente sciocca e crudele insieme. Si espongono bambini a danni culturali e fisici; si pone in svantaggio l’istruzione più importante e tenace, quella elementare che nella vita sarà sempre necessaria a tutti; si dà un’altra prova di quanto il governo se ne freghi della gente e delle sue necessità; si segue un criterio che non può essere applicato in ogni caso.

Viene applicato, invece. Malati e persone appena operate vengono messi fuori dagli ospedali in due-tre giorni: magari da un punto di vista medico è una cosa possibile, ma l’ambiente domestico può presentare (presenta, di solito) inconvenienti non trascurabili. Gli uffici pubblici, nonostante Brunetta, impongono attese superlunghe, esasperanti: gli impiegati sono troppo pochi. Non parliamo degli aeroporti: il taglio del personale li ha trasformati in un inferno caotico che spaventa turisti e italiani; e pure le ferrovie non scherzano, come la scuola.

Tutto inutile, tra l’altro: i conti pubblici e aziendali vanno comunque male, i risparmi sulla pelle della gente servono poco. Si capisce che da noi possono esserci state invenzioni e distribuzioni di posti di lavoro per motivi clientelari, che a volte la quantità dei personale è discutibile. Si capisce che si cerchi di ovviare a un simile inconveniente. Ma non si può eleggere questo a unico criterio, a spese di bambini, malati, lavoratori, turisti e viaggiatori. Il bilancio in pari, come dice il Papa, non è una divinità da venerare, è un risultato da ottenere razionalmente, una necessità che non ci faccia diventare un Paese mediorientale di fame, ignoranza e caos, una prova di capacità manageriale e organizzativa.

Ma se elimini i lavoratori, tagli le spese e basta, dove sta l’abilità? Semplicemente fai pagare gli errori ai cittadini, rischiando che i piccoli restino somari, che i malati muoiano e che gli inglesi non si facciano più vedere. È rischioso pure per i dirigenti: si sa che se le cose non vanno il sistema adotta l’unica risorsa di sostituire il responsabile del settore, e non si sa più per chi suona la campana.

da lastampa.it
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« Risposta #57 inserito:: Ottobre 02, 2009, 05:53:58 pm »

24/9/2009 - PERSONE


Sulla pillola un calcolo politico
   
LIETTA TORNABUONI


Bell’affare, soprattutto adesso che il presidente del Consiglio ha difficoltà con i vescovi cattolici a causa della sua vita privata sin troppo pubblicata. Non che l’uno o gli altri difendano sempre principi, ideologie. I vescovi, almeno al vertice della gerarchia, rimproverano anche perché sanno che il rimproverato cercherà di compiacerli su altri terreni per loro importanti: a muoverli è un calcolo politico. Il presidente non sembra avere molta intenzione di cambiare vita, oppure non può: ma, con la stessa disinvoltura con cui ordina ai ministri di non rilasciare interviste-gossip, intende correggere l’atteggiamento dei vescovi, sempre per calcolo politico.

Così, veniamo a sapere che in un quarto d’ora al Senato è stata approvata l’apertura di una indagine conoscitiva sulla pillola Ru486 già approvata dall’Agenzia del farmaco: e anche questo avviene per calcolo politico. Si sa che questa pillola, già in uso da tempo in diversi Paesi europei, può sostituire l’aborto, con vantaggio e risparmio di complicazioni, tempo e soldi per le donne e per la Sanità. Questa pillola non inventa l’aborto, che è sempre stato praticato nei secoli anche quando era più pericoloso; lo semplifica, lo rende meno penoso per le donne. Rappresenta un metodo, non un principio morale. Si capisce che la gerarchia cattolica abbia timore che la semplificazione pragmatica renda l’aborto sempre meno carico di drammaticità e sofferenza, eticamente più lieve: ma pretendere di vietare una simile semplificazione, non alle cattoliche osservanti ma a tutte le italiane, è una vera crudeltà. E tuttavia, per timore di veder ridotto il proprio potere di interdizione, per calcolo politico, viene compiuta. Prima con il divieto di vendere la Ru486 nelle farmacie, imponendo il tramite medico-ospedaliero. Adesso con l’indagine conoscitiva parlamentare. Che male c’è? Cosa importa il parere degli specialisti dell’Agenzia del farmaco o l’esperienza in atto di altri Paesi? Più si indaga, meglio è. Gli indagatori avranno circa due mesi di tempo, poi saremo sotto Natale, poi succederà qualcos’altro, intanto si sospende, si rinvia.

È strano che alcuni si domandino ancora da cosa derivi l’ostilità o l’indifferenza italiana verso la politica: quando essa viene adoperata per soddisfare simili meschini calcoli (sempre elettorali, quindi di potere proprio) come si potrebbe amarla, o anche soltanto rispettarla?

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« Risposta #58 inserito:: Ottobre 08, 2009, 11:41:35 am »

8/10/2009 - PERSONE

Sotto il burqa niente
   
LIETTA TORNABUONI


Bisognerà arrestare anche i motociclisti rispettosi delle regole, con il casco che nasconde la faccia e che non di rado viene usato come copertura nel corso di rapine o altri reati, che negli anni del terrorismo proprio per questo era proibito? Dovranno scattare le manette pure per chi porta la mascherina bianca temendo di venir contagiato dell’influenza suina, per i poliziotti in assetto da scontro con la visiera calata, per gli operai che si riparano da fuoco e scintille, per i lavoratori della nettezza urbana che si difendono dai miasmi, per le signore con cappello e veletta fitta?

Naturalmente sappiamo tutti che la Lega una ne fa e cento ne pensa, che è creativa al massimo nell’invenzione di qualcosa che confermi la propria esistenza e il proprio attivismo nella linea (diciamo così) politica che la distingue. Sappiamo tutti che nella gara a chi la dice più grossa la Lega non arriva a superare il presidente del Consiglio ma che insomma ci prova di continuo. Sappiamo che il gruppo governativo è così fragile da spaventarsi subito per la patetica minaccia di venir abbandonato e che la Lega ogni tanto ha il sopravvento. Ma proporre una modifica di legge che per qualsiasi ragione punisca burqa e nijab con l’arresto immediato, due anni di carcere e duemila euro di multa è davvero un attacco assurdo ad alcune donne islamiche abitanti in Italia.

È un’eventualità sproporzionata sino al ridicolo e inutile: se per identificare le musulmane bastasse vederle in faccia, il lavoro della polizia tra gli immigrati mediorientali sarebbe meno lungo, difficile e infruttuoso. Poco utile anche perché le indossatrici di simili indumenti sono poche, e diminuiscono progressivamente. Dannosa proposta, poi, manca di rispetto, prevarica sulla volontà personale. Cosa avremmo fatto noi, non troppi anni fa, se una polizia avesse preteso di arrestare, incarcerare e privare di duemila euro le donne con il capo coperto, col fascino mutilato da capelli e dal viso nascosti? Come avremmo reagito se, senza valutare i dettami religiosi, una polizia avesse strappato dal collo la croce o dalla testa il copricapo obbligatorio in chiesa delle cattoliche? I Vespri siciliani? Magari è inutile scaldarsi, non se ne farà nulla. Ma il guaio è che con questo genere di cose veniamo indotti a chiacchiere o polemiche, distolti da faccende serie, incoraggiati a quella vana loquacità che è sin troppo una caratteristica nazionale.

da lastampa.it
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« Risposta #59 inserito:: Ottobre 15, 2009, 09:50:20 am »

15/10/2009 - PERSONE

Il diritto dei deboli
   
LIETTA TORNABUONI


La questione non è tanto la bocciatura indecente a Montecitorio dell’aggravamento della legge che poteva difendere i gay dalle aggressioni divenute in quest’ultimo periodo più frequenti e crudeli. Leggi contro le aggressioni personali esistono già: se si sapesse prendere gli aggressori, se si volesse sanzionarli, non servirebbe altro. I problemi veri sono altri, principalmente almeno tre. Primo, il pronunciamento dei deputati rispecchia un atteggiamento consueto e maramaldesco di una parte della politica: ignorare i diritti dei più deboli, trascurare le loro esigenze usandole come tema di conflitto tra partiti e di rivalità elettorale. Le donne lo sanno bene: ciò che a loro stava più a cuore ed equiparava l’Italia ad altri Paesi occidentali sviluppati è sempre stato materia di scontri, di lotte per la sopraffazione partitica, di indifferenza verso la gente ma di ostilità verso gli avversari politici. Spesso invano. Adesso i gay stanno diventando i nuovi bersagli, come anche alcune singole persone: si può prendersela con Roberto Saviano di «Gomorra» minacciato di morte che ha bisogno di protezione, si può chiedere che gli venga tolta la scorta?

Secondo e più importante problema: perché vengono aggrediti i gay, oltre alle donne? Sarebbe da sciocchi ignoranti sostenere (stranieri a parte) che alcune fasce di italiani si sono fatte più feroci, intolleranti e avvelenate di pregiudizi: ma è vero che proprio leader politici danno cattivi esempi, è vero che una cultura aggressiva e sprezzante degli altri esercita la propria influenza, è vero che l’arroganza di certi governi ha legittimato le persone peggiori, ha permesso alle peggiori pulsioni di manifestarsi e di rivendicare se stesse, ha tentato di ridicolizzare i comportamenti libertari, tolleranti, solidali, altruisti. Il sordido gioco di accanirsi sui socialmente più deboli non riguarda soltanto i politici.

Terzo problema: la mancanza di atmosfera utile, di incoraggiamento e di mezzi per fare sì che gli aggressori delle donne e dei gay vengano arrestati e processati, non restino perlopiù impuniti; oppure che le pressioni politico-mediatiche provochino soluzioni sbrigative e sbagliate. Se alla polizia mancano le auto, la benzina, gli agenti sufficienti, il tempo, il modo per conoscere il territorio e i suoi abitanti, è comprensibile che non si concentri sui guai delle persone comuni, in quest’Italia d’autunno.

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