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Autore Discussione: Moretti snobba la Ventura e le nega il suo Festival  (Letto 2241 volte)
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« inserito:: Novembre 26, 2007, 06:50:46 pm »

26/11/2007 (8:0) - RETROSCENA
 
Moretti snobba la Ventura e le nega il suo Festival

Declinato il collegamento domenicale con Raidue

GABRIELE FERRARIS

TORINO


Da Fazio sì, dalla Ventura no: ieri il Festival di Nanni Moretti ha ribadito la sua diversità con una scelta di campo televisivo chiara e anche rischiosa; senza calcoli di audience, ma soltanto di omogeneità, di appartenenza, di weltanschauung.

Alle cinque del pomeriggio Wim Wenders ha lasciato il suo albergo torinese diretto a Milano, per partecipare, testimonial illustre del Tff, a Che tempo che fa. Appunto, la «visibilità» di cui tanto s’è parlato, che la direzione Moretti ha portato, che il Festival adesso mette a frutto. Ma con dignità.

Alla stessa ora, difatti, Nanni Moretti non era a Quelli che... Dalla redazione di Simona Ventura era arrivata una proposta di quelle che molti sognano, e pochi oserebbero rifiutare: un collegamento con il direttore, per parlare del Festival in uno dei programmi più seguiti della domenica televisiva. Una proposta che il Festival ha ritenuto di declinare. Con sabauda cortesia, con sabauda fermezza. Grazie, no; purtroppo abbiamo altri impegni. Ieri pomeriggio Moretti non sembrava, per la verità, troppo impegnato. O forse no, forse era davvero impegnato: gironzolava davanti al cinema Massimo, chiacchierava con gli spettatori, presentava il film di una regista italiana. Faceva il suo mestiere di direttore del Festival.

Il messaggio è chiaro: il Festival di Torino ha un suo stile, e intende mantenerlo. Anche a costo di rinunciare a dosi - magari massicce - di pur preziosa «visibilità». Un conto è portare Wim Wenders alla corte di Fabio Fazio, dove passano Premi Nobel e fini intellettuali, musicisti di culto e scrittori non banali, comici intelligenti e signore non scosciate. Altro è mescolarsi alla canea di un programmone d’intrattenimento, forse non il peggiore fra quanti martirizzano la domenica televisiva degli italiani, ma piuttosto lontano dagli standard di un festival cinefilo, allegro ma serio.

Il Festival non commenta le proprie scelte; le fa, e tanto basta. In privato, tuttavia, chiunque ammette che l’idea di gettare «Nanni» (ormai tutti lo chiamano solo così) nella gabbia dei caciaroni sarebbe stata un’ipotesi, ancor prima che impraticabile, improponibile.

Perché per certi Festival è una questione di stile; e bisogna saper scegliere in tempo, non arrivarci per necessità; e quando si è scelto, restare fedeli alla linea, nella buona come nella cattiva sorte. Perché è facile per atteggiarsi a duri e puri quando le circostanze non consentono di svaccare; e ostentare diversità, quando nessuno è interessato a trascinarci nel brago dell’omologazione. Quando però le cose cambiano, e i riflettori s’accendono, non tutti sanno restare fedeli al dignitoso understatement con cui in passato liquidavano l’indifferenza del circo mediatico. E questa non è spocchia da miracolati dimentichi dei tempi duri. E’ coerenza.

Il Torino Film Festival nel momento di maggior gloria difende il suo direttore. E con il suo direttore difende se stesso e la propria identità.

da lastampa.it
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