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Autore Discussione: MARCELLO SORGI.  (Letto 288115 volte)
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« Risposta #465 inserito:: Aprile 20, 2012, 11:15:05 pm »

20/4/2012 - TACCUINO

Un ponentino elettorale riduce lo spazio per le riforme

MARCELLO SORGI

Uno strano vento elettorale - come se le elezioni politiche, e non solo quelle amministrative fossero alle porte - s’è diffuso ieri all’improvviso nella Capitale. Complice l’annuncio, che ha provocato molta attenzione, di Casini mercoledì sera sulla possibilità che qualcuno dei ministri tecnici, a partire da Passera, possano candidarsi nel suo nuovo partito, la giornata ha visto sommarsi una serie di segnali in tal senso, mentre in Parlamento dominava il nervosismo dopo la scoperta che col ddl lavoro per finanziare i nuovi ammortizzatori verrebbe tolta l’esenzione dei ticket ai disoccupati (cosa che il governo, consapevole dell’errore, s’è subito impegnato a correggere).

Ha cominciato lo stesso Casini, confermando lo scioglimento dell’Udc e la formazione di un nuovo partito con gli altri leader del Terzo Polo, Fini e Rutelli. L’ex-ministro dell’Interno Pisanu, da tempo in dissenso con Berlusconi, ha subito firmato insieme a più di venti senatori un documento che guarda in quella direzione. Nelle stesse ore s’è appreso di un incontro, all’inizio di aprile, tra il Cavaliere e Montezemolo. Argomento: la possibilità di dar vita a una sorta di alleanza sotto forma di lista civica nazionale e senza insegne di partiti.

Dove possa portare tutto questo movimento è difficile dirlo, dal momento che tutti, almeno ufficialmente, sostengono che non ci sono alternative a Monti almeno fino alla conclusione della legislatura. Ma è evidente che, in conseguenza delle difficoltà crescenti del governo e dell’aggravarsi della congiuntura economica (ieri lo spread ha di nuovo sfiorato quota 400) i leader dei partiti si tengano pronti a tutte le evenienze, anche a quella di uno scioglimento anticipato di pochi mesi delle Camere che porti alle urne in autunno. In questo quadro le possibilità di arrivare a una nuova legge elettorale, se non al varo di tutto il pacchetto di riforme istituzionali, si riducono.

La tentazione di accelerare i tempi, incoraggiata sia dal precipizio quotidiano dello scandalo leghista (ieri nuovi guai per l’ex-ministro Calderoli e per l’excapogruppo Reguzzoni), che dall’eccessivo timore di una crescita di Grillo e del suo movimento, gonfiati dall’antipolitica, sarebbe disastrosa per la difficile opera di risanamento economico che Monti sta portando avanti. Ma anche il fatto che se ne parli e che i partiti si preparino a ogni evenienza, appesantisce la sensazione di instabilità che aleggia da giorni attorno al governo. Ieri sera il presidente del consiglio è salito al Quirinale per esaminare con il Capo dello Stato la situazione.

da - http://lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=10020
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« Risposta #466 inserito:: Aprile 24, 2012, 05:28:25 pm »

24/4/2012 - TACCUINO

Partiti di Francia e di governo

MARCELLO SORGI

L'ondata negativa per Borse e mercati, con spread di nuovo oltre quota 400, seguita ieri ai risultati del primo turno delle elezioni presidenziali francesi e al successo di Hollande contro Sarkozy, ha convinto Monti a ribadire la linea di equidistanza dell'Italia dai due candidati e a mantenere prudenza rispetto al tema della crescita, al centro di tutti i commenti al voto in Francia. Monti, si sa, è convinto che nel medio termine non esistano alternative alle politiche di contenimento dei conti pubblici, e in ogni caso non tocchi certo all'Italia, paese sotto osservazione all'interno dell'Unione, fare la prima mossa in questo campo.

Ma le reazioni politiche in Italia spingono in quella direzione, con la novità, prima annunciata dal solo Tremonti, di un Pdl freddo con il presidente sconfitto e attento, come ha sottolineato Cicchitto, alla contrarietà uscita dalle urne d'Oltralpe alla politica di esclusivo rigore portata avanti fin qui dall'asse Merkel-Sarkozy. Contro quest'ultimo, da parte del partito berlusconiano, pesa sicuramente l'atteggiamento avuto nei confronti del Cavaliere e gli indimenticabili sorrisini di sfottimento all'ultimo vertice europeo prima della caduta del governo. Ma non solo. L'ala ex An del Pdl celebra l'affermazione di Marine Le Pen con grande calore, ed anche questo è un segno dei cattivi rapporti tra la destra italiana e quella francese.

A sinistra i leader del Pd festeggiano come se si trattasse di una loro vittoria e come se a prescindere da quello che sarà il risultato finale delle presidenziali la svolta verso la crescita, per mitigare una politica di solo rigore sia da considerarsi irreversibile.

D'Alema in un'intervista al Tg3 ha sostenuto che anche la Merkel dovrà tenerne conto in futuro. Un modo di parlare a suocera perché nuora intenda, per spingere Monti a riflettere sulla necessità che in Italia si trovi la strada per allentare la stretta dei sacrifici. Su questo aspetto c'è una sostanziale convergenza tra i due maggiori partiti che appoggiano l'esecutivo tecnico e che considerano impossibile affrontare in queste condizioni l'anno che precede le elezioni del 2013.

Ieri sia la Corte dei conti, sia la Banca d'Italia sono nuovamente intervenute per ricordare che una pressione fiscale come quella raggiunta negli ultimi mesi in Italia dev'essere considerata eccezionale e temporanea, dunque non sopportabile a lungo, in vista di tornare a scadenza breve entro limiti più accettabili.

da - http://lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=10029
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« Risposta #467 inserito:: Aprile 26, 2012, 06:13:59 pm »

26/4/2012 - TACCUINO

Sulle riforme i partiti non possono più attendere

MARCELLO SORGI

Pronunciati ieri in pubblico in occasione delle celebrazioni del 25 aprile, i due quasi simultanei «no» alle elezioni anticipate di Napolitano e Monti dovrebbero aver chiuso, al momento, ma non si sa per quanto, tutto il gran discutere nei giorni scorsi di scioglimento delle Camere. Il Presidente della Repubblica e quello del consiglio hanno fatto due discorsi perfettamente complementari, dedicati rispettivamente alle incognite della situazione politica e di quella della crisi economica: ammonendo, il primo, dai rischi di un ritorno alle urne senza aver realizzato le riforme che i partiti si sono impegnati a fare nell’ultima fase della legislatura, anche per contrastare la crescente disaffezione verso la politica che emerge dall’opinione pubblica. E avvertendo, il secondo, che attualmente non ci sono alternative alla linea di rigore portata avanti dal governo, e solo insistendo senza indugi in questa direzione l'Italia può sperare di coglierne i primi frutti l'anno venturo: insistere, come da un po’ stanno facendo i partiti della maggioranza, sulla necessità di avviare subito una svolta verso la crescita, per il capo dell’esecutivo tecnico significa dunque ignorare le difficoltà che continuano a manifestarsi in tutta l’area euro e rendere di conseguenza più difficile l’azione del governo. Di qui l’invito di Monti ai partiti che lo sostengono a recuperare lo slancio costruttivo che fu proprio della classe dirigente uscita dalla Liberazione e dalla guerra.

Napolitano nel suo intervento a Pesaro ha anche fatto accenno esplicito ai timori per l’antipolitica e alla necessità di non lasciare spazio «a qualche demagogo», allusione che è parsa rivolta contro Grillo. E che fa capire, conoscendo l’abituale cautela del Presidente, che al Quirinale devono essere arrivati segni concreti dello stato di ansia in cui versano i partiti di fronte alla crescita, rivelata dai sondaggi, del movimento del comico ligure, ormai vicino a un livello di sicurezza, attorno all'8 per cento, ben più alto di qualsiasi sbarramento elettorale, si tratti del quattro per cento (otto su scala regionale per il Senato) prevista dall’attuale legge Porcellum, o di un eventuale innalzamento della soglia.

Nuovi casi di corruzione, uso e abuso del finanziamento pubblico dei partiti, riforme istituzionali per ridurre il numero dei parlamentari, differenziare i compiti delle Camere e rafforzare il ruolo del premier: ogni giorno che passa i tempi sono più stretti, ma questi restano i nodi attorno a cui i partiti non possono più permettersi di girare intorno.

da - http://lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=10035
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« Risposta #468 inserito:: Maggio 03, 2012, 07:29:05 pm »

3/5/2012 - TACCUINO

Tutti i voti che pesano sul governo

MARCELLO SORGI

Il barometro del clima tra il governo (battuto ieri al Senato, con il voto determinante del Pdl, su un emendamento) e i partiti punta ancora verso il basso. E difficilmente si ristabilirà prima di conoscere i risultati delle elezioni di domenica prossima, quelli europei di Francia e Grecia e quelli meno decisivi, ma ugualmente importanti in un paese come l’Italia abituato a entrare in fibrillazione per ogni mini-test, delle amministrative. Fredda, e caratterizzata da un botta e risposta tra il presidente del consiglio e i partiti sull’Imu, la ripresa dopo il ponte del Primo maggio. Dopo le critiche ricevute in diretta tv dal premier lunedì sera, il segretario del Pdl Alfano ha ripetuto, sia le riserve sull’escalation di tasse introdotte dal governo, sia la proposta, che sarà tradotta in un testo di legge, per consentire la compensazione tra crediti e imposte agli imprenditori in attesa da troppo tempo di pagamenti da parte dello Stato.

Ma anche da parte del Pd arrivano segnali al governo: Bersani ha ricordato di aver avvertito per tempo che l’impatto sociale dell’Imu sarebbe stato «micidiale», obiettando che sarebbe stato meglio ridurre la tassa sulle case e introdurre una patrimoniale sui grandi patrimoni. Rosi Bindi, richiesta di un parere sui tecnici che ricorrono ai tecnici e sulla nomina di Bondi, Amato e Giavazzi, se l’è cavata laconicamente, lamentando che i partiti della maggioranza non fossero stati avvertiti.

Si dirà che negli ultimi giorni di campagna elettorale non c’era da aspettarsi altro, e lo scatenamento dei leader dell’opposizione impone anche a quelli di maggioranza di alzare i toni. Ieri Monti stesso, che ha ribadito come la propaganda antiImu sia in realtà un incitamento all’evasione, e il ministro dell’Interno Cancellieri, si sono fatti interpreti dei timori in seno all’esecutivo per la piega presa dalla campagna elettorale. Ormai non sono solo i sindaci leghisti, dal momento che a loro, sia pure con atteggiamenti differenti dall’invito alla rivolta fiscale, si sono aggiunti i primi cittadini di Milano e di Bologna. Inoltre, difficilmente gli umori dei partiti cambieranno subito dopo il 6 maggio: l’anno scorso, per metabolizzare i risultati delle amministrative, ci vollero parecchi mesi e la destabilizzazione portata dal mix di turbolenze politiche e crisi economica sfociò a novembre nella crisi del governo Berlusconi. Oggi nessuno ai vertici dei partiti pensa realmente a far cadere Monti: ma la crescente instabilità di fine legislatura, in mancanza di alternative che non ci sono, rischia di perpetuare lo stato di paralisi in cui l’esecutivo dei tecnici si dibatte da mesi.

da - http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=10060
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« Risposta #469 inserito:: Maggio 06, 2012, 10:40:54 am »

4/5/2012 - TACCUINO

Il ritorno (anche) del Cavaliere

MARCELLO SORGI

Dopo il Bossi del Primo maggio che a sorpresa si ricandida alla guida della Lega, ecco arrivare Berlusconi in versione comizio: il messaggio, anche in questo caso, è che il Cavaliere non ha alcuna voglia di farsi da parte.

La campagna elettorale è stata dura per entrambi: Bossi alle prese con lo scandalo familiare della Lega, da cui ieri, come notizie di giornata, sono uscite le lauree false, comperate a Tirana, del figlio Renzo e del fidanzato di Rosi Mauro Pier Mosca. E Berlusconi con le udienze del processo per il caso Ruby e le intercettazioni delle sue conversazioni con le ragazze dell'Olgettina.

Sul Senatur peserà lunedì il risultato del voto più difficile per il Carroccio; quanto al Cavaliere sarà a Mosca, in visita da Putin, ospite alla cerimonia del reinsediamento alla presidenza della Russia, quando in Italia Alfano e il Pdl cominceranno a fare i conti con cifre e percentuali, che s'annunciano dure da digerire per un partito già altre volte in difficoltà alle amministrative.

Perché allora i due leader da cui fino a sei mesi fa dipendeva l'equilibrio di governo del Paese, e che adesso mal sopportano la loro forzata emarginazione politica, hanno sentito il bisogno di rimettersi al centro della scena? Anche se quando si parla di Bossi e Berlusconi è inutile cercare una risposta scientifica, perché si tratta di due leader abituati a muoversi sempre sul piano istintivo, è evidente che né l'uno né l'altro considerano del tutto esaurita la stagione dei partiti personali, a guida carismatica, che ha caratterizzato il quasi ventennio della Seconda Repubblica. E non hanno neppure rinunciato all'ipotesi di rimettere in piedi la loro alleanza, grazie alla quale sono riusciti a vincere le elezioni nel 1994, 2001 e 2008.

Sotto quale forma, è prematuro dirlo. Ma è possibile che se davvero si dovesse arrivare a una nuova legge elettorale proporzionale, in cui i partiti correrebbero ciascuno per sé, Bossi e Berlusconi, invece di candidarsi con Lega e Pdl in un ruolo forzatamente defilato, potrebbero decidere di affiancarli con liste personali, costruite ancora una volta sui propri nomi.

Per il Senatur sarebbe il modo di evitare una conta congressuale in cui probabilmente uscirebbe battuto, e di dimostrare che un certo modo di essere del leghismo delle origini può continuare ad esistere solo con lui. E per il Cavaliere un modo di ottimizzare la raccolta dei voti a destra, suo obiettivo principale, lasciando ad Alfano fino all'ultimo il tentativo impossibile di ricostruire l'alleanza con Casini.

da - http://lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=10063
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« Risposta #470 inserito:: Maggio 07, 2012, 10:56:49 am »

Politica

06/05/2012 - CENTRODESTRA

Il Pdl spaccato a metà aspetta il Cavaliere

MARCELLO SORGI

Il problema principale del Pdl in queste elezioni amministrative è il Pdl stesso. No, non è un gioco di parole. E neppure sono le correnti, abituate ad essere governate con pugno di ferro, e di nuovo in movimento da quando Berlusconi s’è messo in seconda fila. Il partito non ha ancora digerito la caduta del governo del Cavaliere, e meno ancora l’hanno metabolizzata gli elettori, che con percentuali bulgare, fino al settanta per cento nei sondaggi, si dichiarano all’opposizione di Monti.

Si sa: tra i vertici di un partito, non solo il Pdl, e la base, i tempi di comprensione di una svolta sono sempre diversi. È per questo che ai tempi della politica tradizionale si facevano i congressi, preceduti da una lunga campagna capillare di sensibilizzazione, per far capire che la linea era cambiata. Ora, nel Pdl non c’è mai stato niente di tutto questo. Per quanto si sia cercato, con la nomina di Alfano segretario a luglio 2011, e poi con l’avvio di una normalizzazione della vita politica interna, di trasformarlo, il partito è sempre quello nato sul predellino quattro anni e mezzo fa. Ed è a lui, a “Silvio”, che tutti guardano, aspettandosi da un giorno all’altro che torni in campo e dica cosa fare. Il silenzio, o il semi-silenzio, a cui il Cavaliere li ha condannati, dopo 18 anni di spettacolo continuo, aggiunge inquietudine a inquietudine.

Le tabelle dei sondaggi rivelano che il popolo del centrodestra non ha ancora capito perché Berlusconi s’è dimesso, né può accettare l’idea che abbia mollato. Il popolo vuol bene ad Angelino, ma reclama il suo "Silvio". Ma pur abituato a basarsi sull’istinto e a tener conto dei sentimenti metapolitici, più che delle dotte analisi che gli vengono quotidianamente fornite dai suoi dirigenti, Berlusconi, mai come in questo periodo, deve fare i conti con la realtà. Il suo governo, ridotto com’era ridotto, non poteva più andare avanti. La maggioranza elefantiaca con cui aveva vinto le elezioni s’era dissolta. La rottura con Fini, di cui entrambi portano responsabilità e sopportano conseguenze, lo aveva messo in una condizione di debolezza insostenibile.

Il rapporto con Casini, già allora ed oggi ancor di più, era ostruito dalle resistenze e dalle ambizioni del leader dell’Udc. Il governo Monti, ai suoi occhi, oltre ad essergli stato imposto da uno stato di necessità e dalla gravissima situazione in cui il Paese era precipitato, doveva rappresentare una tregua per preparare una riscossa. E per rimettere in piedi l’alleanza con la Lega finita a pezzi. Berlusconi a quelli che oggi gli chiedono chi gliel’ha fatto fare, e perché ha rinunciato ad andare alle elezioni, risponde che non c’era alternativa, e se le cose sono andate peggio del previsto è perché i patti non sono stati rispettati. Qui l’elenco delle doglianze diventa molto variegato e mescola una questione di fondo - la promessa che Monti sarebbe stato un continuatore, per realizzare ciò che il suo governo non era riuscito a mettere in pratica, e non una sorta di arbitro equidistante tra Alfano e Bersani - con gli insolubili problemi personali del Cavaliere: la giustizia irriformabile che continua a perseguitarlo, i magistrati che diffondono a tutto andare le intercettazioni delle sue conversazioni con le ragazze dell’Olgettina, l’azienda di famiglia aggredita in un momento di difficoltà con l’asta delle frequenze favorevolealla concorrenza.

L’elenco sarebbe anche più lungo: dipende dalle giornate e dagli stati d’animo del personaggio, che si sfoga volentieri con chi va a trovarlo e rivive continuamente nei racconti di chi lo incontra, e appena varca il portone di Arcore o di Palazzo Grazioli, corre in giro a raccontarlo. Le amministrative, in questo quadro, sono l’ultimo dei problemi. Tolta la volta in cui c’era D’Alema al governo e il centrodestra sfondò alle regionali, mai o quasi mai questo genere di consultazioni sono andate bene per il centrodestra, neppure ai tempi in cui Berlusconi aveva il sole in tasca, noleggiava le navi, ogni sera attraccava in un porto, metteva su un palco e radunava la sua gente. Il punto vero sono le politiche, a cui metà del Pdl vorrebbe andare a rotta di collo, rovesciando il tavolo di Monti e dei tecnici, mentre l’altra metà frena. Così nuovamente Berlusconi è a un bivio: il più difficile, forse l’ultimo, della sua ormai lunga vita politica.

da lastampa.it
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« Risposta #471 inserito:: Maggio 08, 2012, 09:37:58 am »

8/5/2012

Il voto che non aiuta il governo

MARCELLO SORGI

Per prima cosa, senso della misura. Le elezioni amministrative italiane - un test limitato, aperto a 10 milioni di elettori, di cui poco più della metà ha votato - non hanno molto a che vedere con quelle francesi o greche, anche se da oggi se ne parlerà all’infinito, come se fossero - e non lo sono - più importanti.

Il vincitore morale, oltre qualsiasi previsione, è stato Grillo con il suo movimento antipolitico, antipartitico, antitutto, che ha toccato quasi ovunque percentuali a due cifre, entrando in ballottaggio, o sfiorandolo in alcune delle maggiori città, e candidandosi, al secondo turno, ad eleggere più di un sindaco. Il maggior sconfitto è il partito maggiore, il Pdl ridotto al lumicino e battuto a Palermo, la città da cui partì undici anni fa l’offensiva del 61 a zero nei collegi, e dove il segretario Alfano, che viene dalla scuola siciliana del centrodestra, non era riuscito neppure a presentare un candidato del Pdl. Il paradosso dell’ex-partito del presidente è che con Berlusconi è impresentabile, ma senza è diventato inesistente. E soprattutto che i voti berlusconiani in libera uscita non vanno al Terzo polo, altra promessa tradita di queste elezioni.

Già oggi o domani o dopo, quando i risultati definitivi saranno acclarati, i leader ci spiegheranno che anche stavolta non è andata com’è andata, che il quadro è più variegato di quanto sembri, che esistono ampi margini di recupero e così via. Ma la vera tendenza di queste elezioni è emersa chiaramente fin dalle prime schede scrutinate: in tre delle quattro principali città, Verona, Genova e Palermo, in testa sono candidati di partiti che in Parlamento sono collocati all’opposizione, e sempre a Verona il sindaco leghista Flavio Tosi è riconfermato al primo turno, anche se questo non basta a bilanciare il risultato sofferto della Lega. Leoluca Orlando a Palermo, candidato di se stesso in rotta con tutti, fa da solo più della somma di tutti i suoi oppositori, e potrebbe alla fine giocarsi il ballottaggio con il centrosinistra e imporre al centrodestra l’umiliazione di restare fuori dal secondo turno. Cosa che è già accaduta a Parma, dove il candidato del centrosinistra Vincenzo Bernazzoli se la dovrà vedere con il grillino Federico Pizzarotti, che ha buone probabilità di capovolgere la classifica e vincere.

A denti stretti il Pd e il centrosinistra si dichiarano soddisfatti, ma sanno bene che, ammesso e non concesso che tante piccole affermazioni locali sommate facciano una vittoria, si tratta di una vittoria di Pirro. Da Genova a Palermo, il vento soffia contro i candidati usciti dalle primarie, spesso a dispetto delle indicazioni di Bersani. E il guaio per il Pd è che è costretto a difenderli anche senza averli scelti.

Da un voto come questo il governo non esce certo rafforzato. Anzi, a dirla tutta, esce ancora più debole di come lo aveva ridotto fin dall’inizio la campagna elettorale. La gamba destra della maggioranza è piegata in due, chissà se e quanto potrà reggere ancora. La gamba di centro, fin qui l’architrave o comunque, con Casini, l’unica disposta a sostenere Monti a qualsiasi costo, dovrà fare i conti con la delusione di un elettorato considerato governativo per natura e che alla resa dei conti è mancato all’appello. Resta la gamba sinistra: ma da sola può farcela a sostenere un esecutivo tutto proteso in una politica di rigore bocciata da gran parte dell’elettorato?

A questo punto non ha più molto senso chiedersi se quanto è accaduto spingerà nuovamente o no verso le elezioni anticipate, argomento discusso e accantonato a giorni alterni nella lunga vigilia elettorale. Elezioni a precipizio, sull’onda di un fuggi-fuggi generale, sarebbero un disastro. Ma di fronte a un quadro così incerto, e all’inevitabile disgregazione politica di fine legislatura, se i partiti di governo, d’intesa con il presidente del Consiglio e con quello della Repubblica, fossero in grado di trovare un minimo comune denominatore, e impegnarsi seriamente su un paio di riforme indispensabili, per poi andare alle urne, anche un piccolo anticipo non dovrebbe preoccupare. E forse potrebbe pure andare incontro all’impazienza con cui gli elettori chiedono risposte.

Quali dovrebbero essere queste riforme, non è difficile dirlo: per quella elettorale, con la piega che hanno preso le cose, non ci sono molte prospettive, anche perché nessuno sbarramento sarebbe in grado di fermare Grillo e il suo partito a due cifre. Inoltre un ritorno al proporzionale in queste condizioni avvicinerebbe per noi uno sbocco ingovernabile simile a quello della Grecia. A dare un segno di cambiamento, piuttosto, basterebbero la riduzione del numero dei parlamentari, il rafforzamento del premier e le nuove regole per il finanziamento dei partiti. L’ultima, va da sé, è la più indispensabile. E per questo, forse, la più improbabile.

da - http://lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=10073
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« Risposta #472 inserito:: Maggio 09, 2012, 02:40:14 pm »

9/5/2012 - TACCUINO

Il Quirinale e i timori per la tenuta del governo

MARCELLO SORGI

All'indomani del voto amministrativo, mentre ancora i risultati erano in via di definizione, la polemica tra il Presidente della Repubblica e Beppe Grillo ha dato l'idea di quali siano le ambizioni del leader del Movimento 5 stelle, che si considera il vincitore morale delle elezioni. Napolitano si era limitato a rispondere con una battuta a una domanda sul boom di Grillo, dicendo appunto che l'unico vero boom di cui si ricorda è quello economico degli Anni Cinquanta. Immediata, e piuttosto sgarbata, la replica di Grillo, che ha ricordato al Presidente come di qui a un anno il suo mandato sia in scadenza e potrà quindi pensare a riposarsi.

Ma al di là dello scambio di battute, sono i grillini entrati in ballottaggio, come Pizzarotti a Parma, o andati molto vicino al secondo turno, come Putti a Genova, a pensare alla scadenza delle politiche del prossimo anno e a dirlo a voce alta. Molti di loro, dopo l'exploit di domenica e lunedì, si vedono già deputati o senatori e pregustano l'ingresso nell'arena della grande politica.

Nelle poche parole del Capo dello Stato sulle amministrative, tuttavia, e nel suo tentativo di non esagerare il risultato delle urne, si può anche leggere la preoccupazione per il rischio che la sconfitta del centrodestra e la mancata affermazione del Terzo polo (Casini ieri ha lanciato l'allarme per la disgregazione del voto moderato) si ripercuotano sulla stabilità del governo, e insieme l'amarezza per il comportamento dei partiti durante la lunga campagna elettorale che ha preceduto l'appuntamento del 6 maggio. Dal Quirinale infatti erano venuti ripetuti appelli ai partiti a concordare un'iniziativa sulle riforme più urgenti, istituzionali, elettorale e del finanziamento pubblico. Ma malgrado tanti impegni presi pubblicamente, nulla o quasi è stato fatto.

Adesso è come se Napolitano abbia voluto ricordare a tutti che se la politica è assente o inerte non ci si può lamentare poi dell'avanzata dell'antipolitica. Malgrado ciò sembra difficile che nel breve periodo i partiti siano in grado di riprendere il filo interrotto del confronto. Ad esempio, per ciò che riguarda la nuova legge elettorale, ieri è emerso chiaramente che l'ipotesi di un accordo si allontana (Bersani è tornato a puntare sul doppio turno).

da - http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=10081
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« Risposta #473 inserito:: Maggio 10, 2012, 11:42:10 pm »

10/5/2012 - TACCUINO

Voto, gaffe e partiti indeboliscono il governo

MARCELLO SORGI

Con quel che sta succedendo in Europa dopo la domenica elettorale del 6 maggio, tra la Grecia che, nell’impossibilità di dar vita a un nuovo governo, si prepara a tornare alle urne entro un mese in condizioni drammatiche, la Spagna in cui s’è subito avvertito il contraccolpo della possibile uscita di Atene dall’euro, e la stessa Italia, dove lo spread è risalito molto sopra quota 400, le conseguenze del voto amministrativo nostrano sembrano davvero sproporzionate, ai limiti del fuori dalla realtà.

Fino alla scorsa settimana il governo poteva dire, se non proprio di essere sostenuto da tre pilastri, almeno di poter contare su tre punti d’appoggio. Due di questi tre, nel breve volgere di qualche giorno, sono entrati in dissoluzione, e il lavorìo interno di ristrutturazione non si può dire che metta al primo posto il futuro dell’esecutivo. Uscito sconfitto dalle urne, il Pdl, a causa di una frase infelice pronunciata da Monti martedì sera a proposito delle responsabilità dei governi precedenti (subito, ma inutilmente, corretta con un plateale riconoscimento a Berlusconi), ha intrecciato una polemica infinita con il premier. Una lettera di oltre quaranta parlamentari, tra cui molti ex-ministri del Cavaliere, compresi quelli che finora erano considerati «montiani», ha portato ufficialmente all’esterno il malessere del partito. Monti è avvertito.

Nello stesso giorno, tra la sorpresa dei suoi partners Fini e Rutelli, Casini ha dichiarato morto il Terzo polo, uscito stabile, ma deluso, dalla tornata elettorale in cui puntava - e non c’è riuscito - a intercettare gli elettori berlusconiani in libera uscita. In realtà il leader centrista tentava da tempo di sciogliere un’alleanza che non ha funzionato, le urne avare sono diventate per lui il pretesto per liberarsi. Ovviamente tutti, compreso il Pd, che pure guarda preoccupato alle vicende degli altri membri della maggioranza, continuano a dire che una crisi sarebbe un disastro e occorre far di tutto per consentire al governo di arrivare alla conclusione naturale della legislatura. Ma in queste condizioni, come possa durare un altr’anno Monti non lo sa nessuno.

Ieri intanto gli stessi partiti della larga coalizione hanno rimesso le mani per l’ennesima volta alla controversa riforma del finanziamento pubblico: dal 33 per cento di taglio annunciato il giorno dei risultati sono tornati al 50 per cento. Ma anche stavolta non è detto che la scelta sia definitiva: sicuro è invece che la polemica tra chi prende i soldi dallo Stato e chi li rifiuta (Lega, Di Pietro, Grillo) sarà il cavallo di battaglia dei prossimi dieci giorni di campagna per i ballottaggi.

da - http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=10086
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« Risposta #474 inserito:: Maggio 11, 2012, 12:32:42 pm »

11/5/2012 - TACCUINO

Il segnale tra rigore ed elezioni

MARCELLO SORGI

Chissà se Mario Monti voleva solo fare gli auguri a Napolitano per il sesto anno del suo mandato, oppure se, come molti ieri a caldo argomentavano nei corridoi della Camera, ha adoperato questo spunto per reagire alle difficoltà in cui si dibatte da tempo e alle voci che si accavallano su un governo ormai in difensiva e un presidente del consiglio amareggiato per gli ostacoli impostigli quotidianamente dai partiti.

Ma anche se le parole dette in pubblico dal premier, specie dopo gli ultimi risultati elettorali, vengono passate ai raggi "X" - soprattutto dal centrodestra, che per venire incontro alle resistenze dei propri elettori ha inaugurato una forma di appoggio critico all'esecutivo -, non c'è dubbio che Monti un segnale voleva darlo, e per questo non s'e limitato a inviare un augurio rituale al Capo dello Stato.

Ne sono usciti infatti due messaggi, che faranno riflettere i partiti: Monti intende portare a termine fino in fondo il suo mandato e in questo senso, va da sé, non darà più grande importanza alle polemiche che vengono dall'interno della sua maggioranza. L'accenno alla sensibilità politica e umana di Napolitano nei confronti dei cittadini che sopportano i sacrifici di questa fase può anche essere inteso come una sorta di autocritica all' eccessivo rigore e al modo esclusivamente «tecnico» con cui finora è stato imposto. D'altra parte negli ultimi giorni Palazzo Chigi, almeno sui problemi più urgenti (esodati e pagamenti sospesi della pubblica amministrazione) s'è impegnato a cercare soluzioni urgenti.

Il secondo segnale riguarda la natura del governo: Monti ha voluto ricordare a tutti, alleati e avversari, di aver ricevuto il suo mandato direttamente dal Capo dello Stato, e in questo senso, anche se non lo definito formalmente così, il suo deve intendersi come un «governo del Presidente», che non può essere costretto a negoziati infiniti e inconcludenti su ogni punto del suo programma. Se ne ricava che sulle questioni aperte da troppo tempo, Monti intende andare a un chiarimento risolutivo, e se necessario porre la questione di fiducia, sapendo di poter contare sulla solidarietà del Quirinale.

Nel clima confuso di questi giorni, sarà difficile tuttavia che il messaggio del presidente del consiglio ottenga subito gli effetti dovuti. Almeno a giudicare dalla giornata di ieri, che ha visto ancora una volta paralizzata la discussione sulla legge anticorruzione del ministro di Giustizia Severino, Berlusconi e il Pdl non hanno molte intenzioni di mollare la presa.

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« Risposta #475 inserito:: Maggio 15, 2012, 11:34:27 am »

15/5/2012 - TACCUINO

La sconfitta della Merkel e la lezione all'Italia

MARCELLO SORGI

La sconfitta della Merkel nel land del Nord Reno e le persistenti difficoltà della Grecia a dotarsi di un nuovo governo hanno causato ieri un'altra giornata pesante, soprattutto per i paesi a rischio dell'Eurozona: in Italia lo spread è arrivato a toccare quota 430, assestandosi su 425, e una gelata ha investito le principali Borse europee, a cominciare da Milano. Monti intanto è giunto per la riunione dell'Eurogruppo a Bruxelles, dove oggi per la prima volta sarà di scena Hollande.

Un generale e diffuso entusiasmo delle forze politiche e un tifo dichiarato per il nuovo presidente francese hanno accolto in Italia il primo serio inciampo della Cancelliera. Il paradosso di quest'atteggiamento è che valuta approssimativamente l'insuccesso della Merkel come una bocciatura della linea di rigore condotta fin qui, senza rendersi conto che in Germania, semmai, è accaduto il contrario. Come dimostra anche l'avanzata dei liberali, oltre che dei socialdemocratici tedeschi, Merkel ha invece pagato le sue timide aperture al nuovo corso francese con un elettorato preoccupato che il mutato quadro politico e la fine dell'asse con Sarkozy possano spingerla a un cedimento, o a un parziale abbandono della trincea scavata finora rispetto alle richieste dei partners europei.

Da questo punto di vista le attese concentrate sulla riunione di stamane potrebbero essere deluse. E' improbabile che possano uscirne subito decisioni. Al di là di un generico impegno a studiare misure che possano favorire la crescita, anche Hollande è vincolato a tener conto dei limiti della congiuntura e dei rischi che il precipitare della Grecia, con il ritorno alle urne che dovrebbe essere deciso entro giovedì, possa infliggere uno scossone a tutta l'Eurozona.

Monti è arrivato a Bruxelles con l'obiettivo di ottenere lo scorporo degli investimenti pubblici e dell'eventuale sblocco dei pagamenti alle imprese dai limiti stringenti delle politiche di rigore, ma anche il negoziato in questo campo si preannuncia difficile.

Napolitano a Milano per ascoltare un'assai pessimistica relazione del presidente della Consob Vegas ha risposto ai giornalisti con un filo di ottimismo, spiegando che l'Italia a suo giudizio ha la possibilità di superare la crisi a patto che la politica esca dalla paralisi e ritrovi capacità di decidere, varando entro la fine della legislatura le riforme che giacciono ferme in Parlamento.

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« Risposta #476 inserito:: Maggio 16, 2012, 04:56:17 pm »

16/5/2012 - TACCUINO

Il vicolo cieco di Atene e l'incredulità dell'Europa

MARCELLO SORGI

Per la prima volta da quando la crisi greca è cominciata, il direttore del Fondo monetario internazionale Cristine Lagarde ammette che alla fine un’uscita «ordinata» di Atene dall’euro potrebbe essere il minore dei mali. Per l’Europa, naturalmente, dato che è impossibile prevedere cosa accadrebbe con il ritorno alla dracma del paese considerato in questo momento il grande ammalato del Vecchio Continente. Una tentazione simile a quella della Lagarde potrebbe affacciarsi nei pensieri dei leader europei: ieri le loro bocche erano cucite, ma gli sguardi evidentemente sgomenti di fronte alle conseguenze, per il secondo giorno consecutivo, dell’incapacità dei partiti ellenici a formare un nuovo governo, dopo il risultato a sorpresa delle elezioni del 6 maggio che hanno reso decisivo il peso della sinistra estrema, e del ritorno alle elezioni come sbocco obbligato di una situazione bloccata.

Il calo generalizzato di tutte le borse, la crescita senza controllo dello spread sembrano ormai sfuggiti a qualsiasi controllo in tutta l’area euro. Ieri gli occhi erano puntati sul primo incontro a Berlino tra la Merkel e Hollande, che aveva accelerato l’insediamento all’Eliseo ed era partito subito dopo per la Germania. Malauguratamente il ritardo imposto da un fulmine che ha colpito l’aereo francese ha fatto sì che i due leader potessero vedersi solo in serata. Nell’attesa, le poche dichiarazioni pubbliche andavano ancora in direzione della ricerca di uno spiraglio per allentare la morsa del rigore e favorire la crescita, obiettivo che, giorno dopo giorno, con quel che sta accadendo, si fa più difficile.

L’Italia politica è alle prese con le conseguenze del declassamento di 26 banche deciso lunedì notte dall’agenzia di rating Moody’s, contro la quale c’è stata una generale levata di scudi, da Bersani a Casini a Berlusconi e Alfano. Nulla che possa influire sulle valutazioni della stessa agenzia e sugli effetti che produrranno sui mercati, ma un chiaro indice della diffusa inquietudine per l’instabilità crescente dell’Italia. In Parlamento intanto continuano le risse in materia di giustizia: dopo la lite sulla legge anticorruzione, è stata la volta di un incidente sulla nuova formulazione del falso in bilancio: con il parere favorevole del sottosegretario alla giustizia Mazzamuto, subito smentito dal ministro Severino, è passato un emendamento che neutralizzerebbe la riformulazione del reato. Anche in questo caso, rimettere a posto il testo non sarà facile, perchè il Pdl non ha intenzione di far marcia indietro.

da - http://lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=10112
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« Risposta #477 inserito:: Maggio 17, 2012, 05:03:12 pm »

17/5/2012 - TACCUINO

Palazzo Chigi e la difficile via tra partiti ed Europa

MARCELLO SORGI

Stavolta non è stato uno dei soliti incontri in cui Berlusconi sciorina con aria pietosa il contenzioso con il governo, dalle leggi che lo consegnerebbero, a suo dire, alla persecuzione dei magistrati, all' asta delle frequenze tv da non fare, alla Rai da non toccare. No: il Cavaliere era seriamente preoccupato per la piega che sta prendendo la crisi europea, sperava di trovare in Monti una qualche consolazione, ma è uscito dal lungo incontro a Palazzo Chigi con la sensazione che anche un grande conoscitore dello scenario europeo e dei meccanismi globali dell'economia come il presidente del Consiglio non ha alcuna certezza da comunicare. L'avvitamento della crisi greca, con le conseguenze che sta portando in termini di spread, lo stallo nei rapporti tra Hollande e Merkel, per via della sconfitta della Cancelliera e della nuova scadenza elettorale che attende il presidente francese tra meno di un mese, l'incertezza degli Usa sulla tenuta dell'Europa comunicata da Obama direttamente a Monti: il quadro purtroppo è questo.

Berlusconi ha ribadito al premier il suo appoggio e lo ha pregato di non tener conto delle polemiche preelettorali che si levano dall' interno del suo partito contro il governo. All'uscita da Palazzo Chigi, il Cavaliere è stato assai parco di dichiarazioni, limitandosi a dire che tutto era andato bene ed era alla Camera per votare la fiducia. Malgrado le rassicurazioni, tuttavia, la maggioranza è stata più magra del solito, a testimonianza che le riserve del Pdl su un esplicito sostegno al governo sono effettive, e non solo dichiarate a scopi elettorali. La Russa, che nel centrodestra incarna la linea dell'appoggio esterno a Monti, non a caso si era detto contrario all'appuntamento a Palazzo Chigi prima del voto, nel timore che un appeacement troppo evidente con il premier possa influire negativamente sull'elettorato pidiellino, chiamato al voto domenica in undici ballottaggi e solitamente svogliato nel secondo turno.

Sul tavolo di Monti, oltre alle sofferenze interne del centrodestra, è arrivata anche la richiesta, preannunciata da Bersani a «Porta a porta» lunedì sera, di provare a rinegoziare, se possibile spostandolo in avanti, il termine del 2013 per il pareggio di bilancio sul quale l'Italia si era impegnata l'estate scorsa. Secondo il leader Pd esistono le condizioni per farlo, visto che altri Paesi europei hanno concordato scadenze più lunghe. E questo consentirebbe al governo di muoversi con limiti meno stringenti nell' affrontare la dura estate che si prepara.

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« Risposta #478 inserito:: Maggio 19, 2012, 10:33:07 am »

18/5/2012

I partiti nemici di se stessi

MARCELLO SORGI


Alla vigilia dei ballottaggi, un’imperdonabile leggerezzastaportandoipartiti a inscenare alla Camera una guerrigliasullaleggeanticorruzione.

Proprio negli stessi giorni in cui vengono a maturazione i due scandali che hanno investito, una dopo l’altra, la (ex) Margherita e la Lega.

Accomunati dagli imbrogli dei rispettivi tesorieri, Lusi e Belsito, i due casi avevano avuto finora sviluppi gravi, ma differenti. La Lega infatti è stata colpita alla testa, e per quanti tentativi siano stati fatti, anche da Maroni, che ne ha preso la guida, per salvare Bossi, o almeno per circoscriverne le colpe, la magistratura ha trovato prove del diretto coinvolgimento del Senatur, non solo dei suoi familiari e famigli, nella truffa dell’uso indebito dei rimborsi elettorali. E per questo si appresta a chiamarlo a rispondere in giudizio.

Diversamente, nel caso della Margherita, sembrava che i vertici del partito fossero riusciti a dimostrare di essere stati parti lese, e non complici, dell’amministratore fedifrago. Il comportamento di Lusi, che con fondi pubblici, ma per ragioni private, viaggiava in aereotaxi, frequentava alberghi e ristoranti costosi, aveva una particolare passione per certi spaghetti al caviale del costo di 180 euro a porzione, e si era costituito un patrimonio immobiliare familiare fatto di ville e attici al centro di Roma, aveva certo gettato più di uno schizzo di fango sul suo ex partito, in parte confluito nel Pd e in parte fuoriuscito, al seguito di Rutelli e della sua nuova formazione Alleanza per l’Italia. Ma lo stesso Rutelli, l’ex ministro dell’Interno Bianco e il sindaco di Firenze Renzi, per citare i principali, a dire del tesoriere, beneficiari di quel che restava dei fondi della Margherita, erano riusciti a smantellarne le insinuazioni e addirittura a dichiararsene vittime. Quando però i giudici hanno chiesto la carcerazione di Lusi, il senatore s’è presentato davanti alla giunta per le immunità, che doveva dare un primo responso sul suo arresto, e ha sfoderato una serie di accuse precise, con dati e cifre, che hanno riempito pagine e pagine di resoconto e sono state subito allegate ai fascicoli dell’inchiesta. Di modo che, seppure Rutelli, Bianco e Renzi hanno reagito nuovamente con durezza, annunciando una seconda serie di querele, i giudici - magari anche con l’intento di scagionarli da una vicenda così pesante - probabilmente firmeranno per loro gli ormai classici avvisi di garanzia.

Certo, per conoscere le conclusioni a cui approderanno le inchieste e per veder celebrare i processi, ci vorrà del tempo. E in ogni caso converrà attendere prima di dare un giudizio definitivo. Non tutto è chiaro. E non è detto che di fronte a contestazioni e a responsabilità personali più o meno evidenti ed equilibrate, i tribunali emettano la stessa sentenza. Ciò che al contrario si può valutare fin d’ora sono le conseguenze politiche di quel che è avvenuto, il quanto e il quando, dato che le ultime notizie e rivelazioni sono esplose disgraziatamente nel bel mezzo di una tornata elettorale: tutta giocata, per giunta, sul sussulto dell’antipolitica e sull’imprevedibile avanzata di Grillo e del suo Movimento Cinque Stelle.

Una coincidenza talmente malaugurata era davvero impensabile. Il risultato è che i due schieramenti di centrodestra e centrosinistra, i quali, pur divisi e tra mille difficoltà, cercavano di riorganizzarsi per le prossime elezioni politiche del 2013, adesso sono azzoppati. Tra Lega ed (ex) Margherita, mal contato, hanno perso un terzo a testa della loro forza. E se i ballottaggi, in cui si vota solo per i sindaci, non consentiranno facilmente di misurare la portata dell’emorragia, già i numeri del primo turno segnalavano che il calo subito ha messo le due coalizioni in condizione di non rappresentare più la maggioranza, neppure se dovessero sommare i loro voti. A dimostrarlo, basta prendere in esame i due maggiori partiti, Pdl e Pd, che alle elezioni del 2008 rappresentavano più del 70 per cento dei voti e adesso rischiano di non arrivare al 50. Un rischio già diventato realtà in molte delle città in cui s’è votato e il Pdl è sceso sotto al 15 per cento. Ma nel Sud anche i numeri del Pd sono spesso sconfortanti.

Siccome i dati sono disponibili, e sono stati analizzati, da più di dieci giorni, ci si poteva aspettare che nelle due settimane che separavano il primo turno dal secondo, la politica, così timorosa dell’antipolitica, avrebbe cercato riscatto con il proprio comportamento. C’erano almeno due occasioni a portata di mano: la riforma del finanziamento dei partiti e la legge anticorruzione. Ma per la prima, alla fine di una trattativa estenuante che ha visto cambiare troppe volte la portata dei tagli ai rimborsi elettorali, ora fissata al cinquanta per cento, si dovrà aspettare ancora una settimana. E per la seconda, la guerriglia alla Camera in corso da giorni e giorni - con il Pd che vota con l’Idv, e la Lega che si astiene, per isolare il Pdl e metterlo in minoranza - è ora giunta a minacciare il governo. Quali saranno gli effetti di tutto questo sul voto di domenica e lunedì, è fin troppo facile immaginarlo. Ma stavolta i partiti puniti il 6 maggio non hanno che da prendersela con se stessi.

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« Risposta #479 inserito:: Maggio 22, 2012, 04:08:44 pm »

22/5/2012

Chi riempirà i vuoti della Destra

MARCELLO SORGI

La domanda sorge spontanea di fronte ai risultati dei ballottaggi: ma i partiti e il sistema politico che abbiamo conosciuto negli ultimi venti anni - e insomma la Seconda Repubblica - sopravviveranno all’ondata di piena che li ha investiti? Il quadro uscito dalle urne ha certamente esasperato le tendenze del primo turno: emblematica la vittoria dei grillini a Parma; accentuato il crollo del centrodestra e del Pdl; totale, in sette ballottaggi su sette, la sconfitta della Lega; e la tenuta del Pd, secondo come la si guardi, si può considerare accettabile o striminzita, dal momento che Bersani a Genova vince con un candidato che non era suo e a Palermo soccombe al plebiscitario ritorno di Orlando. Eppure, a dispetto anche delle prime reazioni emotive ai numeri e alle percentuali, non è detto che il virus che ha aggredito la politica italiana debba per forza essere considerato letale. Anzi, a sorpresa, e in vista della prossima e ravvicinata scadenza delle elezioni politiche del 2013, potrebbe rivelarsi un male curabile.

Seppure imprevedibile in queste dimensioni, la vittoria del Movimento 5 stelle non prelude a un’Italia governata da Grillo, che tra l’altro è il primo a non avere obiettivi del genere.

E fuori dalle principali città in cui s’è votato, non è affatto trascurabile il risultato del Pd al Nord, in centri come Monza, Como e Asti, strappati al centrodestra, e più in generale su tutto il territorio nazionale. Quando canta vittoria, Bersani certo esagera, ma la sua ditta non è in cattiva salute. Almeno uno dei due schieramenti che si contenderanno la guida del Paese è in condizioni di correre. Quanto a vincere, si vedrà, specie se l’alleanza con Nichi Vendola e la sinistra radicale si rivelerà determinante.

La malattia ha invece avuto conseguenze devastanti nell’altra metà. Il Pdl è in rotta da Nord a Sud. E se parte del suo elettorato a Parma ha incredibilmente votato per Federico Pizzarotti - portandolo alla vittoria e apprezzandone la natura tranquilla, da ceto medio, il contrario esatto di quella del suo leader Beppe Grillo -, il resto dell’esercito berlusconiano è disorientato. In maggioranza ha preferito disertare le urne. Non crede più nell’alleanza con la Lega: tutto quel che è emerso su Bossi e i suoi familiari e famigli è perfino più inaccettabile per gli elettori berlusconiani del Nord che non per quelli leghisti. I quali, a ogni buon conto, alla favola di Bossi vittima di una congiura della moglie e dei figli si sono rifiutati di credere e stanno ancora aspettando che Maroni dica una volta e per tutte cosa intende fare del Fondatore travolto dallo scandalo.

Inoltre, un Paese in cui quasi metà degli elettori (e occorrerà vedere quanti di centrodestra e quanti di centrosinistra) disertano i seggi, si rivela straordinariamente simile, una volta tanto, all’immagine che tutte le settimane ne diffondono i sondaggi. La gente non ne può più. Anche se non è vero, s’è convinta che i tecnici al governo continuino ad aumentare le tasse perché i politici non intendono rinunciare ai loro privilegi. E più sente parlare a vanvera di tagli del numero dei parlamentari e dei rimborsi ai partiti, senza vedere nulla che si concretizzi, più continua a ritenere che sia così. Malgrado ciò, non si può certo credere che la metà di un elettorato che stavolta s’è protestato assente se ne resti a casa anche alle prossime politiche, quando si tratterà di decidere chi deve governare il Paese. Non è possibile. Gli astensionisti, com’è sempre successo, torneranno a votare. E sarà il modo in cui torneranno e il loro numero a decidere gli equilibri del 2013.

Per certi versi, anche se le analogie negli ultimi tempi sono diventate pericolose, siamo in una situazione simile a quella del 1993. Il vecchio gruppo di comando berlusconiano è collassato, come Andreotti e Craxi vent’anni fa. E quel che è più grave, si tratta di un collasso politico, non giudiziario. C’è un governo tecnico (che somiglia, ma somiglia soltanto, a quello di Ciampi), alle prese con difficoltà peggiori di quelle d’allora e con l’appoggio sempre più intermittente dei partiti della sua maggioranza. Anche adesso il centrosinistra regge, ha qualche falla aperta nel suo fianco destro e in quello sinistro, ma è sopravvissuto, finora, alla tempesta che sembrava voler inghiottire tutto il sistema. C’è infine una fortissima spinta di protesta, che non è esclusivamente estremista (vedi Parma), e solo in condizioni eccezionali (vedi Palermo) può puntare al governo. Ma può anche essere recuperata, o addirittura diventare determinante, nella vittoria di uno o dell’altro schieramento.

Fin qui, tutto quasi come alla fine della Prima Repubblica. Ma a questa similitudine, per essere completa, manca Berlusconi. Lui o un altro, uno nuovo, che non è detto che ci sia, ma potrebbe saltar fuori all’ultimo momento, esattamente come nel ’94. Così se il centrodestra vuol tornare in campo deve solo decidere cosa fare: o manda in pensione il vecchio Silvio (e con lui il Pdl, ormai evidentemente in stato di liquidazione), o lo richiama in servizio. Il rischio è altissimo in entrambi i casi. E non è affatto sicuro che anche stavolta la sorpresa, la novità a destra, basti a fermare le ambizioni di un centrosinistra in lenta ma costante avanzata. Ma per risvegliare gli elettori moderati sonnolenti o disgustati per quel che sta accadendo - non c’è altra scelta.

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