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Autore Discussione: BOCCIA: «L’Italia è al bivio, priorità a lavoro e crescita» Nicoletta Picchio e  (Letto 1524 volte)
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« inserito:: Dicembre 03, 2017, 01:43:55 pm »

Boccia: «L’Italia è al bivio, priorità a lavoro e crescita»

Di Nicoletta Picchio e Giorgio Santilli 


03 dicembre 2017

Non smontare le riforme che stanno funzionando, come dimostrano i dati del Pil, dell’export e degli investimenti privati. Anzi, bisogna cogliere l’occasione del passaggio a Montecitorio della legge di bilancio per rafforzare le misure a favore della competitività del paese. Senza cadere in tentazioni da campagna elettorale orientate all’aumento del deficit. Vincenzo Boccia (nella foto) manda un messaggio alla politica, subito dopo il via libera della manovra al Senato: «La crisi non è ancora superata, l’Italia ha grandi potenzialità, ma deve essere messa nelle condizioni di competere per crescere, con l’obiettivo di creare benessere e occupazione». E, il lavoro, soprattutto il lavoro dei giovani, deve essere al centro delle politiche del Paese.

Presidente Boccia, la legge di bilancio ha superato il primo esame del Senato. Le sembra sia rimasto l’impianto iniziale che doveva puntare, oltre che alla sterilizzazione dell’Iva, prioritariamente al rafforzamento della crescita?
Complessivamente abbiamo un giudizio positivo. L’impianto iniziale, da noi sostanzialmente condiviso, è stato salvaguardato, così come gli equilibri di bilancio. Le modifiche approvate al Senato non l’hanno né indebolito né stravolto pur tenendo conto della crescente pressione elettorale.

Alla Camera si annunciano già numerosi correttivi. Potrebbe essere l’occasione per rafforzare le misure per la crescita?
Nella versione del Senato mancano, in effetti, alcune misure particolarmente significative per la competitività del Paese. Il passaggio a Montecitorio potrebbe inserirle, nel rispetto dei vincoli di bilancio. Dobbiamo sempre tenere presente che siamo in ripresa ma la crisi non è ancora superata e l’Italia è a uno snodo decisivo per il futuro. Non dobbiamo dimenticare che l’economia ha invertito la tendenza ma abbiamo ancora un sistema economico debole e il 60% delle aziende deve ancora superare la fase di transizione.

Servono più interventi specifici a favore delle imprese?
Confindustria vuole essere un ponte fra le esigenze delle imprese e quelle del Paese. Non abbiamo logiche corporative né di scambio con la politica e consideriamo la crescita una precondizione per combattere disuguaglianza e povertà. Il rapporto Censis ha messo in evidenza che il Paese è in ripresa ma che aumentano i rancori di chi è tagliato fuori. Alcune misure che proponiamo intervengono su nodi decisivi per lo sviluppo e la competitività.

Ci fa un esempio?
Pensiamo alla logistica che oggi ha una valenza strategica per la competitività dell’industria e dei Paesi. Non dobbiamo fermarci a industria 4.0, il traguardo è impresa 4.0: uno scenario in cui tutta la filiera, che va dalla ricerca alla produzione alla logistica e al consumo, comunica con gli stessi standard e lo stesso linguaggio. Prendiamo i porti: la fiscalità locale deve sostenere lo sviluppo. Invece ambiguità normative, interpretative e applicative hanno prodotto situazioni discriminatorie nel nostro sistema portuale riguardo all’esenzione prima dall’Ici e poi dall’Imu di aree, banchine portuali e impianti di movimentazione. I ministri Padoan e Delrio, insieme all’Agenzia delle Entrate, hanno trovato una soluzione condivisa e sostenibile che esenta gli immobili dalla fiscalità locale a partire dal 2018, come era nell’impianto originario delle classificazioni catastali. Non risolve il pregresso ma chiarisce il futuro. È una misura molto importante come ben evidenziato dai colleghi di Assoterminal, Assologistica e Confetra.

Si parla continuamente del ruolo dell’Italia e del Mediterraneo per intercettare i traffici mondiali sulla via della Seta o verso il canale di Suez. Poi, però, non riusciamo a realizzare politiche adeguate...

Non valutiamo a sufficienza che il contributo al Pil della competitività logistica è del 14%, il trasporto via mare è ormai prossimo al 60% di quello complessivo e le sue potenzialità sono un’opportunità da cogliere in una fase in cui i traffici internazionali sono particolarmente dinamici. La politica del Governo ha fatto della portualità il centro dello sviluppo logistico nazionale in stretta integrazione con le altre modalità di trasporto, dal ferroviario a quello stradale ed aereo: la ripresa economica potrebbe ulteriormente irrobustirsi grazie a misure, come quelle fiscali, capaci di recuperare condizioni di competitività equivalenti ai sistemi logistici del Nord Europa e del Mediterraneo. Proprio per l’importanza di questo settore puntiamo a consolidare ed allargare la rappresentanza del comparto. Stiamo lavorando per realizzare maggior dialogo e coesione sia all’interno della filiera logistica che tra la filiera logistica e quella industriale, condividendo la visione strategica sul futuro dell’impresa e del Paese anche con importanti realtà associative come Confetra, con cui intendiamo strutturare forme di più stretta e stabile collaborazione. Vogliamo confrontarci su temi che coinvolgono tutto il sistema produttivo: digitalizzazione e innovazione, investimenti e qualità del lavoro, sostenibilità ed efficienza. Non c’è più spazio per visioni corporative, divisive o addirittura personalistiche.

Ma gli handicap del nostro Paese non si fermano certo qui: il fisco, l’energia, i tempi della burocrazia e della giustizia, la produttività. La legge di bilancio, tenendo conto dei vincoli, dove si può spingere?
Prendiamo il pacchetto fiscale. Ci sono alcune ineludibili questioni di civiltà giuridica e di certezza. Andrebbe ripristinato un termine congruo per l’esercizio della detrazione Iva, bisognerebbe eliminare la norma che riduce gli spazi per la deducibilità degli interessi passivi e inserire misure per accompagnare la fatturazione elettronica obbligatoria. Inoltre si dovrebbe inserire un chiarimento interpretativo sulla portata delle modifiche in materia di imposte di registro. Altro problema è il Sistri, non si può pensare di continuare a far pagare un contributo alle imprese o applicare le sanzioni per un sistema che non è mai partito. Infine, l’introduzione della web tax dal 2019. Altra questione su cui riflettere.

Che valutazione ne dà Confindustria?
Confindustria ha fortemente sostenuto in sede europea l’urgenza di un intervento condiviso tra gli Stati membri per ripristinare equità fiscale nella tassazione delle imprese, indipendentemente dai modelli di business adottati, digitali o tradizionali. Ma la web tax inserita nella legge di bilancio presenta sul piano tecnico-applicativo criticità evidenti, che rischiano da un lato di renderla inapplicabile nei rapporti con l’estero, dall’altro di riversare inutili complicazioni e aggravi sugli operatori nazionali del settore digitale e sui loro clienti.

Molti svantaggi penalizzano l’Italia, ma la crescita si sta rafforzando. L’ultimo dato Istat del Pil evidenzia che a trainare sono investimenti privati e industria.

È la riprova che intervenendo sui nodi di sviluppo, con una politica dell’offerta e dei fattori per la crescita, anche con poche risorse il Paese e le imprese reagiscono. Gli ultimi governi hanno varato riforme come il Jobs act e Industria 4.0. I numeri della crescita sono l’effetto di queste politiche: +1,7% il Pil, +7% l’export, +30% gli investimenti privati, più occupazione. Si è innescato quel circolo virtuoso dell’economia su cui insistiamo da tempo: più crescita, più investimenti, più occupazione, più domanda. Proprio per questi risultati positivi è opportuno valutare i singoli provvedimenti in termini di effetti sull’economia reale ed evitare posizioni ideologiche. Alla politica chiediamo di attivare gli investimenti pubblici, nazionali e transnazionali - non solo grandi opere ma un’intelligente opera di manutenzione dei territori - tenendo conto che il fattore temporale sarà una delle grandi sfide della prossima legislatura. Così come le semplificazioni e una più efficiente amministrazione della giustizia.

Lei ha lanciato continui messaggi sulla necessità che le riforme non vadano smantellate. Vede il rischio concreto di tornare indietro e cosa pensa sia prioritario per la prossima legislatura?
In gioco c’è il futuro dell’Italia e bisogna tornare ai fondamentali dell’economia. È l’industria il motore del Paese: la questione industriale non è la questione degli industriali, ma un interesse nazionale. Abbiamo lanciato il piano di inclusione giovani e al primo punto delle nostre Assise generali, convocate per il 16 febbraio del prossimo anno, ci sarà proprio il lavoro che grazie alla crescita diventa la priorità politica di questa Confindustria aperta e inclusiva. Non c’è dicotomia fra impresa e famiglia: le persone che le imprese assumono grazie alla crescita sono i figli delle famiglie italiane. Nella legge di bilancio ci sono le prime risorse per i giovani ma bisogna andare avanti. Dobbiamo diventare la punta avanzata d’Europa e costruire l’Italia del lavoro e per i giovani. Il 16 febbraio, come detto, terremo a Verona le assise di Confindustria. Abbiamo cominciato la consultazione della base sul territorio. Metteremo a punto un’agenda di medio termine che presenteremo ai partiti con una serie di misure su tutti i temi.

La campagna elettorale è già partita con la guerra sulle banche e una raffica di roboanti proposte e promesse da parte di tutti i partiti, spesso senza indicare i costi e le coperture o con spinte populistiche, dalle pensioni agli 80 euro alle famiglie alla flat tax al reddito di cittadinanza, al rilancio dell’articolo 18. Vi preoccupano queste prime avvisaglie?
Il punto centrale è con quali risorse si possono sostenere le promesse elettorali e rendersi conto della fase delicata che viviamo, nonché del grande debito pubblico che grava sulle nostre spalle. Bisogna evitare tattiche e spingere su proposte e strumenti che abbiano effetti positivi sull’economia reale utilizzando la crescita per un grande piano di inclusione che riduca i divari dei quali ci parla anche l’ultimo rapporto Censis. Dobbiamo esprimere un pensiero economico per una idea di società post ideologica, che sappia guardare al futuro del Paese e fare i conti con le sue potenzialità.

Un contesto cui si aggiunge quella cultura antindustriale che ancora pervade il Paese e di cui vediamo esempi ogni giorno, come nel caso clamoroso dell’Ilva.

Denunciamo da tempo che esiste ancora una cultura antindustriale con cui dobbiamo fare i conti. Nel caso dell’Ilva si sta mettendo a rischio il piano di risanamento ambientale e di rilancio industriale dimenticando che sono in gioco 20mila posti di lavoro e il futuro siderurgico del Paese. Dobbiamo promuovere un salto culturale, troppo spesso facili promesse hanno la meglio su posizioni ponderate. La politica dovrebbe avere il senso del limite. A partire dal caso Ilva dobbiamo chiederci che immagine vogliamo dare del nostro Paese agli investitori interni ed esteri. Va bene il confronto serrato ma se la situazione dovesse sfuggire di mano che figura faremmo agli occhi del mondo? Occorre recuperare lo spirito delle riforme contenute nel referendum del 4 dicembre. In particolare quelle che regolano i rapporti tra centro e territorio introducendo la clausola di supremazia. Quasi un terzo dei ricorsi in Corte Costituzionale riguarda i rapporti Stato-Regioni. E questo è inaccettabile. Per combattere l’ansietà e avere fiducia nel futuro il Paese ha bisogno di certezze.

La Cgil manifesta da sola, senza Cisl e Uil, chiedendo misure per i giovani ma rilanciando una revisione delle regole pensionistiche e l’articolo 18. Un atteggiamento di retroguardia anche questo?
Abbiamo grande rispetto per tutte le organizzazioni sindacali. Siamo in una fase serrata di confronto per capire se ci sono elementi nuovi e innovativi per fare un salto di qualità avviando il processo che abbiamo definito Patto per la fabbrica. Condividiamo con loro che occorra ritornare alla centralità del lavoro. E per riuscirci dobbiamo tornare insieme ai fondamentali e costruire una proposta che ne crei le precondizioni. A partire dalle fabbriche, e dalla formazione dentro e fuori, per proseguire con l’aumento dei salari legati agli incrementi di produttività e quindi con una politica fiscale adeguata. Si tratta d’intendersi sulle priorità: che cosa possiamo e dobbiamo fare prima, considerate le criticità del Paese. Se parliamo dei giovani, non possiamo partire dalle loro pensioni tra 30 anni ma dal loro lavoro in questo presente.

Stenta a decollare il dialogo sullo scambio salario-produttività che accorcerebbe il distacco di 30 punti che abbiamo dalla Germania. Registriamo, però, un forte aumento dei contratti di secondo livello, decollati con gli incentivi fiscali che voi avete fortemente voluto. È la strada giusta? È il momento di fare un primo bilancio?
Sì, è la strada giusta. E le nostre associazioni di categoria assieme ai sindacati si sono orientate in tale direzione. È la sfida del Paese: non avendo lo strumento della svalutazione – e meno male - la produttività determina a parità di valuta la competitività di un Paese.

Industria 4.0 sta decollando e sempre più appare la chiave per rafforzare la competitività della nostra industria. C’è un aspetto fondamentale però nella innovazione delle competenze e nella formazione del personale. Un ruolo spetta anche alle parti sociali?
Proprio così. Dobbiamo lavorare per un grande piano di formazione a favore dei lavoratori nelle imprese e dei giovani, con gli Its e nelle Università, stando anche attenti a non determinare un altro divario con la Pubblica amministrazione dove ci auguriamo ci sarà un’analoga evoluzione.

Sulle banche abbiamo un fronte interno, con le tensioni nella commissione banche, e un fronte esterno con la Bce che vorrebbe imporre uno smaltimento accelerato degli Npl e un ampio fronte guidato dalla Germania che vorrebbe imporre un tetto al possesso di titoli di Stato nei bilanci delle banche. La preoccupa questo scenario? Non servirebbe una posizione forte e possibilmente unitaria del Paese?

La preoccupazione principale è che questioni come l’addendum sugli Npl e degli eventuali accantonamenti su titoli di Stato possano generare il blocco della ripresa a danno dell’economia italiana ed europea. Non c’è dubbio che occorra una risposta strutturata e condivisa. Ed è evidente che una posizione unitaria di tutti i partiti sarebbe determinante. Le Confindustrie d’Europa, riunite nell’organismo che prende il nome di Business Europe, si sono incontrate in questi giorni a Tallin per immaginare una governarce più forte che metta al centro le politiche per la crescita. La competizione non è tra Paesi d’Europa ma tra Europa e resto del mondo. Per questo è importante rinforzare l’integrazione tra i Paesi dell’area e mettere al centro la questione industriale come chiedono le Confindustrie di Italia e Germania che proprio qualche giorno fa, a Berlino, hanno consegnato alle rispettive ambasciate il documento di Bolzano con una serie di punti comuni da condividere con i governi. Il messaggio è Europa First. In questo scenario l’Italia, seconda manifattura europea, può e deve giocare un ruolo importante e uscire da una condizione di marginalità e puntare invece, come dicevamo, sulla sua centralità tra Europa e Mediterraneo.

A proposito di competizione globale, gli Stati Uniti hanno appena approvato una riforma fiscale che parte da un drastico taglio delle tasse sulle imprese, anche se il problema è stato fino alla fine la riduzione del buco nei conti pubblici che si rischia di aprire. È una lezione per l’Europa e l’Italia che intanto impone, come ricordava lei, la web tax?
Questa è la sfida. Con gli Stati Uniti che puntano alla competitività delle proprie imprese e la Cina che punta sullo sviluppo industriale interno, l’Europa deve puntare sul lavoro e diventare il luogo più competitivo al mondo per fare industria. Altro che uscire dall’Europa. L’Europa riformata sarà la nostra soluzione. Di tutto questo parleremo alle nostre Assise di febbraio che vorranno essere un momento di mobilitazione e proposta dell’industria italiana.

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