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Autore Discussione: MARCELLO SORGI.  (Letto 288049 volte)
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« Risposta #180 inserito:: Agosto 21, 2010, 04:20:17 pm »

21/8/2010

Fatto personale

MARCELLO SORGI

Se doveva servire a riaprire la comunicazione tra i due spezzoni del centrodestra separatisi a fine luglio, aprendo di fatto una crisi nella maggioranza, da quel momento non più tale, il vertice del Pdl a Palazzo Grazioli - va detto - è stato inutile. Lo scambio di ipocrisie che ne è seguito - con Berlusconi a reti unificate pronto a dire che andrà avanti e a snocciolare il programma dei prossimi tre anni, e i finiani che fingevano di interessarsene, aggiungendo che lo attendono in Parlamento per confrontarsi - ha confermato che in un mese la situazione non è cambiata.

E se questo è l’esito della prima estate in cui la politica non ha preso le ferie, tanto valeva che ci andasse, in vacanza. Almeno non avremmo rivisto in tv il premier visibilmente provato dal durissimo braccio di ferro che sta conducendo e da una stanchezza a cui nemmeno il suo abituale trucco di scena riesce a porre rimedio. Né ci saremmo risolti a misurare lo stato d’animo del presidente della Camera dalla bruscaggine con cui ha liquidato il sottosegretario Letta, ancora oggi suo amico, davanti al feretro di Cossiga. Viene da riflettere su quale sia ormai la sostanza del contendere tra i due cofondatori del Pdl. Come ha detto Fini parlando di Berlusconi: «O lui mi distruggerà, o sarò io a distruggerlo». Ecco perché le lunghe settimane d’agosto, invece di essere utilizzate per ridurre la tensione e tentare un chiarimento, sono trascorse a colpi di minacce e di rivelazioni, in un bombardamento quotidiano tra le due trincee nemiche che appena il Parlamento riaprirà si trasferirà in campo aperto.

Non c’è alcun bisogno di chiedersi, come facevano ieri sera molti degli ufficiali dei due eserciti, se il documento uscito da Palazzo Grazioli possa o no servire come base di discussione; né se l’aggiunta del quinto punto (un nuovo giro di vite sulla sicurezza, declinata in termini più vicini alle istanze leghiste, che non alle esigenze finiane), ai quattro già annunciati (federalismo, fisco, giustizia, Sud), complicherà ulteriormente il quadro. Come potrà essere accolto, d’altra parte, nelle Camere, un programma messo a punto soltanto dallo stato maggiore berlusconiano, senza che uno solo degli ambasciatori del Presidente della Camera abbia potuto mettere piede ieri a Palazzo Grazioli? Conseguentemente i deputati e i senatori di Futuro e Libertà consegneranno a Berlusconi, quando si presenterà in Parlamento, una fiducia formale, mantenendo in realtà tutte le loro riserve, per impedirgli di aprire la crisi e correre alle elezioni. Ma il giorno dopo, ovunque, nelle commissioni, nelle aule, in tv e nelle piazze, riprenderanno la loro guerriglia, contro un governo che presto farà rimpiangere, quanto a stabilità e a capacità di realizzare i suoi impegni, perfino il traballante esecutivo di Prodi affondato due anni fa.

Anche se si ostinano a negarlo pubblicamente, i due duellanti sanno benissimo che finirà così. Infatti, dietro una prospettiva così mediocre - in un momento in cui le difficoltà del Paese e la complessa congiuntura economica che non dà tregua in Europa né altrove richiederebbero di essere governate con più energia - e dietro la loro contesa non c’è più nulla o quasi di politico. È un fatto personale. Berlusconi si sente tradito da Fini. Pensava di avere con lui credito inesauribile, di doverne ricevere gratitudine eterna, per avergli dato 16 anni fa il biglietto di ingresso nel gioco della piena legittimazione politica, sottraendolo al ghetto in cui per quasi mezzo secolo i post-fascisti erano rimasti ai tempi della Prima Repubblica. Non a caso ieri nella sua conferenza stampa s’è riferito più volte al 1994, data di inizio dell’alleanza tra Forza Italia, Lega e An, e ha sottolineato ancora il suo ruolo di presidente del Consiglio «scelto dagli elettori», quasi volesse sottolineare che il centrodestra, nato vincente con lui, senza di lui può anche morire.

Paradossalmente, Fini ragiona allo stesso modo e teme che Berlusconi, pur di non dargli il riconoscimento di partner con eguale dignità della coalizione, sia pronto ad annientarlo politicamente. Vede nella campagna scatenata sui giornali e sulle tv il tentativo, non solo di destabilizzarlo, colpendolo negli affetti familiari, ma anche di dissolvere la sua credibilità di leader. Come se appunto tutto il lavoro fatto da Fini in questi anni non avesse alcun valore per il Cavaliere e il presente e il futuro dell’attuale terza carica dello Stato, a suo giudizio, possano dispiegarsi solo in una sorta di regime di libertà vigilata. Berlusconi inoltre pensa che Fini non potrà resistere a lungo alla pressione a cui è sottoposto, che anche i suoi fedelissimi, vedendolo vacillare di fronte all’imbarazzo della vicenda della casa di Montecarlo finita al cognato o delle controversie immobiliari della sua compagna, cominceranno ad avere ripensamenti. Ma a questo punto anche Fini mette in conto tutto, compresa l’eventuale caduta di una leadership, come la sua, tra le più promettenti di tutta la stagione della Seconda Repubblica. E proprio per questo, prima di cadere, si prepara a sferrare il colpo finale, puntando diritto al cuore del Cavaliere.

È un tramonto davvero cupo quello verso cui si sta avviando l’alleanza tra i due cofondatori. Certo, potrebbero ancora fermarsi, tornare indietro, riprovare a discutere, ma si capisce che non lo faranno. A guardarli, ricordano la vecchia favola della rana e dello scorpione che guadano il fiume uno in groppa all’altra. La rana è sicura che lo scorpione non la pungerà, perché facendola annegare ucciderebbe se stesso. Lo scorpione lo sa, ma alla fine non resiste. E le piazza il pungiglione nella schiena.

http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=7729&ID_sezione=&sezione=
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« Risposta #181 inserito:: Settembre 01, 2010, 09:07:57 am »

1/9/2010 - TACCUINO

Macché accordo o armistizio Gianfranco il Roccioso non arretra di un millimetro
   
MARCELLO SORGI

Gianfranco Fini sta seguendo con qualche sorpresa le indiscrezioni che negli ultimi giorni lo descrivono tentato da una pace con Berlusconi e disposto a trovare una soluzione tecnica anche per il «processo breve», il più spinoso tra i provvedimenti che dividono il premier e il presidente della Camera, e a giudizio di tutti il punto più controverso della verifica avviata per capire se la (ex) maggioranza di centrodestra può essere ricomposta.

Le voci sulla presunta disponibilità di Fini a cercare o accettare un armistizio si sono fatte più forti in vista dei due appuntamenti che a cavallo del fine settimana l’ex leader di An avrà con Rutelli e il suo partito e con la neonata formazione finiana di «Futuro e libertà». Dopo la rottura di fine luglio tra i due cofondatori del Pdl e dopo il mese di silenzio che Fini ha fatto seguire, rotto solo da un comunicato sulla vicenda della casa di Montecarlo, regalata ad An da un’anziana sostenitrice e finita in affitto al cognato del presidente della Camera dopo una vendita con non pochi lati oscuri a una società straniera.

Chi ha avuto modo di parlarci nel corso della sua estate più difficile riferisce che Fini, pur provato dalla durezza della campagna nei suoi confronti e dai ripetuti attacchi di Berlusconi, non s’è spostato di un millimetro, e al di là degli aspetti personali delle questioni aperte tende a riproporre le sue posizioni tali e quali erano al momento precedente la rottura. A cominciare dal suo legittimo contributo all’elaborazione delle politiche del Pdl, che Berlusconi si ostina a considerare un tradimento, alla necessità di definire in materia di giustizia una riforma che non contrasti con la difesa della legalità, all’opportunità di un approfondito chiarimento con la Lega prima di arrivare all’approvazione definitiva del federalismo, all’improcrastinabilità di una ridefinizione delle cariche di governo e di partito, visto che Fini e i finiani non si sentono più rappresentati dagli ex An.

A giudizio di Fini tutto ciò può essere affrontato nel tempo (proprio perché non sopporta gli ultimatum del Cavaliere, il presidente della Camera si guarda bene dal porne), con la gradualità necessaria, con un giusto tasso di compromesso, ma non può in alcun modo essere aggirato, sostituendo a quest’ordine del giorno, che almeno da aprile Berlusconi si rifiuta di affrontare, l’elenco delle urgenze, anche personali, del premier.

E se per questa strada la rottura dovesse rivelarsi insanabile e si arrivasse alla fine alle elezioni anticipate? Fini non se le augura, ma non le teme. Almeno, pensa, non più del Cavaliere.

http://lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=7773&ID_sezione=&sezione=
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« Risposta #182 inserito:: Settembre 02, 2010, 10:03:44 pm »

2/9/2010

L'ironia severa del Presidente
   
MARCELLO SORGI


Il tono ironico, scherzoso - inusuale per un Presidente formale come Napolitano -, con cui ieri a Venezia ha risposto alle domande dei giornalisti, non deve ingannare: il Capo dello Stato è autenticamente preoccupato della situazione politica che s’è generata dopo la rottura all’interno del Pdl, ma nello stesso tempo privo di dati certi che gli consentano di intervenire o di prepararsi a quel che sarà.

Questa della mancanza di rapporti istituzionali o informali tra il Quirinale e il governo è un cruccio che Napolitano ha ormai da tempo. In una normale prassi il presidente del Consiglio e i ministri sono soliti intrattenere con il Presidente della Repubblica un filo costante di comunicazione, vanno a fargli visita, lo informano sull’evoluzione delle questioni aperte, gli chiedono consiglio. E, sia pure con l’irregolarità che caratterizza tutto l’andamento dell’attuale governo, una prassi del genere si era stabilita anche all’inizio di questa legislatura.

Ministri come Alfano e Gelmini, tanto per fare qualche esempio, impegnati in riforme rilevanti come quelle della giustizia o della scuola e dell’università, di tanto in tanto chiedevano udienza al Quirinale per condividere qualche valutazione.

Ma da un anno a questa parte, più o meno dalla sentenza della Corte Costituzionale che ha cancellato il lodo Alfano e che Berlusconi ha considerato frutto di un complotto tra il Presidente della Repubblica e i giudici della Consulta, le relazioni si sono interrotte. Come se avessero ricevuto un ordine preciso, i ministri hanno prima diradato e poi cancellato del tutto le loro salite al Colle. Anche le comunicazioni con Gianni Letta sono divenute meno frequenti e spesso legate a situazioni d’emergenza. L’unico canale istituzionale rimasto positivamente aperto, con risultati che si sono visti di recente nei giorni della manovra economica, è ormai quello con Tremonti e la tecnostruttura del ministero dell’Economia.

Per il resto, le valutazioni del Presidente sono rimaste affidate quasi solo all’esame dei documenti formali, spesso trasmessi solo all’ultimo momento dagli uffici ministeriali. E la «moral suasion» che Napolitano prima esercitava in modo riservato ha dovuto prendere sempre più spesso la strada delle esternazioni, com’è avvenuto appunto per la (mancata) legge sulle intercettazioni e come rischia di ripetersi per il processo breve.

Perfino in un’estate politicamente torrida come quella che volge alla fine, Berlusconi e Napolitano si sono sentiti al telefono una sola volta. Chi ha assistito alla conversazione seduto vicino al premier riferisce che il Cavaliere s’è guardato bene dal parlare di elezioni anticipate, richiesta di dimissioni di Fini dalla presidenza della Camera, corteggiamento a Casini e insomma di tutti i temi che quotidianamente e personalmente agitava sui giornali. Ha detto solo che presto tutto sarebbe stato risolto e ha fatto notare, con una certa soddisfazione, che anche nell’ora più difficile il suo indice di gradimento restava al di sopra del 60 per cento, mentre quello di Sarkozy era sceso al 27.

Forse è per questo che in una situazione tragicomica com’è quella attuale del centrodestra, il Capo dello Stato s’è rassegnato ad attendere il volgere degli eventi. Non senza ricordare, come ha fatto anche ieri, che la decisione ultima sul destino della legislatura tocca a lui.

http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=7774&ID_sezione=&sezione=
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« Risposta #183 inserito:: Settembre 03, 2010, 09:02:10 am »

3/9/2010

I litiganti rischiano un doppio Ko
   
MARCELLO SORGI

E’ del tutto logico che Gianfranco Fini stia costruendo sapientemente l'attesa del suo intervento di domenica a Mirabello, il luogo simbolo in cui Almirante lo nominò suo erede e da cui partì il lungo cammino di rinnovamento della destra post-fascista. Il lungo silenzio che lo ha preceduto, nell'agosto rovente che ha seguito la rottura con Berlusconi, il piccolo cerchio in cui s'è chiuso - la famiglia della nuova compagna, tormentata dalle rivelazioni sulla famosa casa di Montecarlo, gli amici e collaboratori più vicini, da Giulia Bongiorno a Italo Bocchino, stretti anche loro in un riserbo senza spiragli -, il rifiuto di ricevere Bossi che s'era assunto il compito di una mediazione tra i due cofondatori del Pdl, la durezza estrema anche con Gianni Letta, il pacificatore di sempre, sono tutti pezzi di una specie di rito propiziatorio dell'ex leader di An. E' come se Fini dicesse - e dal suo punto di vista è più che ovvio - : avete voluto mettermi ai margini, ora provate davvero a fare senza di me.

Ciò che invece non è affatto scontato è la serie inconsulta di reazioni di ex-alleati divenuti avversari, ex-avversari possibili nuovi alleati, pontieri di prima, seconda e terza fila, per non dire del comportamento assolutamente inspiegabile di Berlusconi, che ogni giorno fa dire ai giornali una cosa diversa e riesce a comportarsi in modo opposto a quel che dice.

Se la tattica scelta è quella di una tregua, com'era sembrato negli ultimi giorni, non si capisce né la confusa organizzazione di pullman per boicottare la manifestazione di Mirabello, né l'ansiosa ricerca di soluzioni tecniche alternative al processo breve, né la diffusione di notizie false, come l'incontro mai avvenuto tra Ghedini e la Bongiorno in cui appunto avrebbe dovuto essere messa a punto la soluzione valida per il compromesso, né i continui ripensamenti su aspetti non secondari della guerra aperta, come la riunione dei probiviri che dovrebbe procedere alla censura o all'epurazione dei tre finiani Bocchino, Granata e Briguglio, rinviata martedì a novembre in segno di disponibilità e subito riconvocata ieri dal coordinatore Verdini.

Per quanto avvolta da segnali di fumo inconcludenti, è evidente la realtà che sta dietro a questo insieme di mosse contrastanti: nessuno dei mediatori in campo ha un mandato vero né riceve ascolto da qualcuno.

Berlusconi e Fini, asserragliati nei loro rispettivi fortini, non pensano affatto a una tregua. Piuttosto, solo a come continuare una guerra che finirà quando uno dei due, e forse tutti e due insieme, finiranno al tappeto.

http://lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=7779&ID_sezione=&sezione=
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« Risposta #184 inserito:: Settembre 04, 2010, 09:35:12 am »

4/9/2010

Nuova scuola e riserve cattolici
   
MARCELLO SORGI


All’indomani dell’annuncio della linea dura del governo contro i precari della scuola, le critiche del giornale dei vescovi «Avvenire» (pur formalmente ridimensionate dalla direzione del giornale) alla ministra dell’Istruzione Gelmini confermano le riserve che nel corso dell’ultimo anno la Cei ha espresso sulla vita pubblica italiana.

Rivolto a una personalità cattolica e cresciuta in una famiglia democristiana, com’è appunto la Gelmini, il giudizio ha anche un’altra valenza. In discussione è, in generale, l’approccio rigoroso alla questione dei conti dello Stato, che in un settore enorme come quello della scuola pubblica produrrà pesanti conseguenze sociali, in termini di emarginazione di persone che si vedono escluse dopo aver già dedicato al precariato nell’istruzione anni di sacrifici, sottratti spesso agli impegni familiari. Inoltre la contrazione del comparto statale potrebbe spingere verso gli istituti cattolici i figli di genitori più abbienti, tendendo a trasformarli in «scuole per ricchi», laddove la Chiesa esige che la scelta verso un tipo di istruzione o un’altra sia sempre libera e consapevole.

Tra le righe s’intuisce anche una presa di distanza dal modello di severità, che la Gelmini vorrebbe implementare, e a cui ha dedicato una parte della conferenza stampa di inaugurazione dell’anno scolastico. Voti al posto dei giudizi, condotta più formale e adesso anche la bocciatura per chi supera i 50 giorni di assenza obbediscono certamente a un progetto di risanamento della scuola statale, da troppo tempo abbandonata a un lassismo insopportabile.

Ma nello stesso tempo delineano un modello competitivo per gli studenti che, puntando dichiaratamente all’affermazione del merito, collide con quello classico dell’istruzione italiana, come ha funzionato per decenni dalla nascita della Repubblica e quasi esclusivamente sotto il controllo di ministri cattolici. Un insieme basato sulla solidarietà e sul recupero degli ultimi, tra gli studenti, piuttosto che sull’incentivazione dei più bravi. E’ anche questa trasformazione - contro la quale tuttavia la protesta dei precari è solo un’anticipazione delle reazioni che verranno dalla pancia dell’apparato scolastico - che i vescovi mostrano di temere, perché la immaginano foriera di nuove divisioni, nuove emarginazioni, in una società che, trasformandosi, rischia di sfuggirgli di mano.

http://lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=7785&ID_sezione=&sezione=
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« Risposta #185 inserito:: Settembre 06, 2010, 06:25:27 pm »

6/9/2010

La scelta di uscire dal recinto

MARCELLO SORGI

Diciamo la verità, è arduo credere che, dopo il discorso di Fini, il «patto di legislatura» che il presidente della Camera ha proposto ieri a Berlusconi, parlando ormai da leader del nuovo partito «Futuro e libertà», possa davvero realizzarsi. Anche se nei prossimi giorni, quando il presidente del Consiglio si presenterà alla Camera a chiedere la fiducia, i finiani gliela daranno, la pietra tombale posta a Mirabello, su un'alleanza che durava da sedici anni, difficilmente potrà essere rimossa.

Non solo per le accuse, e in qualche caso gli insulti (dallo «stalinismo» alla «lapidazione islamica»), che se ripetuti pubblicamente in una prossima campagna elettorale non sarebbero compatibili con nessun tipo di coalizione. Ma anche perché - e qui sta la sostanza politica dell'intervento -, ai famosi cinque punti berlusconiani mirati a verificare l'esistenza in vita della maggioranza, Fini ne ha aggiunto un sesto, la riforma elettorale, che avrà fatto sobbalzare tutti gli osservatori del governo e gioire gli esponenti dell'opposizione.

Non è un mistero infatti che - sia pure in una Babele di proposte che mette insieme confusamente un po' tutti i sistemi elettorali europei, per non dire del mondo -, esista in Parlamento una maggioranza numerica assai variegata favorevole al cambio dell'attuale legge elettorale, il cosiddetto Porcellum, che assegna un consistente premio in seggi alla Camera e al Senato a chi raccoglie i voti di appena più di un quarto degli elettori. Una minoranza che viene trasformata in maggioranza, appunto, con l'aggravio della scelta di deputati e senatori sottratta agli elettori e riservata in realtà ai capipartito grazie a liste bloccate di candidati.

E' opinione diffusa anche all'interno di quel che resta del Pdl che Berlusconi, pur godendo ancora di un consenso molto forte nell'opinione pubblica, già con questa legge difficilmente riuscirebbe a ottenere, oltre che alla Camera, la maggioranza al Senato, dove il premio viene assegnato su base regionale. Peggio ancora, nel caso di una riforma che abolisse il premio e all'uscita da una legislatura fallimentare come questa, che lo vedrebbero molto penalizzato.

L'offerta di votare i cinque punti (emendandoli, naturalmente, e riaprendo il dibattito su tutte le questioni più spinose, a cominciare da giustizia, federalismo e misure per l'immigrazione), lavorando nel frattempo per il sesto, la riforma elettorale, è politicamente inaccettabile per Berlusconi. Fini lo sa benissimo e se ne ha fatto un punto fondamentale dell'intervento di Mirabello è perché vuol lasciare a Berlusconi l'onere della rottura. Tra l'altro agitandogli davanti il fantasma di un governo d'emergenza, che anche in caso di una legislatura destinata a concludersi prima della scadenza naturale, si insedi solo per varare nuove norme che consentano ai cittadini di votare in un altro modo.

Fuori da questo incastro, che inserisce un'ulteriore difficoltà in una situazione già molto complicata, Fini ha svolto abilmente il suo discorso, duro e conciliante insieme. Ha parlato da leader, come ama fare, da uomo liberato ormai dalle remore di questo anno e mezzo di sofferente convivenza con il suo ex alleato, e s'è rivolto a tutti quelli, da Tremonti a Casini a Bersani, che per una ragione o per l'altra guardano da tempo al dopo-Berlusconi. Ma pur cercando di ancorarsi stabilmente nel campo da cui proviene, e negando ogni ipotesi di ribaltone o di accordi trasversali con l'opposizione, Fini ha operato cautamente uno spostamento del suo partito, dalla destra alla sinistra del centrodestra.

Non diversamente infatti possono essere interpretati i frequenti appelli all'opposizione, l'attenzione della Costituzione e più in generale alla legalità, i richiami al lavoro e al sociale, alla difesa economica dei giovani e degli insegnanti, oltre che dei poliziotti e carabinieri, declinate con un linguaggio («A Mangano preferiamo Saviano», dicevano gli striscioni di Mirabello) più familiare per le orecchie di centrosinistra, già accarezzate nei giorni scorsi dal ministro dell'Economia, e perfino per quelle del «popolo viola», che non per le agguerrite falangi berlusconiane avvezze a gridare «Silvio, Silvio!». In questo senso, Fini è uscito una volta e per tutte dal solco, che gli è sempre stato stretto, del recinto pidiellino, e ha salutato con gelida sprezzatura il plebiscitario «partito del predellino», che pure aveva contribuito a fondare.

Assodato che il governo, da ieri, è ripiombato nell'incertezza, ad onta della fiducia che già in settimana potrebbe incassare, è ancora presto per dire che ne sarà, a questo punto, della rivoluzione berlusconiana. Una rivoluzione purtroppo inconcludente, che alla fine dei lunghi anni in cui s'è svolta ha portato il Paese nello stallo. E tuttavia, irrinunciabile per Berlusconi e la sua gente. L'alternativa che si prepara non è chiara. C'è pure la possibilità che, da ferma com'è, l'Italia venga spinta a una marcia indietro.

http://lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=7792&ID_sezione=&sezione=
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« Risposta #186 inserito:: Settembre 09, 2010, 09:03:59 pm »

9/9/2010
 
Il premier rimasto solo vede dividersi il partito
 
 
MARCELLO SORGI
 
Attorno a Berlusconi cresce la pressione e il premier, per la prima volta in questi giorni difficili, deve constatare la divisione del suo partito solitamente monolitico. Non nell’ufficio politico che discute come mettere alle strette i finiani, ma poco prima, quando a Palazzo Grazioli si affaccia una folta delegazione di ministri, governatori regionali e dirigenti locali del Pdl venuti a esporre le loro riserve sulla corsa alle elezioni anticipate.

Il nocciolo duro del dissenso, chiamiamolo così, viene dalla corrente "Liberamente" promossa dalle tre ministre Gelmini, Carfagna e Prestigiacomo e da Frattini. Il ragionamento è semplice: Bossi spinge perché pensa di fare il pieno di voti al Nord, e probabilmente lo farà. Fini si presenterà come avversario diretto del Senatùr oltre che del Cavaliere e paladino del Sud, rosicchiando voti al Pdl in territori che sono stati finora serbatoio strategico di consensi per il partito. Inoltre, non tutte le alleanze strette alle regionali sono solide: mentre Berlusconi cerca di recuperare transfughi dal gruppo misto per ritrovare la maggioranza in Parlamento, il governatore della Sicilia Lombardo, eletto con il centrodestra, ad esempio continua a trattare con il Pd, e non è escluso che l'accordo per rafforzare il governo regionale sorretto da una maggioranza trasversale possa poi tradursi in caso di elezioni in un'alleanza elettorale.

A tutti Berlusconi continua a dire che a questo punto le elezioni sono quasi inevitabili, anche se via via ammette che lo scioglimento delle Camere in autunno è improbabile e la necessità di trovare un'intesa anche provvisoria per arrivare a primavera ineludibile. Ma al momento, il premier è solo: Bossi ormai si muove per proprio conto e ha preso la rincorsa per il voto, Fini rilancia ogni giorno la sua sfida (dopo aver rintuzzato il tentativo di Cicchitto di porgli il problema della sua imparzialità, ha annunciato la sua iscrizione al gruppo di Futuro e Libertà), Casini, sentendosi molto corteggiato, reagisce con cautela.

Quella di andare al voto con una coalizione allargata a Lega e Udc resta al momento solo un’ipotesi. La realtà è quella che uno dopo l'altro, prima dell’ufficio politico, gli esponenti della corrente più vicina al premier sono andati a ripetergli: come stanno le cose il Pdl rischia di tirare la volata alla Lega al Nord, perdere voti a favore di Fini nel Centro-Sud e ritrovarsi all’indomani delle elezioni con una maggioranza traballante più o meno come quella che ha ora.

http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=7804&ID_sezione=&sezione=
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« Risposta #187 inserito:: Settembre 10, 2010, 10:34:02 am »

10/9/2010

Sondaggi alla mano, al Pdl conviene il voto
   
MARCELLO SORGI


Sondaggi alla mano, e responsabilità nazionale a parte, per usare una delle parole che va più di moda in questi giorni, al Cavaliere converrebbe andare al voto. Lo dicono i primi sondaggi piovuti sui tavoli di Palazzo Chigi dopo il discorso di Mirabello. Da una rilevazione all'altra, ovviamente, ci sono differenze, ma il quadro è abbastanza uniforme per capire - e questo è il primo dato - che il partito dei Futuristi fondato dal Presidente della Camera, se si votasse in autunno, a meno di un improbabile accordo con un terzo polo di centro tutto da costruire, rischierebbe di non superare la soglia di sbarramento e di non entrare in Parlamento.

Le tabelle assegnano a Fini una percentuale più vicina al 5 che al 4 per cento, ma le famose "forchette", che prevedono oscillazioni in alto e in basso delle previsioni, non gli consentono di collocarsi con certezza in zona promozione. Il previsto sfondamento della Lega è confermato: 12 per cento, il che vuol dire al Nord il Carroccio in gran parte del territorio primo partito. Casini e l'Udc, con oltre il 6 per cento, migliorerebbero la loro performance, mentre Di Pietro, cedendo posizioni ai Futuristi, si attesterebbe su un dignitoso 7. Problemi di apparentamento, se non si vogliono sprecare voti, sia per la Sinistra radicale, anch'essa a rischio sbarramento perchè divisa attualmente in tronconi (Rifondazione, Vendola, Pdci) che valgono ciascuno poco più o poco meno del 2 per cento, come Grillo, sia per Rutelli, valutato sotto l'1,5.

Ma i punti fermi che giocano a favore di Berlusconi, in caso di scioglimento anticipato, sono due: mentre il gradimento del governo è in calo (fino a prima dell'orribile agosto che s'è appena concluso superava abbondantemente il 50 per cento), il Pdl non scende sotto il 30 per cento. Anzi, tende più al 31, facendo sì che l'alleanza, pur sbilanciata a favore della Lega, con Bossi, porterebbe il centrodestra ad aggiudicarsi la vittoria e il premio di maggioranza (almeno alla Camera, al Senato non è detto) anche senza l'appoggio di Fini. Mentre il Pd, fermo al 26,5, non ha grandi chanche di ribaltare la situazione.

In altre parole: se il Cavaliere, stabilendo una nuova intesa con l'Udc e altri cespugli del gruppo misto, e recuperando in qualche modo i finiani, sarà in grado di mettere su un solido patto di maggioranza, che lo lasci a Palazzo Chigi fino alla scadenza naturale del 2013 e lo metta in condizione di rilanciare il governo, meglio per lui. Ma se gli si prospetterà un accordo abborracciato e il rischio di elezioni si sposterà semplicemente dall'autunno alla primavera, non è difficile capire cosa sceglierà.

http://lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=7808&ID_sezione=&sezione=

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« Risposta #188 inserito:: Settembre 11, 2010, 05:05:29 pm »

11/9/2010

Il premier e un time out per andare fino in fondo
   
MARCELLO SORGI

Il viaggio in Russia, costellato di riferimenti minimizzanti alla crisi italiana e di nuove frecciate a Gianfranco Fini, ha temporaneamente interrotto la trattativa che Berlusconi ha in corso per allargare la sua maggioranza e che, malgrado le rassicurazioni del premier, non ha ancora visto risultati importanti.

Fino adesso infatti Berlusconi s’è rivolto a singoli deputati o minipartiti, prevalentemente accampati nel gruppo misto e provenienti tutti dal centrodestra, da cui magari avevano preso le distanze per motivi tattici. E’ il caso, tanto per fare due esempi, dell’Mpa del governatore della Sicilia Lombardo, che aveva preferito una collocazione autonoma dopo la decisione di allargare il sostegno del suo governo regionale al Pd, e di una corrente di dissidenti dello stesso partito capeggiata dall’ex ministro dc e attuale sottosegretario Enzo Scotti: insieme fanno più o meno una decina di parlamentari, un numero non trascurabile per il premier, che nell’ultima votazione parlamentare è riuscito a racimolare solo 299 voti, 17 in meno del minimo necessario per avere la maggioranza alla Camera.

A nessun punto è anche la trattativa con l’Udc, che da sola sarebbe in grado di sostituire l’intero gruppo finiano, se non fosse che Casini non accetta di sostenere il governo nin alternativa a Futuro e libertà. Berlusconi considera come sofismi le obiezioni che Vasini fa e le condizioni che continua a spiegare ogni giorno, e cioè: una chiara soluzione di continuità con il governo attuale (con un passaggio formale di crisi), la trasformazione in un esecutivo «di responsabilità nazionale» (con la conseguente ammissione che il Paese è in emergenza e richiede sforzi eccezionali), un programma che venga incontro ad alcune delle politiche proposte dai cattolici, in primo luogo quelle fiscali a favore delle famiglie. A tutto ciò, non solo per l’Udc, dovrebbe far seguito una redistribuzione e una riorganizzazione della compagine ministeriale (per i finiani con il ridimensionamento degli ex-An rimasti nel Pdl).

Il Cavaliere però continua a temere sopra ogni cosa le dimissioni e ha in urto ogni ipotesi di rimpasto. Alcuni dei suoi si limitano a ricordare che oltre al posto, disponibile ma svuotato di competenze, di ministro della Sviluppo economico, potrebbero liberarsi, il 5 e il 6 ottobre, alcune delle presidenze delle commissioni parlamentari che vanno al rinnovo di metà legislatura. Con questa limitatissima base di discussione, tuttavia, è difficile che la trattativa faccia molti passi avanti.

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« Risposta #189 inserito:: Settembre 13, 2010, 04:29:02 pm »

13/9/2010

Addio Pietro Calabrese "ottavo re" di Roma
   
MARCELLO SORGI

Adesso occorre che qualcuno comunichi ai lettori che con Pietro Calabrese, scomparso ieri a Roma a 66 anni, se n’è andato anche Gino, l’alter-ego che lui stesso si era costruito per raccontare con asciuttezza, senza protagonismo, il suo lungo calvario di malato di cancro, che un giorno qualsiasi della sua breve vita apprende per caso di essere condannato. Con Pietro, Gino aveva fatto capolino dalle colonne di «Sette», nella rubrica «Moleskine», a maggio dell’anno scorso. Doveva essere un colpo e via, ma nessuno dei due, né l’autore né il personaggio che aveva creato, potevano immaginare cosa avrebbero sollevato nel moderno sistema della comunicazione on line.

Calabrese, e per suo tramite Gino, dal giorno dopo la pubblicazione dell’articolo furono sommersi letteralmente di e-mail di gente comune, il «popolo di Gino», che non voleva rassegnarsi all’idea che non ci fosse più niente da fare. E per questo cercava di dare consigli, chiedeva dettagli e si raccomandava, almeno, di essere informata sul prosieguo. Così Pietro e Gino hanno continuato a vivere per un anno e mezzo, aiutati da tutti i loro corrispondenti, anche per onorare l’amicizia e la solidarietà ricevute a piene mani, che certamente li hanno aiutati a campare.

Questa esperienza talmente straordinaria, alla quale non era per niente preparata, pur nel frangente tragico della malattia, non poteva capitare a una persona più adatta. Giornalista blasonato e pluridirettore, Pietro infatti non s’era mai lasciato sopraffare dal cinismo, che coglie spesso dopo alcuni anni quelli che fanno il nostro mestiere. Umanamente, anzi - e sicilianamente -, era uno che aveva scambiato l’amicizia con l’amore, quasi considerava uguali due sentimenti tanto diversi. Amava la sua adorata moglie Barbara e la figlia di cui andava pazzo, Costanza, solo un po’ più degli amici a cui aveva dedicato la sua esistenza.

Era affettuoso ed esigente con loro. Non poteva far passare un giorno o una settimana senza rallegrarli con una telefonata, o rimproverarli per un’assenza troppo lunga. Nelle belle giornate e nei lunghi mesi della malattia, li riceveva in compagnia dei suoi cani, seduto su una panchina di Villa Borghese che aveva ribattezzato «l’ufficio». Era lì che si davano appuntamento a Roma tutti quelli che gli volevano bene, e lo assecondavano in qualsiasi capriccio.

Gran conversatore, animatore instancabile di serate gioiose, aveva un tocco speciale per intrattenere i suoi ospiti. A un certo punto cominciava a parlare di sesso in tono disinvolto, con grande impiego di neologismi e allusioni. I commensali che lo conoscevano meno, e magari sedevano al suo fianco per la prima volta, si stupivano. Ma lui non se ne curava. E concludeva immancabilmente magnificando la propria virilità, donatagli da una natura generosa. Aveva insomma un modo originale di snocciolare in termini crudi argomenti scabrosi. E lo faceva con un certo carisma, come se fosse un preciso dovere, tipo «avvertenze per l’uso».

L’attitudine alla descrizione letteraria dei suoi personaggi, a partire dagli anfratti più nascosti delle loro personalità, veniva fuori, non solo dai suoi discorsi, ma anche e soprattutto dai suoi articoli e dal suo modo di fare i giornali. Ancora oggi, dopo vent’anni di viaggi per il mondo da inviato e corrispondente, e altri dodici da direttore, era rimasto indimenticabile un reportage assai stravagante che dedicò a un improbabile convegno scientifico di petomani in Abruzzo, di cui volle catalogare a tutti i costi ogni tipo di emissione.

Due quotidiani (Il Messaggero e la Gazzetta dello Sport), due periodici (Panorama e Capital), il primo portale Internet della Rizzoli-Corriere della Sera, un’intera divisione della Rai, di cui per poco non diventò presidente, Calabrese aveva alle spalle una carriera prestigiosa, anche se era rimasto legato al giornale della Capitale in cui si era formato da ragazzo. Nessuno come lui aveva saputo interpretare e mettere in pagina vizi e virtù di una città unica, che lo elesse non solo metaforicamente «ottavo re di Roma». Si era gettato anima e corpo a rappresentare il trash del potere romano, tra pranzi e cene, amori e tradimenti, impicci e imbrogli: un Satyricon di cui era testimone diretto, da monarca di una Capitale anarchica.

Tra pochi giorni, pubblicata da Rizzoli, la storia di Pietro e Gino diventerà un libro. Il diario coraggioso e spietato di uno che va verso la fine, un passo dopo l’altro. Ma anche l’addio di un uomo che aveva vissuto sempre con gli altri, e per gli altri.

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« Risposta #190 inserito:: Settembre 14, 2010, 05:46:33 pm »

14/9/2010 - TACCUINO

Il Cavaliere e l'occasione mancata da Casini
   
MARCELLO SORGI

Dopo l'incontro in cui il repubblicano Nucara ieri ha detto a Berlusconi di aver messo insieme i venti parlamentari necessari a costituire il "gruppo di responsabilità nazionale", per consentire al governo di riavere la maggioranza anche a prescindere dell'apporto dei finiani, l'interesse del premier per un accordo con l'Udc è destinato a calare. I dissensi emersi in seno al partito, seguiti all'intervento in cui Casini ha posto esplicitamente la crisi di governo come condizione per aprire una vera trattativa, fanno temere al Cavaliere che i tempi non siano maturi, anche se tutto, fino a una settimana fa, faceva prevedere un riavvicinamento dei centristi al governo.

Berlusconi da qualche giorno ha ritrovato l'ottimismo e non pensa affatto a dimettersi. Se i numeri di Nucara saranno confermati, e se la distensione avviata a tutti i livelli con i finiani darà i suoi frutti, a fine mese il governo uscirà dall'atteso dibattito sui cinque punti (ma non sul salva processi per il premier) con una maggioranza niente affatto risicata. Poi si vedrà: se il logoramento dovesse riprendere, le elezioni in primavera diventeranno inevitabili. Altrimenti, superato in qualche modo lo scoglio della giustizia, il centrodestra andrà avanti.

Più o meno questo dev'essere il ragionamento che lo stesso Casini avrà fatto con se stesso. Non per l'emergere di qualche turbolenza interna, come quelle dei deputati siciliani, in testa l'ex ministro Calogero Mannino, che non hanno gradito il suo accenno alla crisi di governo e avrebbero preferito l'offerta di un appoggio non negoziato a Berlusconi, rinviando a dopo la valutazione degli sviluppi della collaborazione e del da farsi. Ma appunto perché, a giudizio del leader dell'Udc, finchè la situazione rimane incerta gli spazi negoziali resteranno praticamente intatti, ed eventualmente potrebbero anche allargarsi se davvero si dovesse andare a votare in primavera e il Pdl avesse bisogno di allargare la sua base elettorale.

Quel che Casini non valuta, mentre sfoglia i petali della sua margherita, è che nell'orizzonte berlusconiano i fattori politici hanno certo la loro importanza, ma contano molto di più quelli personali. Ancorchè difficile da decidere per l'Udc, l'appoggio offerto al Cavaliere in uno dei suoi momenti più bassi avrebbe generato una gratitudine per il vecchio alleato assai spendibile, ora che la corsa alla successione è ufficialmente ricominciata e Berlusconi non si fida di nessuno dei suoi aspiranti delfini.

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« Risposta #191 inserito:: Settembre 15, 2010, 09:07:13 am »

15/9/2010 - TACCUINO

Boomerang della campagna acquisti

Ricomincia la stagione del logorìo
   
MARCELLO SORGI

La cautela con cui il paziente portavoce del governo Bonaiuti ha ridimensionato ieri l’entusiasmo del suo presidente, che aveva salutato la nascita del nuovo gruppo promosso dal repubblicano Nucara dichiarando il governo fuori pericolo, rivela solo in parte quel che è accaduto in sole ventiquattrore.

Non solo la “legione straniera” di Nucara s’è liquefatta, rendendo nuovamente ballerina la maggioranza di Berlusconi. Ma grazie alle numerose smentite dei deputati che venivano indicati come possibili soccorritori del governo, s’è capito che la trattativa in corso, oltre a riguardare il sostegno al premier, che vuole a tutti i costi dimostrare di poter stare in piedi anche senza l’appoggio determinante dei finiani, tocca anche tutti quelli che hanno l’obiettivo opposto.

Così tutti i deputati che a detta di Nucara gli avevano dato la loro disponibilità sono stati raggiunti da telefonate, o dei fedelissimi del Presidente della Camera, o di altri esponenti dei piccoli partiti accampati nel gruppo misto che per conto proprio o degli stessi finiani facevano questo ragionamento: se Berlusconi riconquista la sua sicurezza, i margini di qualsiasi trattativa politica si riducono. Se invece rimane nell’incertezza, si riaprono i giochi, e non è detto che la legislatura debba per forza finire con elezioni anticipate. In altre parole il gioco che, sia i finiani, sia i microgruppi che condividono la loro battaglia stanno conducendo, punta a far ottenere al premier una fiducia stentata, per cuocerlo a fuoco lento nei mesi successivi, preparando intese trasversali che a primavera magari, quando ormai esausto Berlusconi tenterà di nuovo di andare alle urne, potrebbero sfociare in un governo d’emergenza.

Un lavorìo di questo genere è rivolto anche all’opposizione, dove non passa giorno che nel Pd si aprano nuove crepe. Le voci, poi smentite, dell’intenzione di Veltroni di distinguersi e andare con i suoi verso la formazione di nuovi gruppi parlamentari stile Fini, hanno messo allarme nell’ala più moderata degli ex-popolari, da tempo in bilico tra restare nel partito o uscirne. Niente che possa portare a precipitare le cose: ma se si sommano le inquietudini veltroniane con i ceffoni dei giovani tipo Renzi, Civati o Orfini, i fischi alla Festa di Torino, la candidatura centrifuga di Chiamparino alla premiership, le inquietudini di Rosy Bindi e di Enrico Letta, il silenzio cupo di D’Alema dopo le reazioni all’intervista in cui riproponeva l’accordo con Casini, anche nel centrosinistra c’è materia per ricominciare da capo.

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« Risposta #192 inserito:: Settembre 16, 2010, 10:13:14 am »

16/9/2010 - TACCUINO

Patto fragile per una tregua fragilissima

MARCELLO SORGI

La passeggiata nel Transatlantico di Niccolò Ghedini e Giulia Bongiorno, i due “dottor Sottile” di Berlusconi e Fini, non ha, per il momento, avuto alcun effetto pratico se non quello di dare platealmente la sensazione di un inizio di disgelo tra i due fronti in guerra da mesi. Se hanno avuto incarico dai loro leader di incontrarsi, e se tocca a loro anche stavolta trovare un punto d’intesa, Ghedini e Bongiorno, come hanno fatto tante volte, lo troveranno.

Il terreno del possibile incontro è stato individuato nel lodo Alfano costituzionalizzato, cioè nell’elevazione di rango della norma che la Corte costituzionale bocciò meno di un anno fa motivando la sua sentenza con il fatto che una legge normale non poteva modificare di fatto la Costituzione, reintroducendo l’immunità che era stata cancellata dopo Tangentopoli con la riforma dell’articolo 68.

Maturata mentre ancora continua il mercato delle acquisizioni (dopo lo sgonfiamento della “legione straniera” di Berlusconi, ieri si parlava di altri due del Pdl in marcia verso Futuro e libertà) il pre-accordo raggiunto dagli avvocati-deputati sulla materia del contendere può essere letto come un’effettivo scambio di disponibilità, ma anche come un modo di allungare i tempi, visto che i cambiamenti della Costituzione richiedono la procedura aggravata dell’articolo 138, che prevede una doppia votazione delle Camere sul medesimo testo a intervalli non inferiori a tre mesi.

Bene che vada, il nuovo salva processi per il premier non vedrebbe la luce prima della prossima primavera. E nel frattempo, va da sé, Fini metterebbe alla prova la capacità di Berlusconi di convivere con un alleato come Futuro e libertà che vuole riprendersi piena libertà di parola. Il Presidente del Consiglio d’altra parte, se davvero vuole ottenere il salvacondotto, dovrebbe adattarsi. L’apertura di Fini sul lodo infatti vuol dimostrare che il Presidente della Camera, diversamente da quel che pensa e dice il premier, non ha alcuna intenzione di farlo fuori per via giudiziaria.

Sempre che il fragile accordo possa reggere ai temporali quotidiani che investono la difficile convivenza dei due leader separati in casa, occorrerà vedere come la prenderà la Corte costituzionale, che il 14 dicembre dovrebbe pronunciarsi sul legittimo impedimento, la legge-tampone attualmente in vigore in attesa di quella definitiva. Se per quella data le Camere avessero già concluso la prima sessione di votazioni sul lodo Alfano costituzionalizzato, la Consulta, verosimilmente, potrebbe anche decidere di aspettare, rinviando l’udienza.

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« Risposta #193 inserito:: Settembre 17, 2010, 02:20:59 pm »

17/9/2010 - TACCUINO

I finiani in tv, nuovo problema per il Cavaliere
   
MARCELLO SORGI

Oltre a determinare un acceso dibattito, conclusosi con una spaccatura, nel consiglio d’amministrazione della Rai, a partire dall’intenzione del direttore generale Masi di intervenire preventivamente sui contenuti dei programmi d’informazione, la ripresa dei talk-show su tutte le reti televisive pubbliche e private sta evidenziando un problema che incubava da tutta l’estate.

Chi ha seguito, per esempio, «L’Infedele» lunedì su La 7 o «Ballarò» martedì su Rai3, ha potuto vedere che anche con le migliori intenzioni dei responsabili e dei conduttori, che cercano di comporre in modo equilibrato l’insieme degli ospiti, l’entrata in scena della maggioranza di governo nella nuova versione, berlusconiani contro finiani, ha introdotto una novità non priva di conseguenze. Chi entra in studio in rappresentanza del premier, pur trovandosi seduto accanto a un altro che in teoria dovrebbe stare dalla sua parte, si trova in realtà al centro di un fuoco di fila del centrosinistra e di quel pezzo di maggioranza che in tv spara contro anche di più dell’opposizione. Lunedì per il Pdl, a fare il bersaglio, c’era la Bernini; martedì Lupi. Accanto a loro, ma appunto contro, c’era il finiano Granata, che con il capogruppo di Futuro e libertà Bocchino ha in questo momento il tasso maggiore di presenze in televisione.

Naturalmente i finiani hanno pieno diritto di esprimere le loro idee e sono sicuramente sinceri quando, alla fine delle loro catilinarie, concludono immancabilmente che voteranno a favore del governo. Ma non c’è dubbio che, proprio perché si collocano su una posizione critica, la loro partecipazione ai talk show finirà per accrescere l’attenzione, già viva, per la novità finiana. E Berlusconi, sempre spasmodicamente attento a quel che succede in tv, non tarderà ad accorgersene.

Il bello è che non c’è alcuna legge di par condicio, né regolamento della vigilanza, e neppure, immaginiamoci, circolare del direttore generale della Rai Masi, che possono impedire o limitare gli inviti per Futuro e libertà nei programmi di informazione. Così, dalla sospensione estiva dei programmi, avvenuta quando la scissione del Pdl doveva ancora verificarsi, ad ora che Pdl e Fli sono diventati due membri, formalmente alleati, di una coalizione, tra i tanti problemi che ha il governo c’è anche questo nuovo dell’opposizione interna che va in video a rappresentare la maggioranza.

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« Risposta #194 inserito:: Settembre 23, 2010, 05:10:30 pm »

23/9/2010 - TACCUINO

Una rottura che spinge al voto

MARCELLO SORGI

Si tratti di una reazione alle ultime rivelazioni del Giornale sulla vicenda della casa di Montecarlo - il documento che proverebbe che il cognato di Fini, oltre che affittuario, sarebbe stato in pratica l’acquirente, tramite una società off-shore, dell’appartamento venduto da An -, oppure della conseguenza della votazione sulle intercettazioni di Cosentino in cui i finiani sono stati sconfitti insieme con Udc e Pd, l’annuncio del presidente della Camera della rottura delle trattative faticosamente riaperte con Berlusconi sulla giustizia complica di nuovo molto le cose. Accelerando di fatto la corsa verso le elezioni anticipate che non s’è mai fermata, malgrado i tentativi in corso di trovare un compromesso.

La prospettiva al momento è quella di una campagna elettorale di sei mesi, settimana più settimana meno, nel corso della quale Berlusconi, con l’incerto aiuto degli spezzoni di dissidenti di Udc, Mpa e altri partiti, non esclusi Fli e Pd, prova a far approvare lo stesso le norme salva processi, schiacciando i finiani sulla sinistra e preparandosi subito dopo a sfidarli alle urne. Da parte sua Fini, dopo quanto è accaduto ieri nel voto su Cosentino (anche il più radicale del suo gruppo, Granata, ha ammesso che potrebbero esserci state defezioni), avrà il suo bel da fare per tenere insieme i 35 deputati e 10 senatori che a luglio hanno rotto con il Pdl schierandosi con lui.

Al di là della fedeltà al presidente della Camera e al disagio per il modo in cui sono stati trattati nel Pdl, i parlamentari di Futuro e libertà, per restare uniti, hanno bisogno di una prospettiva chiara, che non può esaurirsi nelle alterne vicende del duello personale che si sviluppa da mesi tra i due ex cofondatori. Anche se mercoledì prossimo, come è stato spiegato ieri in aula, Fli voterà con il governo, la contromossa di Fini alla sbandierata intenzione del premier di mettere insieme a qualsiasi costo una maggioranza raccogliticcia, ma in grado di sorreggerlo senza l'appoggio dei futuristi, equivale a un passaggio all’opposizione. Berlusconi non s’è mai fidato delle dichiarazioni di tregua che venivano dal fronte avversario, aveva messo in conto la possibilità di un nuovo incrudelimento dei rapporti e s’è premunito come poteva.

Ma un governo costretto a cercare ogni giorno una maggioranza di riserva non andrà molto lontano. E altrettanto una destra, come quella finiana, che, mentre cerca di mettere su un traballante terzo polo, si ritrova schiacciata su una scomoda sponda di sinistra.

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