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Autore Discussione: LIETTA TORNABUONI  (Letto 59664 volte)
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« Risposta #30 inserito:: Febbraio 05, 2009, 10:24:30 am »

5/2/2009 - PERSONE
 
Come nel '29? Meglio finirla con le bugie
 
 
LIETTA TORNABUONI
 

Come nel ’29. Come nel 1982. Come nel ’98. Nei discorsi ufficiali si cercano analogie per rassicurare la gente sugli effetti della crisi, per familiarizzarla con l’idea: vedete, non è una novità, è già successo eppure siamo ancora qui e non stiamo peggio, passerà... Ma la memoria gioca brutti scherzi: le situazioni sono dissimili, soltanto la Grande Depressione del 1929 era internazionale ma pochi di noi possono ricordarla; gli altri momenti difficili sono svaniti, forse qualcuno neppure se n’è accorto. L’esercizio di stabilire similitudini non serve, non funziona. Anche rispetto alle crisi meno remote, tracciare paralleli che eventualmente possano consolare è del tutto inutile: il mondo cambia con troppa rapidità, condizioni diverse raramente sono paragonabili, il timore è più forte del ragionamento.

Non sempre, però. Moltissime persone non credono affatto nella crisi: se le aziende licenziano oppure tagliano i compensi, spesso si pensa che lo facciano non perché costrette dalla crisi, ma per approfittarne e pagare meno. Moltissime persone pensano che le aziende potrebbero invece rinunciare a una parte dei profitti per proteggere il lavoro e i dipendenti, anziché tagliare e tagliare per salvaguardare il proprio guadagno magari a costo di limitare controlli e prevenzione; oppure che potrebbero fare a meno, in una prospettiva negativa, di liquidare e vendere, comunque di rinunciare e smettere. Pensieri simili acuiscono il timore del futuro, possono provocare quei moti sociali che spaventano i governi europei: e tuttavia sono ineliminabili, per la fondata diffidenza dei lavoratori verso i loro datori di lavoro.

Son pensieri che non somigliano a quelli dei governanti. Fa una certa (forte) impressione sentire alla tv i governanti (modesti, a livello sottosegretari, perché il presidente del Consiglio ha proibito ai ministri di discutere in televisione e loro come sempre obbediscono, limitandosi a dichiarazioni solitarie senza interlocutori che possano obiettare o dare torto). I sottosegretari sono ancora lì a chiedersi l’un l’altro sotto i riflettori: che fare per la crisi? Come uscirne?.

da lastampa.it
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« Risposta #31 inserito:: Febbraio 12, 2009, 11:03:08 am »

12/2/2009 - PERSONE
 
Oggi sì domani no
 
LIETTA TORNABUONI
 

Che cosa non fa lo squattrinato in tempo di crisi? Non cambia l’automobile né la motocicletta. Non ristruttura la casa, non compera arredamenti. Non acquista nuovi elettrodomestici. Quindi i complicati bonus stabiliti dal governo non aiutano i bisognosi ma rappresentano soltanto un favore alle aziende e alla fascia sociale prediletta dei benestanti. Per quanto riguarda le aziende nessuna obiezione, a parte la meschinità della mancia-aiutino: ma perché non dirlo? Perché tentare di far passare la decisione come un dono alle persone? Dono ben misero, comunque: per i settori auto, moto, elettrodomestici, mobili lo stanziamento è di due miliardi mentre la Francia destina sei miliardi unicamente all’auto. Perché mentire, allora? Il binomio promessa-smentita, affermazione-negazione, dichiarazione-correzione è talmente abituale nell’oratoria del presidente del Consiglio. L’altro giorno ha detto che la Costituzione italiana è stata elaborata e approvata nello spirito delle legislazioni sovietiche, che non vale nulla, che da un pezzo è l’ora di modificarla. Chi l’ha sentito alla tv è rimasto senza fiato, e con il cuore stretto dal timore. Inutile ansia: la mattina dopo ha subito detto il contrario. Fino a qualche tempo fa si scusava, assicurava di essere stato frainteso. Adesso, niente. Con straordinaria impassibilità, si limita ad affermare il contrario del giorno prima: nessuno più di me rispetta e onora la Costituzione.

Sempre l’altro giorno decide di risolvere il caso della povera Eluana con un decreto-legge governativo (come se il governo potesse diventare arbitro della vita e della morte di una persona) e siccome il Presidente della Repubblica giustamente non lo firma, è un miracolo se non gli dà dell’assassino. L’indomani invece loda i suoi ottimi rapporti con il Presidente della Repubblica, si augura che restino sempre tali. E via così: ma voi vedete in che mani siamo.
 
da lastampa.it
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« Risposta #32 inserito:: Febbraio 26, 2009, 03:43:37 pm »

26/2/2009 - PERSONE
 
Pre-potenza dell'immagine
 
LIETTA TORNABUONI
 
E tre. Per la terza volta nell’ultimo tempo, si è avuta conferma della pre-potenza dell’immagine rispetto alla realtà, dell’apparenza rispetto alla sostanza. Stavolta è per il festival di Sanremo: milioni di ascoltatori, omaggi, apprezzamenti, lodi sperticate soprattutto da parte dell’invadente Bonolis (abbiamo fatto un magnifico lavoro, l’eccellenza italiana, l’omaggio alla musica universale e via esagerando; ma le lodi non venivano solo da lui, sono state unanimi quanto l’ignoranza dei pasticci). E poi risulta che lo spettacolo è in rosso, che ha perduto diversi milioni. Non vuol dire molto, il modo di valutazione televisivo è del tutto particolare: però all’immagine trionfale corrisponde una realtà meno esaltante.

Alcuni pensano che sia accaduto qualcosa di analogo per l’elezione di Barack Obama alla presidenza degli Stati Uniti. Ritengono che l’America non abbia vinto in questa occasione l’antico pregiudizio verso i neri, ma che l’immagine (un uomo ancora giovane, elegante, energico, sorridente, con una simpatica famiglia) si sia mostrata più forte del pregiudizio. Succede continuamente. Accade per quanto riguarda la cronaca nera. Inutile informare la gente che gli stupri vengono commessi da italiani in sei casi su dieci, che gli atti di delinquenza in genere seguono la stessa proporzione: nulla al mondo convincerà a credere che i colpevoli di tutto non siano comunque e sempre gli immigrati stranieri.

Accade qualcosa di simile per Berlusconi: invano l’opposizione ne condanna le leggi a misura personale, la trascuratezza verso la Costituzione, le decisioni individuali che ignorano e disprezzano un referendum popolare (è il caso delle centrali nucleari, bandite da un referendum e adesso ritirate fuori per volontà sovrana come se nulla fosse). Lui agisce così, e un po’ meno della metà degli elettori italiani seguita nonostante tutto a votarlo. Ma forse non è un meccanismo infrangibile. Il capitalismo della finanza pareva trionfante e onnipotente, intoccabile: adesso è nella crisi-disastro più rovinosa, si teme per le banche e le imprese, si invoca un mutamento delle regole. Può darsi che con la pre-potenza dell’immagine finisca lo stesso.

da lastampa.it
 
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« Risposta #33 inserito:: Marzo 05, 2009, 09:21:10 am »

5/3/2009
 
Lui e lei senza parità
 
 
LIETTA TORNABUONI
 
Si potrebbe anche essere d’accordo sulla decisione europea di parificare a 65 anni l’età della pensione per uomini e donne, se tra i lavoratori statali dei due sessi ci fosse una qualche parità. Ma questa parità non esiste. Le donne fanno una fatica doppia, all’impiego e in casa. Pulire, cucinare, fare la spesa e il bucato, stirare, badare ai figli, non sono un lavoro quotidiano? Cosa credono all’Unione Europea e adesso anche in Italia, che ogni lavoratrice statale abbia cuoca, cameriera e governante? La doppia attività logora le donne ben prima dei 60 o 65 anni. È un’idea piuttosto infame voler risparmiare in tempo di crisi dai 315 ai 517 milioni di euro in questa maniera, sfruttando la fatica femminile in più: oppure bisognerebbe accompagnare l’equiparazione dell’età di pensione con una legge internazionale secondo cui i lavori domestici dovrebbero essere fatti da donne e uomini alla pari.

Non c’è da contarci, e del resto chissà quanto tempo dovrebbe passare per abituare gli uomini a non venir serviti né liberati da ogni responsabilità, o a dover pagare un’altra lavoratrice domestica. Nella vicenda, comunque, quello che colpisce di più è che la condizione reale delle donne venga così facilmente dimenticata, messa da parte, trascurata come se non la si conoscesse e non se ne fruisse. Colpisce che si faccia appello a un concetto di parità astratto, che si rivendichi «uomini e donne sono uguali» senza valutare in alcun modo la condizione e la fatica femminile: vuol dire che non soltanto il lavoro domestico non viene valutato come se non garantisse il funzionamento famigliare, ma che neanche viene rispettato, insieme con chi lo fa. Per degli organismi internazionali, è un brutto atteggiamento: e lascia anche pensare che tutte le sempiterne chiacchiere sul salario domestico, in Italia e altrove, non abbiano mai avuto nessuna concretezza, fossero una presa in giro.

Chiunque abbia visto una donna doppia lavoratrice alla fine d’un giorno, conosce quello sguardo atono, quelle spalle curve, quella faccia segnata dall’affanno, quelle membra sfinite: ma molti politici, evidentemente, sono ciechi.

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« Risposta #34 inserito:: Marzo 12, 2009, 11:10:28 am »

12/3/2009 - PERSONE
 
Per favore non mandate i bacetti

 
LIETTA TORNABUONI
 
L e tecniche più usate per mandare baci sono tre: l’operatore si bacia la punta delle dita e invia il bacio verso il destinatario; l’operatore si copre il centro della faccia con il palmo delle mani, poi fa esplodere il bacio; l’operatore si bacia un palmo delle mani (quasi sempre la destra), lo investe con un soffio potente e fa volare il bacio verso l’interlocutore. A volte (spesso) il lancio del bacio è accompagnato da una smorfietta, un arricciarsi rafforzativo delle labbra. Naturalmente esistono altre tecniche, personalizzate oppure no: ma queste sono le più frequenti. Vengono usate dal palcoscenico o dallo schermo televisivo verso il pubblico plaudente; dagli artisti, dagli oratori, dagli sportivi, dagli amanti, da chi rimane a terra verso i partenti, dai parenti, dalle amiche; è già miracoloso che non mandino baci pure i soldati o gli ufficiali in divisa.

E’ un segno di gratitudine o di saluto, si capisce. Ma, francamente, perché mandare baci o bacetti? Per il bisogno di compiere un gesto fisico, di esprimersi con qualcosa di concreto, come càpita con gli applausi ai matrimoni o ai funerali? Perché le parole (o i silenzi) paiono troppo modesti, poco eloquenti, poco partecipativi? Perché si tende a trasformare gli scarsi riti della vita quotidiana in spettacoli o casini? Perché non si fa caso alla natura leziosa, settecentesca e manierata del bacetto volante? Perché non si riflette sugli usi sciocchi e inutili che chissà come si sono introdotti nel nostro modo di fare?

L’invio (formale) del bacio è uno dei più recenti insieme con gli applausi in chiesa: farne meno non sarebbe male. L’applauso, specialmente a un funerale, ha qualcosa di grottesco. Come se in certo modo si volesse lodare il morto: e per cosa? Perché è morto o per l’insieme della sua vita, per dargli insomma una specie di premio alla terminata carriera di essere umano? Il lancio del bacio, a seconda delle circostanze, è altrettanto lezioso. Tutti e due gli usi perseguono magari inconsapevolmente lo scopo di mettersi in mostra nell’occasione di un raduno sociale. Ma andiamo, su. Se proprio volessimo metterci in evidenza, facciamo piuttosto qualcosa che meriti attenzione, ammirazione.
 
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« Risposta #35 inserito:: Marzo 26, 2009, 10:30:11 am »

26/3/2009 - PERSONE
 
Che cosa mettersi in testa

 
LIETTA TORNABUONI
 
Almeno in questa settimana, non c’è immagine più eloquente: il presidente del Consiglio con un allegro berretto da ferroviere in testa che parla ai giornalisti di un piano-casa onirico ritirato dopo poche ore. Un’immagine che condensa diverse caratteristiche dell’uomo: innanzi tutto, la voglia di scherzare per rendersi simpatico, come tanti politici. Non esiste capo di Stato che non abbia adottato brevemente e opportunisticamente un qualche copricapo anomalo: i presidenti americani, per dire, hanno portato caschi da lavoro, cappellini da sport, ornamenti indiani di piume, berretti da soldato, zucchetti ebraici; Mussolini metteva volentieri cappelli bianchi con visiera da ufficiale di Marina. Ridicolo, magari innocuo: i difetti politici non sono certo questi, il cattivo gusto non è reato né peccato, la smania di consenso è connaturata ad alcune carriere politiche.

Il copricapo anomalo è meno innocente quando si accompagna a discorsi insostenibili. Quello sul piano-casa è esemplare. Il progetto è stato trionfalmente esposto con la sicurezza tipica di chi riferisce idee altrui: con una leggerezza, una mancanza di controllo, una irresponsabilità rare. Senza riflettere su nulla: se il progetto fosse legale o costituzionale, se esigesse oppure no l’approvazione delle autorità comunali e regionali; se non presentasse il rischio di trasformare il Paese in un casino architettonico e in una sterminata palestra di litigi; se risultasse a favore dei cittadini (in periodi squattrinati l’ultima cosa a cui si pensa è ad ampliare la casa) o piuttosto a favore dei costruttori.

Siccome non viviamo in una dittatura capricciosa, il piano-casa è stato infatti censurato e limitato fin quasi a scomparire. L’ennesina stupidaggine governativa è stata quasi messa da parte, in ogni caso ridimensionata al massimo, riservata soltanto a ville e villette monofamigliari. Una simile figuraccia non ha apparentemente turbato il presidente del Consiglio né i suoi fans: restava sempre l’allegro berretto da ferroviere.
 
 
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« Risposta #36 inserito:: Aprile 09, 2009, 11:08:32 am »

9/4/2009 - PERSONE
 
Tenori, baritoni mezzosoprani
 
LIETTA TORNABUONI
 
Meno male che in questi giorni tragici del terremoto dell’Aquila si sono ragionevolmente azzittiti, lasciando spazio alle vittime e ai cronisti. Ci mancava soltanto di dover stare a sentire Buonaiuti, Cicchitto, Italo l’Innominabile, Quagliariello, magari Gasparri: insomma i portavoce del governo, i portaparola, i difensori d’ufficio. A volte si esprimono in parecchi, e allora è tremendo sentir ripetere da tutti le stesse cose, sempre quelle, come se tutti avessero nel torace il medesimo nastro preregistrato, con la sola differenza dei toni della voce: tenore, baritono, mezzo-soprano (pur essendo quest’ultimo un tono femminile, molti uomini lo hanno). Hanno provato a concentrarli nel limitato territorio telegiornalistico della nota politica, ma è servito a poco.

Naturalmente tutti i governi dispongono di portavoce: è logico, necessario, il primo ministro non può passare la vita ai microfoni della tv né è sempre opportuno che sia lui a dire alcune cose. Ma in genere il portavoce del governo è uno mentre da noi, sempre speciali, il portavoce è una piccola folla e tutti i parlatori che la compongono devono parlare ogni volta uno dopo l’altro, senza che il discorsetto cambi granché. Va già bene. In passato era peggio: prima, in tempi di più variata coalizione di centrodestra, ciascuno esponeva le proprie sfumature, cercava di prendere il sopravvento, utilizzava marcatamente il proprio (diciamo) stile personale al di là d’una certa comune untuosità. C’era chi tentava di fare lo spiritoso o l’ironico, c’erano il pomposo, il rabbioso, il pastoso, l’impetuoso. Prima insolentivano, attaccavano, litigavano; adesso hanno capito che l’aggressività non è producente e spesso infastidisce gli ascoltatori (in mancanza di interlocutori diretti, poi, contro chi essere aggressivi senza che risulti un esercizio solitario?). Hanno cambiato, adottando un modo di parlare pacato, monotono, controllato, di toni bassi e un poco frettolosi, appena venati di faticata pazienza e di disprezzo: meno fastidioso, però impraticabile in momenti davvero gravi. Cosa possono pensare gli ascoltatori-spettatori, che i portavoce se ne freghino di tutti, che tutto adottassero tranne la sincerità? È in ogni caso possibile che adesso, con la creazione d’un partito unico, le cose subiscano un mutamento, che i portavoce diventino solo due come sarebbe ovvio. Troppo bello, meglio non farsi illusioni, magari non succederà.

 
da lastampa.it
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« Risposta #37 inserito:: Aprile 19, 2009, 05:08:31 pm »

16/4/2009 - PERSONE
 
La censura nasconde code di paglia
 
 
LIETTA TORNABUONI
 
Dicono che il governo abbia progettato, nell’idea di raccogliere il 51% dei voti, di avere prima delle elezioni giornalisti favorevoli in ogni punto-chiave dell’informazione, cartacea o televisiva che sia: e dev’essere vero, perché soltanto questo può spiegare il casino censorio sollevato da governativi e filogovernativi intorno a una puntata del programma tv AnnoZero e al suo conduttore Michele Santoro. Se poi quest’ultimo episodio viene accostato a quello del vescovo negazionista inglese, siamo davvero ben presi.

AnnoZero ha criticato l’azione di soccorso dei primi due giorni dopo il terremoto d’Abruzzo. E allora? Gli altri mezzi di comunicazione hanno invece coperto di lodi quell’azione, l’hanno descritta come tempestiva, provvida, efficace e generosa. E allora? Dobbiamo giudicare e parlare tutti nella stessa maniera, in omaggio al pensiero unico, al governo e a Bertolaso? Dobbiamo tutti far parte del coro? Può darsi che i terremotati interrogati dalla trasmissione, sconvolti dalla propria situazione, abbiano sbagliato. E allora? Se qualcuno eventualmente sbaglia, lo si può correggere, come diceva il papa Wojtyla, e contrastare: ma cosa significa montare uno scandalo, parlare di «faziosità» e di «indecenza», scegliere Santoro come bersaglio, tirar fuori i doveri del servizio pubblico? Significa censura. Pulsioni contro la libertà d’espressione, limitazioni del diritto a esprimere il proprio pensiero.

Con il vescovo inglese non è stato diverso. Il vescovo di estrema destra negazionista, appena liberato con altri dalla scomunica per volontà del papa Benedetto, ha detto che nei lager nazisti i forni crematori non sono mai esistiti né mai hanno funzionato. E allora? Ha detto una stupidaggine, una bislacca bugia, e lo sanno tutti: la Storia, i sopravvissuti, i documenti fotografici e cinematografici, tutto lo testimonia. E allora? Il vescovo ha detto una sciocchezza, se vale la pena si può smentirlo, se no si può lasciarlo perdere: ma cosa significa montare uno scandalo, da parte degli israeliani esigere dal Vaticano scuse e richieste di perdono? Significa sfruttamento politico e censura.

Una simile furia censoria mette paura: non soltanto è qualcosa di profondamente antidemocratico, rivela pure nelle nostre gerarchie una insicurezza che tollera esclusivamente l’unanimità, che scopre terribili code di paglia.
 
da lastampa.it
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« Risposta #38 inserito:: Aprile 23, 2009, 10:38:46 am »

23/4/2009 - PERSONE


Telelemosina esagerata
   
LIETTA TORNABUONI


Chiunque siano e chiunque sia il loro protettore, da ovunque vengano, i nuovi dirigenti della Rai-tv dovranno forse riflettere su un nuovo fenomeno: la telelemosina. Come non bastasse la pubblicità aziendale ed esterna, che sembra andare molto oltre i limiti consentiti: spot di fiction o show imminenti, presenti, futuri; protagonisti invitati ai talk-show pomeridiani per lodare il proprio lavoro; spot esterni trasmessi con una frequenza incalzante. A tutto questo, forse illegale e comunque molto fastidioso per i telespettatori, s’è unita impetuosamente la telelemosina.

Compiere un atto di generosità verso i terremotati d’Abruzzo è giusto, naturale da chiedere e da fare. Ma il resto? Le più tremende malattie e disgrazie si affastellano sui nostri teleschermi, usurpando gli spazi destinati all’informazione e all’intrattenimento: sclerosi, disturbi del cuore, affezioni rare infantili oppure no, problemi di circolazione, bisogni dei bambini nati da donne africane malate di Aids, necessità di bambini africani semplici, protezione delle schiave nere o asiatiche, ricerche sui tumori e altri morbi fatali o quasi. Per tutti si chiede in continuazione un euro da cellulare, due euro da telefono fisso, numerosi euro in conto corrente. Dicono «solidarietà», «contributo», «aiuto», «sostegno», ma in concreto semplicemente chiedono e chiedono soldi.

Naturalmente, soprattutto gli autentici telespettatori si accorgono di tutto ciò: non certo i politici o i giornalisti che guardano di corsa un telegiornale o una notizia, per rivedersi o per dovere professionale; né i distratti che si muovono, fanno altre cose, vanno in altre stanze e poi si lamentano: «Ho infrasentito», «ho sentito con mezzo orecchio». Il vero telespettatore è ormai all’esasperazione: oltre tutto, quel groviglio continuo di sventure e malattie dà l’impressione d’un mondo nerissimo; trasforma in tragedia dolorosa ogni seduta di svago o d’informazione; massacra la Rai spingendo gli spettatori verso le reti Mediaset o La7. Forse i nuovi dirigenti potrebbero intervenire e, se non abolire simili comunicazioni, dosarle almeno con un poco di misura, evitando di far pensare che con il canone ci si è pagati forme di mendicità permanente, di accattonaggio perenne.

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« Risposta #39 inserito:: Maggio 08, 2009, 05:03:42 pm »

7/5/2009 - PERSONE


Tutto sotto controllo
   
LIETTA TORNABUONI


E dài. Il meccanismo governativo si mette ancora una volta in funzione per la febbre suina. Arrivano le prime notizie dal mondo, e subito il ministro assicura che in Italia i rischi sono minimi, quasi inesistenti, che in ogni caso siamo preparati ad affrontare l’epidemia (come? con il vaccino che non c’è, o con gli scongiuri?), che «è tutto sotto controllo». Passano due giorni, la malattia si espande e noi (fortunati, miracolati?) non abbiamo secondo il governo nulla da temere. Si segnalano i primi casi italiani: «Sono già guariti, già dimessi dall’ospedale», garantisce il ministro. Non è vero, ma con la bugia tutto sèguita a essere «sotto controllo»: come poi sarebbe possibile controllare una malattia infettiva internazionale che provoca tanti morti, non si capisce. Non è andata troppo diversamente con il terremoto d’Abruzzo. All’inizio, più veloce della luce, con foga elettorale Berlusconi ha assicurato «tutto è sotto controllo». Una forza della Natura, il terremoto, controllabile? È passato un mese e le scosse dello sciame sismico non danno tregua. Berlusconi s’era spinto ad affermare che il governo non voleva per i terremotati un periodo di abitazioni provvisorie («sappiamo per esperienza che poi ci restano per anni»): dopo un paio di settimane già parlava di chalettopoli, di casette di legno «transitorie», garantendo che sarebbero state consegnate a tutte le famiglie prima dell’inverno, a settembre; adesso la data è diventata settembre-dicembre.

Altro che «sotto controllo». È difficile capire perché il governo, in circostanze simili, faccia lo sbruffone in modo così evidente. Si può comprendere il desiderio di contrastare l’eventuale panico, di rassicurare la gente, di evitare guai: ma quando le proclamate garanzie sono assurde rispetto all’evento a cui si riferiscono, quando bastano pochi giorni a smentirle concretamente, la faccenda cambia. Diventano menzogne, e così incoraggiano delusioni, rancori, sfiducia, disprezzo. Il ricordo degli atteggiamenti governativi di provvida onnipotenza fa presto a svanire, neppure dura fino alle elezioni. Il comportamento da «faccio tutto io» si trasforma nella ridicolaggine del commendator Tino Scotti, se non in una più grave truffa ai danni della gente. «Tutto sotto controllo» non soltanto è quasi sempre una bugia clamorosa nel nostro mondo caotico, ma diventa una crudele presa in giro.

da lastampa.it
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« Risposta #40 inserito:: Maggio 14, 2009, 11:54:08 am »

14/5/2009 - PERSONE
 
La vita in tempo di crisi
 

LIETTA TORNABUONI
 
Chissà se qualcuno, oltre gli interessati, riflette al modo in cui si vive in tempo di crisi, se non si è ricchi o ladri ma lavoratori dipendenti. L’arrivo dello stipendio o del salario è il momento migliore del mese, l’unica tregua, ma finisce subito: quando hai pagato le spese fisse incombenti rimane poco, molto poco. Anche chi prima spendeva o compilava assegni con disinvoltura, adesso lo fa con attenzione, con timore quasi, come se la cura nell’allineare cifre potesse aiutare. Si decide di risparmiare sul mangiare, ma non serve a molto: mancano ancora i soldi per le bollette (telefono, elettricità, gas) che spesso arrivano a metà mese e che già non si sa come pagare. Scarpe e vestiti non ne parliamo, restano quelli di due o più anni fa. Ma la penuria rappresenta un pensiero continuo ineliminabile, un almanaccare senza soluzione che dà amarezza perenne. Ai figli non si può dare che l’assolutamente necessario. Si spera che non succeda nulla (una malattia, uno scontro): non si saprebbe come affrontare gli imprevisti. L’umore rimane teso, tetro, e peggiora quando arriva il periodo delle tasse. Si dorme in lenzuola logore, rammendate in qualche punto: bisognerebbe comprarne di nuove, ma come si fa? Quando si sente qualcuno che obietta: ma i ristoranti sono sempre pieni, la gente viaggia, fa i week-end, va in crociera, si risponde con asprezza che non sono certo i ladri a mancare, nel nostro Paese.

Con la testa così occupata ad arrangiarsi o a rinviare, così ingombra di pensieri molesti, riflettere sulla politica e sulle elezioni è quasi impossibile: al massimo scappa qualche moto di esasperazione o qualche insulto, di fronte al parlare promettente, ipocrita e pomposo che è proprio dei governanti. Le disposizioni a favore dei poveri elaborate dal governo sono talmente complicate e difficili, prevedono una tale quantità di trappole, condizioni e obblighi in cambio d’una scarsa elemosina, che passa la voglia anche di provarci. È una vita brutta; ce ne sono di peggiori, ma anche questa è pessima.
 
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« Risposta #41 inserito:: Maggio 21, 2009, 02:54:26 pm »

21/5/2009 - PERSONE

Segni segnali simboli
   
LIETTA TORNABUONI


Strano: quando si tratta di fatti personali (corruzione o seduzione che sia) il tono è violento, minaccioso, anche sgangherato; quando invece l’argomento è la crisi finanziario-economica, sembra che il governo e il suo presidente vivano in un universo flou, vago, ultraterreno. Segni, segnali, simboli, sensazioni, percezioni: mai nulla di esatto e reale. Dalla crisi non siamo ancora fuori, non possiamo affermare di averla già alle spalle, sostiene Berlusconi, ma molti segni indicano che la direzione verso cui andiamo sia proprio quella. Segni? Quali segni? Non si sa. Segni.

Arrivano numerosi segnali di ripresa, dice un ministro. Ah, sì? E sarebbero, questi numerosi segnali? Da dove arrivano, poi, e a chi? Mah. Si conosce la natura dei segnali: è indefinita, incorporea. Gli italiani, dice un altro ministro, col bel tempo e con il caldo esagerato di questi giorni pensano sempre più alle vacanze d’estate: un simbolo del fatto che la loro condizione non è oggi peggiore rispetto a quella di tre, quattro anni fa. Ma pensare all’estate non vuol dire programmare soggiorni e i simboli, si sa, non sono concreti. Terzo ministro: la sensazione è che la crisi sia nella sua fase discendente. Quarto ministro: è facile percepire che ne usciremo prima e meglio d’altri Paesi. E da cosa nasce tanta sensibilità, una percezione così netta? Va’ a sapere. Da nulla, probabilmente, se non dalla facile comodità del parlare ambiguo, impreciso, senza notizie, non impegnativo, smentibile ad ogni istante: come medium in trance, come discutibili lettori di tarocchi, come portavoce dall’aldilà. Segni, segnali, simboli, sensazioni si infittiscono quanto più ci si avvicina alle elezioni. Mettiamo sia vero che gli elettori si interessino poco o niente al Parlamento europeo. Mettiamo che abbiano altro (i soldi) a cui pensare e di cui preoccuparsi. Che cosa induce allora i governanti a rivolgersi a loro in termini astratti? L’impossibilità di essere concreti, magari? Oppure l’illusione di venir creduti, almeno quando fanno discorsi magici?

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« Risposta #42 inserito:: Maggio 28, 2009, 09:54:14 am »

28/5/2009 - PERSONE
 
Chi odia chi e perché
 

LIETTA TORNABUONI
 
Togliatti e mio nonno litigavano moltissimo, tanto tempo fa. Togliatti era ovviamente il segretario generale del partito comunista italiano e, allora, ministro di Grazia e Giustizia. Mio nonno Dante Veroni era deputato della Democrazia del lavoro, un piccolo partito laico, e sottosegretario alla Giustizia. Togliatti e lui si stimavano molto, ma litigavano di continuo. Togliatti aveva verso la democrazia cristiana e la destra atteggiamenti non tolleranti ma politici, desiderava collaborazione più che disdegno, pensava alla sopravvivenza e alle conquiste politiche dei comunisti, temeva quanto accadeva in Grecia con la messa fuori legge dei comunisti. Mio nonno detestava democristiani e destre, aveva saldi principii democratici e laici. Quando arrivarono la conferma nella Costituzione dei Patti Lateranensi o l’amnistia per i fascisti, apriti cielo.

Sin da allora, l’odio da cui Berlusconi lamenta d’essere assediato da parte dell’opposizione di sinistra non esisteva affatto. Non c’è mai stato neppure adesso: i favori legislativi resi dalla sinistra a Berlusconi sono anzi strepitosi, vanno ben oltre la questione pure essenziale del conflitto d’interessi. La sinistra non è mai stata indifferente al consenso popolare raccolto da Berlusconi, non ha mai pensato che Berlusconi non fosse la causa ma il sintomo d’una condizione italiana, non ha mai creduto che la gente lo votasse perché lo trova divertente. L’odio è un sentimento di élite. Gli unici che hanno odiato e forse odiano ancora Berlusconi, perché si vergognano di lui e della fama ridicola che riverbera sul Paese, sono altri. Sono quelli simili a mio nonno. Persone rigorose, rette, di buona educazione, colte, fedeli ai principii, rispettosi della forma (anche troppo), borghesi sprezzanti, convinti che il comando nel Paese spetti a gente non diversa da loro. «Persone da Partito d’Azione», si diceva. Democratici assoluti ma conservatori, a volte reazionari. Ovvio aggiungere che queste persone sono poche, e saranno sempre di meno man mano che la ferocia, la truffa e la rozzezza fanno in Italia passi da gigante. Pure il famoso odio andrà quindi attenuandosi. E se nel frattempo Berlusconi la piantasse di commettere scorrettezze che possono renderlo detestabile? Non c’è da contarci. A quell’età non si cambia.
 
da lastampa.it
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« Risposta #43 inserito:: Giugno 06, 2009, 05:40:15 pm »

4/6/2009 - PERSONE
 
Nella città blindata
 

LIETTA TORNABUONI
 
Roma è sempre stata luogo di manifestazioni di protesta, convegni internazionali, grandi partite di calcio, incontri al vertice, pellegrinaggi, feste: un po’ è la capitale italiana sede del governo, del Parlamento, anche del Vaticano, del Papa; un po’ è bellissima e fa piacere vederla o rivederla. Naturalmente i romani si sono sempre lagnati («città disgraziata», «città maledetta» delle sistematiche invasioni di visitatori, dei cortei turistici preceduti da bandierina e portabandiera che occupano i marciapiedi, delle sfilate ingombranti, delle masse di fedeli cattolici che prendono ogni spazio negli autobus: ma incidenti o guai ne sono accaduti molto di rado.

Da qualche tempo però, diciamo da quando il sindaco della città e il ministro dell’Interno sono di centrodestra, qualcosa è cambiato. Roma sembra trasformata nella prima trincea di un Paese in guerra. Ogni volta che deve accadere qualcosa (ossia sempre) comincia una preparazione para-bellica: i cronisti paiono rigirarsi in bocca con delizia la parola «blindata», ma il termine non è usato a vanvera. In realtà, il sistema per proteggere i diversi eventi non sembra quello ragionevole di cercar di conciliare esigenze dei romani ed esigenze dell’evento. Semplicemente, i cittadini vengono espulsi, come fossero tutti infetti o delinquenti, da barriere, posti di blocco, divieti, cartelli imperiosi, nastri bicolori, uomini armati. Roma nei giorni scorsi (G8 speciale, partita internazionale, cortei studenteschi, sfilata del 2 giugno eccetera) pareva Mosca durante le Olimpiadi, quando i moscoviti vennero mandati fuori per non disturbare né mostrare spettacoli inverecondi né parlare con gli stranieri, e la città si presentava vuota, spopolata.

Nonostante la blindatura, per fortuna non è successo nulla, nella Roma abituata da secoli: e le autorità l’hanno riferito trionfalmente, come fosse merito loro. Ma è un teatrino. Oppure è una mentalità, più che da governanti dilettanti, da vecchi padroni: per i quali ogni presenza popolare è fastidiosa o rischiosa, va evitata, e l’unico posto dove la gente può stare è a casa, a letto, a dormire per riprendere forze e tornare a lavorare domattina.
 
da lastampa.it
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« Risposta #44 inserito:: Giugno 11, 2009, 05:47:09 pm »

11/6/2009 - PERSONE
 
Nostri soldi quotidiani
 
 
LIETTA TORNABUONI
 
Parliamo sempre di soldi e se ne parliamo, ovvio, è perché ci mancano, non ci bastano, non ne abbiamo, non sappiamo dove e a quale prezzo trovarne in prestito. Per via dei soldi (come capitava un tempo per la politica) si rompono amicizie, si spezzano legami famigliari, ci si perde di vista dalla paura d’una richiesta di aiuto. Ma c’è di più: a parte la natura ossessiva dei discorsi, i soldi cambiano la mentalità.

Vedendo un film, possiamo essere portati a identificarci con i finanziatori: e certo, l’hanno fatto così per cercar di incassare cinque milioni di euro come l’anno scorso, guadagnarci meno sarebbe stato un guaio e si capisce che per dare certe garanzie il film dovrà essere scemo e volgare, si sa com’è la gente. Comprando mele e trovandole dure, acerbe e insipide, possiamo sentirci dalla parte del fruttivendolo: e certo, se le mettono in vendita mature rischiano di doverle buttare quasi marce, e quanto ci rimettono? Scegliendo un libro ne comprendiamo il costo grottescamente alto: e certo, se ne vendono pochi quindi li debbono far pagare di più. Scompare la tradizionale ostilità verso il negoziante o il venditore: ne comprendiamo benissimo le esigenze, ne condividiamo le preoccupazioni e persino l’ingiusto sfruttamento della clientela. Come se fossimo, diciamo, tutti economisti, gli ultimi a cui pensiamo siamo noi stessi.

Una alterazione simile ha le sue ragioni e le sue origini, che stanno soprattutto nello stile di comunicazione dei media. Ogni televisione, radio, giornale quotidiano o settimanale si occupa dei problemi economici assumendo il punto di vista governativo e nazionale. Delle persone o delle famiglie parlano davvero in pochi, o spesso se ne parla in termini generici («fascia debole, settore svantaggiato, comunità colpita») nei quali non ci si riconosce, nei discorsi elettorali, nell’oratoria politica che esclude ogni ascoltatore. Veniamo quasi costretti dallo stile governativo dei media che si prendono per presidenti a ignorare noi stessi, come se la nostra realtà non fosse autentica, urgente: e poi ci ritroviamo ad allineare in una breve fila gli ultimi euro rimasti nel borsellino.
 
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