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Autore Discussione: MARCELLO SORGI.  (Letto 288392 volte)
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« Risposta #390 inserito:: Novembre 17, 2011, 04:50:56 pm »

17/11/2011 - TACCUINO
 
Per poter agire l'esecutivo avrà ancora bisogno dell'aiuto del Colle
 
MARCELLO SORGI
 
Se il buon giorno si vede dal mattino, un generale effetto sedativo sembra essersi diffuso sulla ultratormentata politica italiana dopo la nascita e l'insediamento del governo Monti. Non ha lasciato tracce neppure l'esclusione finale di Letta e Amato, per giorni al centro di un braccio di ferro tra il Quirinale, il neo-presidente del consiglio e i due maggiori partiti della maggioranza, conclusosi con il prevalere dei veti di Pdl e Pd.

Per larghissimo riconoscimento, il governo è composto da personalità di alto livello e competenze. Il passaggio delle consegne a Palazzo Chigi é avvenuto serenamente. L'inusuale riconoscimento che il Capo dello Stato ha voluto tributare pubblicamente a Berlusconi e a Letta ha ulteriormente disteso il clima. L'attesa è per il discorso programmatico che Monti pronuncerà stamane alle 13 al Senato. Ed è a questa scadenza che è legato il primo problema da risolvere.

Dopo le lunghe consultazioni che hanno preceduto la nascita del governo, i partiti della maggioranza si aspettano che il premier non si discosti dalle intese raggiunte, sia sul piano dei contenuti, sia su quello delle prospettive del governo. La governance di un esecutivo tecnico, spiegano, non può essere diversa, e Monti deve mettere in conto che qualsiasi nuova iniziativa dovrà essere concordata preventivamente. Ma se veramente un metodo del genere dovesse essere applicato, il governo non andrebbe molto lontano. Pertanto, oltre a elencare gli obiettivi, non solo economici, del governo, Monti oggi al Senato chiederà di avere larghi margini di autonomia per poter trattare con l'Europa un percorso di risanamento accompagnato dall'Italia con severe misure anticrisi.

Le linee di questo piano emergono già dai criteri seguiti per la formazione del governo: la scelta di Elsa Fornero, tra le maggiori esperte di problemi previdenziali, prelude alla proposta di di rimettere le mani sulle pensioni. L'accorpamento dei ministeri dello sviluppo economico e delle infrastrutture, affidati a Corrado Passera, lascia intuire l'ipotesi di un'accordo con le autorità europee: pareggio di bilancio in cambio dello sblocco dei fondi che, facendo ripartire i lavori pubblici, darebbero un immediato sprone alla crescita.

Il varo del governo Monti contrassegna il successo, riconosciuto da tutti, dell'impegno del Capo dello Stato per la soluzione della crisi. Napolitano è riuscito a realizzare un risultato che sembrava impossibile fino a una settimana fa, con un consenso generale e senza intoppi. Per questo sarà importante che anche nei prossimi mesi Monti possa contare sull'aiuto e la collaborazione del Presidente della Repubblica.

 DA - http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=9445
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« Risposta #391 inserito:: Novembre 17, 2011, 05:11:42 pm »

Serietà e Fragilità

Se ci si dovesse limitare alle reazioni ufficiali, il destino di Mario Monti sembrerebbe segnato: in positivo, naturalmente.
Il placet corale che gli è arrivato dall'Italia e dall'Europa conferma il prestigio di cui gode il nuovo presidente del Consiglio italiano. I capi di Stato e di governo dei Paesi alleati tradiscono una grande ansia di coinvolgerlo. Ai loro occhi, Monti ha il merito di reinserire a pieno titolo nell'Unione Europea un interlocutore prezioso, per ridurre il rischio che l'Ue sia schiacciata e sfigurata dal tandem franco-tedesco. Ma l'impasto di serietà, competenza e affidabilità che caratterizza il suo profilo, impone di chiedersi se non permanga anche una fragilità politica.

Si tratta di un aspetto da non tacere, nel momento in cui le aspettative nei confronti del premier e del suo esecutivo tecnico appaiono enormi. Probabilmente, fra oggi e domani Monti riceverà una larga fiducia dal Parlamento. E ha già detto di sentire il dovere e di coltivare l'ambizione di proiettarsi fino al termine della legislatura: l'unico modo per sperare che le misure economiche in incubazione riequilibrino un'Italia sbilanciata pericolosamente dal suo debito e dall'assenza di crescita. Ma proprio per questo non si possono ignorare le incognite con le quali dovrà fare i conti. Per neutralizzarle, Monti ha ripetuto il verbo «rasserenare». Si rivolgeva alla politica e ai mercati.

Non a caso. Il capo del governo sa che l'atteggiamento dei partiti è dettato da una miscela di convinzione e di costrizione; e che un anno e poco più li separa comunque dalle elezioni. Sa anche che la strada della coalizione incrocerà l'ultimo anno di mandato del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, vero artefice dell'operazione Monti; e che quando si intravedono scadenze così strategiche, lo sfondo può intorbidirsi e incresparsi rapidamente. La terza incognita sono i referendum elettorali di primavera, se saranno ammessi dalla Corte costituzionale. E in questo caso il rischio che le tensioni tra e dentro i partiti si scarichino su Palazzo Chigi sarebbe inevitabile.

Sullo sfondo rimane una situazione finanziaria in bilico. L'Europa sembra puntare molto sul «ritorno» dell'Italia, se di ritorno si tratta, per tentare una controffensiva contro la speculazione meno frustrante di quanto sia stata finora. Ma Monti è consapevole del tempo che si è perso, e di quanto l'Italia sia percepita tuttora come un Paese sotto osservazione. Dovrà convincere l'opinione pubblica interna che è il momento di farsi «formiche» serie e operose, dopo una stagione di diritti non compensati da un diffuso senso del dovere; e che la coesione sociale è davvero un fattore di sviluppo: almeno quanto la litigiosità lo è di regressione, facendo perdere energie, tempo e soldi.
Forse, l'incognita più grande è proprio questa: spingere l'Italia a ripensarsi. Ma se non ci si riesce, sarà difficile pretendere che gli altri cambino idea su di noi.

Massimo Franco

17 novembre 2011 | 9:19© RIPRODUZIONE RISERVATA

DA - http://www.corriere.it/editoriali/11_novembre_17/serieta-e-fragilita-massimo-franco_3b4f7ce0-10e3-11e1-b811-fb0a2ca90bde.shtml
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« Risposta #392 inserito:: Novembre 19, 2011, 10:42:34 am »

18/11/2011 - TACCUINO

Un'opposizione aperta e una sotterranea

MARCELLO SORGI

Al suo esordio in Senato, Monti s’è trovato di fronte all’aperta e intransigente opposizione leghista e a quella sotterranea ma non meno dura di Berlusconi. Mentre i senatori del Carroccio in aula davano luogo a contestazioni tacitate a stento dal presidente, il Cavaliere con i suoi s’è sfogato dicendo che la nascita del nuovo governo contrassegna una sorta di sospensione della democrazia, che il Pdl potrà tollerare non a lungo e che a un certo momento si riserva di interrompere, per tornare ad elezioni.

Imperturbabile come sempre in questi giorni, Monti ha scelto di rispondere solo alla Lega, spiegando che il suo non può essere considerato il governo dei "poteri forti" e ricordando come in passato, quando faceva il commissario europeo, sia stato in grado di dimostrare la sua autonomia anche da interessi fortissimi come quelli delle multinazionali. A Berlusconi penserà oggi, quando invece delle indiscrezioni che arrivano da Palazzo Grazioli potrà ascoltare nell’aula della Camera il suo predecessore. Ma è chiaro che, se confermato anche pubblicamente, l’appoggio intermittente del leader Pdl per il neo-presidente del Consiglio rischia di trasformarsi nel problema numero uno.

Il discorso programmatico, che conteneva accenni chiari alla necessità di nuove tasse sulla casa e di ritocchi al sistema delle pensioni, in linea con la necessità di riguadagnare credibilità in Europa, ha avuto come si prevedeva un’accoglienza positiva da parte della nuova larga maggioranza che sosterà il governo, e in particolare da Casini e Bersani. Il leader del Terzo Polo, che più di tutti ha voluto la nascita del nuovo esecutivo tecnico dopo le dimissioni di Berlusconi, ha anche aggiunto che gli avvertimenti dell’ex premier sulla durata del governo sono fuori dalla realtà: l’emergenza è tale che occorre lasciare Monti in grado di lavorare serenamente fino alla conclusione della legislatura. Bersani ha ribadito che è sbagliato porre limiti di durata al governo. E mentre Di Pietro si prepara oggi a Montecitorio a dare una specie di fiducia condizionata, Vendola, che pure non è presente in Parlamento, s’è schierato comunque all’opposizione, annotando la differenza di toni del nuovo presidente del Consiglio, ma criticando la sostanziale continuità politica e programmatica, soprattutto in materia economica.

Nel suo primo giorno di lavoro Monti ha inoltre incassato una serie di segnali incoraggianti da parte di importanti partners europei. Uno dopo l’altro la Merkel, Barroso e Van Rompuy hanno voluto dare attestati di fiducia all’Italia, in attesa di vedere al lavoro il nuovo governo nei prossimi appuntamenti dell’Unione.

da - http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=9450
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« Risposta #393 inserito:: Novembre 22, 2011, 12:36:14 pm »

22/11/2011 - TACCUINO

Il valore del vincolo europeo

MARCELLO SORGI

Prevedibile finché si vuole, la differenza di toni con cui ieri il governo e il sindaco Alemanno hanno annunciato ieri il decreto legislativo per Roma Capitale era evidente. Mentre il sindaco si divideva tra una tv e l’altra, il consiglio dei ministri ne ha dato notizia in uno scarno comunicato in cui ha riferito anche che Monti, in parte della seduta ha ripetuto le considerazioni fatte a conclusione del dibattito sulla fiducia sull’importanza del ruolo del Parlamento, e in parte informato degli appuntamenti fissati a Bruxelles con Barroso e Van Rompuy e dei previsti incontri con Merkel e Sarkozy.

Benché la giornata di Borsa e i mercati non siano stati affatto incoraggianti, è chiaro che Monti attribuisce un’importanza decisiva alla sua missione in Europa. Anche se non è immaginabile che possano sortirne subito novità in termini di nuovi accordi, già solo il ristabilimento di rapporti formali regolari e di un clima di reciproca fiducia dovrebbero pesare su una situazione che rimane di emergenza.

Da un’evoluzione dello scenario europeo per l’Italia, inoltre, Monti, che a dispetto della natura tecnica del suo governo ha già dimostrato di avere una chiara visione politica, potrebbe ricavare un chiarimento dei rapporti con i partiti della sua larga maggioranza, non del tutto rasserenati dopo la svolta che ha portato alla caduta di Berlusconi. Le maggiori turbolenze riguardano i provvedimenti che il governo si accinge a presentare, dall’inasprimento delle tasse sulle case e dell’Iva alla riforma delle pensioni, e la scelta dei sottosegretari, sulla quale ancora una volta i partiti vorrebbero influire.

In questo quadro i risultati della missione europea saranno nevralgici. Al ritorno da Bruxelles e dopo gli incontri con i colleghi tedesco e francese, Monti potrebbe rafforzare la sua teoria del «vincolo esterno», spiegando a tutti i suoi interlocutori, politici e parti sociali, che il Paese ha in realtà margini molto ristretti di manovra in un quadro in cui la credibilità italiana dipenderà essenzialmente dalla capacità di realizzare le riforme chieste dall’Europa e fin qui rinviate. Un modo esplicito per capovolgere le polemiche, che, soprattutto da destra, tendono a presentare il nuovo governo come strumento di un’insopportabile sospensione del normale funzionamento democratico del sistema e di una sorta di desovranizzazione a favore del supergoverno franco-tedesco. Se davvero di questo si dovesse trattare, si prepara a obiettare Monti, la causa starebbe nella cattiva politica che ha dominato fin qui. E che solo un comportamento rigoroso dell’Italia potrebbe consentire di rimuovere.

da - http://lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=9468
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« Risposta #394 inserito:: Novembre 23, 2011, 12:31:00 pm »

23/11/2011 - TACCUINO

Un governo a geometria variabile

MARCELLO SORGI

Riproposta ieri dalla discussione seguita all’intervento del Capo dello Stato sulla cittadinanza ai figli degli immigrati, la questione delle maggioranze variabili, o se si preferisce della piena agibilità del Parlamento in presenza di un esecutivo tecnico e in assenza di stretti vincoli politici di maggioranza, data da prima della nascita del governo Monti. Era stato lo stesso professore a parlarne in un’intervista prima di divenire premier. E in linea teorica, non si vede quale possa essere l’impedimento a discutere ed eventualmente votare con maggioranze diverse, che si formino in Parlamento al termine di un libero dibattito, provvedimenti sui quali esistono posizioni diverse tra partiti che invece si ritrovano insieme a sostenere il governo tecnico.

Chiarissimo, a questo proposito, l’esempio della cittadinanza ai figli degli immigrati nati in Italia fatto da Napolitano, che troverebbe a favore nelle Camere Pd, Fli e parte dei cattolici che militano nel centrodestra e nel centrosinistra, mentre si scontrerebbe con l’opposizione intransigente, ma probabilmente minoritaria, della Lega e di parte del Pdl. E mentre fino a un mese fa il confine rigido tra i due poli avrebbe impedito a molti deputati e senatori di votare secondo coscienza, oggi un’eventuale legge potrebbe essere messa all’ordine del giorno e approvata in tempi brevi.

Ma che succederebbe se Monti provasse ad usare lo stesso metodo per far passare, poniamo, la riforma delle pensioni accettata dal Pdl e dai centristi e osteggiata da parte della sinistra, oppure la patrimoniale, sulla quale potrebbero convergere Pd e Udc, scontando la fiera contrarietà dei berlusconiani?

Qui la faccenda diventa più delicata, perché in caso di tentazioni elettorali di una parte o dell’altra, l’eventuale messa in discussione di un provvedimento controverso potrebbe fornire l’occasione di aprire una crisi, che fatalmente scivolerebbe nello scioglimento anticipato delle Camere. Al di là delle intenzioni manifestate nel discorso di presentazione alle Camere su cui ha ottenuto la fiducia, Monti dovrà quindi muoversi con cautela, rodando con attenzione il meccanismo della trattativa tecnica con i partiti che lo sostengono. Ma anche se è difficile immaginare fino a che punto potrà spingersi la trattativa e quali potrebbero esserne gli esiti, non c’è dubbio che la novità del governo tecnico ha rimesso in discussione sia equilibri politici consolidati sia i confini interni ed esterni dei partiti. In sedici mesi, quanti ne mancano alla scadenza naturale della legislatura, i risultati di un movimento del genere, appena cominciato, potrebbero rivelarsi imprevedibili.

da - http://lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=9472
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« Risposta #395 inserito:: Novembre 24, 2011, 06:36:49 pm »

24/11/2011 - TACCUINO

Tra i politici rispunta la voglia di elezioni

MARCELLO SORGI

Colazione con i presidenti delle Camere, pomeriggio con il Capo dello Stato: al ritorno da Bruxelles e alla vigilia del suo incontro con Merkel e Sarkozy oggi a Strasburgo, Monti sembra preoccupato di assicurarsi il massimo di collaborazione istituzionale e garantirsi un iter spedito dei provvedimenti che si accinge a presentare in Parlamento. Sia Fini che Schifani si sono impegnati in questo senso.

Ma al di là della corsia preferenziale che le misure anticrisi del governo dovrebbero trovare alla Camera e al Senato, è il contenuto degli interventi che deve ancora essere messo alla prova del consenso dei partiti che hanno votato la fiducia a Monti. Dai quali partiti, giorno dopo giorno, arrivano segnali di fibrillazione preoccupanti. Ad esempio, non si farà il vertice a tre - Alfano, Bersani, Casini - che doveva servire a stabilire un accordo di massima almeno sull'agenda dei lavori. Il presidente del Consiglio incontrerà separatamente i leader della sua maggioranza, nel tentativo di definire rapidamente il da farsi. Il più presto possibile: questo è infatti l'imperativo che viene dall' Europa e che scandisce queste giornate in cui la febbre dei mercati non accenna a placarsi. Ieri anche per la Germania c'è stata una brutta sorpresa: l'asta dei titoli pubblici, i temutissimi «bund», è andata quasi deserta.

Nessuno è in grado di prevedere con qualche margine di certezza come potrebbe influire nei prossimi giorni un evento del genere nell'atteggiamento della Merkel, che oggi Monti avrà modo di verificare personalmente. Ma le difficoltà di stabilire una strategia comune contro la crisi a livello europeo, in quest'ambito, sono destinate a crescere, e lo scetticismo dei partiti italiani altrettanto. Non a caso il Pdl ha minacciato di far cadere il governo, in conseguenza dell'iniziativa del Pd, dopo la sollecitazione di Napolitano, favorevole a dare la cittadinanza ai figli degli immigrati nati in Italia. Nelle stesse ore si apriva nel Pd il cosiddetto «caso Fassina», dal nome del responsabile economico di cui sono state chieste le dimissioni da alcuni esponenti dell'area liberal del partito, perché più volte nei giorni scorsi aveva preso posizione contro le misure annunciate da Monti in Parlamento. Bersani ha cercato di difenderlo anche per non dare per scontato un sostegno senza negoziato a Monti. Così sta diventando chiaro che per il presidente del Consiglio la strada del governo si presenta in salita anche più di quanto si poteva prevedere. Anche perché le tentazioni elettorali nei partiti sono tutt'altro che sopite.


da - http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=9477
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« Risposta #396 inserito:: Novembre 25, 2011, 10:53:02 pm »

25/11/2011 - TACCUINO

Tra Bruxelles e questioni spinose di sottogoverno

MARCELLO SORGI

Polemiche su sottosegretari e mancato completamento della squadra di governo, nonché sui contenuti dei colloqui tra Monti, Sarkozy e Merkel, hanno rischiato di incrinare, ieri, l’esito in larga parte soddisfacente della delicata missione a Strasburgo del presidente del consiglio. Non che ci si potesse attendere qualcosa di risolutivo dall’incontro con il presidente francese e la cancelliera tedesca. Ma se l’obiettivo, appunto, era il ristabilimento di relazioni nevralgiche che negli ultimi tempi del governo Berlusconi si erano interrotte, dando luogo a decisioni che passavano sulla testa dell’Italia, danneggiandola, il risultato, stando proprio alle dichiarazioni di Merkel e Sarkozy, poteva considerarsi raggiunto, fermo restando un disaccordo di fondo, che permane, sul ruolo della Bce e sull’eventuale emissione di eurobond come misura anticrisi.

Ma proprio l’affermazione della Merkel sulle coraggiose misure che Monti avrebbe esposto nel corso della riunione a Strasburgo ha innescato a Roma curiosità politiche, a cominciare da quelle del centrodestra (Cicchitto), che sollecitava il governo ad informare il Parlamento e riceveva da Palazzo Chigi la precisazione che nessuna particolare rivelazione era stata fatta in sede europea.

A parte queste punture di spillo, resta ansiosa l’attesa della nomina dei sottosegretari. Il segretario del Pdl Alfano ci ha scherzato su, dicendo che gli aspiranti tecnici sono almeno il doppio di quanti erano i politici nel precedente governo Berlusconi, e tra l’altro in lizza per la metà dei posti. A un certo punto della giornata s’era diffusa voce che Monti avrebbe definito la lista al ritorno da Strasburgo, per presentarla al consiglio dei ministri di oggi. Poi, anche in questo caso, la precisazione che la nomina dei sottosegretari non è all’ordine del giorno: se ne riparlerà lunedì, al termine di un altro week-end di lavoro per il presidente.

Sullo sfondo, si percepisce la polemica, non risolta, sulla natura politica o tecnica dei sottosegretari. Ci sono spinte contrapposte in tutte e due le direzioni, e Monti ha fatto sapere che intende procedere con il suo metodo, esaminando i curriculum e a partire dal criterio di non riciclare gente che abbia già fatto parte di altri governi. Metodo e criterio destinati a lasciare molti scontenti sul campo e a costringere i partiti della maggioranza a rinunciare a candidature di diretta espressione e a scegliere nell’ambito di una nuova infornata di tecnici.

da - http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=9481
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« Risposta #397 inserito:: Novembre 29, 2011, 04:07:11 pm »

29/11/2011

L'ultimo assalto

MARCELLO SORGI

Due settimane fa, al momento della nascita del governo, concepito in tre giorni, nessuno avrebbe immaginato che ci sarebbe volute due settimane per smaltire il successivo e in qualche modo conseguente assalto alle poltrone.

Ma è inutile nasconderlo: la lunghissima gestazione dei sottosegretari, culminata ieri sera nel parto faticoso di una lista di tecnici senza sorprese eclatanti - a parte la scelta, che ha già generato polemiche, del politico democristiano Giampaolo D’Andrea per i rapporti con il Parlamento -, sta a significare che i problemi, per il professor Monti, non sono solo sul fronte esterno della crisi dell'euro e della crisi economica, ma anche su quello interno dei partiti.

Tenuti a bada nel blitz, operato dal Quirinale, con cui il governo tecnico dell’ex-commissario Ue era stato insediato all'inizio del mese al posto del dimissionario Berlusconi, i componenti semiclandestini della maggioranza tripartita di larghe intese su cui l'esecutivo si regge sono andati all'arrembaggio delle superstiti cariche di viceministri e sottosegretari con brame degne di miglior causa. Da questo punto di vista, una sommaria lettura della lista segnala un bilanciamento romano del governo nato con un baricentro più spostato verso il Nord. Ma anche una forte resistenza del presidente del consiglio, che è riuscito a imporre le sue scelte sugli incarichi-chiave, a cominciare da quello del viceministro all’Economia, Vittorio Grilli, già direttore generale del ministero, che per il nuovo incarico ha rinunciato al ricco stipendio che percepiva fino a ieri.

Detto delle prime polemiche levatesi sul nome di D'Andrea, che per chi lo conosce ha tutta l'esperienza e la moderazione dc per farvi fronte senza conseguenze, è facile prevedere che qualche mugugno, dopo quelli già sentiti sul “governo dei banchieri”, si alzerà per la nomina alle Infrastrutture di Mario Ciaccia, provenienteanche lui, come il ministro Passera, da Banca Intesa. Il resto della lista è composta da tecnici di vario livello e provenienza: alti funzionari come l’exsegretario generale del Senato Malaschini (Rapporti con il Parlamento), alti magistrati come il capo della Procura di Roma Ferrara o il neo ministro della Funzione pubblica Patroni Griffi (magistratura amministrativa), specialisti di problemi internazionali come Marta Dassù (ex-degli staff di D’Alema e Amato, proveniente da Aspen) o Staffan De Mistura (Onu). Meno bocconiani, insomma, e più tecnici di carriera, maturata anche come ufficiali di complemento di governi precedenti.

Così finalmente, dopo un record di lunghezza, s’è conclusala battaglia dei sottosegretari. E ammesso che valesse la pena fare una battaglia per questo (per giorni e giorni a Roma, negli ambienti politici e parapolitici non s’è sentito parlare d’altro, ed era frequente ascoltare da autocandidati aspiranti trombati la frase classica “ho preferito sottrarmi”), è caduto anche l'ultimo alibi per contrattare, rallentare, ostacolarel’azione del governo.

Non c’è dubbio: siamo in una situazione eccezionale, ed è logico che in queste prime settimane dell’imprevistastagione tecnica i politici abbiano faticato ad adattarsi alla novità che li spoglia in gran parte del potere e gli impone scelte ineluttabili. Ma al punto in cui siamo, dovrebbe esser chiaro che opporsi a un quadro come questo con i soliti metodi e le vecchie abitudini è del tutto inutile. E potrebbe pure rivelarsi controproducente.

da - http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=9496
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« Risposta #398 inserito:: Novembre 30, 2011, 06:04:42 pm »

30/11/2011

Il vento cambia per la Casta

MARCELLO SORGI

Diciamo la verità, ci vuole un certo coraggio a tagliare i vitalizi dei parlamentari proprio alla vigilia di una riforma sulle pensioni che gli stessi deputati e senatori dovranno votare di qui a poco.

Ma d’altra parte non c’era via d’uscita: era impossibile ridimensionare le pensioni dei lavoratori comuni salvando i privilegi degli onorevoli, specie in tempi di polemiche quotidiane sulla «Casta» e di delegazioni vocianti nella piazza di Montecitorio.

Elsa Fornero, la ministra del welfare che è anche una delle maggiori esperte del sistema della previdenza, non ha dovuto faticare molto per convincere i presidenti delle Camere. Fini e Schifani, immaginando quel che il governo stava per chiedere, hanno preferito anticipare ed evitare i soliti giochini per cui i tagli dei privilegi riguardavano sempre i parlamentari di futura nomina, che poi, quando arrivava il loro turno, trovavano il modo di spostarli ancora in avanti. Così, ciò che fino a pochi mesi fa sarebbe stato impensabile, o salutato come un’ingerenza nell’autonomia delle Camere da parte dell’esecutivo, ieri incredibilmente è avvenuto. In perfetto stile Monti e in modo ineluttabile, com’è appunto nelle caratteristiche della nuova stagione del governo tecnico.

Qualche mugugno ci sarà per forza, tra i 250 e passa onorevoli con una sola legislatura alle spalle (a cominciare dall’ex presidente della Camera Pivetti) che dovranno aspettare di avere sessantacinque anni per intascare il vitalizio. Ma ormai è deciso: il sistema contributivo, con cui di qui a poco le pensioni di tutti saranno calcolate solo sulla base dei contributi effettivamente versati durante l’intera vita lavorativa, scatterà da subito anche per i parlamentari.

E non è neppure la sola novità del giorno. Dopo la nomina e il giuramento dei sottosegretari, l’accelerata sulle pensioni segna infatti l’inizio del lavoro a pieno ritmo del governo (fin qui accusato di essersi mosso con eccessiva lentezza). Subito dopo, entro lunedì 5 dicembre, seguiranno altre misure anticrisi, che si preannunciano anche più dure di quanto trapelato fin qui. Tornato già ieri stesso in missione a Bruxelles, Monti in sede europea s’è trovato di fronte a un quadro che via via si sta presentando, se possibile,più duro del previsto.

Il commissarioRehn, in pratica il ministro dell’economia della Ue, ha insistito di nuovo, oltre che sulle pensioni, sulla necessità di stimolare la crescita, gelata dalle previsioni di recessione dell’Italia nel 2012, con norme su licenziamenti e ipotesi di gabbie salariali: provvedimenti che, al solo sentirne i titoli, solleveranno reazioni notevoli dei sindacati e non saranno accolti favorevolmente da una partedel centrosinistra.

Anche Berlusconi, nel confermare il suo appoggio al governo, di cui ha lodato le prime mosse, ha voluto ricordare a Monti che l’impegno del centrodestra a sostegno della maggioranza non prevede né patrimoniali né riforme elettorali, che non fanno parte del programma concordato. Insomma, seppure infiacchita, continua la resistenza dei partiti. Di fronte alla quale, Monti, se non vuole indebolirsi, ha solo una possibilità: tirare diritto per la sua strada.


da - http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=9500
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« Risposta #399 inserito:: Dicembre 03, 2011, 11:06:46 am »

3/12/2011

La solitudine del premier

MARCELLO SORGI

La manovra che Monti si accinge a presentare lunedì rischia di provocare un terremoto politico e sindacale. Se le misure saranno quelle circolate ieri in una serie di circostanziate indiscrezioni, e se le reazioni saranno quelle minacciate, man mano che il quadro delle misure prendeva forma, la luna di miele tra il governo tecnico, la sua larga ancorché informale maggioranza tripartita e le parti sociali è destinata a interrompersi bruscamente.

Nulla che il presidente del Consiglio, chiamato a dolorose e impopolari scelte di rigore economico, non potesse prevedere fin dal primo momento. Ma la gelata che si prepara - e tra oggi e domani si farà sentire, in occasione degli incontri di Monti con partiti, sindacati e parti sociali coglie il governo in un momento difficile oltre che prematuro, prima ancora di poter sperimentare e rodare il rapporto con il Parlamento, e con il rischio di forti fibrillazioni nei due campi di centrodestra e centrosinistra.

Dato purtroppo per scontato l’inasprimento delle misure - a partire, sempre se sarà confermato, dall’inasprimento dell’Irpef, destinato ad abbattersi sui lavoratori dipendenti in parte già colpiti dalla manovra estiva -, e ricavato che Monti, nei suoi primi contatti con i partners europei dev’essersi trovato di fronte a interlocutori ancora più esigenti di quanto si aspettava, la svolta porterà molto probabilmente a un capovolgimento del quadro politico, quale si era manifestato all’atto della nascita del governo. Mentre infatti Monti aveva fin qui trovato appoggi più convinti nel centrosinistra, soddisfatto già solo per la caduta di Berlusconi, e meno entusiasti nel centrodestra, da cui subito si era staccata la Lega dopo vent’anni quasi di alleanza, adesso sta per accadere il contrario.

Occorre infatti mettere in conto il passaggio all’opposizione di Di Pietro, che ha già fatto sapere che all’incontro con il premier non andrà. Ma anche nel Pd la richiesta di Bersani a Monti, di spostare a sera l’appuntamento, lascia intuire che il segretario prende tempo per poter valutare meglio le conseguenze della probabile rottura tra Cgil (e forse non solo) con il governo. Trovarsi a votare il decreto anticrisi in un Parlamento assediato dagli scioperanti non sarebbe affatto facile per il maggior partito della sinistra.

A destra Berlusconi è cauto, ma la linea del Pdl è già decisa: in pubblico e in tv, il partito sarà recalcitrante e dichiaratamente contrario agli aumenti di tasse dirette e indirette che la manovra prevede, e che sarà compito di Alfano e dei principali dirigenti pidiellini scaricare sui tecnici e sul pezzo di maggioranza di sinistra che li sostiene. Ma alla fine nelle Camere il Pdl darà il suo assenso, accompagnato magari da mille distinguo.

Con l’urgenza che viene da Bruxelles (il 9 dicembre Monti parteciperà al vertice europeo in cui dovrebbero essere riscritti i rapporti tra i maggiori alleati), e con la scadenza di approvazione delle misure fissata in pochi giorni, entro Natale, i colloqui che il presidente del Consiglio avrà oggi e domani prima di licenziare il decreto saranno assolutamente nevralgici. Tempo per contrattare ce n’è poco, ed è chiaro che Monti ha convocato i suoi interlocutori per informarli e chiedergli uno sforzo di responsabilità. Ma è inutile nascondersi che una procedura del genere, che non ha precedenti (se non lo sfortunato vertice del tunnel di Palazzo Giustiniani, che ha provocato polemiche a non finire), è assolutamente a rischio. E il precedente della lunga gestazione della lista dei sottosegretari non depone certo a favore di un maggiore ottimismo.

La tentazione di prendere le distanze dal governo, sommergendolo di critiche e di propaganda, è purtroppo diffusa tra le diverse file dei dissidenti della maggioranza. Così, nel momento in cui avrebbe bisogno dell’appoggio del più forte, Monti rischia di ritrovarsi solo. C’è da sperare che non accada; che di qui a lunedì, nella politica stordita da quanto sta accadendo irrompa un soprassalto di ragionevolezza. Ma se così non dovesse essere, il professore non abbia timore della solitudine. E vada avanti lo stesso.

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« Risposta #400 inserito:: Dicembre 15, 2011, 06:00:26 pm »

15/12/2011 - TACCUINO

Le opposizioni tra alleanze e propaganda

MARCELLO SORGI

No, non devono trarre in inganno la dura contestazione leghista al Senato, che ha costretto il presidente Schifani a una sospensione della seduta, e l'aspro intervento di Di Pietro alla Camera, in cui il leader dell'Idv ha accusato Monti di fare nientemeno che voto di scambio, tra la fiducia al governo e la mancata asta per le frequenze televisive da giorni al centro di molte polemiche.

Malgrado la pesantezza dei toni delle opposizioni e la voluta teatralità, a favore di telecamere, dei comportamenti in aula, la manovra contenuta nel decreto “salva-Italia" infatti è entrata in dirittura d'arrivo: con la richiesta del voto di fiducia che arriverà questa mattina, il testo sarà approvato alla Camera entro la fine di questa settimana e passerà a partire dalla prossima al Senato, dove, se non ci saranno ulteriori modifiche, potrà definitivamente essere varato in tempo per le vacanze di Natale.

Gli incidenti a Palazzo Madama, dove Monti si era presentato solo per un'informativa sul vertice europeo, non erano affatto previsti. La Lega sta evidentemente usando la nuova collocazione all'opposizione per ritrovare l'intesa con la propria base, insofferente già in epoca berlusconiana alla politica di rigore imposta dalla crisi finanziaria e dall'Europa, e disorientata dalla mancanza di prospettive chiare in materia di elezioni.

Monti tuttavia, anche in prospettiva, dovrà affrontare il problema del rapporto tra l'esecutivo tecnico che presiede e le opposizioni. Se quello con i tre partiti della maggioranza ha richiesto un paio di settimane per essere risolto - passando dal regime dei vertici semiclandestini con Alfano, Bersani e Casini, alla trasparenza - la mancanza di canali di comunicazione con Lega e Idv, al di là di quello istituzionale del ministro per i rapporti con il Parlamento, è destinata ad aggravare il senso di esclusione dei due partiti, specie in una situazione in cui l'opposizione è fortemente minoritaria rispetto a una maggioranza larghissima, e sostanzialmente non in grado di influire sulla normale dialettica parlamentare. La tentazione di rifugiarsi nella propaganda, a questo punto, rischia di diventare quasi obbligata. E inevitabili le conseguenze di questo lavorìo sui due maggiori partiti, che per sostenere il governo hanno dovuto scontare la rottura delle rispettive coalizioni. Le critiche che Gasparri da destra e Bersani da sinistra hanno rivolto ieri al governo, in questo senso, sono solo un assaggio.

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« Risposta #401 inserito:: Dicembre 16, 2011, 07:01:57 pm »

16/12/2011 - TACCUINO

Parola d'ordine è votare sì ma dissentire dal governo

MARCELLO SORGI

E’ inutile nasconderlo: il voto di fiducia con cui la Camera darà oggi la sua approvazione alla manovra del governo arriva in un clima deteriorato, non solo per gli incidenti che la Lega ha continuato a provocare in aula anche a Montecitorio, dopo le tensioni di mercoledì al Senato, ma anche per le evidenti prese di distanze dei due maggiori partiti della maggioranza da Monti.

Votare ma dissentire, per dare agli elettori la sensazione che solo cause di forza maggiore impongono di sostenere un governo impegnato a emanare provvedimenti impopolari come quelli chiesti dall’Europa e contenuti nel decreto «Salva-Italia»: questa sembra essere la strategia del sostegno critico che accomuna Pd e Pdl. Bersani, che si era detto «stupefatto» per la rinuncia alle liberalizzazioni contestate da farmacisti e tassisti, ieri ha confermato sia l’appoggio che le perplessità sulla manovra, e ha lasciato trasparire solidarietà per le proteste sindacali.

Quanto a Berlusconi, alla presentazione del libro di Bruno Vespa ha fatto anche un accenno all’eventualità di elezioni anticipate, spiegando che se un partito dovesse accorgersi dai sondaggi che è in grado di vincerle, sarebbe suo diritto chiederle. Il Cavaliere ha poi replicato a Bossi. E ha detto che già nei suoi primi giorni di lavoro Monti - e a suo giudizio sarebbe «disperato» per questo ha potuto sperimentare le difficoltà di governare con un sistema istituzionale che non risponde, e va riformato, e con un Parlamento che ancora una volta ha cercato di stravolgere la manovra con i suoi troppi emendamenti.

Interrogato sulle proteste leghiste, Monti ha cercato di minimizzare, raccontando solo di aver visto nell’aula di Palazzo Madama suoi «conterranei» in vivace attività. Chi invece ha fatto le spese della confusione generata dal Carroccio alla Camera è stato il ministro per i rapporti con il Parlamento Giarda, che a stento è riuscito ad annunciare la richiesta del voto di fiducia da parte del governo.

Salvo ulteriori sorprese, il voto di oggi dovrebbe essere scontato, data la larghissima maggioranza su cui, malgrado i mugugni, Monti può contare. Anche Di Pietro ha assicurato che voterà la fiducia e s’è fatto fotografare in plateale stretta di mano con Bersani. Dalla prossima settimana la manovra approderà al Senato. Il varo definitivo è previsto per il 23 dicembre, sempre che non intervengano ulteriori modifiche del testo che costringerebbero ad un nuovo passaggio alla Camera.

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« Risposta #402 inserito:: Dicembre 20, 2011, 07:32:45 pm »

20/12/2011 - TACCUINO

Dopo i veti scatterà l'ora delle riforme

MARCELLO SORGI

Dopo l'approvazione della manovra - giunta in Senato per essere licenziata entro venerdì tutti danno per scontato che i tempi del governo si allunghino. Nel giro di due giorni i partiti della maggioranza hanno detto - e Berlusconi ieri ha ribadito - che non si può pensare ad elezioni di fronte a una situazione economica che continua ad essere allarmante. Ma, ecco il paradosso, se il governo prova a delineare i possibili contenuti di una fase due del proprio lavoro, gli scudi si rialzano.

Parte l'annuncio di uno sciopero fiscale della Lega contro l'Imu, e pazienza se si tratta del ritorno dell'unica tassa autenticamente federale in vigore in Italia. Si levano le proteste preventive dei sindacati contro l'ipotesi, ventilata dalla ministra Fornero, di aprire la discussione sulla riforma del mercato del lavoro "senza totem", in altre parole senza escludere l'ipotesi di rimettere mano al famigerato art. 18 che contiene le norme sui licenziamenti. E la presidente del Pd Rosi Bindi fiancheggia subito i sindacati, rivendicando, prima che il governo prenda le sue decisioni, un negoziato politico approfondito.

Ma se il governo resterà in carica fino al 2013, non potrà limitare la sua sfera di intervento all'economia, anche se si tratta della principale emergenza, fingendo di non accorgersi del resto. Quale che sarà a gennaio la decisione della Corte costituzionale in materia di referendum, ad esempio, è prevedibile che il tentativo di riformare il Porcellum sarà fatto in ogni caso, sia che la Consulta dia il via alle consultazioni referendarie, sia che decisa di evitarle. E non a caso Franceschini ha aperto la riflessione sul ritorno, anche temporaneo, al proporzionale, che darebbe ai partiti la possibilità di arrivare liberi da alleanze forzate alla scadenza elettorale del 2013 e trasformare la prossima in una legislatura costituente. Alla ripresa politica, passate le Feste, è probabile che il confronto si concentrerà sulle misure per la crescita. Ma dopo è inevitabile che il discorso si allarghi. Al di là degli atteggiamenti di facciata che tendono a rappresentarli distanti tra loro ed equidistanti dal governo, Pdl, Pd e Terzo polo hanno un'obiettiva convenienza a sfruttare questa fase di tregua per mettere a punto riforme che nessuno di loro singolarmente sarebbe in grado di realizzare.

da - http://lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=9568
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« Risposta #403 inserito:: Dicembre 22, 2011, 12:31:30 pm »

22/12/2011 - TACCUINO

Legge elettorale Banco di prova per i leader

MARCELLO SORGI

All’indomani dell’appello di Napolitano ai partiti della maggioranza per un più forte sostegno al governo, Bersani ha chiesto di sgomberare il campo da ipotesi di riforma dell’articolo 18, mirate a snellire le procedure di licenziamento (richiesta accolta in diretta a «Porta a porta» dalla ministra del lavoro Fornero). E Berlusconi, dopo un pranzo di due ore con Monti a Palazzo, incontrando i senatori ha ribadito che il Pdl è ancora l’arbitro della situazione e in qualsiasi momento può decidere di tornare ad elezioni. Se non fosse per Casini e il Terzo polo, che continuano a garantire il loro appoggio incondizionato al governo, verrebbe da dire che l’appello del Capo dello Stato non ha trovato l’accoglienza dovuta, e nella maggioranza tripartita che sostiene l’esecutivo tecnico la tensione continua ad essere alta.

In realtà, a parte qualche eccesso polemico (soprattutto da parte dei sindacati, che temono il bis della riforma delle pensioni decisa senza concertazione), il governo continua a godere di un forte appoggio politico, e grazie a questo la manovra dovrebbe essere licenziata oggi in Senato. Più che un gioco di veti, dunque, si sta delineando una sorta di schieramento preventivo in vista della cosiddetta fase 2 del lavoro di Monti e dei suoi ministri. Alfano, Bersani e Casini, in altre parole, devono trovare il modo di trasformare il loro accordo «tecnico» (le virgolette ormai sono d’obbligo, dopo un mese di vertici a tre) in una forma di collaborazione politica compatibile con il livello crescente di insofferenza dei rispettivi elettorati alla stagione dei sacrifici.

Prima di stabilire se davvero ci sia spazio per reimpostare il confronto sulle riforme istituzionali, come ha suggerito Napolitano, sarà la legge elettorale il banco di prova dell’intesa tra i tre leader. Se la Corte costituzionale, alla ripresa, darà via libera ai referendum, l’urgenza di trovare un accordo per evitare un voto che potrebbe portare alla reintroduzione del Mattarellum, la legge maggioritaria che inaugurò la stagione del bipolarismo, potrebbe spingerli ad accelerare la trattativa: in particolare Casini, che a causa del ritorno al Mattarellum potrebbe vedere compromesso il suo disegno terzista. Ma anche nel caso in cui la Consulta bocci i quesiti referendari, la necessità di mettersi attorno a un tavolo, non solo per decidere quali emendamenti proporre ai provvedimenti del governo, ma per dare un senso al finale della legislatura, potrebbe rivelarsi ineludibile.

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« Risposta #404 inserito:: Dicembre 25, 2011, 11:50:14 am »

24/12/2011

Lo spread zittisce i partiti

MARCELLO SORGI

La febbre dello spread di nuovo molto alta, oltre i 500 punti, all’indomani dell’approvazione definitiva della manovra economica in Senato, alla fine ha prevalso sulla serie di incontri di Monti con i partiti che sostengono il governo. Nel giro di due giorni, dal pranzo con Berlusconi e Letta seguito da un incontro con Bersani, il presidente del Consiglio ha completato le sue consultazioni, vedendo ieri di buon mattino la delegazione del Pdl guidata da Alfano con i due capigruppo Gasparri e Cicchitto, e più tardi Casini e Rutelli.

Sviluppo, lavoro, liberalizzazioni, con qualche accentuazione diversa secondo gli interlocutori, gli argomenti all’ordine del giorno; ma nulla che possa rimettere in discussione il percorso dei tecnici, ormai proiettato sulla fase due. E d’altra parte, fino a che la crisi europea non darà qualche segno di allentamento, i margini per distinguersi, per i partiti della maggioranza, sono molto stretti. I leader di Pdl e Pd sono in sofferenza perché sentono gli umori dei rispettivi elettori e temono di dover pagare un prezzo troppo alto in termini di voti, anche per il lavorio che fanno la Lega sul versante destro e l’Idv su quello sinistro, ora che le elezioni amministrative della prossima primavera si avvicinano. Casini e Rutelli invece insistono nel sostegno senza riserve al governo, perché ritengono, con una buona dose di certezza, che la legislatura arriverà alla scadenza naturale del 2013 e che per quella data il governo comincerà a misurare i risultati dell’azione di risanamento, premiando anche chi gli è stato vicino.

C’è poi anche un’altra insidia che, sondaggi alla mano, tutti i partiti mostrano di temere: l’eventualità che Monti e i suoi tecnici possano schivare le reazioni più forti degli elettori grazie agli effetti del proprio lavoro, che a un certo punto diventeranno più sensibili, e il conto della crisi e dell’emergenza, in termini di sacrifici che cambieranno la vita dei cittadini, debbano pagarlo solo i politici. Timori che sono legati, oltre che alle cifre delle tabelle che gli istituti di ricerca settimanalmente allineano sulle scrivanie dei leader, anche all’andamento dell’ultima tornata elettorale nelle città, conclusasi con risultati a sorpresa sia nelle primarie che nel voto vero e proprio, e con il successo, a Milano e Napoli, dei candidati sindaci più radicali. Difficile, al momento, paragonare la situazione attuale con quella di sette mesi fa, vista la rapida evoluzione della crisi. Ma anche assolutamente impossibile sperare che possa andare in modo molto diverso.

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