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Autore Discussione: MARCELLO SORGI.  (Letto 288434 volte)
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« Risposta #285 inserito:: Marzo 31, 2011, 06:00:40 pm »

31/3/2011

Dopo lo show i problemi torneranno

MARCELLO SORGI

Se la vita fosse davvero solo uno show e tutto dipendesse dal modo in cui è allestita la messa in scena e sono puntate le telecamere, l’Italia sarebbe il Paese più felice del mondo e Berlusconi l’uomo più adatto a governarla.

Dopo aver assistito per giorni e giorni alle repliche di un film del genere catastrofico, che avrebbe potuto benissimo intitolarsi
«L’invasione», i cittadini telespettatori ieri si sono trovati di fronte a un’altra storia, titolabile, forse, «Lo sgombero» o «L’isola delle meraviglie».

L’arrivo di Berlusconi in una Lampedusa ridotta allo stremo, dove ormai migranti e isolani convivevano in condizioni di stenti e con la forza della disperazione, ha dato vita a un brusco cambio di programma. All’orizzonte, all’improvviso, si sono materializzate due navi, delle sei che, stando agli impegni, sarebbero dovute arrivare in nottata. Duemila poliziotti hanno preso il controllo del centro abitato e delle coste. Docce e gabinetti chimici invocati per giorni, da una comunità che ha rischiato l’epidemia, sono stati montati in bella vista. Gli immigrati, subito rifocillati e muniti di bottigliette d’acqua minerale, sono stati avviati gentilmente a bordo, dove i marinai li accoglievano quasi come croceristi.

Ma il clou, dopo un breve consiglio comunale, nella piazza gremita di una folla plaudente, è arrivato con il discorso pubblico del premier, che ha dato vita a uno spettacolo dei suoi. Si sa: non c’è uomo politico che al cospetto di una massa di gente non si lasci andare a promesse e non cerchi di incantarla con le armi della retorica. Ma Berlusconi - questo almeno gli va riconosciuto - è al di fuori e al di sopra di ogni tradizione e precedente. Annunciato da squadre di netturbini che lustravano ogni angolo della piazza, il Cavaliere ha esordito scusandosi per i disagi subiti dalla popolazione e impegnandosi a riconsegnare Lampedusa ai lampedusani entro 48-60 ore. Poi ha proseguito con un gioco pirotecnico di proposte, dal Nobel per la pace da assegnare all'isola per le sofferenze patite a causa della crisi internazionale, alla moratoria fiscale, previdenziale e bancaria, a un piano per il turismo, rovinato dalla trasformazione del luogo in un rudimentale campo profughi. Botto finale, l’annuncio dell’acquisto di una villa a Cala Francese, «Le due Palme», comperata per un milione e mezzo direttamente su Internet, senza neppure visitarla: perché da oggi, così ha concluso Berlusconi tra gli applausi, «anch’io diventerò lampedusano!».

Se meno della metà degli impegni assunti fosse realizzabile, occorrerebbe togliersi il cappello davanti a un presidente del Consiglio che ci mette la faccia e cerca di rimediare in prima persona all’incapacità dimostrata dal suo governo nelle settimane passate. Ma Berlusconi, purtroppo, è il primo a sapere che non sarà così. Lo sgombero dei seimila immigrati clandestini avverrà in un quadro di incertezza, perché per molti di loro non c’è ancora una destinazione certa e nei luoghi che dovrebbero accoglierli già si preparano proteste della popolazione civile, che contesta le parzialità di un piano messo a punto dal ministro leghista dell’Interno, che prevede di considerare le regioni del Nord in gran parte sature di immigrati regolari e destinare al Centro e al Sud i clandestini, in attesa di rispedirli a casa.

Anche l’operazione rimpatrio, però, si presenta problematica, a causa della scarsezza di interlocutori attendibili nei Paesi dell’Africa del Nord appena usciti da un cambio di regime, o ancora in piena transizione. Per non parlare dei migranti provenienti dalla Libia, i cui arrivi sono ripresi negli ultimi giorni, e che, fuggendo da un teatro di guerra, in nessun caso sono da considerarsi clandestini rimpatriabili. Nello scenario peggiore - ciò che è sempre prudente prevedere in emergenze come queste - Lampedusa potrebbe dunque essere evacuata per essere rapidamente rioccupata, complice il peggioramento della situazione libica e il miglioramento del clima che rende le traversate più agevoli.

Nelle stesse ore, più o meno, in cui Berlusconi dava vita al suo happening lampedusano, un portavoce della Commissione europea ribadiva che dall’Unione l’Italia non può aspettarsi alcun aiuto. Si potrà ancora negoziare, certo, e si potranno adoperare tutti gli strumenti diplomatici a disposizione: ma sarà opportuno cominciare a fare i conti con un’Europa rigida nel valutare quello di Lampedusa, non un aspetto delicato della crisi internazionale a cui, seppure con molte smagliature, la Comunità di Paesi del Vecchio Continente sta cercando insieme agli Usa di trovare una soluzione. Ma, più semplicemente, ed esclusivamente, «un problema italiano». Che poi l’Italia da sola non possa farcela a risolverlo e a fronteggiare un’ondata migratoria diretta anche verso Francia e Germania, dove vivono e lavorano i parenti di molti dei disperati approdati sulle coste lampedusane, al resto d'Europa non sembra importare un granché.

Così, prepariamoci: sgovernata e priva di aiuti qualificati, l’invasione cancellata frettolosamente dai teleschermi è destinata a riproporsi allo stesso modo, se non aggravata, nei prossimi giorni. Tal che è possibile prevedere anche il seguito del disastroso reality appena cominciato: senza la via d’uscita degli aiuti stranieri, riavremo la guerra civile tra le regioni che aveva già infangato l’immagine dell’Italia al tempo della crisi della mondezza di Napoli. Con la differenza che ad essere spediti avanti e indietro, o lasciati a marcire in mancanza di soluzioni, non saranno sacchi di rifiuti. Ma uomini, donne e bambini come quelli che tutte le sere dagli schermi delle tv ci guardano con i loro occhi tristi e ci mostrano le pance vuote.

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« Risposta #286 inserito:: Aprile 01, 2011, 10:29:29 pm »

1/4/2011 - TACCUINO

Governo, dall'ottimismo alla preoccupazione

MARCELLO SORGI

Al di là dei pessimi e rinomati rapporti tra Fini e i suoi ex amici del Pdl e tra Fini e i suoi ex colonnelli, che hanno portato a una fortissima tensione alla Camera, quanto è accaduto a Montecitorio è servito a far emergere che il governo, che fino a qualche giorno fa si rallegrava per il possibile raggiungimento di una maggioranza di 330 deputati, versa in condizioni di effettiva difficoltà. Al punto che il mancato o il ritardato arrivo in aula di quattro ministri, combinato con lo zelo fin troppo evidentemente eccessivo del presidente della Camera, è in grado di mandarlo sotto, perfino in una votazione rituale e di nessuna importanza.

Ci sono ragioni nuove e nuovissime che hanno contribuito a un aggravamento della situazione. Tra le nuove, indubbiamente, il varo di solo metà del rimpasto, quando l'altra metà è impedita dall'impossibilità di allargare, senza prima approvare una legge apposita, il numero dei membri dell'esecutivo. La nomina del nuovo ministro dell'Agricoltura Romano ha deluso gli altri rappresentanti dei Responsabili, tra i quali serpeggia ormai la tentazione di qualche franco tiratore. Tra le nuovissime, o se si preferisce tra le più recenti, la crisi internazionale e l'emergenza immigrati. Il ministro dell'Interno Maroni ha spiegato che profughi e clandestini (Maroni tiene molto alla distinzione, nella realtà assai difficile da fare) saranno distribuiti in tutte le regioni escluso l'Abruzzo, che ha già i suoi guai. Rispetto al precedente piano che prevedeva che gli immigrati fossero suddivisi nella percentuale di uno ogni mille abitanti - ciò che rendeva salve, grazie alla forte presenza di migranti regolarizzati, le regioni del Nord -, è un passo avanti. Ma quale distanza passi tra questa linea istituzionale (per la quale ha spinto molto il Quirinale) e quella leghista del "fora d'i ball!" declinata da Bossi, è evidente.

Intanto Berlusconi a denti stretti ha confermato che la Tunisia non collabora e il rimpatrio dei clandestini si presenta quindi più problematico. Al momento, lo sgombero di Lampedusa darà vita a una rete di proteste locali, come quelle cominciate a Manduria in Puglia. E siamo solo agli inizi. Il Viminale prevede almeno altri diecimila arrivi nei prossimi giorni. Il governo va così incontro alla sua prova più dura nelle condizioni politiche più precarie.

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« Risposta #287 inserito:: Aprile 05, 2011, 11:27:28 am »

5/4/2011 - TACCUINO

Il governo aspetta il voto con il fiato sospeso

MARCELLO SORGI


Il voto di oggi a Montecitorio sulla richiesta di conflitto di attribuzione davanti alla Corte costituzionale tra la Camera e i giudici di Milano ha un valore politico pari a quello del 14 dicembre sulle mozioni di sfiducia, in cui Berlusconi si giocò tutto e alla fine prevalse grazie a tre deputati che all'ultimo momento passarono dall'opposizione alla maggioranza. Ma in un certo senso è anche più difficile, dato che il premier deve conquistare 316 voti e che la votazione si svolgerà a scrutinio segreto. Ci sono insomma tutte le condizioni, nel segreto dell'urna, per far cadere il governo e aprire la crisi che fu evitata in extremis alla fine dell'anno scorso.

Da allora ad oggi Berlusconi ha pian piano allargato la sua maggioranza, grazie alla crisi del Fli e al consolidamento del gruppo dei «Responsabili», uno dei quali, Saverio Romano, transfuga insieme a quattro colleghi siciliani dall'Udc di Casini, è anche diventato ministro dell'Agricoltura. Il Cavaliere ha solo iniziato il rimpasto, annunciato da tempo, che nei suoi piani dovrebbe servire a rafforzare la nuova coalizione, più esile ma politicamente più compatta dopo l'uscita dei finiani. Per una ragione molto semplice: ogni nuova nomina accontenta i desideri di uno e scontenta tutti gli altri. E' andata così anche per la promozione di Romano, che ha suscitato più di un mugugno nel suo gruppo, tacitato grazie a nuove promesse. Alla fine dell'operazione Berlusconi s'è impegnato a ricoprire tutti i posti scoperti, una decina, tra cui uno di ministro, uno di viceministro e il resto di sottosegretari, a cui presto, con una nuova legge ad hoc, dovrebbero aggiungersene un'altra decina.

Quanto possa giovare un allargamento dei posti di governo, e dunque di parlamentari che grazie ai nuovi impegni sono destinati ad allontanarsi dalle aule parlamentari, o ad arrivarci all'ultimo momento, com'è successo l'altro giorno nella votazione sul verbale d'assemblea in cui il governo è andato sotto, è tutto da vedere. Berlusconi è sicuro di prevalere nella votazione di oggi grazie al fatto che la sua nuova maggioranza, a sentire il coordinatore Verdini che si sta occupando del reclutamento, sfiorerebbe i 330 deputati. Per la verità negli ultimi voti il centrodestra s'è assestato sempre sui 305, a causa di assenze. Chiaramente oggi è previsto il pienone e chi non si presenterà sa di giocarsi il posto. Ma fino all'ultimo il governo resterà con il fiato sospeso, mentre alla porta premono irrisolti i gravi problemi di questi giorni.

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« Risposta #288 inserito:: Aprile 06, 2011, 03:53:12 pm »

6/4/2011

Troppi rospi ingoiati dalla Lega

MARCELLO SORGI

Uno strano paradosso vuole che nel giorno in cui Maroni annuncia di aver concluso un accordo con la Tunisia - i cui effetti sono tutti da verificare - per limitare gli sbarchi di migranti, e mentre è alle prese con la più grave emergenza che il problema dell’immigrazione clandestina abbia mai posto negli ultimi 20 anni, la Lega, cioè il partito da cui proviene, sia sottoposta a una sorta di processo.

Processo politico, ovviamente, in cui gli avversari, ma anche molti osservatori accreditati dell’esperienza leghista - guardata ancor oggi, ad oltre vent’anni dalla nascita, come una stranezza - non perdono occasione per misurare e sottolineare le conseguenze di quel che sta accadendo, su un partito che sta, sì, al governo, ma continuando a proporsi come forza antagonista, o addirittura innalzando la bandiera dell’antipolitica, anche adesso che esprime ministri, presidenti di regione e sindaci di grandi città.

Ora, sul fatto che una serie di scadenze e avvenimenti previsti e imprevisti abbia messo a dura prova la maturazione della Lega, e al fondo la sua capacità di assumersi responsabilità nazionali, non ci piove. E altrettanto che soprattutto i suoi esponenti più vicini al territorio e ai sentimenti del «profondo Nord» lascino trasparire un ritardo a fare i conti con i compiti a cui è chiamata. Basti solo pensare all’approssimazione con cui il Carroccio s’è posizionato in materia di politica estera, senza alcuna attenzione, ieri come oggi, agli obblighi che riguardano l’Italia per il solo fatto di essere membro di alleanze internazionali, uno dei Paesi fondatori dell’Europa, nonché il territorio geograficamente e politicamente più vicino allo Stato del Vaticano; o a come ha affrontato la crisi dei Paesi del Nord Africa; all’iniziale rifiuto della missione in Libia; al palese disagio di fronte alla ricorrenza dei 150 anni dell’Unità d’Italia. Per non dire, appunto, della sofferenza con cui collabora alla gestione del nodo dell’immigrazione clandestina, specie adesso che si propone, giorno dopo giorno, in dimensioni nuove e più serie da affrontare.

Il fatto che Maroni sia nel governo collocato in prima linea sulla frontiera degli sbarchi aggrava il travaglio del Carroccio. Qualche giorno fa, per dire, la Lega con un manifesto se l’è presa con il questore e il prefetto di Padova (una delle sue roccheforti), che volevano inserire il territorio della città tra quelli designati per la prima accoglienza della nuova ondata di immigrati. Peccato che la richiesta provenisse dal Viminale e fosse stata condivisa dal ministro dell’Interno.

Maroni in questi giorni incarna - e in qualche modo cavalca - la contraddizione dell’essere il Carroccio un partito di lotta e di governo, definizione che Berlinguer usava nella Prima Repubblica per il Pci: che però al governo non era mai arrivato e poteva consentirsi un maggior tasso di ambiguità, lasciando credere ai propri elettori che i molti compromessi, fino a quello «storico», con la Dc, non intaccavano minimamente la natura di opposizione dei comunisti italiani e la loro «diversità» dai partiti al potere.

Anche se il paragone è volutamente sproporzionato, per la Lega tutto ciò è più difficile. Ecco perché in questi giorni, mentre Maroni andava e veniva dall’Africa, alla ricerca dell’accordo con la Tunisia sul pattugliamento delle coste, salta fuori Bossi che cerca di cavarsela con il suo «Fora di ball!» rivolto agli immigrati. Ed ecco perché il presidente del consiglio regionale della Lombardia Davide Boni si lascia scappare che per la Lega, piuttosto che andare avanti così, sarebbe più conveniente una crisi di governo sull’immigrazione. Ecco ancora perché i fautori della linea dura come Calderoli, Castelli, Borghezio, pian piano si sono defilati dagli studi televisivi e mandano a parlare la seconda fila leghista, che affronta le telecamere con la fronte imperlata di sudore.

È per questo motivo che invece di continuare a processare la Lega, forse occorrerebbe capovolgere il ragionamento e provare a soppesare tutti gli indispensabili bocconi amari che ha dovuto ingoiare negli ultimi tempi, per coerenza con la sua collocazione al governo e con il ruolo nazionale che ha dovuto assumersi. L’elenco è recente e si può fare a memoria, tralasciando l’appoggio, duro da digerire per molti militanti - e confermato anche ieri nell’aula della Camera che ha dato il via al conflitto di attribuzione con i giudici di Milano sul caso Ruby -, alle strategie politico-giudiziarie del Cavaliere alle prese con i suoi processi.

Si parte proprio dal «Fora d’i ball» bossiano rimasto senza conseguenze, e contraddetto, anzi, non più tardi di lunedì, dall’accettazione dei permessi provvisori per gli immigrati evacuati da Lampedusa, voluti da Berlusconi. Nell’ordine, la Lega ha dovuto rimangiarsi tutti i punti su cui aveva cercato di distinguersi: il piano di un migrante ogni mille abitanti costruito apposta per evitare di portare al Nord, già saturo di regolari, nuovi clandestini; la missione in Libia che ha dovuto votare in Parlamento; la salvaguardia per le regioni del Nord da ulteriori insediamenti. E prima ancora, anche se non direttamente connesse alla situazione attuale, le celebrazioni per i centocinquanta anni del 1861, alle quali, obtorto collo, i leghisti hanno dovuto partecipare con i loro rappresentanti istituzionali, e contro le quali, quando qualcuno, come il governatore Cota, ha provato a schierarsi, ha dovuto prendere atto a suon di fischi di essere in minoranza.

Resta il dissenso di fondo con Berlusconi, che nella sua smania di accomodamento, in uno dei primi vertici dedicati all’emergenza, ha fatto letteralmente alzare dalla sedia Bossi, proponendo di suddividere i nuovi arrivati uno per ciascuno degli oltre ottomila comuni italiani. Un passo dopo l’altro, magari senza rinunciarci pubblicamente, la Lega dovrà prendere atto che anche l’obiettivo sbandierato dei rimpatri, accordo o non accordo con la Tunisia, si rivelerà assai arduo da mettere in pratica, vista la portata crescente dell’emergenza. Rimane poi la delusione per un’Europa sorda al grido di dolore del governo e del ministro dell’Interno italiani, che sembra quasi volersi prendere la rivincita della lunga predicazione euroscettica, quando non apertamente xenofoba, stile Haider o Pim Fortuyn, praticata dalla Lega delle origini. Infine, chissà cosa accadrà alla fine della legislatura quando il vaso di Pandora del federalismo svelerà la sua vera natura: e si scoprirà che i soldi del Nord non resteranno al Nord com’era stato promesso. Anche per questo, invece di processare la Lega nella sua primavera più difficile, è molto meglio incalzarla sulla strada del cambiamento.

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« Risposta #289 inserito:: Aprile 07, 2011, 04:44:07 pm »

7/4/2011 - TACCUINO

Il leader del Fli è tornato nel mirino

MARCELLO SORGI

Lo scontro sul processo breve a Montecitorio, con il ricorso all’ostruzionismo da parte del Pd, ha riproposto il problema Fini. Mai come in questi ultimi giorni il presidente della Camera si è trovato stretto nel muro contro muro tra maggioranza e opposizione, e ieri pomeriggio in conferenza dei capigruppo è stato apertamente contestato dal centrodestra per aver consentito in mattinata una dilatazione dei tempi del dibattito giudicata eccessiva.

L’obiettivo dell’opposizione è chiarissimo: dopo aver subito martedì una nuova sconfitta nella decisiva votazione sul conflitto di attribuzione chiesto da Berlusconi contro i giudici di Milano, poiché la maggioranza ha prevalso grazie ai voti di ben 14 ministri presenti in aula, il centrosinistra punta ad approfittare di tutti quei momenti in cui i membri del governo saranno richiamati ai loro doveri fuori dall’aula (oggi il Consiglio dei ministri sarà costretto a riunirsi in una pausa dei lavori) per dimostrare che in queste condizioni Berlusconi non può andare avanti.

Nella settimana seguita alla convocazione dei capigruppo al Quirinale da parte del Capo dello Stato per perorare un maggiore rispetto delle istituzioni, un ulteriore deterioramento del clima parlamentare e una situazione di paralisi in aula non sarebbero accettabili. Di qui le proteste del centrodestra sia con Fini sia con Napolitano, per denunciare le conseguenze di un ostruzionismo considerato strumentale.

Al momento, chi appare più in difficoltà è il presidente della Camera. Se parla fuori dall’aula, come ha fatto martedì sera nell’intervista a Ballarò in cui se l’è presa con Berlusconi e la sua strategia contro i giudici di Milano, viene accusato di tradire il ruolo super partes che gli è imposto dalla carica che ricopre. E in effetti non è dato al presidente di un’Assemblea di commentare le proposte di legge che sono in discussione. Ma se invece tace, o interviene di meno, come ha fatto per qualche tempo negli ultimi mesi, dopo la sconfitta del 14 dicembre e di fronte alla crisi del suo partito neonato, per Fini è anche peggio. Il sondaggio presentato nello stesso programma in cui era stata trasmessa l'intervista dava il Fli al 3,7 per cento, una delle percentuali più basse registrate dall’esordio del nuovo partito.

Fini aveva messo in conto le sue dimissioni dalla presidenza della Camera, per dedicarsi in pieno al suo ruolo di leader, in vista di possibili elezioni anticipate. La resistenza di Berlusconi e la prospettiva di una conclusione naturale della legislatura nel 2013 hanno reso la sua scelta più difficile. Ma non meno urgente.

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« Risposta #290 inserito:: Aprile 08, 2011, 10:30:48 pm »

8/4/2011 - TACCUINO

Soluzione all'italiana

Il Nord pagherà

MARCELLO SORGI

La guerra diplomatica della Francia contro l'Italia, con la decisione di rafforzare la sorveglianza alle frontiere e la politica dei respingimenti, è la diretta conseguenza della decisione del governo italiano di scegliere i permessi provvisori per gli immigrati come soluzione dell'ultima ondata di sbarchi clandestini, che ha portato all'invasione di Lampedusa. Una soluzione, va detto, all'italiana, ricavata, non dalla convinzione che in un lasso di tempo ragionevole si possa trovare il modo di integrare i clandestini o di gestirne su scala europea la collocazione, ma dalla portata dello scontro politico interno alla maggioranza e dai timori delle conseguenze elettorali del problema.

Piuttosto che accettare di impiantare le tendopoli anche al Nord, e nell'impossibilita di ottenere dalla Tunisia il rimpatrio di clandestini, la Lega, a denti stretti, ha dovuto acconsentire alla politica dei permessi, annunciata ieri dal governo. Va da sé che la speranza rimane che una parte degli immigrati, una volta liberi, approfittino del diritto di libera circolazione garantito dal trattato di Schengen in Europa per trasferirsi in Francia o in Germania, dove molti potrebbero ricongiungersi a parenti o a gruppi familiari. Insomma, liberi di scappare. Di qui la reazione della Francia che ha gli stessi problemi dell'Italia, aggravati dalla prossima scadenza elettorale delle presidenziali e dal fatto che Sarkozy, oggi in difficoltà, la volta scorsa trionfò sull'onda di una durissima campagna anti-immigrati.

Il compromesso trovato tra Pdl e Lega, e fondato sul presupposto della possibile fuga dei clandestini dal territorio italiano, rischia dunque di sbattere sul rifiuto francese e sull'interpretazione rigida delle regole di Schengen, secondo la quale non basta che gli immigrati siano muniti di un permesso di soggiorno, ma è necessario che siano in grandi di dimostrare che sono in grado di garantirsi un sostentamento.

Se non sarà possibile trovare un accordo con la Francia, con la quale finora ogni trattativa è stata inutile, e se anche la Germania, com'è prevedibile, dovesse scegliere la linea dura, la prospettiva è di avere anche al Nord, dove la Lega si fa un merito di aver impedito le tendopoli, un aumento di immigrati senza tetto e nomadi. Non ci vuol molto a prevedere che il prossimo stadio di una politica incapace di trovare soluzioni vere sarà una nuova campagna sulla sicurezza e sui rischi di crescita della criminalità da immigrazione.

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« Risposta #291 inserito:: Aprile 12, 2011, 06:41:46 pm »

12/4/2011 - TACCUINO

Propaganda a uso interno in vista del voto

MARCELLO SORGI

Stretto tra la Lega e il compito sempre più difficile di ministro dell’Interno alle prese con l’emergenza immigrati, Maroni ieri ha commentato duramente la decisione uscita da Bruxelles di lasciare all’Italia il compito di risolvere i suoi problemi. Il più esplicito è stato il tedesco Hans-Peter Friedrich, per il quale 23 mila clandestini da allocare in un Paese da 60 milioni di abitanti come il nostro dovrebbero tranquillamente essere gestibili. Ci sono state ondate peggiori, che ad esempio Germania o Belgio hanno superato senza gradi difficoltà.

Poteva Maroni aspettarsi qualcosa di diverso? Onestamente no. La posizione europea era stata anticipata dalla commissaria Malmström e il ministro leghista, invece di sbattere la porta, avrebbe potuto approfondire l’aspetto dei profughi, che cominciano ad arrivare dalla Libia, e rispetto ai quali l’Europa impegnata nella missione militare non può certo essere sorda. Riepilogando: se davvero Maroni ha ottenuto la scorsa settimana dalla Tunisia la possibilità di rimpatriare i migranti arrivati a Lampedusa dopo il 5 aprile, pur con i limiti (sessanta al giorno) previsti dall’accordo, i due voli quotidiani che sabato Berlusconi ha garantito agli isolani per alleggerire l’invasione dovrebbero risultare sufficienti ad arginare l’emergenza. Ci saranno ovviamente ostacoli, dovuti alla debolezza endemica del governo tunisino, e probabilmente il rimpatrio continuerà a subire intoppi. Ma se nel frattempo le operazioni congiunte di pattugliamento delle coste africane funzioneranno, la situazione, lungi dall’essere risolta, dovrebbe essere tenuta sotto controllo. Perché allora Berlusconi sabato e ieri Maroni sono tornati ad accusare l’Europa di indifferenza e addirittura a minacciare un’uscita dall’Unione, pur sapendo che per molti versi è impossibile? La spiegazione più semplice è che premier e ministro dell’Interno tengano presente i famosi cinque punti percentuali che secondo i sondaggisti berlusconiani l’emergenza immigrati potrebbe costare al centrodestra nelle prossime elezioni amministrative. Di qui il ricorso alla propaganda, anche a costo di deteriorare i rapporti con il Quirinale, preoccupato per la piega che stanno prendendo le cose, e l’indicazione di un capro espiatorio nell’Europa, che molti degli elettori del Pdl e leghisti consideravano già nemica.

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« Risposta #292 inserito:: Aprile 13, 2011, 11:27:14 am »

13/4/2011

Il pericolo della paralisi

MARCELLO SORGI

Se perfino un uomo cauto e solitamente silenzioso come Gianni Letta ha definito quelle che stiamo vivendo «giornate incerte, affannose e amare», vuol dire che la situazione è davvero al livello di guardia. E lo spettacolo che si sta consumando alla Camera non è neppure l’aspetto più grave di ciò che sta accadendo, pur restando il più drammatico.

Da mesi, in realtà, il Paese è senza governo. E non perché i ministri abbiamo smesso di lavorare, ma perché la particolare forma di governo introdotta da Berlusconi, con un capo assoluto che decide su tutto, ha bisogno, appunto, che il capo sia in perfetta efficienza e si dedichi a pieno tempo alle urgenze del suo ufficio. Non a caso c’era un tempo in cui il presidente del Consiglio mostrava a tutti la sua scrivania sepolta di dossier da studiare a notte fonda.

Vero o falso che fosse, questo metodo di lavoro è stato archiviato. E non, come malignano i più cattivi tra gli amici e i nemici del premier, a favore della stagione delle feste e delle serate del «bunga bunga». Berlusconi in effetti ha finito di governare dal 13 gennaio in cui la Corte Costituzionale, cancellando in parte il legittimo impedimento, lo ha rimesso nei panni del plurimputato.

Da quel giorno l’uomo non è più lo stesso. Dedica alla sua ossessione giudiziaria - che nasce, va riconosciuto, anche da un particolare accanimento dei magistrati nei suoi confronti - tutto il suo tempo; trascorre intere giornate, e a volte nottate, con gli avvocati, studia e ristudia le carte; passa continuamente da stati di disperazione in cui impreca contro i giudici, a stati di eccitazione in cui scherza e racconta barzellette. Malauguratamente questo accade nel momento in cui l’Italia è teatro di una grave crisi internazionale, di un’invasione di immigrati clandestini tra le più gravi mai viste, di un peggioramento della situazione economica che renderà necessaria una nuova manovra sui conti pubblici, e di una campagna elettorale per il governo di molte importanti metropoli, che certo non contribuisce a rasserenare il clima.

Sottoposto com’è allo stress giudiziario, Berlusconi, anche se vorrebbe, non riesce a occuparsi di nessuno di questi problemi. Ci prova, quando ci prova, saltuariamente, con risultati molto al di sotto del suo standard, come s’è visto di recente a Lampedusa, e con effetti disastrosi, com’è accaduto con la minaccia di uscire dall’Europa, purtroppo reiterata dal ministro Maroni, e corretta ieri in extremis da un Bossi a sorpresa non più euroscettico, e dal ministro degli Esteri Frattini atterrato a Bruxelles proprio per far pace con i rappresentanti dell’Unione.

Malgrado le toppe si rivelino spesso peggiori dei buchi, la confusione continua a salire. Tra gli articoli della Costituzione letti ieri in aula a Montecitorio, D’Alema, presentandolo come «un auspicio», ha incluso quello che consente al Presidente della Repubblica di sciogliere le Camere. Ma le probabilità che un evento del genere si avveri sono minime. D’Alema è il primo a sapere che Berlusconi vuole andare avanti a qualsiasi costo. E purtroppo andrà avanti così.

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« Risposta #293 inserito:: Aprile 14, 2011, 05:04:05 pm »

14/4/2011 - TACCUINO

I conti veri si faranno dopo il voto

MARCELLO SORGI

Malgrado il clima pessimo in cui è maturata, aggravato dalla campagna elettorale in corso per le amministrative, l'approvazione del «processo breve» da parte della Camera era scontata. Berlusconi ha voluto sottolineare la sua sicurezza dando vita prima della votazione finale alla conferenza stampa con il ministro Tremonti dedicata ai progetti di riforme economiche del governo, e lasciando così intendere che per lui ieri era una normale giornata di lavoro.

Messa a dura prova dallo scontro parlamentare, la nuova maggioranza ristretta, nata dalla scissione del Fli e dalla nascita dei Responsabili, alla fine ha tenuto. Il premier sostiene che si tratta di una coalizione più esile ma anche più compatta. In realtà il collante di questa versione di fine legislatura del centrodestra è composto di due elementi abbastanza trasparenti: la paura delle urne, o se si preferisce la volontà di arrivare al 2013 dei parlamentari che non hanno elementi per valutare le probabilità di una loro eventuale riconferma o ricandidatura e al momento la considerano imprevedibile e quanto mai incerta. E l'aspirazione di molti di loro a salire sul carro del governo, sul quale di qui a poco dovrebbero liberarsi un paio di posti veri e una serie di strapuntini per sottosegretari.

La difficile primavera di Berlusconi procederà con queste incognite, che continueranno a manifestarsi nelle votazioni parlamentari con assenze e franchi tiratori, a meno che il presidente del consiglio non riesca a stabilizzare la sua maggioranza con un rimpasto, venendo incontro ai desideri dei più irrequieti tra i suoi nuovi sostenitori. Il compito si presenta arduo anche per le condizioni in cui versa il partito del presidente, che ha trascorso la nervosa vigilia del voto di ieri tra pranzi e cene di corrente, e risulta animato da un tutti contro tutti con un unico punto di coesione nell'obiettivo di ridimensionare lo strapotere del ministro Tremonti. Il quale, per nulla turbato dall'effervescenza interna del Pdl, che giudica, non del tutto a torto, inconcludente, prepara ormai apertamente una manovra di aggiustamento dei conti orientata, anche stavolta, su tagli ai fondi dei ministri per evitare di dover agire sulle tasse.

Governo e maggioranza escono dunque abbastanza provati dall'ennesima vicenda della nuova legge salva-premier. Ma la consolazione, per Berlusconi, è che anche l'opposizione, dopo la battaglia dell'ostruzionismo, si presenta sfiancata e priva di iniziativa. I conti di questa logorante prima metà dell'anno si faranno dopo il 15 maggio, risultati delle elezioni alla mano.

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« Risposta #294 inserito:: Aprile 20, 2011, 04:28:52 pm »

20/4/2011

Il premier si toglie un peso

MARCELLO SORGI

Non capita molto spesso che Berlusconi e Bersani possano brindare insieme, ma stavolta invece sì. La decisione del governo di cancellare i piani per il nucleare, pur salvando l’Agenzia preposta al settore per non dare la sensazione di una completa (e prematura) smobilitazione, annulla di fatto il referendum promosso in materia da Di Pietro e dagli ambientalisti.

Anche se sarà la Corte di Cassazione a doversi pronunciare per sospendere materialmente la consultazione, la delusione dei promotori, accompagnata dalla moderata soddisfazione del Pd e dal silenzio governativo (è sempre spiacevole dover ammettere di esser tornati sui propri passi), lasciavano intendere già ieri che la sorte del referendum è segnata. E con quello del voto sul nucleare, probabilmente, anche il destino degli altri due, sul legittimo impedimento e sulla privatizzazione dei servizi di distribuzione dell’acqua.

L’unione di tre argomenti così eterogenei era stata considerata strategica per tentare di superare, dopo quasi tredici anni, l’endemica crisi attraversata dalle consultazioni referendarie, tutte fallite negli ultimi tempi perché l’affluenza alle urne non ha più raggiunto la fatidica soglia della metà più uno degli elettori prevista dalla legge per la validità del voto. Specie dopo l’incidente di Fukushima, dovuto al terremoto in Giappone, era sicuro che il referendum sul nucleare avrebbe fatto da traino agli altri due, uno dei quali, avendo al suo centro il legittimo impedimento, legge già depotenziata dalla Corte Costituzionale, e in scadenza ad ottobre, era stato proposto con l’intento di trasformarlo in una sorta di giudizio popolare su Berlusconi e sui suoi attacchi ai giudici.

In questo senso si può dire che il Cavaliere, già oberato dalla campagna elettorale per le amministrative e dalla ripresa dei processi di Milano, ha preferito non correre ulteriori rischi. Una ragionevole prudenza, in linea con atteggiamenti corrispondenti di altri governi europei - a cominciare dalla Merkel, che ne ha pagato il prezzo nelle recenti elezioni locali tedesche -, preoccupati degli effetti emotivi della paura del nucleare sui cittadini. E una frenata ragionevole, anche in giorni in cui il premier, fin dai primi comizi della corsa per i sindaci, ha alzato i toni della sua campagna fino all’inverosimile. Inoltre una decisione non sgradita, come s’è visto, al Pd, che aveva accolto di malavoglia la mobilitazione referendaria dipietrista e che si sarebbe cimentato ancor più svogliatamente nella campagna per il voto: il cui merito, in caso di sconfitta del premier, sarebbe andato tutto al leader di Italia dei Valori, e le cui conseguenze, in caso contrario, di vittoria del governo o dell’astensione, sarebbero ricadute sul maggior partito di opposizione.

A questo punto l’onere di sostenere le consultazioni rimaste in piedi, sottraendole all’apatia e alla scarsa partecipazione che potrebbe affossarle, oltre che alla calura estiva del 12 giugno, data assai poco mobilitante in cui non a caso è stato fissato l’appuntamento con le urne, pesa tutto sulle spalle di Di Pietro. Che non a caso - diversamente dal Pd che quasi ha festeggiato la moratoria nucleare del governo, attribuendosene non si sa perché il merito -, ha denunciato il nuovo attentato di Berlusconi ai referendum e alla volontà popolare.

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« Risposta #295 inserito:: Aprile 21, 2011, 06:04:44 pm »

21/4/2011 - TACCUINO

La doppia inquietudine dei Responsabili

MARCELLO SORGI

Ci sono almeno due ragioni che motivano l’inquietudine dei Responsabili, l’eterogenea componente della maggioranza nata per salvare il governo dalla tagliola del 14 dicembre che ha spedito ieri il capogruppo Sardelli a trattare con il presidente del consiglio.

La prima, è evidente, sono i posti: Berlusconi ha accontentato il sottogruppo degli ex Udc assegnando il ministero dell’Agricoltura a Romano, s’è lasciato convincere da Storace a far sottosegretario Musumeci, ma ha scontentato tutti i singoli o le coppie o i tris confluiti a pezzo a pezzo nel centrodestra negli ultimi mesi. Per dire, uno come Pionati, che ha battuto il Transatlantico per trent’anni da giornalista e da due legislature come parlamentare, conoscendo le logiche del potere non si fida di dover aspettare ancora, teme che il treno non passi più.

Berlusconi ha tirato la corda sul processo breve, ma adesso che vuole arrivare rapidamente a far passare la legge sulle intercettazioni e la riforma della giustizia, sa di dover fare i conti con i più agitati dei suoi nuovi alleati. Con il rischio, sempre presente, di lasciarne tre scontenti per ciascuno che prova a soddisfarne. La seconda ragione è più contingente. I Responsabili hanno dato prova della loro proverbiale responsabilità anche in nome della promessa, fatta del Cavaliere nei giorni in cui la legislatura sembrava condannata, che il governo avrebbe fatto di tutto per portarla alla scadenza naturale del 2013. L’inasprimento del clima e la campagna elettorale per le amministrative cominciata in modo che non promette niente di buono hanno tuttavia reso questa prospettiva più incerta, tal che Berlusconi, nei momenti più duri, ha ricominciato a parlare con i suoi del rischio, che si ripropone, di elezioni anticipate in autunno.

A questo punto i Responsabili, già dubbiosi sulle loro future carriere di governo, hanno cominciato a temere anche per i loro posti in Parlamento. Se il Cavaliere non trova il modo di rassicurarli, non è da escludere, intanto che il flusso di deputati dall’opposizione alla maggioranza si arresti, in attesa di capire bene come vanno le cose. E perfino che qualcuno di quelli che sono già passati con il centrodestra ci ripensi e torni sui suoi passi, non foss’altro per valutare se il proprio senso di responsabilità può essere indirizzato altrove. Magari in direzione di un governo di emergenza, di cui a sorpresa, dopo mesi in cui l’ipotesi era stata messa da parte, s’è ricominciato a parlare non più tardi di una settimana fa.

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« Risposta #296 inserito:: Aprile 22, 2011, 05:37:17 pm »

22/4/2011 - TACCUINO

Silvio e Giulio il vero confronto sarà dopo il voto

MARCELLO SORGI

Più che per l'attacco a Tremonti, durissimo ma non nuovo da parte dei ministri della ex-Forza Italia che vedono continuamente ridimensionato il loro budget dai tagli del ministero dell'Economia, l'intervista di Galan al Giornale colpisce per la preoccupazione elettorale che il ministro della Cultura manifesta. Galan, prudentemente, si riferisce alla scadenza naturale della legislatura, nel 2013, ma l'ansia di ottenere subito un’inversione di rotta, rispetto a una nuova manovra sui conti, ormai annunciata in Parlamento da Tremonti e prevista proprio all’indomani del voto amministrativo, lascia intuire che all’interno del governo si rafforzano i timori che Berlusconi si stia preparando anche all'eventualità di uno scioglimento anticipato delle Camere.

Galan è un uomo della prima ora di Forza Italia; appartiene al gruppo di quelli che si trasferirono direttamente dagli uffici di Publitalia al Parlamento, al governo o (nel suo caso) alla guida di una grossa regione. Oltre ad essere stabilmente riuniti in una corrente, i ministri dell'ex-partito del presidente si sentono stretti: dalla pattuglia di ex-socialisti che, da Tremonti a Cicchitto, controllano posizioni importanti nella geografia di potere del centrodestra; dall’invadenza dei Responsabili che premono sul Cavaliere grazie all’indispensabilità dei loro voti alla Camera; dalla nuova destra della Santanché e del Giornale, che ieri sono scesi in campo contro la Moratti e a favore dei manifesti contro le Procure che hanno determinato l’ultima crisi di rapporti tra Palazzo Chigi e il Quirinale.

Le conseguenze di questo diffuso stato d'animo, che prima di Galan erano stati in tanti ad esprimere, più o meno scopertamente, dalla Prestigiacomo a Miccichè, da Scajola alla Gelmini, non si sono fatte attendere. Ancora una volta Berlusconi ha dovuto difendere pubblicamente Tremonti, anche se in privato ha espresso più di una volta valutazioni non dissimili da quelle dei suoi ministri ribelli. La sensazione è che tra il premier e il ministro dell'Economia sia nuovamente intervenuta una tregua tattica in attesa di un chiarimento vero che verrà dopo il voto. Solo allora, dati alla mano, si capirà se Berlusconi, che vorrebbe a qualsiasi costo arrivare alla fine della legislatura, sarà veramente in grado di farlo, e in quali condizioni. E di conseguenza, se prevarrà la linea di rigore di Tremonti imposta dai vincoli europei, o se il governo chiederà al suo ministro una politica economica più elettorale in vista di una possibile nuova chiamata alle urne.

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« Risposta #297 inserito:: Aprile 23, 2011, 11:56:12 am »

23/4/2011

Il referendum che il premier vuole evitare

MARCELLO SORGI

Fra i tanti timori di questa vigilia elettorale, segnata da una crisi evidente del berlusconismo e dalle prime, aperte contestazioni del leader dall’interno del centrodestra e dalla cerchia più ristretta degli uomini del presidente, si fa strada una paura crescente dei referendum.

Una paura apparentemente immotivata, dato che questo genere di consultazioni - dopo una vicenda ultraventennale che ha segnato molti passaggi storici, dal divorzio all’aborto, al passaggio al maggioritario e alla fine della Prima Repubblica - tredici anni fa sono entrate in una crisi quasi irreversibile, cadendo una dopo l’altra sotto la tagliola della scarsa partecipazione, che non ha più consentito di raggiungere la soglia della metà più uno degli elettori, indispensabile per la validità del quorum.

Inoltre, solo tre giorni fa il governo, cancellando il piano per il ritorno al nucleare, ha sgomberato il campo dal più sentito dei referendum che dovranno essere votati il 12 giugno. E ha precostituito le condizioni per un nuovo fallimento delle due consultazioni superstiti - sul legittimo impedimento e sulla privatizzazione dei servizi di distribuzione dell’acqua - non considerate in grado, da sole, di mobilitare l’elettorato fino al punto di ottenere un risultato valido.

Perché allora il ministro Romani, malgrado le proteste dei partiti e dei comitati promotori che parlano di attentato alla volontà popolare, ha annunciato che dopo lo stralcio del piano nucleare il governo si accinge a intervenire sui servizi idrici, in modo da disinnescare anche la mina del referendum sulla privatizzazione dell’acqua? La risposta è sostanzialmente la stessa. Come quella sul nucleare, fortemente rilanciata dall’incidente alla centrale di Fukushima, anche quella sull’acqua, seppur di meno, si presta a fare da traino alla terza consultazione, sul legittimo impedimento, che al di là del contenuto della legge che si vorrebbe abrogare (e che per inciso è già stata dimezzata a gennaio dalla sentenza della Corte Costituzionale e scadrà del tutto a ottobre) è in pratica un referendum su Berlusconi e sulla sua linea di aperta contestazione dei processi che lo riguardano e di continui attacchi alla magistratura.

Fino a qualche tempo fa Berlusconi avrebbe affrontato una prova del genere in tutta tranquillità, o pensando di superarla agevolmente, come fece, a metà degli Anni Novanta, e contro tutte le previsioni, con i referendum sulla televisione, che miravano a colpirlo sull’azienda di famiglia e sul conflitto di interesse, o ricorrendo all’astensione, che negli ultimi anni è diventata l’arma segreta di tutti i nemici del voto referendario. Se invece stavolta si sente meno sicuro e preferisce evitare di correre rischi, è per una ragione evidente. Legato com’è ai sondaggi quotidiani, che lo aggiornano su ogni minimo spostamento dell’opinione pubblica italiana, Berlusconi è il primo a sapere che malgrado il forte consenso personale che ancora lo sostiene, sia il centrodestra, sia il centrosinistra, sia il neonato Terzo polo, devono fare i conti con l’ondata di disillusione e di abulia che riguarda ormai quasi il quaranta per cento dei cittadini. Gente che è stufa di tutto e di tutti, e non vede alternative.

Si è insomma creato - o ricreato - un quadro simile, anche se non eguale, al precedente dei famosi referendum elettorali del 1991 e 1993: quelli su cui, per la specialità dell’argomento, nessun politico di professione avrebbe scommesso un soldo, e che Craxi, il più moderno dei leader della Prima Repubblica, pensò di liquidare invitando i cittadini «ad andare al mare» invece che a votare. Finì con oltre il novanta per cento degli elettori che imprevedibilmente si recarono alle urne, in odio ai partiti che li invitavano a fare il contrario, e seppellirono con i loro «sì» il sistema ormai troppo logoro, senza curarsi di quel che sarebbe venuto dopo.

Oggi, va detto, la situazione non è a questo punto: e non è affatto sicuro che i quasi vent’anni della Seconda Repubblica, in fatto di nausea degli elettori, valgano quanto i quaranta della Prima. Ma se Berlusconi ha deciso di cancellare i referendum uno dopo l’altro, vuol dire che gli è venuto qualche dubbio che l’ondata generale di ripulsa possa sfociare nuovamente in un voto referendario a sorpresa.

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« Risposta #298 inserito:: Aprile 27, 2011, 02:45:11 pm »

27/4/2011 - TACCUINO

Silvio, Umberto e l'ennesima lite senza strappi

MARCELLO SORGI

Dice Berlusconi che anche sulla Libia con Bossi è tutto a posto. Spiega il presidente del Consiglio che è bastato precisare meglio le modalità del nuovo impegno italiano contro Gheddafi (missili «intelligenti», così li ha definiti, e non bombardamenti e basta) per ritrovare l’intesa con il Senatur. Il fatto che Bossi, subito dopo, abbia ribadito il suo no, confermando le obiezioni di Calderoli, e che la Lega, come già accadde la volta scorsa, si prepari a ripetere il suo dissenso nella seduta congiunta delle commissioni Esteri e Difesa di Camera e Senato, in cui il ministro della Difesa La Russa andrà a riferire sull’evoluzione delle operazioni militari, sembra non preoccupare più di tanto il Cavaliere.

Come se appunto si trattasse di un prezzo da pagare all’alleanza con il turbolento ministro nordista, che parla, parla, alle volte sbraita, ma alla fine marcia sempre a sostegno del governo. Basta solo ripercorrere le ultime settimane: a parte la prima manifestazione di dissenso sulla Libia, il Carroccio non ha condiviso l’inasprimento della linea berlusconiana contro i magistrati, non ha mandato propri esponenti davanti al Palazzo di giustizia di Milano, dove ogni lunedì il Pdl raduna un drappello rumoroso di manifestanti. Ha poi preso le distanze da tutta la vicenda dei manifesti anti-Procure, lasciando chiaramente intendere che non gli è piaciuta né l’iniziativa in se, né il modo in cui Berlusconi la ha gestita, tra critiche pubbliche e incoraggiamenti privati. Un’altra levata di scudi enfatizzata sino al limite della rottura sulla Padania s’è avuta dopo l'intervista del ministro Galan contro Tremonti, che i leghisti hanno difeso a spada tratta, minacciando una vera rottura nel caso in cui le critiche al titolare dell’Economia da parte dei colleghi del Pdl si fossero riproposte.

Ora è di nuovo il turno della Libia e di una Lega pacifista, che teme di dover pagare un prezzo troppo alto in termini di immigrazione clandestina a causa dell’inasprimento delle ostilità contro il Rais di Tripoli. Ma anche in questo caso, al di là di un florilegio battutistico che ha in Calderoli al momento l'interprete più creativo, Palazzo Chigi non ritiene di aver nulla da temere. Al modo di fare la campagna elettorale di Bossi - che esordì, non va dimenticato, nel '94, chiamando a gran voce Berlusconi «Berluskaz» e «Berluskaiser» - il Cavaliere ha fatto il callo. Sa che di questi tempi anche il fido Umberto ha qualcosa da farsi perdonare dalla sua gente, in attesa da anni dei frutti che non arrivano di una collaborazione di governo ormai quasi ventennale.

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« Risposta #299 inserito:: Aprile 28, 2011, 06:25:57 pm »

28/4/2011 - TACCUINO

Padani senza bussola

MARCELLO SORGI

Accompagnata dai lazzi e dallo scherno di tutti gli altri partiti, scettici già da martedì sull’eventualità che Bossi sulla Libia facesse sul serio, la crisi della Lega è esplosa tutta insieme ieri con un rincorrersi di dichiarazioni che prima sembravano ammorbidire la rottura sui bombardamenti e poi via via l'hanno confermata. Il paradosso è che il capogruppo alla Camera Reguzzoni nel giro di un paio d’ore ha offerto al governo un ramoscello d'ulivo e subito dopo, smentendo se stesso, ha confermato la linea dura ufficializzata dalla Padania, che per l'intera notte, a quanto ha raccontato il direttore Boriani a Paola Saluzzi su Sky, ha potuto usufruire di un collaboratore d'eccezione: il Senatùr in persona, rimasto in redazione a smaltire i fumi di rabbia che la conclusione del vertice italo-francese e la completa acquiescenza di Berlusconi a Sarkozy gli avevano provocato.

Ma il sarcasmo di partiti e osservatori non fa purtroppo il conto con le conseguenze del travaglio del Carroccio, in cui si mescolano chiaramente elementi personali oltre che politici. Bossi è ormai un leader più carismatico che esecutivo. Le sua presenza è spesso intermittente, sotto di lui non esiste uomo o struttura che possa esercitare supplenze di alcun tipo. In un sistema politico che richiede continue prese di posizione e reazioni a tempo di Internet, la Lega, in attesa che il leader si pronunci, allinea fin troppo spesso dichiarazioni contraddittorie o alla rinfusa, che richiedono robuste e continue correzioni di rotta. Tra le file inquiete del Carroccio è anche possibile riconoscere, se non proprio correnti, aree diverse: il cerchio magico che circonda il Senatùr, composto dai capigruppo Reguzzoni e Bricolo e dalla vicepresidente del Senato Rosi Mauro, l'ala istituzionale che fa capo a Maroni, al governatore del Veneto Zaia e alla schiera dei sindaci quarantenni, i battitori liberi come Calderoli e, su un piano diverso, Borghezio.

Per fare un solo esempio, e per non parlare solo della Libia, il fatto che dopo l'intervista in cui Galan attaccava Tremonti si siano dovute aspettare quarantotto ore per leggere sulla Padania una difesa del ministro che è considerato il punto di riferimento leghista nel partito berlusconiano, e che la stessa presa di posizione non abbia poi trovato grande eco nelle file del Carroccio, la dice lunga sulla confusione che regna all'interno del principale alleato di governo del Cavaliere.

Così che la Lega, per com'è messa, non può certo aprire una crisi di governo. Ma neppure essere di grande aiuto a governare.

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