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Autore Discussione: Nicola Zoller Quando la lotta politica sfruttò la religione  (Letto 2184 volte)
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« inserito:: Novembre 04, 2017, 07:27:19 am »

Quando la lotta politica sfruttò la religione

Pubblicato il 30-10-2017

Si narra che cinquecento anni orsono alla vigilia di Ognissanti, il 31 ottobre 1517, Martin Lutero abbia affisso sulla porta della chiesa del castello di Wittenberg le sue Tesi teologiche. «Nelle intenzioni di Lutero doveva trattarsi di una riforma, non di uno scisma» sostiene l’autorevole storico tedesco Hubert Jedin. Ma la ‘conciliazione’ nel mondo cristiano si rese impossibile, gli Stati europei per motivi politici «scelsero una confessione contro le altre per conformare i sudditi all’obbedienza» applicando a partire dalla Pace di Augusta del 1555 la norma del cuius regio, eius religio, per cui tutti erano obbligati a seguire la religione del proprio principe; poi tra Cinquecento e Seicento si precipitò nelle guerre di religione sfruttando – sempre per preponderanti questioni di potere – le divisioni religiose. Solo dopo la Guerra dei Trent’anni (che – come annota lo storico Paolo Mieli sul “Corriere della Sera” del 24 marzo 2016 – «fu in realtà una lotta per l’egemonia tra la monarchia dei Borbone e quella degli Asburgo») e la Pace di Vestfalia del 1648, le guerre tra cristiani ebbero termine e si aprì faticosamente l’epoca della tolleranza religiosa.

Dunque la lotta politica sfruttò la religione. Ai principi tedeschi – e poi anche ad altri principi europei – non piaceva che i propri sudditi fossero costretti a versare somme alla fin fine ingenti agli ecclesiastici cattolici (a vescovadi, conventi, papato romano) per acquistare indulgenze ‘vendute’ come passaporti di salvezza dell’anima grazie alla creazione del Purgatorio: un passaggio penitenziale inventato a partire dal XII secolo per accrescere il potere di intermediazione della Chiesa e dei prelati, un sistema, quello ‘purgatoriale’, che lo storico Jacques Le Goff definirà piuttosto come ‘infernale’ nella sua opera La nascita del Purgatorio.

Lutero ebbe buon gioco a sostenere che questo «terzo luogo» non figurava nella Scrittura, e da qui partì ad elaborare il suo trattato sul De servo arbitrio per contestare che con le opere buone, caritatevoli e religiose – e quindi anche con le offerte in denaro alla Chiesa – si potesse acquisire la salvezza. Per il teologo tedesco quest’ultima non era assolutamente raggiungibile attraverso il contributo della libera azione umana (come sostenuto da Erasmo da Rotterdam nel suo De libero arbitrio) ma poteva essere ottenuta solo per fede «che è una grazia gratuita, resa possibile dal sacrificio di Cristo».

In quanto alle opere umane, esse non avrebbero mai potuto «avvicinare l’uomo alla grazia divina, poiché la malvagità è insita nell’essere umano»: semmai – spiega il filosofo Mario Miegge – «il senso religioso» che molti gruppi protestanti (soprattutto i calvinisti) diedero al successo ottenuto con il lavoro umano, poteva essere «segno della elezione e della grazia» accordata unilateralmente da Dio a determinate persone rientranti nel «numero degli eletti». Dunque solo la misericordia di Dio può salvarci ed essa non può essere amministrata da intermediazioni umane, in quanto la ragione dell’uomo – servo del peccato originale – è completamente cieca. Un passaggio arditamente avvilente – pur suffragato da precisi rimandi a S. Paolo e S. Agostino – se non pensassimo che grazie a questa credo si faceva venir  meno la ragion d’essere della Chiesa e della struttura ecclesiastica quale ‘ponte’ tra l’uomo e Dio: ognuno poteva essere prete di se stesso, affidandosi direttamente alla Scrittura, non servivano tanti apparati, papi e indulgenze; quanto ai sacerdoti, essi non erano niente di più di persone che coadiuvano i fedeli, per cui potevano vivere come tutti gli altri uomini e anche sposarsi. In ogni luogo dove attecchì la riforma antipapista si poteva quindi passare all’incasso, incamerando – nei forzieri dei principi – i beni ecclesiastici cattolici, dalla Germania luterana, alla Svizzera calvinista, all’Inghilterra anglicana, con contromosse cattoliche altrettanto invasive. Per questa ingordigia di potere, si insanguinò l’Europa ma le effettive distinzione teologiche tra le confessioni cristiane restarono sottili: per le Tesi che Lutero la salvezza era giustificata solo per fede; secondo il Concilio di Trento (1545-1563) per la fede e… per le opere: ma in questa relativa distinzione si inserì mano a mano un solco sempre più profondo fino a considerarsi rispettivamente fra cristiani separati come i peggiori irriducibili nemici.

Per il resto, all’unisono o quasi, tutte le confessioni cristiane non si risparmiarono contro i dissenzienti interni o attigui al proprio campo: nel fronte cattolico, ricordiamo le persecuzioni di Galileo, Campanella e Giordano Bruno; Lutero, «rivoluzionario e conservatore al tempo stesso», si distinse nella difesa dei poteri costituiti condannando la rivolta dei contadini guidata «dal suo antico seguace Thomas Müntzer, contro cui scrisse nel 1525 uno del libelli più violenti, Contro le orde ladre e assassine dei contadini» (per non parlare della sua collera antisemita che condensò  nel «furioso opuscolo» Degli ebrei e delle loro menzogne); non fu da meno l’algido Calvino che fece di Ginevra «un faro dell’intolleranza», tetramente illuminata dai bagliori del rogo del medico e riformatore religioso Michele Servèto. Arriverà finalmente nel Seicento la laica Riforma scientifica a proporre una «interpretazione matematica del Creato», coprendo con il velo della tolleranza le contese teologiche.

Nicola Zoller

Da - http://www.avantionline.it/2017/10/lutero-cinquecento-anni-fa-quando-la-lotta-politica-sfrutto-la-religione/#.WfhYhGjWyUk
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