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Autore Discussione: MARCELLO SORGI.  (Letto 289215 volte)
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« Risposta #375 inserito:: Ottobre 18, 2011, 04:51:54 pm »

18/10/2011 - TACCUINO

Nuovo strappo a sinistra dopo la mossa di Di Pietro

MARCELLO SORGI

Preannunciato per oggi, con il discorso del ministro dell'Interno Maroni sugli incidenti di sabato a Roma, l'arrivo di nuove misure anti-violenza ha improvvisamente mutato il clima di muro contro muro con cui s'era concluso venerdì lo scontro sulla fiducia. A sorpresa, da ieri, per iniziativa di Di Pietro, c'è un tentativo di intesa bipartisan sull'emergenza Black-bloc, che rischia di riproporsi nelle prossime manifestazioni e di proliferare nel clima di crisi economica che durerà per i prossimi mesi.

Di Pietro ha fatto della legge Reale, il giro di vite che a metà degli Anni Settanta mise al primo posto le esigenze della sicurezza e dell'antiterrorismo rispetto alle garanzie tradizionali per gli imputati (allora ci fu chi parlò di «leggi speciali») il suo cavallo di battaglia. Maroni, accogliendo l'invito del leader di Italia dei Valori, ha confermato che oggi in Parlamento annuncerà misure adeguate alle dimensioni dell'emergenza. Si parla di inasprimento delle pene per reati come quelli commessi sabato (danneggiamenti, resistenza aggravata a pubblico ufficiale) e anche, tema più controverso, di consentire l'arresto in caso di pre-flagranza, ciò che potrebbe portare a iniziative contro i centri sociali, come reclama una parte del centrodestra. È esattamente su questa prospettiva, condivisa da Di Pietro in nome dell'allarme diffuso nell'opinione pubblica dopo la giornata di guerriglia romana, che rischia di aprirsi una divaricazione nel centrosinistra e nell'alleanza simboleggiata dalla famosa foto di Vasto con Bersani, Di Pietro e Vendola. A quest'ultimo, in particolare, la mossa dell'ex pm di Mani pulite non piacerà. I centri sociali sono infatti un punto di riferimento preciso per il leader di Sinistra e libertà ed è evidente che lo strappo di Di Pietro - e la possibilità che una parte dell'opposizione possa votare con il centrodestra, consentendo, come ha suggerito il ministro della Difesa La Russa, che le nuove misure siano presentate per decreto dal governo -, non vada a genio anche a una parte del Pd e all'Udc.

La protesta dei poliziotti, che stamane manifesteranno davanti a Palazzo Chigi contro i tagli al bilancio della sicurezza, sta sottolineare che il modesto risultato di contrasto ottenuto a Roma dalle forze dell'ordine contro i violenti è dipeso anche dall'indebolimento dei mezzi affidati a polizia e carabinieri per svolgere i loro compiti. Materia, questa, su cui l'opposizione si sarebbe esercitata volentieri se l'apertura di Di Pietro al governo ora non rendesse tutto più complicato.

da - http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=9334
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« Risposta #376 inserito:: Ottobre 19, 2011, 11:17:38 pm »

19/10/2011 - TACCUINO

Il governo gioca la carta sicurezza

MARCELLO SORGI

L’emergenza economica non dà cenni di miglioramento e sta di nuovo portando al limite di rottura i rapporti tra il governo e le parti sociali, tornate ieri alla carica con toni durissimi. Berlusconi non è in grado di fare concessioni e per la prima volta è costretto ad ammettere che lo stato dei conti non consente di prevedere alcun intervento a sostegno della ripresa: le misure del decreto sviluppo, nuovamente rinviato anche questa settimana, non potranno dunque che essere a costo zero.

Al contrario l’emergenza black-bloc sta invece trasformandosi in un’inaspettata occasione di ripresa per il governo. Non solo perché, pur preoccupando l’opinione pubblica, la distrae dai problemi insolubili della congiuntura. Ma anche perché, come ha spiegato ieri il ministro dell’Interno Maroni al Senato, obbliga il centrodestra a varare una serie di provvedimenti destinati a dividere le opposizioni e farle apparire restìe a condividere la linea dura antiterrorismo. Un alt preventivo alle proposte di Maroni è venuto ieri dalla capogruppo dei senatori Pd Anna Finocchiaro. Ma il ministro, nell’aula di Palazzo Madama, è andato giù duro lo stesso. Al preannunciato inasprimento delle pene e all’estensione della possibilità di arresto anche fuori dalla stretta flagranza di reato, Maroni ha aggiunto l’ipotesi di importare dall’Inghilterra il cosiddetto «Asbo» (antisocial behaviour order, una misura di sicurezza che consente di estendere la carcerazione preventiva contro soggetti pericolosi fino a cinque anni), e il dovere, per gli organizzatori delle manifestazioni, di garantire con mezzi propri gli eventuali danni che potrebbero essere causati nel corso dei cortei. Il ministro non s’è nascosto che si tratterebbe di misure fortemente limitative di diritti previsti dalla Costituzione: ma a mali estremi, ha spiegato, non restano che estremi rimedi.

A parte Di Pietro, che aveva sollecitato il governo a muoversi con l’obiettivo della massima severità, le reazioni del centrosinistra sono caute e tendono ad evitare di entrare nel merito, almeno fino a quando il consiglio dei ministri avrà messo nero su bianco il nuovo pacchetto sicurezza. Al momento le opposizioni sono attestate sulla linea che non sono le leggi a dover cambiare, ma il governo, che manifestamente, a loro giudizio, non è più in grado di affrontare la situazione. Polemiche ha generato anche la decisione di sospendere per un mese le manifestazioni già annunciate a Roma, tra cui uno sciopero della Fiom che doveva svolgersi nei prossimi giorni. È un altro segno che il fronte della sicurezza è destinato ulteriormente ad arroventarsi.

da - http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=9339
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« Risposta #377 inserito:: Ottobre 20, 2011, 09:23:41 am »

20/10/2011 - TACCUINO

E Giulio resta impermeabile alle pressioni nel governo

MARCELLO SORGI

Dopo le anticipazioni, in verità abbastanza deludenti, sul testo del decreto che viene rinviato di settimana in settimana, anche l'ultimo tentativo di convincere Tremonti a collaborare alla ricerca di misure anti-crisi minimamente presentabili, e in grado di essere accolte meglio dalle parti sociali, è naufragato ieri dopo il fallimento di un vertice lampo a Palazzo Grazioli.

Con Berlusconi e con il ministro dell'Economia c'erano Letta Romani e Matteoli, ma non c'è stato niente da fare. Anche se si moltiplicano, nel frattempo, le prese di posizione di parlamentari del Pdl, che premono su Berlusconi: ieri era il turno degli ex-finiani Ronchi e Urso, contrari a votare un decreto a costo zero, senza fondi per rimettere in moto l'economia. La sensazione è che Tremonti si rifiuti di entrare nel merito perché si ritiene l'unico titolato a mettere le mani sui conti dello Stato, e in questo senso non ha gradito, nè la delega data dal premier a Romani per cercare di coordinare i lavori sul decreto e mettere insieme le proposte dei vari ministri, nè il florilegio delle diverse idee che i membri del governo si sono diligentemente affrettati a tirar fuori, come ad esempio l'ultima, spiegata dal ministro Frattini al Foglio, di stringere i tempi per un accordo con la Svizzera per recuperare i capitali italiani espatriati all'estero. Per Tremonti, che ormai non ha remore a dirlo apertamente in faccia ai suoi colleghi nel corso delle riunioni, queste iniziative sono solo una prova di incompetenza, e pertanto si rifiuta di prenderle in considerazione.

Va detto che, conoscendo il carattere difficile del responsabile dell'Economia, non tutti i ministri si avventurano a fargli conoscere le loro proposte via interviste. Qualche giorno fa, cercando in ogni modo di lisciargli il pelo, il ministro della Difesa La Russa ha invitato Tremonti a colazione e gli ha fatto pressappoco un discorso così: vedi Giulio, tu credi che se esistesse veramente una legge buona per risolvere la crisi economica non la adotterebbero tutti, a cominciare da Obama? Ma poiché non esiste, si tratta di fare un decretino che tamponi la situazione e consenta a Berlusconi di andare in tv a tentare di raddrizzare l'immagine del governo. Giulio, se ci dai una mano, è una cosa che si può fare in due minuti. Risposta di Tremonti, che fino a quel momento aveva ascoltato pensieroso il suo interlocutore: mi spiace, ma se dico di no è perchè ho le mie buone ragioni. La Russa ha ingoiato amaro imprecando silenziosamente.

da - http://lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=9343
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« Risposta #378 inserito:: Ottobre 26, 2011, 04:43:21 pm »

25/10/2011 - TACCUINO

I padani di fronte a un bivio decisivo

Prendere tempo, o scivolare verso le urne

MARCELLO SORGI

La durissima nota antiSarkozy diffusa ieri prima del Consiglio dei ministri, per ufficializzare l'indignazione italiana per il tono sfottente della conferenza stampa a due dei leader francese e tedesco, aveva chiaramente l'obiettivo di rimettere insieme la maggioranza, ieri più che mai per tutto il giorno sull'orlo della rottura. Il fuoco di sbarramento usato fin dal mattino dalla Lega contro l'ipotesi di adottare per decreto anche la riforma delle pensioni ha reso necessario cercare su un altro terreno - appunto i rapporti interni nell'Unione - la ricomposizione. Per Bossi toccare le pensioni sotto il diktat dell'Europa era assolutamente inaccettabile. Ore e ore di trattativa hanno portato a separare i due aspetti del problema, optando per la nota di esplicito risentimento, nonché di sottolineatura della precarietà delle banche francesi e tedesche, da parte di Palazzo Chigi, seguita da una presa d'atto dell'Eliseo sotto forma di smentita del famoso sorriso ironico di domenica di Sarkozy.

Per quanto drammatizzata da una serie ininterrotta di dichiarazioni di tutto lo stato maggiore del Carroccio, a sera sulla durata e sulla resistenza del «no» leghista alla riforma delle pensioni tuttavia non erano in molti a scommettere. La lunga serie di precedenti anche recenti, vedi la contrarietà poi rientrata alla guerra in Libia e alle varie versioni della manovra estiva, ha fatto sperare in un ammorbidimento del leader leghista, che tuttavia anche a Consiglio dei ministri cominciato ha fatto trapelare che l'accordo non c'era.

Man mano che il tempo passava la sensazione era che la Lega avesse bisogno di tempo. Sia per separare le decisioni già condivise e contenute nei provvedimenti per lo sviluppo che alla fine hanno visto la luce, dopo una gestazione tormentata che durava da settimane. Sia per trovare un modo che le consenta, in caso di varo forzoso delle nuove regole della previdenza, di mantenere una esplicita riserva, che potrebbe tornare ad essere invalicabile nei prossimi mesi, quando il testo dovrà essere votato dal Parlamento, e soprattutto quando, avvicinandosi ormai la fine dell'anno, Bossi potrà prendere una decisione definitiva sulle elezioni anticipate. Le opposizioni tifano esplicitamente in questa direzione. Casini e Bersani ieri dopo un incontro hanno ribadito insieme che solo un governo diverso e non guidato da Berlusconi può avere l'ambizione di realizzare riforme così importanti.

da - http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=9361
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« Risposta #379 inserito:: Ottobre 26, 2011, 05:05:51 pm »

26/10/2011 - TACCUINO

L'Ue proverà a fidarsi

Ma che faranno i mercati?

MARCELLO SORGI

Annunciata a più non posso per due giorni e confermata dallo stesso Bossi, rimasto alla Camera platealmente fuori dal vertice di maggioranza e insolitamente prodigo di dichiarazioni ai giornalisti, la crisi di governo almeno per ieri è stata evitata, secondo la visione ottimistica del segretario del Pdl Alfano, o congelata, secondo quella che viene da fonti vicine al ministro Maroni, considerato il leader dell'ala più dialogante del Carroccio.

L'escamotage che ha consentito di arrivare alla svolta è degno delle più sofisticate architetture democristiane della Prima Repubblica: in mancanza di accordo nella maggioranza, non potendo portare a Bruxelles uno straccio di provvedimento sulle pensioni, Berlusconi presenterà ai severi partners dell'Unione una lettera di intenti sulla stessa materia, con i titoli delle materie su cui nei prossimi giorni il governo dovrebbe prendere le sue decisioni. Collegata a questa, e preceduta dalla nota con cui lunedì Palazzo Chigi aveva protestato per la sceneggiata delle risatine di Sarkozy e Merkel, c'è una chiara pressione italiana per far sì che l'Europa si fidi dei buoni proponimenti del centrodestra e accordi a Berlusconi il tempo necessario a concludere il negoziato interno con gli alleati.

Al di là delle reazioni che potranno venire dall' Unione, si tratta di una soluzione debole per varie ragioni. Innanzitutto l'Europa con i suoi organi decisionali non é in grado di garantire che i mercati non si fidino e non riprendano a picchiare contro l'Euro e contro i titoli di Stato italiani. Poi non è detto che lo spiraglio aperto dal Carroccio sia così facile da allargare. L'ipotesi che Bossi non possa dir di no a una riproposizione della riforma Maroni, poi cancellata da Prodi, che prevedeva uno scalone dell' età pensionabile al 2008 e due successivi scalini al 2010 e al 2014, è legittima. Ma è chiaro che la trattativa si concentrerebbe, a quel punto, sulle nuove scadenze temporali da imporre alla riforma. E con un anno e mezzo a disposizione e un appuntamento elettorale fissato al più tardi nel 2013, il tentativo di spostare in avanti, a dopo le elezioni, l'effettivo innalzamento dell'età pensionabile, difficilmente sarebbe considerato accettabile in Europa. Pertanto si può dire che Berlusconi ha sicuramente evitato la crisi ieri sera, ma i conti veri con La Lega si faranno dopo la sua missione di oggi a Bruxelles.

da - http://lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=9367
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« Risposta #380 inserito:: Ottobre 28, 2011, 05:21:53 pm »

27/10/2011 - TACCUINO

Dopo l'armistizio europeo un calvario verso le urne

MARCELLO SORGI

Il compromesso di Bruxelles che ha consentito a Berlusconi di evitare la crisi di governo è stato raggiunto a un prezzo alto e ha dimostrato, se ancora ce ne fosse bisogno, che di fronte all’Unione le astuzie non funzionano. Dunque, o l’Italia è in grado di garantire che le riforme elencate nella famosa lettera di intenti - dalle pensioni ai licenziamenti più facili alle liberalizzazioni delle professioni, per fare gli esempi più controversi tra quelli indicati nelle quattordici pagine del testo - saranno realizzate entro tempi brevi e certi, o in caso di inadempienza si troverà quasi automaticamente fuori dal sistema di protezione dell’euro, nel pieno del vortice della crisi. Non a caso si è discusso della possibilità di mettere il testo nel verbale conclusivo del vertice Ue, cioè in pratica di trasformarla in una cambiale che avrebbe reso vincolanti da subito gli impegni presi da Berlusconi ma non ancora dettagliati né trasformati in provvedimenti. E questo malgrado il presidente Napolitano e il governatore e futuro presidente della Bce Draghi si fossero mossi simultaneamente ieri per garantire la serietà delle intenzioni messe per iscritto dal governo italiano e l’impossibilità, in questa fase, di evitare politiche impopolari pur di uscire dalla crisi.

Berlusconi non avrà molte possibilità di godersi il successo della sua missione al ritorno a Roma. A parte il contenzioso aperto con la Lega, e aggravato dalla polemica Fini-Bossi sulla baby-pensione della moglie del Senatùr, che ha infiammato la seduta della Camera, si muovono i sindacati, da sempre sensibili al tema della previdenza e irritati dalle decisioni annunciate dal governo senza consultazione preventiva, mentre le opposizioni continuano a dare battaglia in Parlamento (ieri il governo è andato sotto altre quattro volte).

La via d’uscita a questo calvario, che in tutta evidenza non potrà trascinarsi a lungo, è quella - inconfessabile ma ormai data per scontata nei corridoi di Montecitorio - delle elezioni anticipate. Un mese e mezzo di melina sulle riforme, all’ombra della quale Berlusconi cercherebbe di portare a casa la prescrizione breve e gli altri aggiustamenti procedurali che gli servono per i processi di Milano, e poi la rottura e lo scioglimento. Circola già la data dell’ultima domenica di marzo, come conseguenza di una conclusione anticipata della legislatura a fine anno, per andare a votare con l’attuale legge, rinviando il referendum e tutti i problemi aperti alle prossime Camere e al governo che verrà.

da - http://lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=9372
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« Risposta #381 inserito:: Novembre 03, 2011, 05:04:28 pm »

2/11/2011 - TACCUINO
 
L'ultima chance per un esecutivo boccheggiante

 
MARCELLO SORGI
 
Il consiglio dei ministri previsto per oggi, alla vigilia del G20 e a conclusione di una giornata in cui per molte ore le maggiori banche italiane sono apparse a rischio e il sistema dell'euro vicino all'implosione, rischia davvero di essere l'ultima chanche per un governo ormai boccheggiante. Dopo il lunedì nero in cui la febbre dei mercati aveva superato il livello di guardia, l'improvviso aggravarsi in tutta Europa delle conseguenze della situazione greca - e della decisione del premier Papandreou di sottoporre a un referendum popolare la strategia anticrisi ha imposto un'accelerazione all'evoluzione della situazione politica.

Di fronte al rischio concreto di un avvitamento della congiuntura, è tornata a farsi sentire al Quirinale la pressione delle opposizioni e delle parti sociali per arrivare al più presto a una svolta. Di qui il comunicato del Capo dello Stato in cui, oltre a sollecitare il governo in ritardo da giorni sugli impegni presi a Bruxelles con la famosa lettera di intenti, per la prima volta s'é fatto accenno, non solo all'urgenza delle decisioni, ma anche alla necessità che vengano prese con le più larghe intese possibili. Napolitano ha voluto dunque riferirsi esplicitamente all'offerta di disponibilità, che fin dal mattino gli era stata ribadita da Bersani e dagli altri leader delle opposizioni, annunciando che ritiene suo dovere verificarne la realizzabilità, ove appunto lo richiedessero la tenuta incerta del governo e la mancata efficacia delle iniziative annunciate e finora non messe in pratica per evidenti difficoltà politiche interne alla maggioranza.

La reazione di Berlusconi, rientrato anticipatamente a Roma, è stata un vertice a Palazzo Chigi, a cui ha preso parte anche il ministro Tremonti, sul quale per tutto il giorno erano circolate voci di sostituzione, l'ipotesi di convocare il consiglio dei ministri prima di partire per il G20 di Cannes, per varare subito le misure, e una precisazione del capogruppo Pdl Cicchitto sul fatto che i governi li decidono gli elettori e non i mercati.

Il dubbio che la tempesta finanziaria possa proseguire anche oggi, malgrado l'accelerazione dei rimedi messi a punto dal governo, ieri a tarda sera infatti era ancora molto forte. Ed è evidente che Berlusconi - convinto che l'evoluzione italiana sia strettamente connessa a quella europea, e non che l'Italia, con la Grecia, sia da considerarsi una sorta di ammalato speciale - abbia voluto così mettere le mani avanti.
 
da - http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=9389
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« Risposta #382 inserito:: Novembre 03, 2011, 05:11:47 pm »

3/11/2011 - TACCUINO

Troppa incertezza, Napolitano rimuove la "tutela" al premier

MARCELLO SORGI

Berlusconi sempre più in difficoltà: dopo il 14 dicembre e il 14 ottobre, è in arrivo un nuovo braccio di ferro parlamentare, come quelli in cui a malapena il governo s'è salvato due volte, e che potrebbe pure essere anticipato di qualche giorno, per tentare di abbattere il governo vieppiù indebolito negli ultimi giorni. Il Cavaliere è infatti arrivato oggi al G20 di Cannes in condizioni più difficili rispetto all'ultimo vertice europeo di due settimane fa, quand'era riuscito a strappare l'approvazione per la lettera di intenti con cui l'Italia si era impegnata su una serie di drastiche misure anticrisi.

La conclusione del consiglio dei ministri, dopo una giornata di indiscrezioni smentite su provvedimenti di portata eccezionale, è stata al di sotto delle attese anche dello stesso premier. Il braccio di ferro sul si o il no al decreto con Tremonti, concluso con l'approvazione di un maxiemendamento alla legge di bilancio ha messo in evidenza il permanere di divergenze insuperabili all'interno dell' esecutivo. Una nuova lettera di frondisti del Pdl, con firme pesanti di esponenti di prima linea del partito, ha reso se possibile ancora più incerte le previsioni sui numeri delle prossime votazioni in Parlamento.

Ma soprattutto le consultazioni avviate dal Presidente della Repubblica al Quirinale hanno fatto capire che la tutela fin qui assicurata da Napolitano al governo sta venendo meno di fronte all'incapacità di Berlusconi di uscire dall'incertezza, prendere provvedimenti adeguati al crescente aggravamento della congiuntura e mantenere gli impegni presi di fronte all'Europa. E se le elezioni anticipate restano lo sbocco più probabile dell' ormai possibile caduta del governo, è come se il Capo dello Stato, con questo giro irrituale di consultazioni preventive all'incombente rischio di crisi, si sia rivolto anche ai parlamentari incerti del centrodestra per rassicurarli, consentirgli di votare secondo coscienza nei prossimi decisivi appuntamenti parlamentari, e poi trarne le conseguenze.

Dopo l'esito del G20 in cui prima Papandreou e poi Berlusconi vengono sottoposti a un severissimo esame, il dibattito al Senato convocato per martedi 8 e il successivo voto sul rendiconto di bilancio e sulle prime misure richieste dalla Ue ridiventano cosi l'occasione in cui davvero il governo si gioca tutto. E se tuttavia il Cavaliere riuscisse a prevalere a Palazzo Madama, la lista di firme che si allunga sotto il testo della lettera dei dissidenti del Pdl ingrigisce qualsiasi previsione sulla Camera, dove il rendiconto, già bocciato il mese scorso, arriverà entro metà mese.

da - http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=9393
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« Risposta #383 inserito:: Novembre 07, 2011, 05:32:26 pm »

7/11/2011

I rischi dell'agonia prolungata

MARCELLO SORGI

I cittadini che - sentendo da giorni suonare le campane a morto per il governo e vedendo allungarsi la fila dei dissidenti che chiedono a Berlusconi di farsi da parte - si aspettavano legittimamente la crisi per domani, in occasione della prima votazione parlamentare alla Camera, resteranno delusi a sapere che anche stavolta la caduta del Cavaliere potrebbe essere rinviata: se ne riparlerà, probabilmente, a metà mese.

La ragione di questo inatteso allungamento dei tempi di un’agonia che diventa giorno dopo giorno più tragica è presto detta: un po’ per senso di responsabilità e un po’ per furbizia, le opposizioni, che sembravano pronte a presentare un’ennesima mozione di sfiducia contro il governo (l’ultima, appena il 14 ottobre, non era stata approvata per soli due voti), avrebbero deciso di schierarsi nel voto di domani con un’astensione. Il senso di responsabilità sta nel fatto che trattandosi di rivotare il rendiconto dello Stato, che non era riuscito a passare un mese fa, troppo forte sarebbe il rischio che una nuova bocciatura si traducesse in un incoraggiamento alla speculazione contro l’Italia, specie in giorni in cui il Paese proprio su questo terreno traballa, ed è sottoposto a una speciale sorveglianza dell’Europa e del Fondo monetario internazionale.

La furbizia invece consiste nell’aprire la strada, proprio con un’astensione che in pratica garantisce al governo l’approvazione del rendiconto, a tutti i possibili ripensamenti e ai franchi tiratori della maggioranza. Una sorta di liberi tutti rivolto ai dissidenti, per contarli, al di là dell’incerto registro che ha visto molti di loro ondeggiare nelle ultime ore, specie a causa del pressing che Berlusconi in persona, appena rientrato a Roma, per un intero weekend ha somministrato loro in dosi massicce e con l’aggiunta di lusinghe, promesse e offerte di quelle che non si possono rifiutare. Piuttosto che ritrovarsi come ad ottobre, con un paio di dissidenti pentiti che all’ultimo momento entrano in aula e votano la fiducia, magari per diventare sottosegretari due ore dopo, le opposizioni sperano, con l’astensione, di portare Berlusconi a ottenere l’approvazione del rendiconto con un numero di voti sufficienti, sì, ma non bastanti a poter dire di contare ancora sulla maggioranza dei fatidici 316 voti, la metà più uno dei deputati della Camera.

La speranza, a quel punto, è che il Cavaliere prenda atto che non può governare un passaggio così difficile come quello che il Paese sta attraversando con l’appoggio di una maggioranza che, non solo è esile, ma non può più nemmeno dirsi tale. E di conseguenza, dimostrando a sua volta il senso di responsabilità che l’opposizione avrebbe manifestato con l’astensione, si rechi finalmente al Quirinale a dimettersi, senza aspettare l’onta di essere battuto in una delle successive votazioni e senza costringere di nuovo l’opposizione a proporre un’altra mozione di sfiducia.

Ora, sarà tutto da vedere se un sottile gioco parlamentare come questo, e il «gentlemen’s agreement» che dovrebbe consentire a Berlusconi un’uscita incruenta, possano essere capiti dai mercati internazionali, che da mesi ormai si interrogano sulla capacità dell’Italia di far fronte alla crisi economica con strumenti adeguati e con una capacità decisionale degna di un momento così grave. Già stamattina i sensibili indicatori a cui il Paese vive appeso da settimane, con gli occhi all’altalena dei tassi di interesse, degli spread e dei cambi, potrebbero dire che non è così. Ma altrettanto forte è il rischio che Berlusconi per primo, come ha fatto in questi giorni, non se ne dia per inteso. E invece di far buon viso a cattivo gioco e incamminarsi per la dolente strada delle dimissioni, incassi l’approvazione del rendiconto e continui a dispetto di tutti - e prima ancora del Paese - nella sua incomprensibile resistenza.

da - http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=9405
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« Risposta #384 inserito:: Novembre 08, 2011, 10:01:25 am »

8/11/2011 - TACCUINO

Le divisioni portano alle urne

MARCELLO SORGI

Alla fine di una giornata convulsa in cui Berlusconi ha dovuto smentire più volte l'ipotesi di dimissioni, confermando, in caso di caduta, che farà di tutto per andare ad elezioni, l'accelerata della Lega verso la crisi è giunta come il segno vero della fine. Il «no» del premier al Carroccio non rimedia alla frattura che s'è aperta platealmente con la visita del ministro Calderoli ad Arcore, da dove il Cavaliere, dopo un ultimo vertice con i suoi familiari, aveva annunciato che porrà nuovamente la mozione di fiducia sulla lettera di intenti inviata a Bruxelles per sfidare i «traditori» e garantire gli impegni dell'Italia sulle riforme.

La votazione di oggi sul rendiconto di bilancio alla Camera si risolverà dunque in un passaggio senza sorprese, con l'astensione dell' opposizione che ne consentirà comunque l'approvazione, e allo stesso tempo sarà un test per capire fino a che punto i dissidenti del centrodestra sono riusciti a sgretolare la fragile maggioranza berlusconiana.

Di qui alla prossima settimana invece, tutti gli sbocchi sono possibili. L'aggravamento della posizione italiana sul fronte dei mercati potrebbe anche non consentire di aspettare i tempi del Parlamento e spingere ulteriormente verso le dimissioni del premier. Non a caso nei corridoi di Montecitorio si parla apertamente del dopo-Berlusconi. Le elezioni restano la prospettiva più probabile, vista la difficoltà di formare un nuovo governo. Pdl e Lega sono contrari a un esecutivo di larghe intese, chiesto invece da Casini e dal Pd. Di Pietro punta dichiaratamente sullo scioglimento e sul voto anticipato.

La ricomposizione della maggioranza di centrodestra sui nomi di Letta e Alfano non basterebbe più a un allargamento della maggioranza all'Udc, a cui tra l'altro la Lega è contraria. Sotto sotto, dalla pancia del Pdl, sale anche la tentazione di lasciare all'asse CasiniBersani il compito di tentare le larghe intese (non tanto larghe per la verità) con le frange di dissidenti che si incaricheranno dell'abbattimento di Berlusconi, e di mettere in pratica le politiche rigoriste chieste dall' Europa. E il centrodestra? All'opposizione per un anno, per tentare la rivincita nel 2013.

da - http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=9411
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« Risposta #385 inserito:: Novembre 09, 2011, 05:53:43 pm »

9/11/2011 - TACCUINO

Dieci giorni utili per giocarsi un'altra chance

MARCELLO SORGI

Nel mediocre finale della sua stagione, Berlusconi punta alle elezioni e a usare in chiave elettorale i dieci-quindici giorni necessari ad approvare la legge di stabilità e il maxiemendamento contenente le misure anticrisi concordate con l’Europa. La replica al comunicato con cui il Quirinale, dopo tre quarti d’ora di colloquio tra il premier e il Capo dello Stato e dopo il deludente voto sul rendiconto, ha fissato i tempi della crisi, non lascia dubbi. A Napolitano che annunciava l’intesa sulle dimissioni e subito dopo l’apertura delle consultazioni, Berlusconi ha risposto mettendo le mani avanti rispetto all’ipotesi di un governo di larghe intese e alla possibilità che in questo modo possano entrare in un nuovo governo di fine legislatura i partiti usciti sconfitti alle elezioni del 2008. Era un chiaro avvertimento a evitare qualsiasi formula di ribaltone che troverebbe ciò che rimane del centrodestra all’opposizione.

Ed è anche uno dei pochi punti su cui ancora regge l’asse tra Berlusconi e Bossi, dopo che il Senatur, senza neppure aspettare l’esito del voto della Camera, ha suggerito di tentare la carta di un governo Alfano, pur sapendo che in questa fase il premier non è favorevole a questo sbocco perché non vuole bruciare il suo pupillo. Piuttosto Berlusconi vuole vendicarsi della funesta giornata di ieri, dimostrando al Senato che è il centrosinistra ad essere indisponibile ad accogliere le riforme chieste da Bruxelles, e poi impostando la campagna elettorale, sull’abbattimento da parte della sinistra del suo governo, proprio mentre era impegnato a fronteggiare la crisi.

E tuttavia di qui allo scioglimento delle Camere, che anche abbreviando i tempi non potrebbe avvenire prima di un mese, tra impegni parlamentari, consultazioni ed eventuale incarico per un altro governo, se ne vedranno delle belle, anche se Napolitano ha intenzione di limitare al massimo i giochi. Mentre Casini (vero vincitore di questa mano), Bersani e Di Pietro, al di là delle posizioni ufficiali, non vedono l’ora di andare alle urne, mezzo Pdl e mezza Lega frenano con tutte le loro forze. Di andare alle urne per perdere, come dicono i sondaggi e com’è probabile, e poi ritrovarsi all’opposizione con i due rispettivi leader stracotti che insistono a voler comandare, non hanno alcuna voglia, ma non sanno come fare per evitarlo. Più che un governo, infatti, con due mezzi partiti si fa un governicchio.

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« Risposta #386 inserito:: Novembre 11, 2011, 04:56:54 pm »

11/11/2011

Addio poli si torna al centro

MARCELLO SORGI

Se davvero, malgrado le fibrillazioni di queste ore, si arriverà domani all’approvazione della legge di stabilità e alle dimissioni di Berlusconi, domenica all'incarico a Monti e lunedì, o al massimo martedì, alla presentazione del nuovo governo, non saremo solo di fronte a uno dei più imprevedibili capovolgimenti della recente vicenda politica italiana, ma a qualcosa di più.

Infatti, sotto l’incalzare dei mercati internazionali, degli spread e delle ansie da titoli pubblici, in meno di una settimana e in un colpo avremo assistito insieme alla fine della Seconda Repubblica e della rivoluzione italiana.

Basta solo guardare quel che sta accadendo, per capire che la lunga infinita transizione che si trascinava da quasi vent’anni, invece di approdare a uno sbocco, sta finendo con l’autodistruzione di tutto ciò che pareva consolidato, ancorché incompiuto. Scompare il bipolarismo, cancellato dalle larghe intese, seppure nella versione tecno-politica imposta dal Quirinale, nell’ora dell’emergenza, con la scelta di un personaggio, come Monti, tra i pochi che possono ridare credibilità al Paese sul piano internazionale e mettere in pratica le riforme necessarie, chieste dall’Europa e finora edulcorate o rinviate. Le due coalizioni di centrodestra e centrosinistra, pilastri fragili dell’alternanza di governo in questi anni, sono implose: a destra e a sinistra, la Lega da una parte e l’Idv dall’altra vanno all’opposizione, mentre Pdl e Pd simmetricamente andranno a sostenere il nuovo governo. Che non lo faranno a cuor leggero, è evidente, e altrettanto che i mugugni e le sofferenze che si levano dalla pancia dei due maggiori partiti non sono destinati ad essere riassorbiti tanto facilmente.

Dopo ore e ore di vertici infruttuosi, il segretario del Pdl Alfano ha ammesso che il partito è spaccato. Incredibilmente, i dissidenti berlusconiani di oggi rivolgono al loro leader un’accusa molto simile a quella che gli faceva il centrosinistra ai tempi della discesa in campo, quando lo attaccava sul conflitto di interessi. Gli avversari di Berlusconi dicevano allora che Berlusconi aveva fondato il partito per salvare le sue aziende; oggi i suoi ex amici sostengono che per la stessa ragione se l'è venduto, e per questo ha deciso di aprire a Monti e al governo di larghe intese.

Ma anche dentro il Pd il travaglio è forte, mitigato appena dalla sordina del rispetto aggiuntivo dovuto a un Capo dello Stato che proviene dalle file della sinistra. La svolta pro Monti si porta dietro la rinuncia a una tornata elettorale in cui dopo molto tempo l’alleanza Pd-Idv-Sel partiva favorita; alla candidatura alla premiership di Bersani che in queste condizioni pareva possibile; al probabile aggancio di Casini e del Terzo polo, perseguito da anni e solo adesso giunto a maturazione.

Una dopo l’altra, con la rottura delle alleanze, vacillano ambizioni che parevano certezze e tutti davano quasi per scontate: non c’è più uno andrà al governo e l’altro all’opposizione il ticket Alfano-Maroni che doveva mandare in pensione l’assai usurato tandem Berlusconi-Bossi e aprire dopo un ventennio il ricambio generazionale nel centrodestra. È divisa anche la pattuglia di pretoriani ex An fino a ieri stretta attorno al Cavaliere: Gasparri resterà, se ne andrà La Russa, insospettito dal peso che la componente Cl di Formigoni e Lupi potrebbe avere nel nuovo governo, Matteoli e Alemanno sono già lontani, fedeli al motto mai al governo con i comunisti. Mentre Vendola, a sorpresa, e manco a farlo apposta, ha annunciato che sosterrà Monti.

I partiti liquidi, leggeri, evanescenti, fatti solo di comunicazione e presenze televisive, sono in via di scioglimento. Alla fine l’unica idea forte in questa fase, che accomuna il malessere di tanti ex diversi tra loro, è la convergenza al centro. Tutti gli ex democristiani di ogni parte ne avvertono il richiamo irresistibile. La resurrezione in qualsiasi forma della Dc, che fino a un mese fa sembrava solo il miraggio di alcuni nostalgici, ora invece prende forma. Sembra impossibile che come la fine della Prima Repubblica era scoccata con la spaccatura dello Scudocrociato tra sinistra e destra e il processo per mafia contro Andreotti, la fine della Seconda è segnata dal ritorno di Pomicino che riporta a casa la Carlucci.

Se il professor Monti non avesse già un bel da fare con la crisi economica e con la necessità di riguadagnare al più presto la fiducia dei mercati, sono tutti lì ad aspettare che magari in un intervallo delle consultazioni dica una parola sul proporzionale. Ma anche se non la dirà, questo è il logico approdo di quel che sta accadendo: il centrismo dopo anni di destra e sinistra incapaci di governare; i partiti, quelli veri, dopo le coalizioni tenute insieme a forza dagli stati di necessità. E un sistema elettorale normale, il più normale di tutti, che consenta a ciascuno di stare per conto suo e ricominciare a tessere, se ne è capace, la vecchia e intramontabile tela della politica.

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« Risposta #387 inserito:: Novembre 14, 2011, 07:26:06 pm »

14/11/2011 - TACCUINO
 
La trattativa è appena cominciata
 
MARCELLO SORGI
 
Nel giorno dell'incarico a Monti, gli interventi dei tre protagonisti attorno a cui ruota questa crisi hanno segnato una messa a punto del tentativo di formare un governo in grado di fronteggiare la crisi economica e l'attacco dei mercati finanziari all'Italia.

Cominciamo da Berlusconi. All'indomani delle dimissioni, della celebrazione del suo addio e delle folle vocianti contro di lui fin sotto il Quirinale, il premier uscente ha registrato un videomessaggio a Palazzo Chigi per dire che resta in campo e per far capire che senza il suo assenso il governo Monti non può nascere. Era scontato, ma le conseguenze si sono viste alle consultazioni al Quirinale, quando il segretario del Pdl Alfano ha dato, sì, via libera all'incarico a Monti, ma ha condizionato la fiducia del suo partito a tempi e modi della formazione del governo ancora da concordare.

La replica di Monti, appena incaricato, è stata l'annuncio di un nuovo giro di consultazioni e una sottolineatura del ruolo del Parlamento nella nascita del governo. Il governo insomma potrà essere tecnico tutto o in parte (questo Monti non lo ha detto) ma necessariamente politico e negoziale dovrà esserne il processo di formazione.

Di qui, oggi e domani, altri due giorni di lavoro e di trattative con i partiti prima di presentare la lista. Un allungamento dei tempi? Napolitano, già irritato per il toto-ministri prima dell'incarico, tanto da precisare con una nota ufficiale che il Quirinale non vi prendeva parte, ha negato che sia così. E ha spiegato che non era realistico immaginare che il governo potesse nascere in due ore e nella stessa sera dell'incarico. Ha inoltre voluto ricordare in termini drammatici i dati dell' emergenza, a partire da quei duecento miliardi di titoli di Stato da rinnovare di qui ad aprile.

Così il tentativo di Monti va avanti e non ha alternative. Ma da tutto quel che é stato detto, e dall'insieme dei tre interventi di ieri di Berlusconi, Monti e Napolitano, si ricava che incontra anche qualche difficoltà. Nulla che possa impedirne la nascita, ma qualcosa che necessariamente interverrà sul carattere e sull'identità del nuovo esecutivo. Sarà anche per questo che l'incaricato, mentre è stato estremamente preciso sui compiti e sugli obiettivi del governo che si accinge a formare, non è entrato nel merito della durata e ha parlato dei nomi che circolano dei probabili ministri come frutto di fantasia. Segno che almeno su questo terreno la trattativa è ancora tutta da fare.

 
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« Risposta #388 inserito:: Novembre 15, 2011, 11:56:54 am »

15/11/2011 - TACCUINO

Politici, vil razza desiderata

MARCELLO SORGI

Il tono del nuovo appello del Presidente Napolitano non lascia dubbi: nel primo giorno di consultazioni dopo l'incarico il tentativo del professor Monti ha incontrato difficoltà. Di qui l'accenno del Capo dello Stato al momento "cruciale". Monti ha visto i rappresentanti dei partiti minori e non ha potuto incontrare la Lega, dato che Bossi, per confermare la scelta di stare all'opposizione, se l'è sbrigata con una telefonata. A tutti ha detto che non accetterebbe limiti temporali.

La questione che via via s'è complicata, in una giornata in cui la stretta dei mercati non accennava ad allentarsi, è quella dei ministri politici. A sorpresa Monti ha detto ai suoi interlocutori che la sua preferenza non era per un governo tecnico, ma se possibile composto anche da esponenti dei partiti, che avrebbero garantito meglio il raccordo con la larga maggioranza che dovrebbe sostenere l'esecutivo. Su questo, Di Pietro ha confermato il suo no e Rutelli il si del Terzo polo, mentre il Pdl, il cui vertice siede in permanenza a Palazzo Grazioli con Berlusconi, ha fatto sapere che è indisponibile.

Appesantito dalle indiscrezioni circolate prima dell'incarico e poi dal veto del Pd contro Gianni Letta, il problema dei ministri politici è diventato così difficile da risolvere proprio mentre Monti si rendeva conto che un governo tutto tecnico, nella situazione attuale, non riuscirebbe a muoversi agevolmente in un Parlamento attraversato dalle tensioni di fine legislatura. D'altra parte, Pdl e Pd sembrano ormai indisponibili ad impegnarsi in prima persona. Dopo aver preso male il veto contro Letta - emerso mentre circolavano nomi di probabili ministri di forte personalità politica di centrosinistra come Amato e Veronesi - il partito di Berlusconi punta a delimitare al massimo il terreno dell'accordo con Monti, limitandolo nel tempo e nel programma, a cominciare dall'esclusione della patrimoniale. Ma anche all'interno del Pd, al di là delle posizioni ufficiali, i mal di pancia sulle larghe intese sono forti: e a parte la contrarietà a Letta, che a giudizio di Bersani avrebbe dato troppo il segno di una continuità con il governo uscente, esistono riserve sui grandi nomi riconducibili al centrosinistra e una pregiudiziale sull'equità delle misure anticrisi, che eviti la rigida applicazione delle richieste di Bruxelles. Monti tuttavia ieri sera ha cercato di non drammatizzare: l'importante, ha spiegato, è che il governo possa godere di un largo appoggio a sostegno delle misure che dovrà prendere, e senza espliciti limiti temporali. Che tipo di appoggio e a quali misure, si vedrà oggi, dopo gli incontri con Pdl e Pd.

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« Risposta #389 inserito:: Novembre 16, 2011, 11:45:46 am »

16/11/2011

Partiti non è tempo di veti

MARCELLO SORGI

Se davvero, come dicono tutti (tranne Monti), la presentazione della lista dei ministri è stata rinviata da ieri sera a stamane per decidere se anche Gianni Letta e Giuliano Amato entreranno nel governo, dando così un connotato più politico a un esecutivo che s’annuncia tecnico, converrà approfondire il caso sul quale da tre giorni si consumano le energie dei principali protagonisti della crisi, da Napolitano all’incaricato, a Berlusconi e Bersani.

Il paradosso di questa storia è che a voler richiamare in servizio l’ormai ex sottosegretario alla presidenza del Consiglio, nonché capo operativo del governo uscente, Letta, e il due volte presidente del Consiglio Amato, è in prima persona Monti, che non avrebbe potuto insistere su questo punto se anche il Capo dello Stato non fosse stato d’accordo.

Napolitano, si sa, ha smentito nella prima fase delle trattative di essersi occupato dei nomi della lista, che sarà l’incaricato a scegliere. Ma adesso che la crisi è finita e il Presidente, a norma dell’articolo 92 della Costituzione, dovrà, su proposta di Monti, nominare i ministri, dovrà pronunciarsi anche lui. A maggior ragione dato che quello di Monti sarà, a tutti gli effetti, un «governo del Presidente»: un esecutivo, cioè, voluto dal Capo dello Stato per far fronte a un’emergenza eccezionale, prima ancora che dai partiti che dovranno dargli la fiducia in Parlamento.

In realtà, al di là delle smentite di rito, Napolitano in questi giorni si è adoperato, non per aprire la porta del governo a Letta e Amato, compito che d'altra parte non gli tocca. Ma per sminare il percorso di Monti dai veti contrapposti che i due maggiori partiti che dovrebbero formare la maggioranza di larghe intese avevano manifestato. Veti capziosi in sé, al di là delle persone che riguardavano, perché tendevano a riportare la formazione del governo nell’alveo classico della contrattazione partitocratica tipica delle vecchie crisi.

Era evidente, in altre parole - ed era il secondo aspetto paradossale di questa storia - che Bersani e Berlusconi si opponevano rispettivamente a Letta e Amato perché, rafforzando la squadra di governo, avrebbero indebolito il loro potere di ritirare a Monti l’appoggio in tempi brevi, per tornare alle urne il più presto possibile. Di qui, tra l’altro, le polemiche parallele sulla necessità (secondo il Pdl) di imporre, oppure (secondo il Pd) di non imporre, un termine temporale, oltre che un vincolo programmatico al governo. E se questo è quel che è emerso pubblicamente in tre giorni, chissà quanti e quali altri cavilli e distinguo devono essere stati fatti nelle lunghe ore delle consultazioni. Inoltre, sarà pure un dettaglio, ma i veti contro Letta e Amato hanno toccato punte di sgradevolezza ingenerose, nei confronti di due servitori di lungo corso delle istituzioni: come quando, appunto, Bersani ha ribadito varie volte la necessità di una completa discontinuità della compagine ministeriale, o quando Rosy Bindi ha dichiarato che in nessun caso Amato poteva essere messo in conto al Pd, o Gasparri ha chiuso sbrigativamente all’ipotesi che potesse rientrare al governo chi aveva avuto precedentemente incarichi con il centrosinistra.

Nessuno che si sia posto il problema che, proprio per la loro caratteristica di essere stati, sì, al governo, ma con una coloritura politica assai più sbiadita di tanti loro colleghi, e con una competenza spesso superiore, Letta e Amato sono l’ideale per accompagnare Monti in un cammino che è forse il più difficile mai attraversato da un governo in epoca repubblicana. O, quel che è peggio, forse è proprio tenendo in considerazione quest’aspetto che i maggiori partiti del governo e della maggioranza che stanno per nascere hanno costruito il loro sordo boicottaggio alle due candidature.

Ma almeno, alla fine del mediocre tira e molla che, come si diceva, ha allungato inutilmente i tempi di soluzione della crisi e nell’attesa ci è costato anche qualche punto in più di spread che poteva essere evitato, i termini della questione sono chiari. Per la loro esperienza e al di là delle loro precedenti collocazioni personali, Letta e Amato, se malgrado tutto riusciranno a entrare, saranno una garanzia di maggior solidità del governo. I veti dei partiti, benché resistenti, non possono contare in circostanze eccezionali come quelle attuali e nell’ambito di un governo che nasce garantito dal Capo dello Stato e per sua espressa volontà. Insomma non c’è più tempo da perdere: Monti decida. E soprattutto, finché può, faccia di testa sua.

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