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Autore Discussione: LA CATALOGNA E L’INDIPENDENZA: Un’enorme truffa  (Letto 3611 volte)
Arlecchino
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« inserito:: Ottobre 04, 2017, 11:06:14 am »

UNA REGIONE CHE SI SENTE DIVERSA E UN PREMIER CHE LÌ NON HA VOTI
   
STEFANO GATTO
3 ottobre 2017
   
Due altri elementi della situazione catalana che non ritrovo sui media italiani, le cui analisi sono in generale abbastanza improvvisate.
Fattore culturale: il senso di diversità catalano rispetto al resto della Spagna è molto forte. L’osservazione “ma i catalani non sono spagnoli anche loro?” ha poco senso, perché un catalano si considererà sempre prima catalano e poi spagnolo. Il PP, che ha una visione dello stato e dell’appartenenza culturale molto centralista, sempre dirà il contrario “siete prima spagnoli e poi catalani”, come altri sono prima spagnoli e poi asturiani, o poi galiziani o poi delle Canarie. Un catalano non accetterà mai quest’impostazione, è un dato di fatto: non accetterà mai che la Catalogna sia una REGIONE come le altre. No, è una nazionalità propria. Chiamateli folli, ma storicamente è così. Poco utile insistere su quello, crea solo incomprensioni.
Quest’impostazione si è rafforzata con il trasferimento alle comunità della competenza sull’istruzione, avvenuta nel 1978 con la creazione dello stato delle autonomie (autonómico). Da allora, l’istruzione, dalla materna fino all’università, si è impartita non più in spagnolo (castigliano) ma in catalano. Io ho vissuto in Catalogna negli anni ottanta, ed i miei compagni d’università erano sì bilingui (spagnolo – catalano) ma l’insegnamento era in spagnolo. Si sono sempre sentiti biculturali ed essendo in contatto ancora oggi con molti di loro continuano a sentirsi tali, spagnoli di Catalogna. Adesso la maggioranza del corpo elettorale e dei politici appartiene ad una generazione formata esclusivamente in catalano, con lo spagnolo insegnato come lingua straniera, e studia la storia della Catalogna come base di partenza, così come noi studiamo quella italiana. I programmi sono approvati dalla Generalitat, non dal ministero spagnolo. Come ho avuto modo di vedere anche in altri contesti nel quale il sistema d’insegnamento è separato su base linguistica (Belgio), questo fatto tende a creare sentimenti d’appartenenza separatisti, più che unitari. Il fatto che tu consideri lo spagnolo una lingua “seconda” tende a farti palpitare più forte il cuore quando pensi alla Catalogna, non quando pensi alla Spagna.  L’adozione del catalano come lingua madre era comprensibile come reazione all’ostracismo franchista nei confronti di quella lingua, ma ha avuto come effetto, due generazioni più tardi, di stimolare il separatismo. È una chiave di lettura molto importante per capire gli sviluppi degli ultimi anni.
Fattore politico: il Partido Popular, al governo a Madrid, è molto piccolo in Catalogna. Pur essendo cresciuto un po’ negli ultimi anni, rappresentò l’ 8.49% degli elettori nel 2016, a fronte del 33% a livello nazionale. Il PP, primo partito in parlamento a Madrid, è solo il quinto in Catalogna. Il voto moderato o conservatore che dir si voglia in Catalogna va tradizionalmente a CiU, partito che è stato al governo autonomista per la maggior parte del tempo dal 1978, oggi ribattezzato PDeCAT (Partit Democrátic de Catalunya). Tale partito, a lungo autonomista, è diventato di recente indipendentista e si è unito alle ultime elezioni con Esquerra Repúblicana, partito da sempre repubblicano e indipendentista, sul programma comune d’ottenere l’indipendenza: il resto li divide. Questo significa che il PP ha uno zoccolo duro d’elettori molto piccolo in Catalogna, ferocemente anti – indipendenza, e non sente alcun bisogno di “catalanizzarsi” ne d’adottare posizioni politiche aperte a negoziare. Un 17.9% ha votato per un partito anch’esso anti – indipendenza (Ciutadans), ma il cui voto viene essenzialmente da elettori che avrebbero votato PP ma che non ne possono accettare la visione così poco aperta a una “particolarità catalana” o ne sono stufi per altre ragioni (cambio generazionale, Ciutadans è un partito più “giovane” del PP).
L’elettore di Ciutadans vuole in generale una Catalogna forte nel contesto spagnolo, ma non uno svuotamento dell’autonomia catalana verso un modello centralista. Gli altri partiti, socialisti compresi, sono organizzati su basi generalmente federali e hanno un occhio di riguardo per gli interessi catalani (anche se i socialisti vogliono il federalismo pieno, non l’indipendenza). Questo fattore spiega perchè il PP non sia aperto a compromessi in Catalogna (o nei Paesi Baschi): perchè non si gioca quasi voti lì, ma sì nel resto del paese se transigesse su qualcosa. Non ho trovato per nulla queste chiavi di lettura sui media italiani, per questo le sottolineo.

Da - http://www.glistatigenerali.com/spagna/una-regione-che-si-sente-diversa-e-un-premier-che-li-non-ha-voti/
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« Risposta #1 inserito:: Ottobre 04, 2017, 11:25:38 am »

Referendum Catalogna, hanno votato in 2,2 milioni: il 90% dice sì all'indipendenza
Rajoy sottolinea l'illegalità della consultazione: "Una messa in scena".
Puigdemont: "Unione europea non può continuare a guardare dall'altra parte".
Proclamato per martedì lo sciopero generale da oltre 40 sigle sindacali.
Manifestanti in piazza contro la violenza della polizia.
Juncker: "La Commissione non medierà tra le parti"

02 ottobre 2017

Secondo fonti del governo catalano, 2,26 milioni di persone - su oltre 5,3 milioni di elettori -  hanno partecipato alla consultazione referendaria. 2,02 milioni hanno risposto 'sì' alla domanda: "Vuoi che la catalogna diventi uno Stato indipendente sotto forma di Repubblica?". 176.000, invece, il totale di chi ha votato 'no'. Numeri che non raggiungono la maggioranza assoluta e su cui forse ha influito la chiusura di 319 seggi da parte della polizia nazionale.

Il premier spagnolo Mariano Rajoy ha definito il voto una "messa in scena" della democrazia, sottolineandone il suo carattere illegale. "Non c'è stato un referendum per l'auto determinazione della catalogna", ha dichiarato. Il ministro della giustizia spagnolo Rafael Català ha specificato che Madrid userà "tutta la forza della legge" per impedire che la Catalogna dichiari l'indipendenza, "anche se questo significherà ricorrere all'articolo 155", ovvero quello che consente di sospendere l'autonomia catalana.

"In questa giornata di speranza e sofferenza i cittadini della Catalogna hanno vinto il diritto a uno Stato indipendente in forma di Repubblica", ha dichiarato invece il leader della Catalogna, Carles Puigdemont in un intervento alla televisione. "Nei prossimi giorni il mio governo invierà i risultati del voto di oggi al Parlamento catalano, dove risiede la sovranità della nostra gente, in modo che possa agire secondo quanto previsto dalla legge sul referendum", ha aggiunto, sottolineando che l'Unione europea "non può continuare a guardare dall'altra parte".

L'UE ROMPE IL SILENZIO
Da Bruxelles, dopo un lungo silenzio delle istituzioni europee, il presidente della Commissione Ue Jean-Cladue Juncker ha definito il "referendum illegale" e ha invitato "tutti gli attori rilevanti a muoversi rapidamente dallo scontro verso il dialogo", prima di specificare che "la Commissione non avrà alcun ruolo nel favorire il dialogo". Secondo Juncker "tocca alle parti coinvolte dialogare".

NUOVE MANIFESTAZIONI
Per domani è stato proclamato, da oltre 40 sigle sindacali, uno sciopero "per la grave violazione del diritto e delle libertà". Intanto, dopo i momenti di caos e violenza di ieri, migliaia di persone si sono radunate davanti a municipi, imprese, scuole, in tutta la Catalogna per denunciare pacificamente la dura repressione operata dalla polizia spagnola contro i seggi del referendum.

SCONTRI E VIOLENZE
La giornata di domenica era iniziata in un clima quasi festivo, con le scuole occupate da genitori e figli, che negli istituti avevano deciso di trascorrere la notte, tenendosi impegnati in molteplici attività, per impedire che venissero chiuse.
Già alle sei del mattino davanti a molti seggi si erano formati capannelli di elettori con lo scopo di proteggere l'arrivo semiclandestino delle urne e impedire l'ingresso dei Mossos d'esquadra.  Mossos che non hanno fatto irruzione, limitandosi a fare rapporto sull'apertura dei seggi e a identificare i componenti delle sezioni, fra gli applausi della gente: concordia che è durata solo poche ore, dal momento che alle 9 del mattino (ora in cui dovevano iniziare le operazioni di voto) in alcuni dei seggi in cui dovevano votare i principali esponenti indipendentisti si sono presentati la guardia civil e la polizia nazionale, in assetto antisommossa.

Alla fine oltre 800 persone sono rimaste ferite ieri in scontri con le forze spagnole in Catalogna, ha denunciato il governo locale. Il governo spagnolo ha invece parlato di 12 agenti di polizia feriti e di tre persone arrestate. Un totale di 92 seggi sono stati chiusi, ha reso noto Madrid. Mentre le autorità catalane denunciano che sono stati chiusi 319 seggi sui 2.300 aperti in tutta la regione. A Girona la polizia ha fatto irruzione nel seggio in cui avrebbe dovuto votare Puigdemont che ha poi deposto la sua scheda altrove.

Da - http://www.repubblica.it/esteri/2017/10/02/news/referendum_catalogna_hanno_votato_in_2_2_milioni_90_dice_si_a_indipendenza-177111545/?ref=RHPPLF-BH-I0-C8-P1-S1.8-T1
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« Risposta #2 inserito:: Ottobre 14, 2017, 12:46:14 pm »

LA CATALOGNA E L’INDIPENDENZA:
Un’enorme truffa

10 ottobre 2017
VoxEurop

Quel che è successo in Catalogna negli ultimi anni può essere descritto come una “grande truffa”. Una truffa che affonda le sue radici in un intenso processo di appropriazione dello spazio politico e sociale della regione, fino al punto in cui l’opinione di chiunque altro è stata soffocata. Perché è una truffa dire, come sostengono i nazionalisti della Catalogna, che i diritti dei catalani sono stati calpestati, che non gli è stato permesso di votare liberamente, che sono “stati derubati”, o che la loro lingua e la loro cultura sono state “soppresse” dalla Spagna. Quel che è successo in Catalogna è che il tradizionale “catalanismo” protetto dalla generosità della costituzione spagnola del 1978, che conferisce un’ampia autonomia alla regione, si è trasformato in nazionalismo e, da qui, in appelli all’indipendenza, per avidità, opportunismo e capacità politica interna. E il nazionalismo è inarrestabile, perché va alla ricerca di una relazione dualistica, di buoni contro cattivi, di esclusività, di obbligo a schierarsi.

Aggiungiamo a questo un controllo di fatto della lingua, dell’istruzione, della cultura e dei mezzi d’informazione, e abbiamo così smantellato gli elementi di un nazionalismo “puro”, di una sorta di totalitarismo, che a livello storico ha distrutto l’Europa, e abbiamo costruito una versione post-moderna di nazionalismo, amico dei social media, dei selfie con le bandiere sullo sfondo, basato sull’immaginazione audiovisuale e con un impeccabile strategia di marketing. Questo tipo di nazionalismo si è fortemente sviluppato a partire dalla sentenza del 2010 del Tribunale costituzionale spagnolo sullo Statuto di Autonomia della Catalogna, che ne ha eliminato una parte, dopo un disastroso negoziato e, più concretamente, con l’enorme messinscena della Diadas (il festival nazionale catalano).

Un’assurda chimera etnica in una Spagna aperta e democratica. E questo è ciò che ha manipolato e convinto molti catalani, anche se meno del 50 per cento della popolazione, stando ai risultati delle ultime elezioni regionali. È un processo che ha raggiunto l’apice nel contesto di crisi economica, la quale ha spinto le persone verso il movimento indipendentista, già duramente colpito ma che fino a quel punto non aveva dimostrato tendenze nazionaliste. È un fenomeno che si spiega se correlato all’insurrezione globale contro le ineguaglianze create dal neoliberalismo, che ora è stranamente alleato coi più nazionalisti dei nazionalisti catalani, con un chiaro ideale suprematista verso i “poveri” spagnoli. La storia si completa con la ricerca di un capro espiatorio: “la Spagna”, o lo slogan “la Spagna ci deruba”, nel ruolo nel cattivo.

L’ultimo capitolo di questo stratagemma si è concluso il primo ottobre, con l’appello suicida al referendum sull’autodeterminazione, fatto da un politico che ha già ammesso di essere predisposto al suicidio, Carles Puigdemont, il presidente della Generalitat, nonostante fosse stato dichiarato illegale dal Tribunale costituzionale. Per capire a chi spetta l’onere della prova, è sufficiente dire che il 6/7 settembre c’è stato un colpo di stato in Catalogna, contro le istituzioni statali dall’interno, che ha ignorato la metà non nazionalista della sua rappresentazione parlamentare.

Il governo catalano, formato da una coalizione di indipendentisti di centro-destra e di radicali di centro-sinistra della Candidatura di unità popolare, che ora guida le proteste di piazza e ostacola senza tregua qualsiasi opposizione con una strategia puramente rivoluzionaria, ha ignorato lo statuto della Catalogna, con tutte le sue disposizioni legislative, e la costituzione spagnola per approvare due leggi: una con l’obiettivo di tenere un referendum per l’autodeterminazione e l’altra per dichiarare l’indipendenza unilateralmente. Nonostante varie ordinanze giudiziarie, il governo catalano ha deciso di continuare su questo percorso suicida, fino a trovare la posizione più comoda: quella del vittimismo, delle “forze di polizia dello stato repressivo contro i cittadini democratici indifesi”, in assenza della polizia regionale, che si è convertita in polizia politica. Tutto questo per avere un’ottima scusa per dichiarare l’indipendenza della Catalogna, una scelta già fatta a priori. Il cinismo e l’irresponsabilità sono stati immensi.

L’Europa conosce già la manipolazione dei sentimenti primari e le mezze verità o complete falsità che vengono fuori durante le campagne referendarie; la Brexit è un esempio per eccellenza. Al governo di Mariano Rajoy dobbiamo rimproverare la mancanza di iniziativa e di assunzione di responsabilità, intrappolato tra il compito istituzionale di fare rispettare la legge — un dovere — e evitare il foto-finish — la violenza — come desideravano gli indipendentisti smaniosi di copertura da parte della stampa internazionale, cosa che alla fine hanno ottenuto. Non possiamo esattamente descrivere lo stile di governo di Rajoy come reattivo, ma in questo caso avrebbe dovuto esserlo, considerando lo sviluppo degli eventi.

Questi eventi non hanno precedenti nella storia europea moderna e hanno spiazzato tutti i governi europei e l’Ue, per la quale è una questione sgradita, poiché aggiunge un altro problema alla crisi d’identità che vive l’Europa da molti anni. Per non parlare del fatto che il problema potrebbe rimbalzare in altri paesi membri con forti movimenti nazionalisti. Quello che stiamo vivendo è un momento chiave, ma gestito da interlocutori sconsiderati, inadatti a ristabilire ordine e dialogo, una parola che in questi giorni è sulla bocca di tutti ma che pare impossibile a questo punto. Serve un punto di partenza diverso se vogliamo raggiungere un accordo valido (attraverso un referendum ufficiale, proposta improbabile per Rajoy in quanto incostituzionale, o attraverso un nuovo statuto con o senza riforma costituzionale, un’opzione che i sostenitori dell’indipendenza non accetterebbero, considerando le loro politiche esagerate).

Se Puigdemont dichiarerà l’indipendenza, come ha già fatto capire, Rajoy attiverà l’articolo 155 della Costituzione Spagnola, che rimuove l’autonomia della Catalogna. Ciò innescherà nuovi conflitti che nessuno avrebbe mai immaginato. Ma di fronte al suicidio verso cui Puigdemont sta conducendo la Catalogna, qual è il modo migliore per difendere lo stato di diritto e la democrazia – quella vera, quella che rappresenta tutti i cittadini – che sono i valori fondamentali dell’Europa?

Traduzione di Andrea Torsello
 
Sergio Cebrián
Sergio Cebrián (1968) e direttore editoriale et responsabile della versione spagnola di VoxEurop. Diplomato in scienze politiche, ha studiato anche comunicazione, economia e filosofia. Ha […] Profilo

Da - http://www.voxeurop.eu/it/2017/referendum-catalogna-5121466
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« Risposta #3 inserito:: Ottobre 21, 2017, 12:15:11 pm »

Catalogna, la rotta di collisione tra Puigdemont e Rajoy ormai è tracciata

Di OMERO CIAI
19 ottobre 2017

Il premier Mariano Rajoy ha convocato per sabato il consiglio dei ministri che avvierà l'iter per la sospensione dell'autonomia catalana
SEMPRE più difficile. Mentre Mariano Rajoy e il leader dei socialisti, Pedro Sánchez, si preparavano, molto lentamente, a inviare al Senato la richiesta di attivare l’articolo 155 della Costituzione spagnola, il presidente catalano Carles Puigdemont ha lanciato l’ultimo assalto. Nella seconda lettera di risposta a Rajoy, Puigdemont afferma che se Madrid andrà avanti con l’idea di sospendere l’autonomia catalana, lui chiederà al Parlamento della Generalitat di votare la dichiarazione unilaterale d’indipendenza. Il via libera per quest’ultima sfida Puigdemont lo ha avuto ieri sera dalla riunione dei parlamentari del PDeCat, il suo partito, che erano rimasti gli ultimi a dubitare e a frenare sulla dichiarazione di indipendenza.

Nei giorni scorsi, l’altro partito che forma parte della coalizione al governo, Esquerra republicana di Oriol Junqueras, aveva chiesto di sciogliere gli ormeggi e votare la secessione. Prima ancora lo aveva fatto la Cup che il governo catalano appoggia dall’esterno. Ora la rotta di collisione finale tra Barcellona e Madrid è definitivamente tracciata. Rajoy ha già reagito definendo la sfida di Puigdemont “un ricatto inaccettabile”.

Nelle ultime ore sia Rajoy che Pedro Sánchez avevano offerto al presidente catalano una via d’uscita diversa. Se avesse accettato di convocare nuove elezioni in Catalogna, la macchina del 155 si sarebbe fermata. Proposta respinta e nuovo scenario ancora più drammatico. Per ora c’è già convocato un Consiglio dei ministri straordinario sabato mattina. È quello che dovrà ufficializzare la richiesta al Senato del 155. Prima non si può perché Rajoy partecipa al vertice dell’Unione europea.

Quindi per ora tutto sembra rinviato alla settimana prossima e a un voto del Senato che non sarà rapidissimo. Con la nuova lettera di Puigdemont la crisi allo stesso tempo si drammatizza e si procrastina. Il voto del parlamento catalano potrebbe coincidere con quello del Senato di Madrid. Dunque non prima della metà della prossima settimana, forse oltre.

Però ormai quello che diventa sempre più chiara è la strategia della leadership catalana. Ovvero quella - come loro stessi la definiscono - della “tendenza Kosovo”: il tentativo di ottenere un riconoscimento della Comunità internazionale dimostrando che la Catalogna è, all’interno della Spagna, una nazione vituperata e repressa. Rajoy e Pedro Sánchez lo sanno e per questo fino a ieri studiavano un’applicazione, la più morbida possibile del 155, che, tra l’altro, secondo il leader socialista dovrebbe servire solo per convocare subito nuove elezioni.

© Riproduzione riservata 19 ottobre 2017

Da - http://www.repubblica.it/esteri/2017/10/19/news/rajoy_puigdemont_mediazione_catalogna_sospensione_indipendenza-178706988/?ref=RHPPLF-BH-I0-C8-P1-S1.8-T2
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