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Autore Discussione: MARCELLO SORGI.  (Letto 288203 volte)
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« Risposta #210 inserito:: Ottobre 19, 2010, 11:51:29 am »

19/10/2010 - TACCUINO

Fli al bivio deve scegliere dove collocarsi
   
MARCELLO SORGI

In attesa di vedere gli sviluppi della trattativa sulla giustizia (già oggi, dopo l’incontro Fini-Alfano, si capirà qualcosa di più), all’interno del gruppo finiano ferve il dibattito sulle elezioni. Discussione al chiuso, ovviamente negata all’esterno, dato che Futuro e libertà è ufficialmente impegnato a sostenere il programma del centrodestra e ad assicurare la continuità della legislatura con il governo attuale. All’interno, invece, confronto aperto, dal momento che nessuno, né tra i Futuristi, né negli altri partiti, è in grado di escludere - ed anzi tutti sono pronti a scommettere -, che allo scioglimento anticipato delle Camere si arriverà, di qui a primavera.

Ma quale sarà appunto la collocazione dei finiani in questo caso? Al di là di molte sfumature, le ipotesi prevalenti sono due. Una parte del Fli preme perché Fini intensifichi la sua polemica con Berlusconi, anche a costo di prendersi la responsabilità di una rottura, e si prepari ad incarnare il ruolo del capo di una sorta di comitato nazionale di liberazione dal Cavaliere. Dunque un Fini con le mani libere, che fa accordi con chi ci sta, in nome dell’obiettivo strategico di vincere una tornata elettorale che più di altre si trasformerà in un referendum su Berlusconi. Fino al punto da tentare una convergenza con il Pd, che da sinistra, con Bersani, si sta muovendo nella stessa prospettiva? Fino a quel punto, rispondono dall’ala più radicale dei finiani, contraria alle proposte alternative di quella più moderata.

Escluso un accordo con Casini per dar vita a un «altro centrodestra», che farebbe la campagna elettorale contro il «tradimento» di Berlusconi (i sondaggi dicono che un Fini centrista perderebbe gran parte dei suoi voti), resta infatti solo la possibilità di candidarsi a destra da soli: partita assai rischiosa, perché Futuro e libertà dovrebbe essere sicuro di superare la soglia di sbarramento del 4 per cento nazionale e dell’8 per cento regionale previste dall’attuale legge elettorale.

In realtà, l’ala morbida del Fli non ha rinunciato all’ipotesi di una ricomposizione con il Pdl: magari alla fine di un periodo di collaborazione che, pur tra polemiche, consenta di realizzare almeno una parte del programma di governo e di presentarsi agli elettori con un bilancio meno esile dell’attuale. L’idea di una vera pace Berlusconi-Fini, tuttavia, continua a restare fuori della realtà, stando a quel che dicono i collaboratori più stretti dei due leader. Alcuni dei quali, anche in questi giorni di ricerca di una tregua, continuano a scuotere la testa sconfortati.

http://lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=7972&ID_sezione=&sezione=
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« Risposta #211 inserito:: Ottobre 20, 2010, 04:55:46 pm »

20/10/2010 - TACCUINO

Fu vera svolta? Molto rumore per nulla
   
MARCELLO SORGI

Anche se segnata da una dura contrapposizione tra Bersani e Fini - i due principali leader che in caso di crisi dovrebbero diventare alleati per sostenere un governo d’emergenza -, la polemica nata a proposito dell’emendamento al testo del Lodo Alfano, approvato al Senato dal centrodestra, non ha alcuna ragion d’essere, tolte quelle della campagna elettorale permanente in corso ormai da mesi in Italia.

Il Lodo Alfano infatti, già nella formulazione originaria cancellata dalla Corte Costituzionale, serviva a sospendere i processi intentati contro le alte cariche dello Stato (leggi: Berlusconi) per reati commessi in precedenza. Prova ne sia il fatto che, dopo la pronuncia della Consulta, gli stessi processi contro Berlusconi ripresero immediatamente al Tribunale di Milano, e fu necessario approvare la legge sul legittimo impedimento per garantire al premier un nuovo, benché provvisorio, salvacondotto.

Naturalmente può piacere o non piacere che Berlusconi possa usufruire di un’agevolazione del genere. Ed è evidente che nel momento in cui riapproderà nelle aule parlamentari il Lodo troverà lo stesso sbarramento delle opposizioni a cui andò incontro la prima volta. Ma votando, come ha fatto ieri, l’emendamento proposto dal Pdl Vizzini, per esplicitare più chiaramente il senso della protezione accordata al premier, il senatore finiano Saia non ha affatto cambiato posizione rispetto al suo partito. Anzi s’è mosso nell’ambito dell’unico accordo superstite tra Berlusconi e Fini, che riguarda appunto la costituzionalizzazione del Lodo, ed esclude qualsiasi altra scorciatoia anti-processi.

Come ha confermato già un mese fa (e ripetuto ieri), a nome del presidente della Camera, la Bongiorno a Ghedini, che lo ha subito riferito al Cavaliere, Futuro e libertà non ha alcuna ragione di rimangiarsi il «sì» dato al Lodo quando fu approvato in forma di legge ordinaria. Il problema, semmai, sono i tempi di approvazione della nuova legge, previsti, nella migliore delle ipotesi e vista la necessità di un doppio voto delle Camere, in un altro anno: durante il quale lo scudo assicurato dal legittimo impedimento cadrà e Berlusconi si ritroverà di nuovo nudo davanti ai giudici di Milano. Il pomeriggio che ha visto per la prima volta l’assalto del Pd ai finiani - rivelando, tra l’altro, le difficoltà dell’ipotetica alleanza di cui pure molti continuano a parlare - non ha dunque fatto segnare alcun passo avanti neppure nei rapporti in materia di giustizia tra Pdl e Futuro e libertà.

http://lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=7977&ID_sezione=&sezione=
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« Risposta #212 inserito:: Ottobre 23, 2010, 08:46:07 am »

23/10/2010 (7:55)  - DOSSIER

Nasce "Forza del Sud"

La Sicilia sfida la Lega Nord

Miccichè lascia il Pdl e Berlusconi, fonda un suo partito e diventa l’anti-Bossi

MARCELLO SORGI

Il nome sarà «Forza del Sud», l’eco della stagione vincente delle origini di Forza Italia, quando Berlusconi aveva il sole in tasca, e il senso di una rivincita fin troppo attesa della Sicilia, e presto del Mezzogiorno, che non vogliono più pagare il conto dell’asse Pdl-Lega e dello «strapotere» di Tremonti.

Gianfranco Miccichè, l’eretico sottosegretario palermitano che da tempo covava la creatura, ci ha messo un anno e mezzo a decidere: ma ormai il dado è tratto. Sabato prossimo, 30 ottobre, salirà sul palco del teatro Politeama a Palermo per presentare il suo nuovo partito e sciogliere il filo sottile che ormai lo legava al Popolo della libertà.

Sarà una Lega del Sud, e se davvero, dopo quella siciliana, nasceranno altre Forze del Sud anche in Campania, Puglia e Calabria, il contraccolpo sul già traballante equilibrio del Pdl potrebbe essere esiziale. Miccichè lo sa, ma non se ne preoccupa, perché il primo a esserne avvertito, sostiene, è proprio Berlusconi. Nei diciotto mesi trascorsi dal primo annuncio e dal primo convegno di una trentina di parlamentari meridionali - con la ministra Stefania Prestigiacomo, che alla fine resterà col Cavaliere, nel ruolo di donna simbolo del movimento e Antonio Martino in quello di autore del programma - il sottosegretario è stato sottoposto a una continua pressione, mirata a tenerlo a qualsiasi costo dentro i confini del partito. Ma stranamente, non è stato Berlusconi a stringerlo: il compromesso che aveva portato i transfughi siciliani ad accettare di distinguersi solo nel gruppo parlamentare dell’Assemblea regionale siciliana, come Pdl-Sicilia, e non anche nelle Camere, era stato imposto più dallo stato maggiore del partito, compreso Dell’Utri, che su Miccichè ha sempre avuto un forte ascendente, che non dal leader.

Anzi, un Berlusconi insolitamente tollerante, negli stessi giorni, quasi, in cui decideva l’espulsione di Fini dal Pdl, si rivelava molto paziente con il sottosegretario che conosce da sempre, da quando lavorava per lui a Publitalia, e i suoi puntuti seguaci. A chi gli chiedeva di intervenire subito, per stroncare sul nascere la nuova eresia, rispondeva: «Gianfranco lo conosco troppo bene: non farà nulla contro di me». Forse valutava l’irrequietezza di Miccichè - l’uomo che nove anni fa, nel 2001, gli aveva portato in dote lo storico risultato del 61 a zero, la vittoria alle politiche in tutti i collegi dell’isola - alla stregua di un’ubbia temporanea, frutto di imperscrutabili, ai suoi occhi, stati d’animo siciliani e delle rivalità con i nuovi astri palermitani del centrodestra, il presidente del Senato Renato Schifani e il ministro della Giustizia Angelino Alfano. E sotto sotto, magari condivideva alcune delle cose dette dai dissidenti sul degrado del partito. In ogni caso contava sul fatto che il sottosegretario - uno dei pochi ricevuti a casa sua come ospite permanente, con letto, camera e pigiama fresco di bucato riservati per l’accoglienza - non sarebbe mai diventato suo avversario diretto.

Ma ora che la separazione è decisa, e Miccichè ha fissato la data e la liturgia simil-berlusconiana, fin dal nome del nuovo partito, della convention e della sua personale discesa in campo, il Cavaliere deve fare i conti con il problema. Pur partendo da una ristretta pattuglia di parlamentari (nell’Assemblea siciliana sono rimasti in cinque, e altrettanti, più o meno, tra Camera e Senato) Miccichè - che vuole restare all’interno del centrodestra - controlla nell’isola un pacchetto di voti strategici per far scattare, a livello regionale, il premio di maggioranza, indispensabile al Cavaliere per riottenere una maggioranza anche al Senato. Lo stesso meccanismo si ripercuote a tutti i livelli istituzionali nell’isola, e non a caso tiene bloccata da settimane la formazione della nuova giunta al Comune di Palermo.

Pur consapevole che la lunga gestazione del progetto ha reso più difficile la sfida, Miccichè considera questa una sufficiente base di partenza. Anche se la vera riuscita dell’operazione è legata alla nascita di una vera e propria Lega del Sud, una sorta di federazione di tutti i fuorusciti dal Pdl alle soglie dell’implosione. Basta solo guardarsi attorno: se in Campania perfino Mara Carfagna, cioè una delle ministre più vicine a Berlusconi, arriva a dire che occorre fondare un nuovo partito per farla finita con il coordinatore inquisito del Pdl Nicola Cosentino, vuol dire che anche lì qualcosa si sta muovendo. Lo stesso accade in Puglia con l’ex An Adriana Poli Bortone, anche lei in marcia di avvicinamento a Forza del Sud con il suo movimento che, rimasto fuori per un soffio dal centrodestra, avrebbe potuto capovolgere il risultato delle regionali vinte da Vendola. Mentre in Calabria a decidere di muoversi autonomamente dal Pdl potrebbe essere, se non proprio direttamente il governatore Scopelliti, trionfatore alle ultime elezioni amministrative, un gruppo di persone a lui vicine e stanche dell’andazzo del Pdl.

Come accadrà in Sicilia alla fine della prossima settimana, anche la nascita delle altre Forze del Sud, in Campania, Puglia e Calabria, avverrebbe indipendentemente dalla possibile scadenza di elezioni anticipate, pur se è indubbio che un evento del genere finirebbe con il favorire lo scioglimento anticipato delle Camere. Al primo punto, infatti, la nuova Lega meridionale dei fuorusciti dal Pdl metterebbe il riequilibrio dell’attuale maggioranza impostata sull’asse con Bossi, la rinegoziazione della politica economica del governo nei confronti del Mezzogiorno e lo sblocco dei fondi strutturali nazionali ed europei che il governo tiene fermi da anni. La leva per ottenere ciò che finora Berlusconi e Tremonti hanno negato sarebbe la minaccia di formare in Parlamento nuovi gruppi parlamentari autonomi, con cui Palazzo Chigi dovrebbe negoziare separatamente, né più né meno di come sta facendo con Fini. Con la conseguenza, intuibile, di un’accelerazione dell’instabilità di cui il governo soffre già adesso. E la possibilità che il movimento centrifugo, dal Pdl, si estenda anche al Pd, o almeno alle sue inquiete frange centriste postdemocristiane, che non potrebbero restare indifferenti a una riarticolazione territoriale dei confini politici nel Centro-Sud, cioè nell’area dove sono più presenti e dove si gioca per davvero lo spostamento del baricentro politico dell’intero Paese.

Questo spiega perché la nascita, ormai annunciata, di Forza del Sud sia già inserita all’ordine del giorno dei vertici del Pdl, tra i problemi più urgenti. Se Berlusconi rifiuta di parlarne, e come sempre nei momenti difficili ne fa una questione personale - il tradimento di un giovane a cui ha voluto bene come a un figlio e ha dato tutto, da imprenditore e da leader -, gli stati maggiori del Popolo della libertà sono impegnati a valutare quanto possano pesare la mini-scissione siciliana e l’eventuale clonazione di Forza del Sud nelle altre regioni. Circola un dato, provvisorio, che vale quel che vale: sarebbero quaranta alla Camera, e una ventina al Senato, al netto degli altri trenta comunque contrari alle elezioni, i parlamentari del Sud pronti a distinguersi. Basta e assoverchia per mettere nuovamente con le spalle al muro il governo, appena uscito da un voto di fiducia.

http://lastampa.it/redazione/cmsSezioni/politica/201010articoli/59729girata.asp
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« Risposta #213 inserito:: Ottobre 26, 2010, 06:52:59 pm »

26/10/2010 - TACCUINO

Senza chiarimento tra i due leader l'immunità rimarrà bloccata
   
MARCELLO SORGI

Dopo un week-end segnato da un rialzo della tensione tra Pdl e Fli, e dopo una giornata, ieri, in cui il tema del governo di emergenza da sostituire a quello in carica ha animato le chiacchiere del lunedì, l'annuncio del ministro di giustizia che il governo è pronto a cercare una soluzione alternativa alla contestata reiterabilità del lodo Alfano ha dato il senso che non tutto sia perduto: si continua e si continuerà a trattare. Al Senato, di conseguenza, il presidente della commissione Affari Istituzionali Vizzini, destinatario della lettera del Capo dello Stato critica con la parte di testo approvata fin qui, ha riaperto i termini per la presentazione degli emendamenti, azzerando di fatto, oltre al coinvolgimento dei Presidente della Repubblica nella materia del salvacondotto giudiziario, anche tutto il lavoro fatto.

Malgrado la schiarita serale e l'offerta del Guardasigilli, infatti, la situazione rimane bloccata. Da Milano, dove è andato a presentare il suo nuovo partito, Fini ha detto ai suoi di preparare l'emendamento per cancellare la possibilità che, grazie al lodo, il premier possa usufruire della protezione dai processi più di una volta. Questa eventualità non era prevista nella versione originaria, varata due anni fa anche con i voti degli ex-An e cancellata l'anno scorso dalla Corte costituzionale, e secondo il Presidente della Camera non c'è alcuna necessità, salvo l'interesse personale di Berlusconi, di introdurla adesso.

Fini ha confermato anche pubblicamente che la materia della giustizia, non soltanto quella del lodo, continua ad essere ad alto rischio per il governo. Repliche dure dal Pdl, soprattutto dagli ex colonnelli di Fini. E anche se non è affatto una novità, gelo confermato tra gli ex cofondatori del Popolo della libertà, malgrado gli sforzi dei pontieri, che dai tronconi separati del centrodestra continuavano a sperare in un (impossibile, al momento) incontro tra i due leader.

Senza un chiarimento personale e senza una vera tregua, è difficile che la trattativa tenuta aperta, se non altro per buona volontà, possa portare a qualche risultato. Basta solo riflettere su quel che accadrà adesso al Senato al momento di votare gli emendamenti finiani contrari alla reiterabilità: Pdl e Fli voterebbero uno contro l'altro, ed anche se a Palazzo Madama Berlusconi avrebbe la maggioranza per bocciare l'emendamento, la perderebbe subito dopo alla Camera. Con il risultato di ritrovarsi con il lodo paralizzato già alla prima delle quattro votazioni previste dal complesso iter per costituzionalizzarlo.

http://lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=8003&ID_sezione=&sezione=
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« Risposta #214 inserito:: Ottobre 27, 2010, 09:43:12 am »

27/10/2010

La regola e l'eccezione
   
MARCELLO SORGI

Anche se si tratta di vicende del tutto diverse, per peso, quantità e qualità, nella giornata che ha visto il proscioglimento di Gianfranco Fini dalle accuse che lo riguardavano per la vendita della famosa casa di Montecarlo, e il contemporaneo infittirsi delle voci su nuovi guai giudiziari per Silvio Berlusconi, c'è un dettaglio che colpisce. Alla fine di una durissima campagna giornalistica e politica durata quasi quattro mesi, il Presidente della Camera ha potuto conoscere l'esito favorevole delle inchieste che lo riguardavano contemporaneamente alla notizia che era stato indagato per gli stessi fatti. Così, una volta tanto, è stata evitata la consueta fuga di notizie che trasforma tutti i politici inquisiti in condannati prima del tempo. Un'eccezione che conferma la regola, purtroppo. Perché invece il meccanismo dello svergognamento preventivo s'è ripetuto quasi contemporaneamente nei confronti di Berlusconi. La differenza di trattamento tra i due leader ed imputati eccellenti ha preso corpo in tutta la sua evidenza proprio nelle stesse ore in cui al Senato il centrodestra riapriva la trattativa sul lodo Alfano.

Mentre infatti Fini, nei tempi giustamente brevi che si richiedono quando un'ombra giudiziaria può danneggiare un soggetto che ha responsabilità pubbliche, veniva dichiarato innocente, su Berlusconi, alle prese da anni con le accuse più disparate, si addensavano ulteriori sospetti. Al processo Mills pendente da tempo e sospeso provvisoriamente per effetto del legittimo impedimento, alla propaggine romana, emersa due settimane fa, dell'inchiesta sui diritti off-shore delle tv Mediaset, e alle indagini, divenute di dominio pubblico la settimana scorsa, sui rapporti tra il premier e l'ex sindaco mafioso di Palermo Vito Ciancimino, si aggiungevano ancora i dubbi sul coinvolgimento del premier, e non solo di suo fratello Paolo, nella divulgazione della famosa intercettazione di Fassino sul caso Antonveneta, e un'altra, torbida vicenda, legata a una ragazza marocchina che avrebbe accusato Berlusconi di aver avuto rapporti con lei quando aveva solo sedici anni.

Come possa influire la somma di tutti questi casi, vecchi e nuovi, che continuano a emergere e riemergere a ritmo quasi quotidiano, sulla trattativa sul lodo, da cui dipende la sopravvivenza stessa del governo, è chiaro. La già discutibile soluzione del problema della protezione del presidente del Consiglio da incombenze giudiziarie, che possano ostacolarne l'espletamento delle funzioni, sta diventando rapidamente del tutto indigesta e al limite dell'impraticabile. Mentre i partiti discutono della portata e dei limiti del provvedimento che dovrebbe proteggerlo, Berlusconi - cioè il primo che in linea teorica dovrebbe usufruire di una legge che come tutte resterebbe valida anche per i suoi successori - a poco a poco si sta trasformando in un soggetto indifendibile. L'addensamento - e in qualche caso l'accanimento - delle indagini nei suoi confronti, è evidente, porta a questo. La corruzione già in qualche modo anticipata con la condanna dell'avvocato Mills, l'evasione fiscale ipotizzata nell'inchiesta romana, la mafiosità connessa ai rapporti con Ciancimino, il commercio di materiale ricavato da intercettazioni, e adesso anche l'ombra di una relazione intima con una minorenne, non rappresentano più soltanto un'eterogenea serie di imputazioni, ma un insieme che ormai tende alla mostrificazione del personaggio. E a questo mostro che giorno dopo giorno, nelle carte che lo riguardano, assume sembianze grottesche, il Parlamento, non va dimenticato, dovrebbe trovare una scappatoia, che già era difficile, e adesso rischia di diventare impossibile.

Naturalmente Berlusconi ha il preciso dovere di rispondere a tutte le accuse che lo riguardano e fare chiarezza fino in fondo. Ma sarebbe auspicabile che potesse farlo più o meno nelle stesse condizioni in cui è stato consentito a Fini: difendendosi, cioè, e replicando agli attacchi politici dentro e fuori il Parlamento, e aspettando serenamente che la magistratura si pronunci sul suo conto senza neppure che si venga a sapere anticipatamente, e soprattutto prima del proscioglimento, che sulla sua testa pendeva un'imputazione.

La separazione tra il piano politico e quello giudiziario ha consentito, malgrado il clima pesante, al presidente della Camera di restare al suo posto e respingere le reiterate richieste di dimissioni che venivano dai suoi avversari. La commistione tra processi giudiziari e tiri al bersaglio politici, favoriti dalla facilità con cui viene resa nota qualsiasi accusa, anche la più infamante, contro Berlusconi, rischia al contrario di avvelenare definitivamente il confronto politico, paralizzando del tutto il governo, il Parlamento e il Paese.

http://lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=8008&ID_sezione=&sezione=
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« Risposta #215 inserito:: Ottobre 28, 2010, 05:22:57 pm »

28/10/2010 - TACCUINO

La linea del "no" è insufficiente
   
MARCELLO SORGI


Se davvero l'esito del braccio di ferro in corso sul lodo Alfano sarà la nascita in commissione Affari istituzionali al Senato di una maggioranza alternativa a quella di centrodestra, formata da finiani, Mpa, Udc e, udite udite, Pd, disposto addirittura a votare il testo precedente della legge-salvacondotto al quale si era opposto duramente quando era stato approvato come legge ordinaria, si potrà dire che il progetto di sostituire quello di Berlusconi con un governo di emergenza avrà fatto un passo avanti.

Ma da questo a mettere veramente in piedi un esecutivo appoggiato da sinistra, centro e destra, con il Pdl e la Lega all'opposizione, ne corre. Fino a che i futuri alleati di questo governo si accordano solo sui «no» da dire al Cavaliere, per accentuarne il logoramento, ormai oltre il livello di guardia, sarà difficile che il Capo dello Stato, ammesso che Berlusconi sia costretto davvero a dare le dimissioni, assegni un nuovo incarico solo sulla base del rifiuto della nuova maggioranza di andare alle elezioni.

Per valutare se veramente possa nascere un nuovo governo, sorretto da una coalizione diversa da quella che ha vinto le elezioni, il Presidente della Repubblica ha bisogno di sapere se i suddetti alleati sono in condizione di portare avanti anche un progetto in positivo, che stia alla base di un programma minimo da realizzare in un tempo definito.

L'esempio più ricorrente, non a caso, è quello della legge elettorale. Si sa che gli stessi partiti che si preparano a bocciare al Senato la nuova versione del lodo Alfano, vorrebbero evitare di tornare al voto con l'attuale legge Porcellum. Ma se dal «no»allo scioglimento delle Camere si deve passare al «sì» a un progetto comune, sono in grado gli stessi partiti di concordarlo? Finora questa s'è rivelata una sfida impossibile, non solo perché le posizioni dei partiti sono diverse, ma perché, all'interno degli stessi partiti ce ne sono più d'una.

Di qui appunto l'idea che comincia a farsi strada, tra l'altro proprio all'interno del Pd, di discutere, non del nuovo sistema elettorale da scegliere, ma dei possibili sfrondamenti del Porcellum, per renderlo più accettabile. Esempio: invece di confrontarsi sul ritorno ai collegi uninominali, o sul turno unico o doppio di voto, perché non vediamo se siamo tutti d'accordo ad eliminare il premio di maggioranza? Si tratta, anche in questo caso, di una strada irta di ostacoli: taglia di qui taglia di là, premio di maggioranza contro soglia di sbarramento, il rischio è che si arrivi a trovare l'intesa solo sul ritorno alla vecchia proporzionale pura della Prima Repubblica.

http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=8013&ID_sezione=&sezione=
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« Risposta #216 inserito:: Ottobre 29, 2010, 11:31:20 am »

29/10/2010 - TACCUINO

Fini vuole evitare di essere visto come alleato di Bersani

MARCELLO SORGI

Un legame diretto certo non c'è: ma se ieri, ironicamente, alcuni deputati e senatori si sono scambiati sms in cui si parlava del «lodo bonga-bonga», dal nome del gioco erotico in voga nella villa di Arcore, è evidente che le ultime rivelazioni sulle feste a casa del premier, fatte dalla ragazza marocchina che Berlusconi stesso ammette di aver aiutato ad ottenere la libertà quand’era trattenuta in questura a Milano, non giovano certo alla trattativa sul salvacondotto giudiziario in corso al Senato.

Lo si deduce anche dal tenore degli emendamenti presentati ieri da Giulia Bongiorno, presidente della commissione giustizia della Camera e consigliere giuridico di Fini, insieme con l'Mpa. Ci si aspettava che Futuro e libertà si attestasse sulla semplice difesa del testo della vecchia legge, bocciata dalla Corte costituzionale ma votata dagli ex-An che allora stavano ancora dentro il Pdl. Ne è uscito invece un testo che sul tema della non reiterabilità della protezione dai processi del presidente del consiglio è perentorio, e non gioverà certamente alla ricerca di un accordo nel centrodestra.

Conti alla mano, Pdl e Lega sul lodo sono in minoranza anche al Senato, come ci si aspettava. Ma la sensazione è che Fini abbia voluto un testo specifico per gli emendamenti, e non solo quello della vecchia legge, anche per delimitare il campo delle alleanze (con Mpa, Udc e basta), nel momento in cui il Pd si offriva di votare con Futuro e libertà per far risaltare il fatto che il governo non ha più la maggioranza neanche a Palazzo Madama.

Se ne ricava che, pur mettendo in conto la crisi di governo sul lodo o sulla riforma della giustizia, Fini e Bersani per l'immediato hanno due strategie diverse. Il Presidente della Camera vuole che il percorso parlamentare del lodo e le eventuali conseguenze di una rottura procedano separatamente da un'eventuale trattativa sul dopo, dalla quale, in alternativa alle elezioni, possa sortire un eventuale governo di emergenza sostenuto insieme da destra, centro e sinistra. Fini insomma in questa fase non ha alcun interesse ad apparire come un potenziale alleato di Bersani. Il quale invece tende a mettere tutto insieme, forse perché in cuor suo considera lo scioglimento delle Camere lo sbocco più probabile, vista la difficoltà di tenere unito tutto il Pd in un negoziato difficile come quello sulla legge elettorale e di conseguenza lavora già al posizionamento del suo partito per la prossima campagna elettorale.

http://lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=8017&ID_sezione=&sezione=
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« Risposta #217 inserito:: Novembre 02, 2010, 06:29:07 pm »

2/11/2010

Il vuoto della politica
   
MARCELLO SORGI


Al di là dei diversi giudizi, etici e politici, sul «caso Ruby», nato dalle telefonate in Questura a Milano del premier, per ottenere la liberazione della minorenne marocchina accusata di furto e fatta passare per nipote di Mubarak, la convinzione diffusa tra gli addetti ai lavori è che Berlusconi sia ormai cotto.

Per togliersi i dubbi, basta solo chiederlo, non ai membri dell’opposizione, ma a parlamentari qualsiasi del centrodestra, e perfino a membri autorevoli del suo governo.

Se un istituto di sondaggi, per ipotesi, potesse fare un’inchiesta, rigorosamente anonima, tra le centinaia di deputati e senatori nel panico che formano le file della sua maggioranza, non potrebbe che concludere che il governo abbia i giorni contati, per non dire le ore. Perché allora nulla accade di fronte a un caso così grave, in cui è assodato, a prescindere dalle versioni che ne vengono fornite, che il presidente del consiglio, nel bel mezzo della notte dello scorso 27 maggio, ha impiegato ore e ore a convincere i funzionari giustamente recalcitranti della Questura milanese a chiudere un occhio sull’arresto di una ragazza sbandata? La quale, per inciso - e sarebbe stato anche meglio per lei - doveva finire in una comunità per stranieri. Ed invece è stata consegnata a una collaboratrice del premier, che l’ha subito rigettata per strada, abbandonandola per giunta nelle mani di chi voleva avviarla alla prostituzione.

Come ha detto domenica Fini, il più recalcitrante degli alleati di Berlusconi, si è in presenza di evidente «uso privato di pubblico ufficio». Seppure nei prossimi giorni (il ministro dell’Interno Maroni è atteso in Parlamento) si dovesse dimostrare che s’è trovata una strada per far rientrare un fatto così inaudito nel formale rispetto delle regole, tutto quel che è accaduto è gravissimo. E non a caso rimbalza da giorni nei commenti stupefatti di partners internazionali e giornali stranieri.

Nella Prima Repubblica, dove a dire la verità le crisi erano assai più frequenti, un governo cadeva per molto meno. Ad esempio, quando solo aleggiò il sospetto che il ministro Donat Cattin fosse stato avvertito che il figlio terrorista Marco stava per essere arrestato, Cossiga, che lo aveva convocato a Palazzo Chigi, pur protestandosi innocente, dovette dimettersi. Altri tempi, si dirà: ed è vero. Ma la sensazione è che adesso l’inaccettabile comportamento del premier non produca gli stessi effetti, non perché siano cambiati gli standard di tolleranza (una regola è una regola, e aggirarla con l’aiuto di funzionari, firme e carte bollate non cambia la sostanza), ma perché è venuta meno la capacità di affrontare problemi e trovare soluzioni che servano a risolverli.

In altre parole, Berlusconi è, sì, cotto; ma non, o non solo, per il continuo esplodere di casi che lo riguardano (ultimo dei quali quello appena apertosi ieri sera a Palermo), si tratti delle escort di un anno fa, delle numerose e non sempre convincenti inchieste giudiziarie che lo vedono imputato, dei suoi spericolati investimenti immobiliari o dell’insistenza per «leggi ad personam» che sostituiscano quelle ottenute in passato e cancellate dalla Corte Costituzionale, per metterlo al sicuro dai processi penali. È cotto - e lo è veramente a questo punto -, per aver portato il suo governo e la sua maggioranza in uno stato di paralisi e non essere più in grado di districarsi dalla rete in cui lui stesso si è definitivamente impigliato.

Ma se almeno all’empasse del premier corrispondesse una chiara iniziativa degli altri leader politici che si trovano in questa difficile situazione, si potrebbe sperare che l’immobilismo, che si trascina da mesi, in qualche modo sia a termine. Con i tempi, inesorabilmente lenti, della politica, ci si potrebbe aspettare, o che Fini stacchi la spina al governo moribondo, dopo quel che ha detto domenica, o che Bersani, approfittando della parlamentarizzazione del «caso Ruby», si decida a proporre una mozione di sfiducia per accelerare un chiarimento.

Invece, niente di tutto questo. Fini e Bersani aspettano, e nell’attesa continuano a guardarsi negli occhi. Pur lontano oltremodo da Berlusconi e dal suo modo di far politica e di governare, il presidente della Camera ha timore ad assumersi la responsabilità di far cadere il governo. E il suo imbarazzo è a tal punto rispettato dal Pd e dal suo leader, che Bersani evita di proporre la sfiducia per non mettere Fini in condizione di dover schierarsi, con lui o con Berlusconi. Si è a uno stallo. Ruby o no, e domani o nei prossimi giorni potrebbe accadere anche qualcosa di più grave, su un palcoscenico che diventa ogni giorno più vischioso non si muove più nessuno degli attori che avrebbero il dovere di farlo. Una volta si diceva che la politica ha orrore del vuoto. Oggi, più malinconicamente, la politica italiana lo ha prodotto, il vuoto.

http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=8030&ID_sezione=&sezione=
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« Risposta #218 inserito:: Novembre 05, 2010, 11:29:03 am »

5/11/2010 - TACCUINO

Ultima chiamata prima della rottura
   
MARCELLO SORGI

Il patto di legislatura e il riconoscimento politico di Futuro e libertà come componente a tutti gli effetti del centrodestra, offerti da un Berlusconi insolitamente democristiano a Fini, come ultima chiamata prima della rottura definitiva, difficilmente riceveranno domenica a Perugia una risposta chiara dalla convention fondativa del nuovo partito del Presidente della Camera. Gli umori della base sono tali che qualsiasi segno di appeasement, specie all'indomani degli ultimi scandali personali del premier, sarebbero accolti malissimo.

Fini cercherà dunque di barcamenarsi ancora, alternando fuochi d'artificio e toni compromissori. L'eventuale accenno al passaggio all'appoggio esterno di Fli al governo verrebbe accolto come un segnale di indisponibilità a continuare dall'altra parte. Di qui, anche in queste ultime ore, il tentativo di accontentare, da una parte, le esigenze di un partito che vuol nascere battagliero e senza far mistero di avere come primo obiettivo l'uscita dall'epoca berlusconiana. E dall'altra quella di non ritrovarsi con tutto il peso della rottura sulle spalle. E' un sentiero molto stretto. E quali che siano i toni o le volute del ragionamento che Fini presenterà, il mancato esplicito accoglimento del patto di legislatura, per Berlusconi, significherebbe la fine dell'alleanza.

Berlusconi dalla tribuna della direzione ha fatto di tutto per far capire che le cose che diceva le diceva per dovere, ma senza crederci fino in fondo. Ha ricordato tutte le volte che il partito lo ha messo sotto, come prova di democrazia interna. Ha detto che avrebbe più volentieri parlato a braccio, e invece gli era stato imposto un testo scritto, preparato per altro dall'anima più mediatrice del vertice che per tutto il giorno mercoledì è rimasto riunito a casa sua.

Questa temporanea abdicazione alla sua sovranità assoluta, rimarcata in apertura della direzione di ieri, serve a creare le premesse, in caso di risposta ambigua o negativa da parte di Fini, per una pieno recupero della linea battagliera che il Cavaliere ha dispiegato nell'ultimo anno, prima durante e dopo la rottura con l'ex cofondatore. Dunque, niente subordinate, no al governo tecnico, se ci sarà crisi l'unica strada saranno le elezioni anticipate, sbocco che se le cose andranno come si prevede appare ormai più vicino. Se invece Fini, Bersani e Casini hanno il fegato per mettere su un governo senza Pdl e Lega, si accomodino. Berlusconi e Bossi andranno all'opposizione, insieme, a preparare la rivincita.

http://lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=8045&ID_sezione=&sezione=
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« Risposta #219 inserito:: Novembre 07, 2010, 07:12:54 pm »

7/11/2010 (7:15)  - CENTRODESTRA, STAGIONE FINALE

Il lungo autunno del Cavaliere

Tormentato dagli scandali, con un governo diviso da feroci rivalità, stanco e malinconico, «Beati voi che andate a dormire», ha detto Berlusconi ai ministri. Lui sembra quasi non riuscirci più

MARCELLO SORGI

A vederlo così, come l’hanno visto all’ultimo Consiglio dei ministri, Silvio Berlusconi sembrava irriconoscibile. Curvo a vergare, quasi sotto dettatura di Tremonti, un richiamo scritto alla ribelle Prestigiacomo – obbligata a scusarsi con il responsabile dell’Economia -, il premier aveva l’aria rassegnata, lo sguardo velato dall’incurabile stanchezza che lo affligge e di tanto in tanto si scioglie cupamente in sonnolenza. L’autunno del Cavaliere sarà lungo, forse lunghissimo: ma il segno che è cominciato sta nella luce spenta degli occhi in cui tutti, finora, cercavano forza e incitamento.

Il primo a saperlo, ovviamente è lui, anche se non si rassegna e prova a fingere come può. Battute, barzellette, complimenti galanti alle signore, all’inizio di ogni riunione, Silvio fa sempre Silvio. Poi arriva inevitabilmente il momento in cui ogni discussione svela gli incubi che lo accompagnano e gli ostacoli insormontabili da cui è circondato. Così che nel gruppo di quelli che lo frequentano più assiduamente – gruppo assai eterogeneo e diviso al suo interno da tremende rivalità – c’è chi si è sentito fare cento volte lo stesso discorso. Il complotto delle procure che puntano a farlo fuori, l’inutile ricerca di un appeasement con Fini che lo vuole morto, i poteri forti che non lo hanno mai digerito, e l’Italia, quest’Italia piena di gente che lo ama, che lui ama, e vorrebbe accontentare senza riuscirci.

L’ossessione che gli uomini del governo e del partito confermano, tra mille cautele, ha avuto negli ultimi giorni un’escalation contro Italo Bocchino, il capogruppo del Fli che non perde occasione per attaccarlo in tv. Siccome, tra le altre accuse, Bocchino ripeteva da giorni che il premier aveva rinunciato alla lotta contro la prostituzione per evidenti motivi personali, il Cavaliere ha voluto che il ministro dell’interno inserisse anche questo capitolo nel pacchetto sicurezza varato venerdì scorso. La decisione, repentina, non è passata inosservata. Ed ha animato le chiacchiere che, non solo tra i ministri, hanno ormai sfatato il mito del leader senza contraddittorio.

A questo punto nessuno può negare infatti che Berlusconi non sia più il Berlusconi vincente di due anni fa; che in modo angoscioso lo tormentino gli scandali, soprattutto gli ultimi, ancora aperti, con i verbali delle escort al vaglio dei giudici di Milano; che la rottura con i finiani, inaccettabile per lui alla stregua di una qualsiasi manovra di Palazzo, lo abbia reso insieme impotente e sospettoso, al punto che anche quelli che sono convinti che alla fine una ricomposizione con il Presidente della Camera sia possibile, si spaventano a parlargliene.

Come ha detto Berlusconi stesso alla direzione del Pdl di giovedì, l’elaborazione del discorso d’apertura – una melassa, nella quale chiaramente non si riconosceva - è stata piuttosto laboriosa. Due giorni e due notti di lavoro, in cui al capezzale del premier in difficoltà si alternavano i ministri mediatori Alfano, Gelmini e Frattini, gli inossidabili coordinatori Verdini, Bondi e La Russa, Letta andava e veniva, Cicchitto rileggeva. Solo quando, finalmente, e faticosamente, alla vigilia, il testo è stato licenziato, verso le due di notte di giovedi, gli ultimi rimasti si sono alzati esausti per salutare. «Beati voi che andate a dormire – li ha congedati il premier, mentre ancora provava l’intonazione dei passaggi principali -. Io non so se ci andrò. E non so neanche dove».

Oltre a tenere in allarme costante le scorte, richiamate continuamente per fuori programma, questa dell’erraticità notturna - per cui a Roma il premier per dormire alterna Palazzo Grazioli con il castello di Tor Crescenza, e fuori dalla Capitale si divide tra Arcore, la nuova villa sul lago di Como e la Sardegna -, è un ulteriore segnale di inquietudine che s’è fatto notare negli ultimi tempi. Non che Berlusconi sia mai stato un abitudinario, anche prima. Ma chi gli è stato vicino ricorda alcuni punti fermi immutabili della sua agenda settimanale, a cominciare dal lunedì dedicato alla ditta di famiglia e all’immancabile cena ad Arcore con i leghisti.

Bene, con evidente sorpresa di tutto il vertice Mediaset, abituato a riceverlo con la familiarità di chi vuol sempre ricordargli quale sia la sua vera casa, Berlusconi negli ultimi mesi s’è visto meno accanto a Confalonieri e al ristretto gruppo di dirigenti ammessi alle riunioni con “il dottore”, come continuano a chiamarlo in azienda. E quando è andato, non è apparso brillante al solito, né pignolo, come quando ad esempio, ai tempi in cui Mediaset doveva decidere modi e tempi del passaggio al digitale, Berlusconi bruscamente aveva fatto sentire, anche ai suoi familiari, la sua autorità monarchica e il peso dell’esperienza imprenditoriale. Allo stesso modo, da mesi, lui che non s’era mai rassegnato a star fuori dalle sue tv, lui che chiamava continuamente anche per un dettaglio o per l’acconciatura di una conduttrice (una volta, di recente, s’era lamentato anche per le pose scomposte di una concorrente del Grande Fratello), è come se si fosse distratto. Negli studi di Cologno Monzese c’era perfino chi lo riconosceva, facendosi prendere dai rimpianti, quando a notte fonda lo sentivano irrompere con una telefonata a “Ballarò”: ciò che da mesi non accade.

Girano un sacco di voci e di ipotesi su questa forma d’assenza e sulla strana malinconia che si sono impadronite di Berlusconi. Ma al dunque, la spiegazione che si impone sulle altre è quella della solitudine. Sì, incredibile a dirsi, l’uomo che tutti immaginano al centro dei suoi festini, con le escort, con le minorenni, tra le bolle nella piscina dell’idromassaggio, soffrirebbe questa sopravvenuta condizione di single. Berlusconi è sempre stato un briccone con le donne, spiegano gli amici dei tempi migliori, ma alla fine tornava sempre a casa: dalla mamma o da Veronica, che sapevano capirlo e perdonarlo, e rappresentavano per lui l’unica vera lente d’ingrandimento con cui guardava il mondo.

Non a caso adesso che mamma Rosa se n’è andata, quando Berlusconi, e capita spesso, se la prende in privato con i magistrati: «Mi fanno sembrare un delinquente, chissà cosa avrebbe detto mia madre», si sfoga, con quel gesto, quasi un tic, di mettersi la mano sulla tasca posteriore dei pantaloni dove in genere si tiene il portafoglio. Quanto a Veronica, la sensazione delle persone più vicine è che dietro la corteccia di durezza che gli fa considerare chiusa una volta e per tutte la storia – e lo è sicuramente – sopravviva il sentimento di una vita, l’amore per i figli, l’immagine che ogni tanto salta fuori di loro due sul lettone con il piccolo Silvio, il nipotino adorato di cui al nonno capita di parlare con tenerezza nei momenti più disparati. Mai, proprio mai, Berlusconi si sarebbe aspettato l’attacco pubblico e diretto della moglie sui giornali, che per lui ha reso la rottura definitiva. E mai è riuscito a riflettere sulla spirale dei suoi inconfessabili svaghi privati, che lui stesso s’è stretta intorno, e a poco a poco ha scavato il solco incolmabile con Veronica.

E’ in quest’insieme complicato, di affetti e risentimenti, di nostalgie familiari e solitudine, di vita di corte, nelle stanze dove si consuma giornalmente la commedia del potere, e di vita notturna fatta di escort e ruffiani, che Berlusconi s’è incamminato sul viale del tramonto. Certi giorni, sembra proprio non abbia più voglia. Certi altri, pare animato dalla voglia di riscossa. Procede a scatti, ha ancora qualche lampo, eppure si muove senza costrutto. Inutilmente il tempo interminabile delle sue notti insonni è scandito dall’eco dei suoi passi solitari, nei corridoi infiniti dei palazzi berlusconiani disabitati.

http://lastampa.it/redazione/cmsSezioni/politica/201011articoli/60226girata.asp
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« Risposta #220 inserito:: Novembre 09, 2010, 06:10:14 pm »

9/11/2010 - TACCUINO

La stagione delle trappole
   
MARCELLO SORGI

La strada di Fini è tutta in salita. La crisi resta aperta, ma Berlusconi non ha alcuna intenzione di dimettersi. Se il presidente della Camera manterrà oggi l’impegno di ritirare la delegazione del suo partito dal governo, i dimissionari saranno rimpiazzati. Intanto, in attesa di partire per il G20, cosa che gli consentirà di tenere a bagnomaria per l’intera settimana Futuro e libertà, Berlusconi ha stretto nuovamente con la Lega. La promessa che il Senatur è riuscito a strappare al Cavaliere riguarda il federalismo, che verrebbe accelerato fino a tentare il varo definitivo entro l’anno. Se ne ricava che Berlusconi ha dato alla Lega ciò che nessun altro governo, ancora da costruire, potrebbe prometterle. E va da sé che il patto è destinato a valere sia in caso d’approvazione del federalismo, sia nel caso in cui nelle votazioni parlamentari il governo dovesse andare sotto, ciò che impedirebbe qualsiasi accordo futuro tra Carroccio, futuristi e Udc, che pur di far cadere Berlusconi affonderebbero anche la riforma a cui Bossi ha affidato il suo destino.

C’è però la possibilità che il governo cada lo stesso in Parlamento prima del voto sul federalismo e di quello, ancor più importante, sulla Finanziaria. Di questa seconda eventualità s’è preoccupato ieri il Quirinale, richiamando, anche se informalmente, i finiani a tener conto delle conseguenze, fatali per il Paese, dell’eventuale una mancata approvazione. Che potrebbe saltare, ed ecco il timore del Capo dello Stato, sia per uno scivolone sulle votazioni di fine anno, ma anche prima, in caso di aggravamento della crisi, se, com’è nei loro piani, Fli e Udc ormai alleati faranno di tutto per mettere sotto il governo in ogni occasione.

La più a portata di mano potrebbe essere la mozione di sfiducia individuale contro il ministro dei Beni culturali Bondi per il crollo di Pompei. Ad essere sfiduciato, se sulla mozione dovessero confluire i voti futuristi, dell’Udc e delle opposizioni di centrosinistra, sarebbe infatti il governo, che verrebbe colpito in uno dei suoi ministri più rappresentativi, e insieme uno dei tre coordinatori del Pdl più vicini al presidente del Consiglio. Difficilmente Berlusconi potrebbe continuare a far finta di niente. E a ogni buon conto Futuro e libertà prepara altre trappole parlamentari per i prossimi giorni. La politica dello struzzo, del tenere la testa sotto la sabbia, non servirà al premier, hanno ripetuto non a caso ieri diversi esponenti finiani.

http://lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=8060&ID_sezione=&sezione=
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« Risposta #221 inserito:: Novembre 10, 2010, 03:42:34 pm »

10/11/2010 - TACCUINO

Post-Porcellum per affondare l'esecutivo
   
MARCELLO SORGI

Aggravato dalle votazioni in cui il governo è andato sotto perchè i finiani votavano con l’opposizione, lo stallo è solo apparente, in realtà tutti trattano con tutti. Bossi ieri ha detto di aver ricevuto mandato a negoziare da Berlusconi, e questo si sapeva. Ma anche da Fini: e questa è una novità da non trascurare. A sorpresa, domenica stessa, il leader Fli aveva incaricato il fidato ministro Ronchi di prendere contatto con il Carroccio, e il Senatur ha potuto così essere avvertito in anticipo della piega che stavano prendendo le cose e del riferimento mirato, che Fini avrebbe fatto nel suo discorso, alla riforma del Senato delle Regioni e al federalismo. Un segnale chiaro, che ha spinto in una prima fase, durante l’incontro di Arcore, Bossi a premere con Berlusconi per andare a vedere il gioco di Futuro e libertà. Inutilmente, dal momento che il Cavaliere non si fida e non ha intenzione di dimettersi, a meno che i finiani non gli votino contro in Parlamento.

Quella verso la Lega, tuttavia, non è l’unica mossa che il Fli ha fatto sullo scenario della crisi. Da ieri infatti i finiani veicolano una bozza di riforma elettorale, la cui paternità viene attribuita all’infaticabile Bocchino, che nel frattempo lavora a convincere altri parlamentari ad abbandonare il Pdl. La bozza prevede di lavorare sul Porcellum, senza metterlo definitivamente da parte, e dunque senza andare in cerca di un sistema elettorale radicalmente nuovo, ma procedendo a due significative modifiche. La prima prevede che il premio di maggioranza, oggi attribuito al partito o alla coalizione che prende più voti (e dunque, in teoria, anche a chi ottenga poco più di un terzo dei voti, che potrebbe così aggiudicarsi il 55 per cento dei seggi della Camera), possa essere conquistato solo superando una soglia più alta, per esempio il 40%. La differenza è che con il sistema attuale Berlusconi, anche indebolito, ma con l’appoggio della Lega, avrebbe la vittoria assicurata; con la riforma, no.

Il secondo cambiamento proposto, fermi gli sbarramenti del 4% nazionale per la Camera e dell’8 regionale per il Senato, introdurrebbe una sorta di diritto di tribuna, una trentina di seggi da assegnare ai partiti che non si coalizzano e non superano lo sbarramento, come ad esempio i vari pezzi della sinistra radicale, che in questo caso sarebbero meno portati ad allearsi con il centrosinistra. Così Futuro e libertà si muove a tutto campo: per ritrovare un accordo con il centrodestra, ma anche per l’eventuale governo d’emergenza appoggiato da sinistra e destra che domenica però non aveva avuto onore di menzione nel discorso di Fini.

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« Risposta #222 inserito:: Novembre 12, 2010, 03:35:05 pm »

12/11/2010

Salto nel buio
   
MARCELLO SORGI

E’ inutile rileggersi riga per riga le dichiarazioni con cui, in assenza di Berlusconi, leader e mezzi leader del centrodestra hanno passato il tempo a smentirsi l’un l’altro.

Aggravando il marasma che circonda da giorni la crisi. Dalla confusione crescente che si affaccia da ogni dove, emergono tuttavia due, chiamiamole così, tendenze. La prima è quella del presidente della Camera, deciso a far fuori Berlusconi. È la vendetta dell’uomo che l’estate scorsa, in uno dei suoi momenti più difficili, sotto i colpi della campagna sulla casa di Montecarlo finita dal patrimonio del suo ex partito nelle mani del suo attuale cognato, lanciò contro Berlusconi un anatema e una sfida: «O lui distruggerà me, o io distruggerò lui». Fini ha intimato per questo, domenica, le dimissioni al premier, e ha ribadito ieri questa richiesta a Bossi. Il quale, invece, sperava di poter mediare e credeva che Fini avesse alzato la posta per allargare il suo spazio di manovra: di fronte a un pieno riconoscimento del suo ruolo, alla promessa di rinegoziare la composizione del governo, e di accettare alcuni nuovi punti programmatici, tra cui la riforma della legge elettorale, Fini si sarebbe dunque ammorbidito, riteneva il Senatur, prima di essere costretto a ricredersi. E a prendere atto che il presidente della Camera, come ha voluto precisare personalmente, non è disponibile a impegnarsi neppure sull’eventualità di un Berlusconi-bis, né vuole che un’ipotesi del genere sia avanzata in questa fase, in cui l’unica risposta che aspetta dal premier sono le dimissioni. Se Berlusconi dovesse continuare a far finta di niente, ormai è chiaro, Fini, adesso con un piede dentro e uno fuori dalla maggioranza, anche a costo di scontare qualche defezione nel suo gruppo, li toglierebbe tutti e due. E passerebbe direttamente all’opposizione.

L’altra iniziativa, tenuta al riparo dal normale riserbo giudiziario, riguarda i giudici di Milano ed è legata all’arcinoto caso della marocchina Ruby sedicente nipote di Mubarak, arrestata per furto e liberata dopo una telefonata di Berlusconi in questura, la notte del 27 maggio. Pochi giorni fa il caso era stato dichiarato chiuso dal questore e dal procuratore della Repubblica di Milano, e successivamente anche dal capo della polizia. Il ministro dell’Interno Maroni aveva potuto riferire in Parlamento che tutto si era svolto in piena regolarità e con l’applicazione delle procedure previste. Che avrebbero portato, con il pieno consenso della magistratura competente, alla liberazione della minorenne e al suo temporaneo affidamento alla consigliera regionale del Pdl Nicole Minetti, arrivata in questura come rappresentante del presidente del Consiglio.

Ma contro questa versione, mirata a spegnere le polemiche, s’è schierata a sorpresa la giudice dei minori Anna Maria Fiorillo, di turno la notte dell’arresto di Ruby, sostenendo di non aver mai acconsentito alla consegna della minorenne alla Minetti, e di non condividere la versione del governo. Nell’imbarazzo generale, il procuratore di Milano ha ripetuto che per lui il caso è chiuso. Maroni ha addirittura querelato la magistrata che lo accusa di non aver detto la verità in Parlamento. Ma dietro la controversia, finita nelle mani del procuratore generale della Cassazione, s’è cominciato a capire che c’è dell’altro. La decisione di chiudere così rapidamente il caso Ruby sarebbe dipesa, sì, dall’effettivo accertamento, malgrado evidenti anomalie, del rispetto formale delle regole. Ma anche dalla preoccupazione di evitare il coinvolgimento, nell’eventuale indagine che ne sarebbe seguita, della magistrata, e il conseguente spostamento a Brescia dell’inchiesta perché i giudici di Milano non avrebbero potuto occuparsi di una loro collega.

Le carte di Ruby avrebbero dovuto infatti lasciare il Palazzo di Giustizia di Milano insieme con quelle sull’eventuale traffico di prostituzione attorno alle residenze del presidente del Consiglio e ai suoi danni. Con inevitabile rallentamento e passaggio di mano di un’inchiesta, che ha ricevuto contributi anche da Palermo, ed è attualmente nelle mani della procuratrice Ilda Boccassini, altre volte in passato impegnata in indagini e in processi contro Berlusconi. Si possono intuire a questo punto l’interesse dei giudici milanesi a non essere esclusi da questo filone per via di Ruby, che ne rappresenta la minima parte, e le preoccupazioni di Berlusconi che si sente accerchiato.

E il cui naufragio, si capisce chiaramente, è scontato. Sia per la decisione di Fini di agire, se necessario, da kamikaze, pur di far saltare il governo, sia per il prossimo irrompere delle conseguenze giudiziarie delle cosiddette notti di Arcore. Per questo ormai si parla apertamente del dopo-Berlusconi e si fanno le scommesse più disparate su quel che sarà, anche se nessuno è in grado di prevederlo con un minimo di approssimazione. La sensazione più diffusa, al contrario, è proprio di incertezza. Come se appunto l’Italia si avviasse a uscire dal berlusconismo senza sapere cosa verrà, marciando diritta verso il vuoto.

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« Risposta #223 inserito:: Novembre 15, 2010, 05:35:17 pm »

15/11/2010

Il Cavaliere tenta la riscossa

MARCELLO SORGI

Al di là dell'estemporaneità di certe proposte, come quella di chiedere lo scioglimento della sola Camera, e non anche del Senato, se i deputati dovessero negargli la sfiducia, c'è un aspetto determinante della crisi, che viene negato a dispetto della sua evidenza: Berlusconi non ha affatto deciso di farsi da parte, ed anzi è tornato da Seul deciso a battersi con tutte le sue forze. Per restare al suo posto, o per tornarci a furor di popolo dopo le elezioni.

Non lo sfiora minimamente l'idea di arrendersi al logoramento a cui è sottoposto da settimane, e a cui negli ultimi tempi era sembrato sul punto di soccombere.

Non lo preoccupano, né l'incalzante campagna dei finiani, che ha portato, tra l'altro, nuove defezioni dal Pdl verso il Fli. E neppure la nuova inchiesta dei magistrati milanesi sul giro di escort, forse di droga, e magari ai suoi danni, nelle sue ville e nelle sue residenze. Sulla nascita del terzo polo, la novità politica degli ultimi giorni di cui gli parlano continuamente i suoi collaboratori, si diverte addirittura a scherzare, prendendo in giro i tre grandi leader fondatori stretti in un ambito così piccolo.

Si dirà - e sono in tanti a dirlo - che l'uomo non è più lucido; che la storia ha visto prima di lui tanti altri personaggi avviarsi al tracollo senza rendersene conto; e che in un modo o nell'altro, quando il Parlamento gli imporrà le dimissioni, Berlusconi gioco forza dovrà adattarsi alla realtà. E' possibile. Ma proprio perché non è sicuro e siamo solo all'inizio della crisi, forse conviene non dare del tutto per scontato un Cavaliere finito e vicino ad arrendersi. Berlusconi, certo, è messo male. Ma ha ancora qualche freccia al suo arco.

La prima l'ha già scoccata con il rifiuto netto delle dimissioni, intimategli da Fini domenica scorsa. Non che il Presidente della Camera si fosse illuso di ottenerle tanto facilmente, ma neppure si aspettava che l'avversario fosse pronto a sfidarlo in Parlamento. In metà del quale, per inciso, Berlusconi è sicuro di vincere, potendo contare al Senato su una maggioranza senza il Fli. E nell'altra metà pensa di poterla giocare, a dispetto dei pronostici negativi nati dalle ultime votazioni sfavorevoli per il governo.

L'uscita sullo scioglimento della sola Camera, da questo punto di vista, non va valutata solo in base alla sua scarsa praticabilità. Ma come inizio di una campagna che in questi giorni, mentre si aspetta il varo della legge di stabilità, sarà condotta a tutti i livelli, porta a porta, singolo deputato per singolo deputato. Qualcosa di più e di diverso dal "calciomercato" tentato confusamente, e fallito, a settembre, in vista della fiducia sui cinque punti. Diversamente da un mese e mezzo fa, Berlusconi giudica più chiara, stavolta, l'alternativa tra sostegno al governo e scioglimento. Ogni deputato incerto, pur di non rimettere in gioco il proprio seggio, dovrà riconoscere che per evitarlo non c'è altra strada che votare la fiducia.

Quanto possa poi tirare avanti un governo che si salverebbe con una maggioranza raccogliticcia, al premier al momento non interessa, essendo persuaso che la sconfitta in aula della sfiducia porterebbe insieme una sua resurrezione e un azzeramento del progetto politico finiano.
E' difficile far capire a Berlusconi, come tentano inutilmente i suoi più stretti collaboratori, che questa non può essere una strategia. Anche perché il premier, con l'intervento morbido fatto all'ultima direzione del Pdl, considera pagati tutti i prezzi richiesti dall'ala più moderata del suo partito. Quella, per intendersi, contraria alla rottura con Fini, che ha preso atto a malincuore della richiesta di dimissioni venuta dal leader del Fli, e alla quale Berlusconi può dire risolutamente che quando c'è la guerra, si prendono le armi e si va alla guerra.

Per lo stesso motivo, al primo no alle dimissioni, Berlusconi si prepara a farne seguire altri due, contro il Berlusconi-bis che considera una trappola, e per il quale si aspetta condizioni inaccettabili, a cominciare dalla riforma della legge elettorale, e contro un altro governo di centrodestra, anche guidato da una persona di sua stretta fiducia come Gianni Letta, e corredato della promessa di un salvacondotto definitivo per i guai giudiziari. Quanto al governo tecnico, da Fini a Vendola, di cui si continua a parlare (ma di cui dubita che Napolitano si farebbe sostenitore), si accomodino, ripete il premier, Pdl e Lega staranno all'opposizione.

Tanta sicurezza, tanta determinazione, nascono da una precisa convinzione: basta stare fermo, per arrivare a elezioni. Berlusconi ci scommette e sostiene che alla fine giocherà a suo favore anche tutto il confuso agitarsi degli avversari: ovunque, in Parlamento, nel Paese e nei programmi televisivi che tutte le sere fanno a gara per ospitarli, diffondendo la sensazione di una sorta di golpe contro il voto di due anni fa che aveva riportato il centrodestra al governo, e creando un legittimo desiderio di rivincita tra gli elettori.

Naturalmente, è possibile che Berlusconi si sbagli, che queste riflessioni con cui è tornato in Italia, dopo i giorni neri di Seul, rappresentino l'ennesimo abbaglio di un leader che ormai da tempo non ci prende più ed è incapace di accettare l'uscita di scena.
Se invece, com'è già accaduto, alla fine dovesse aver ragione lui ancora una volta, si può star certi che avremo delle sorprese e ne vedremo di tutti i colori.

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« Risposta #224 inserito:: Novembre 16, 2010, 05:30:56 pm »

16/11/2010 - TACCUINO

Palazzo Madama, il gol della bandiera per chiedere le elezioni anticipate

MARCELLO SORGI

La crisi di governo “congelata”, dopo l’annuncio di Fini alla convention di Futuro e libertà, per la necessità di approvare al più presto la legge di stabilità, ha fatto ieri un altro passo in avanti con le dimissioni, annunciate da giorni e alla fine comunicate per lettera, della delegazione finiana e di quella dell’Mpa dal governo. Subito dopo c’è stata l’entrata in campo del Capo dello Stato. La convocazione da parte di Napolitano dei due presidenti delle Camere per oggi al Quirinale ha come primo obiettivo dirimere la controversia delle due mozioni, quella di sfiducia già presentata dall’opposizione alla Camera, e quella di appoggio al governo annunciata dal Pdl al Senato.

Dal calendario delle sedute dipende infatti il primo vero giro della crisi. Visto lo stato dei rapporti tra Fini e Schifani e l’evidente conflitto di interessi per il doppio ruolo del Presidente della Camera, è possibile che se Napolitano non fosse intervenuto gli uffici di presidenza dei due rami del Parlamento avrebbero deciso indipendentemente uno dall’altro, cercando di bruciare i tempi. Oltre a sottolineare il ruolo arbitrale del Capo dello Stato, irritato anche per l’accenno fatto da Berlusconi allo scioglimento della sola Camera, la chiamata al Quirinale dei due presidenti ha avuto l’effetto di far annullare le riunioni già convocate dei vertici di Montecitorio e di Palazzo Madama.

Il Pd preme per ottenere che sia messa per prima in discussione la mozione di sfiducia giacente alla Camera, che salvo sorprese dovrebbe essere accolta con una maggioranza formata da tutte le opposizioni più finiani e Mpa, e portare dunque alle dimissioni Berlusconi. Il quale, al contrario, vorrebbe cominciare, come ha chiesto, dal Senato, dove è sicuro di poter ottenere un voto favorevole.

Di qui l’importanza delle conclusioni che usciranno dal vertice dei tre Presidenti. In ogni caso Berlusconi ha interesse a che il Senato si pronunci, per mettere agli atti che può contare su una maggioranza almeno in una delle Camere. Se nel secondo giro della crisi, a un certo punto, dopo le dimissioni del premier che comunque arriveranno, e dopo l’approvazione della legge di stabilità, il Capo dello Stato dovesse decidere di dare l’incarico ma non a Berlusconi, il Cavaliere potrebbe far valere il fatto che qualsiasi nuovo governo, grazie all’opposizione di Pdl e Lega, si troverebbe in minoranza al Senato. E nell’impossibilità di dar vita a un nuovo governo diverso dall’attuale, Napolitano, questo è il calcolo di Berlusconi, non potrebbe che ricorrere ad elezioni anticipate.

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