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Autore Discussione: Piero Bianucci. Sono 107 miliardi gli uomini vissuti in tutta la storia della...  (Letto 1818 volte)
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« inserito:: Ottobre 18, 2017, 07:28:30 pm »


Sono 107 miliardi gli uomini vissuti in tutta la storia della nostra specie

Pubblicato il 12/10/2017 - Ultima modifica il 12/10/2017 alle ore 08:07

Piero Bianucci

Michel Mayor, scopritore nel 1995, all’Osservatorio di Ginevra, del primo pianeta di un’altra stella, è stato a Torino e ha raccontato nell’aula magna dell’Università la storia della sua ricerca e gli straordinari sviluppi che essa avrà grazie ai futuri strumenti al suolo e nello spazio. 

Con tremila esopianeti certificati, 5000 candidati e la quasi certezza che ogni stella dell’universo abbia una famiglia planetaria, non è esagerato dire che c’è un’astronomia prima e dopo Michel Mayor, prima e dopo il 1995. Non è esagerato dirlo perché, con miliardi di miliardi di pianeti, la vita aliena – anche intelligente – non solo diventa probabile ma si avvicina a una necessità matematica. E questo corollario ha implicazioni biologiche, filosofiche, psicologiche e socio-politiche.

VITA ALIENA 
La grande impresa a cui ora i ricercatori del “pensionato” Michel Mayor lavorano è la scoperta di esopianeti nella cui atmosfera sia riconoscibile la firma chimica della vita, firma che ci ostiniamo a pensare sia rappresentata dall’ossigeno e dalla clorofilla che lo produce. Dobbiamo invece ricordare a noi stessi che l’evoluzione ha più fantasia di quanto solitamente si pensi e che fino ad oggi il geocentrismo ha sempre avuto torto. 

Proprio per aprirci a nuove ipotesi e a un pensiero non antropomorfo, è importante capire l’evoluzione umana avvenuta sulla Terra come un caso speciale fra tanti casi presumibilmente assai diversi tra loro. In ciò un formidabile aiuto viene da “Breve storia di chiunque sia mai vissuto” del genetista e divulgatore Adam Rutherford (nella foto), pubblicato pochi giorni fa da Bollati Boringhieri nella traduzione di Sabrina Placidi.

LA SAGA HOMO 
La “breve storia” di tutti noi e di tutti i nostri antenati non è poi tanto breve. Sono 340 pagine con un totale di 720 mila caratteri. Brevissima è però la storia culturale di Homo sapiens. “Se si prende la lunghezza di questo libro come scala del tempo – scrive Rutherford nelle ultime righe – la storia documentata equivale a una sola lettera, una sola lettera su 720 mila”.

La saga umana raccontata da Rutherford è intessuta di tante storie (scientifiche) che si intrecciano lungo il cammino evolutivo. Tra queste, è particolarmente suggestiva quella che riguarda l’alimento che ci accoglie alla nascita: il latte. Una storia curiosa non ancora arrivata al grande pubblico e che merita di arrivarci. 

Siamo mammiferi, cioè portatori di mammelle. E le mammelle, quando la gravidanza si conclude con il parto, si inturgidiscono di latte. Appena nati, per qualche mese, possiamo nutrirci soltanto di latte, quello materno o un suo surrogato. Dopo lo svezzamento, il latte – alimento completo, con un perfetto equilibrio tra protidi, lipidi, carboidrati, vitamine e microbioma – rimane un cibo gradito fino all’adolescenza. Poi alcuni sviluppano una più o mano marcata intolleranza intestinale al latte, o meglio a un suo zucchero, il lattosio. Altri invece continuano a bere latte fino alla più tarda età senza alcun problema. Come mai?

Nel 2011 in Polonia un gruppo di archeologi trovò un utensile di terracotta. Lo scavo avveniva in un sito del Neolitico, l’epoca seguita alla fine dell’ultima grande glaciazione nella quale l’Homo sapiens incominciò a costruirsi strumenti accuratamente lavorati. L’utensile di terracotta fu datato intorno a 7000 anni fa. Un reperto come tanti altri? No, perché un esame più attento rivelò tracce di latte. L’utensile, si capì, serviva per preparare formaggi.

IL LATTE FA LA STORIA 
Contemporaneamente uno studio genetico scoprì che tra diecimila e settemila anni fa – cioè all’inizio del Neolitico – nelle popolazioni europee avvenne una mutazione nel cromosoma 2. Le mutazioni sono piccoli errori di copiatura del DNA piuttosto frequenti: se dannose, di solito vanno perdute nelle generazioni successive; se utili, vengono conservate e trasmesse ai discendenti. Quella mutazione era buona: permetteva a donne e uomini adulti di tollerare il latte di altri mammiferi (bovini, capre, pecore, bufale, renne) mentre nella maggior parte dei casi, in età matura il latte – alimento essenziale nell’infanzia – diventava mal tollerato e procurava disturbi intestinali. 

L’assimilazione del latte, e in particolare del suo zucchero, il lattosio, che è proprio solo dei mammiferi, avviene grazie a un enzima specifico, la lattasi, prodotta in abbondanza dai neonati e in quantità ridotta o nulla nell’età adulta. La mutazione genetica avvenuta per caso nel cromosoma 2 manteneva alto il livello di lattasi anche negli individui adulti. Ciò conferiva ai “mutanti” del Neolitico un vantaggio competitivo permettendo a chi ereditava la mutazione di avere una disponibilità di cibo maggiore in un’epoca in cui sfamarsi era la sfida quotidiana. Di conseguenza la mutazione genetica che mantiene la produzione della lattasi si diffuse negli europei e divenne un potente motore di sviluppo: per avere latte in quantità si diffusero la domesticazione e l’allevamento di bovini, ovini e caprini, e si passò dalla società nomade dei cacciatori-raccoglitori alla società stanziale degli agricoltori. Una rivoluzione epocale. 

La diffusione del gene mutato ha oggi raggiunto una larga parte della popolazione non solo europea. Studi recenti hanno scoperto che la persistenza della lattasi in età adulta dipende da due differenti polimorfismi del gene LPH derivanti da due mutazioni avvenute in modo indipendente. Di queste scoperte bisognerebbe tenere conto, specie oggi che intorno al latte vanno diffondendosi pregiudizi, informazioni sbagliate, leggende metropolitane e opposizioni ideologiche legate a un veganesimo integrale. 

Non è però questo il discorso che interessa a Rutherford. La cosa notevole è che la popolazione europea, diretta erede della mutazione, può consumare latte a volontà, mentre altre popolazioni del pianeta non hanno ancora questa opportunità. Poter consumare latte per tutta la vita è un evidente vantaggio: amplia la gamma degli alimenti, con l’allevamento del bestiame induce uno stile di vita stanziale e pacifico, tramite la trasformazione del latte in formaggio favorisce le riserve alimentari, promuove l’inizio di attività che daranno poi origine all’industria casearia. Insomma la casualità genetica cambia la storia.

PELLI COLORATE 
Di casualità importanti è pieno il libro di Rutherford. Oltre al gene che rende tolleranti al lattosio ci sono i geni che determinano un cerume più plastico (in occidente) o un cerume più secco (in oriente), geni che fanno variare la quantità di melanina, che decidono il colore degli occhi, la forma dei denti, delle falangi e così via, solo per citare qualche particolarità spicciola. Il colore della pelle è una di questa variabili minute, in sé quasi insignificante, ma che per la sua visibilità ha acquisito grande rilievo nella società e nella storia. Dal colore della pelle ha origine l’dea che esistano razze umane e classificazioni senza alcuna base scientifica in bianchi, neri, gialli, mongoli e così via. Salvo poi discutere e litigare su quali e quante siano le razze: è significativo che il loro numero abbia sempre oscillato nel corso dei secoli e seconda di chi tentava la classificazione.

La genetica ha spazzato via l’idea che esistano razze umane. Non esiste neppure la “razza umana”, arcaismo culturale che qualcuno usa ancora. Esiste solo la specie umana. Ma tale acquisizione scientifica è purtroppo circoscritta alle élite culturali, mentre la “razza” continua a fare danni a livello politico e nei rapporti tra i popoli. Espressione di razze (specie?) umane furono invece i neandertaliani e i denisoviani. Nel nostro genoma conserviamo tracce “fossili” del loro DNA. L’albero evolutivo dell’uomo è in realtà un cespuglio, anzi, un insieme di cespugli.

 LE RAZZE NON ESISTONO 
Mentre ci svela l’inconsistenza della razza, la genetica fa passare un altro concetto rivoluzionario, pur essendo ovvio: non esistono, non sono mai esistiti e non esisteranno mai due uomini uguali. Ognuno di noi è unico perché qualche variazione tra i 3,2 miliardi di lettere in cui è scritto il nostro genoma c’è sempre, persino nei gemelli omozigoti. E se non ci fosse, provvederebbe l’epigenetica a generarla.

La variabilità dei geni è la grande ricchezza dell’evoluzione, e continua a crescere. Il concetto non è intuitivo. Andando indietro tra i nostri antenati, ognuno di noi ha quattro nonni, otto bisnonni, 16 bis-bis nonni e così via. Un inganno della matematica mal compresa ci fa credere che, andando indietro di migliaia di generazioni, la popolazione mondiale fosse immensa. E’ esattamente il contrario. A ben guardare molti dei nostri bis-bis-bis… nonni erano la stessa persona. Conseguenza: siamo tutti parenti, tutti abbiamo avi in comune nel Settecento, nel Medioevo e ancora di più in epoche anteriori. In realtà la popolazione dei tempi antichi era piccolissima rispetto ad oggi: circa 5 milioni di persone nell’8000 avanti Cristo, quando partì l’esplosione demografica prodotta dall’agricoltura e dall’allevamento del bestiame (e quindi dal latte e dai prodotti caseari). 

CENSIMENTO GLOBALE 
Grazie alla lettura del genoma di 250 mila persone (ne conoscevamo solo 2 nel 2001) oggi si può anche calcolare quanti uomini siano vissuti in tutta la storia dell’umanità: in totale 107 miliardi nell’arco di 200 mila anni. I viventi nel 2017 sono un quattordicesimo di tutti i vissuti.

Rutherford termina il suo libro parlandoci di un suo viaggio sulla metropolitana di Londra durante il quale contempla la variegata umanità di europei, cinesi, africani, medio-orientali… “Mi fa piacere – conclude – che ognuno di noi abbia un antenato che seminò riso sulle rive dello Yang-Tze o faticò per erigere le piramidi o che fu tra i primi a mungere vacche o capre e a fabbricare vasi, o a cacciare cinghiali o mammut, o ad aver fatto sesso con neandertaliani o denisoviani e che, avendolo fatto, li ha portati con noi per il resto della storia dell’umanità”. E’ un messaggio che dovrebbe arrivare a certi politici che discutono in modo così ignorante e provinciale sullo “jus soli”.

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Da - http://www.lastampa.it/2017/10/12/scienza/il-cielo/sono-miliardi-gli-uomini-vissuti-in-tutta-la-storia-della-nostra-specie-4ieSTcvDneKd4NJGCjrICK/pagina.html
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