Italo Calvino lo considerava uno dei suoi libri fondamentali
"Confessioni di un italiano"
La scandalosa Pisana
Di GIUSEPPE LEONELLI
Ippolito Nievo cominciò la stesura delle Confessioni di un italiano nel 1857, all'età di ventisei anni, e la concluse l'anno successivo, rimandando la pubblicazione a tempi più propizi. Il romanzo, che accompagnerà, curato da Anna Modena, la Repubblica di domani in edicola, fu pubblicato solo nel 1867, sei anni dopo la morte dello scrittore, avvenuta durante il naufragio del piroscafo che lo riportava, appena conclusa la spedizione dei Mille, dalla Sicilia nel continente. Non ci furono tra i lettori del tempo reazioni apprezzabili: stupisce, in particolare, il silenzio del De Sanctis, che non mostrò di accorgersi di un libro che sembrava fatto apposta per piacergli. Lo stesso Croce, che nutre un grande rispetto per la tempra morale di Nievo e definisce il suo ideale "superiore a quello manzoniano", non riteneva le Confessioni "quel capolavoro che altri ha detto". La figura della Pisana, che è la grande invenzione del romanzo, quasi miracolosa, se paragonata alla stilizzata, e talora un po' ingessata, astrattezza delle donne della letteratura italiana precedente, suscitò riserve e malumori e qualcuno, come Luigia Codemo, narratrice cara al pubblico del secondo Ottocento, gridò allo scandalo. Persino il titolo, all'atto della prima pubblicazione, fu censurato. L'editore, per evitare si pensasse ad una "pappolata politica", lo trasformò in Confessioni di un ottuagenario.
Nievo racconta, attraverso la vita di Carlino Altoviti, rampollo di una nobile famiglia friulana, orfano, cresciuto nel castello di Fratta come parente povero e mal gradito, poco meno di un secolo di storia d'Italia, dai sonnolenti primordi settecenteschi alla vigilia della seconda guerra d'indipendenza. Il romanzo si apre con il grande adagio della vita nel maniero, sotto il dominio, tuttora vigente, della Serenissima. Per dieci capitoli, considerati da quasi tutti gli interpreti come la summa dell'arte nieviana, una folla di personaggi d'ogni genere ed estrazione sociale - signori feudali scioperati, preti, borghesi, contadini, cuochi e servitori - si presenta al lettore. E' quasi prodigioso come uno scrittore così giovane riesca a far muovere sulla scena tanta gente, orchestrando il punto di vista della storia, narrata in prima persona, tra i due poli di un Carlino ancora ragazzo, che "vede" i fatti, e l'ottuagenario che li rievoca e commenta. Inutile dire che il nostro interesse più intenso va a quegli occhi che guardano a poche spanne dal pavimento, inquadrando il decrepito mondo settecentesco da una prospettiva autre, degna delle migliori pagine di Grandi Speranze di Dickens, scritto quasi negli stessi anni. Una prospettiva che sarebbe molto piaciuta a Italo Calvino, che considerava le Confessioni uno dei suoi libri fondamentali. Quando quegli occhi, mobili e penetranti, così presenti e così lontani, come quelli degli animali domestici, s'incontrano con quelli della cugina, la piccola indecifrabile e fascinosa Pisana, fiorisce una straordinaria epifania di vita sentimentale ed erotica infantile che non ha eguali nell'Ottocento. Se turbava i benpensanti del tempo, oggi appare a noi come un incredibile dono fatto a una letteratura che, fino a non molti anni prima, non riusciva a raccontare se non la propria impotenza di fronte alla realtà.
Troviamo, alla fine dei primi dieci capitoli, Carlino, piccolo Robinson non solo della propria educazione sentimentale, ma anche morale e civile, ormai uomo, prima studente e poi laureato a Padova. Tra i pranzi, le pratiche religiose, le chiacchiere padronali e servili, l'eterno ritorno dell'uguale tra le mura del castello di Fratta, si è inserito un romanzo di formazione, che si sviluppa articolandosi in una ricca gamma di toni narrativi, fermentanti sull'entusiasmo per le grandi scoperte etiche e politiche. Con Bonaparte, il piccolo generale che comanda un'armata di cittadini-soldati, cenciosa ed inarrestabile, la Rivoluzione si affaccia in Italia. Sventola per la prima volta il tricolore, mentre si formano le repubbliche Cispadana e Cisalpina. Carlino diventa ufficiale, si batte per le nuove idee, anche se pochi mesi dopo, quando Venezia viene ceduta all'Austria, il bel sogno sembra finire. Comincia la parte più mossa e avventurosa del romanzo, quella che è sempre piaciuta di meno ai lettori professionali, insensibili all'aria tra stendhaliana e tolstoiana (le Confessioni di un italiano sono una piccola Guerra e Pace) che fa turbinare le pagine di questo straordinario romanzo e con esse gli scenari di cartapesta di tanta letteratura precedente. Scendiamo con Carlino e Pisana nella Repubblica Partenopea, poi risaliamo al Nord verso Genova assediata; gli anni passano a folate, siamo già nel 1820. Carlino è sempre in prima linea e la Pisana è sempre la Pisana, ma il loro amore non conosce misure sperimentate o convenzionali e durerà fino all'uscita di scena di lei, durante l'esilio inglese.
(
9 novembre 2004)
Da -
http://www.repubblica.it/speciale/2004/biblioteca/idee/49.html