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Autore Discussione: VISCO. -  (Letto 5445 volte)
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« inserito:: Giugno 20, 2007, 03:46:20 pm »

I dati diffusi dal ministero dell'Economia sulla base delle dichiarazioni del 2005

Autonomi e imprese che dichiarano una cifra non "in linea" sono 1,4 milioni

Studi settore: 10 mila euro l'anno per il 54%

Visco: "C'è una robustissima evasione"

Martedì all'esame in Senato le mozioni dell'opposizione e della maggioranza
 

ROMA - Sono un milione e 407 mila i lavoratori autonomi e le piccole imprese che al momento di fare la dichiarazione dei redditi finiscono per indicare una cifra che pare troppo bassa. Soprattutto se si guarda ai livelli dei ricavi che loro stessi dichiarano. Tanto che pure se si trovano a fatturare in media quasi 200 mila euro l'anno, i loro redditi d'impresa, al netto dei costi, si riducono a una misera sommetta che supera solo di poco i 10 mila euro l'anno.

Sono loro, ovvero il 53,8 per cento dei quasi tre milioni di operatori interessati dagli Studi di settore, i contribuenti "incongruenti", imprenditori e lavoratori autonomi che, stando alle loro stesse dichiarazioni, riescono a mettere su a fine anno un reddito d'impresa medio che vale solo il 5,4 per cento dei loro ricavi annuali. E' questo il dato principale che emerge dalle prime analisi commissionate dal viceministro dell'Economia Vincenzo Visco relative ai redditi del 2005 e a cui sono stati applicati i criteri di "congruità" e "normalità" così come definiti nell'ultima finanziaria.

Visco: "Robustissima evasione". Il viceministro, illustrando i dati, ha parlato dell'evidenza di un'evasione corposa. Allo stesso tempo ha assicurato che gli studi di settore non saranno applicati utilizzando degli automatismi e che verranno utilizzate "tutte le garanzie. E' evidente però che c'è una robustissima evasione anche se la non congruità potrà essere spiegata nei casi specifici". E quanto ai controlli nei loro confronti ha detto che il fisco "mostrerà maggior zelo" e che "almeno 500 mila controlli possiamo farli". A questi circa 1,4 milioni di contribuenti Visco dice che chiede loro "solo di versare 100-200 euro in più di tasse evase".

I contribuenti "in linea". Ma non ci sono solo contribuenti "incongruenti". Quelli che dichiarano una cifra che pare in linea con i loro ricavi, le loro attività e i beni strumentali, sono 1 milione e 30 mila (il 39,4 per cento del totale). Contribuenti che dichiarano un reddito medio di 45.800 euro l'anno. A fronte di un fatturato che è pari a 362,5 mila euro. Loro, i "congruenti" a fine anno possono vantare un reddito che vale il 12,6 per cento del "giro di affari" della loro attività.

Quelli che dichiarano troppo poco. Mediamente quindi gli "incongruenti" dicono di ritrovarsi con 35,3 mila euro l'anno di reddito d'impresa in meno dei loro colleghi "congruenti". Una cifra non da poco. Tra le categorie che si distinguono di più in questa specie di "contrapposizione fiscale", ci sono i proprietari di discoteche e night club. Nella loro categoria mentre i "congrui" dichiarano un reddito pari a 24 mila euro l'anno, i loro dirimpettai "incongrui" dichiarano una perdita di 18,7 mila euro l'anno. Li seguono i gestori dei centri benessere, che si ritrovano con una differenza di oltre 46,5 mila euro l'anno, i noleggiatori di autovetture e altri mezzi di trasporto con una differenza di 40 mila euro e i proprietari di sale gioco (58,1 mila euro di reddito per i congrui e una perdita di 2 mila euro per gli "incongrui").

Tassisti senza taxi. Dall'analisi escono fuori risultati che restituiscono un'immagine quasi paradossale dell'attività di questi contribuenti. Almeno 100 mila sono infatti quelli che hanno dichiarato di svolgere l'attività pur senza possedere i beni strumentali caratteristici. Così si trovano, per il periodo di imposta del 2005, a non essere in possesso di beni strumentali 137 tassisti, 360 laboratori di analisi cliniche e 480 farmacie. Ma anche 555 lavanderie, 3.329 ristoranti e 5.139 installatori di impianti elettrici ed idraulici.

Gli studi di settore, che interessano circa 3 milioni di contribuenti, vengono utlizzati, d'accordo con le categorie interessate, per cercare di risalire ai ricavi dei singoli contribuenti. Sono realizzati attraverso una complessa raccolta di informazioni statistiche e tengono conto non solo dei dati contabili ma anche di quelli strumentali. Nell'ultima finanziaria, per cercare di ridurre il fenomeno della sovrastima dei costi da parte dei contribuenti, sono stati introdotti altri indicatori per riuscire a individuare voci di costo di bilancio non logiche rispetto all'attività.

La richieste e la protesta di Confcommercio. Le categorie di settore chiedono però che si rivedano alcune parti normative. "In questo momento gli studi di settore - ha detto il presidente della Confcommercio Carlo Sangalli - come sono adesso non rispettano i principi di equità e di soggettività e sono stati fatti in fretta e furia. Siamo determinati a ottenere un cambiamento". E le Confcommercio regionali del Veneto, Friuli e Trentino si sono alleate per la raccolta di firme contro le regole attuali.

Le mozioni domani a Palazzo Madama. Martedì l'Aula del Senato discuterà e voterà la mozione presentata ad Forza Italia che chiede di modificare il quadro normativo attuale. La maggioranza si è detta comunque pronta ad apportare alcune modifiche. "Vi sono stati certamente degli errori che possono essere superati - ha detto Giovanni Russo Spena, presidente dei senatori di Rifondazione comunista -. Anche l'Unione presenterà delle mozioni con cui correggeremo gli errori fatti, coinvolgendo come è giusto che sia anche le categorie, ma eviteremo che sia una copertura all'evasione".

(19 giugno 2007)

da repubblica.it
« Ultima modifica: Settembre 27, 2011, 04:02:57 pm da Admin » Registrato
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« Risposta #1 inserito:: Luglio 05, 2007, 05:50:41 pm »

Visco: in 3 anni 20 miliardi in meno di evasione e ridurremo le tasse


«Siamo ora in grado di cominciare a ridurre le tasse sempre se si contenga la spesa pubblica e si proceda nel recupero dell'evasione». Il vice ministro dell'Economia Vincenzo Visco, a Genova per un convegno illustra i dati forniti dall'Agenzia delle Entrate. Dati confortanti che mettono nero su bianco il netto recupero dell'evasione, un fenomeno che in Italia viene stimato complessivamente in oltre 100 miliardi l'anno di mancate entrate al fisco. Il recupero dell'imponibile evaso è cresciuto del 13,6 percento. Le maggiori imposte accertate che passano da 2,6 miliardi dei primi 5 mesi del 2006 a 3 miliardi dei primi 5 mesi di quest'anno.

L'obiettivo però è molto più ambizioso. Per il direttore dell'Agenzia delle Entrate,Massimo Romano, nei prossimi 3 anni dall'evasione fiscale potrebbe essere recuperato circa l'1,5% del Pil, vale a dire 20 miliardi di euro. E ciò permetterebbe secondo il vice ministro di abbassare le tasse, anche se secondo Visco non si può dire che in Italia attualmente siano ad un livello stratosferico.

È chiaro, precisa però il vice ministro, che prima deve essere consolidato il risanamento dei conti, dopo la «mala gestio» precedente. «Abbiamo trovato un apparato fermo cinque anni a gestire condoni», specifica. Ora si tratta di renderlo sempre più operativo, di aumentare i controlli - anche grazie all'assunzione annunciata di 3mila nuovi laureati - ma anche di semplificare le norme per le micro imprese. Visco invita per altro a evitare la contrapposizione tra lavoratori dipendenti e lavoratori autonomi, in funzione dei contributi e delle tasse pagate. «Certe contrapposizioni tra onesti e disonesti sono solo in parte vere - fa notare -. Esistono in realtà molti lavoratori dipendenti che svolgono un secondo lavoro senza pagare le tasse, mentre molti vogliono andare in pensione proprio per sperimentare l'ebbrezza del lavoro autonomo. Nessuno può scagliare la prima pietra. Spesso -rileva Visco- il lavoro dipendente, a parte quello operaio, è più comodo e meno duro di quello autonomo. Non vedrei -afferma in conclusione- nulla di male, se tutti dichiarassero il giusto, a riconoscere ai lavoratori autonomi quote di rischio».

All'assunzione straordinaria nell'arco del prossimo triennio di 3000 laureati da destinare interamente all'accertamento fiscale, va aggiunto il rimpiazzo parziale per turn over di 2100 unità (500 delle quali assunte a fine anno) a fronte delle 3100 uscite previste. Nel piano triennale dell'Agenzia delle Entrate si prevede una riduzione dei dipendenti dell'area servizi dall'attuale 33,3% al 26,2% e degli addetti alle attività di governo e supporto che passano dal 17,3% al 13,8%.

«Il primo anno di governo - sostiene Visco- è stato complicato, controverso e non facile. Eppure abbiamo ottenuto qualcosa che nessuno pensava realizzabile: il risanamento del bilancio in sei mesi e una grande impennata del gettito tributario». «Far pagare le tasse a chi è abituato a non pagarle - ha aggiunto Visco - non è un compito facile e questo porta a polemiche, impopolarità e tentativi di far saltare il banco».

 


Pubblicato il: 05.07.07
Modificato il: 05.07.07 alle ore 15.58  
© l'Unità.
« Ultima modifica: Gennaio 08, 2012, 04:12:10 pm da Admin » Registrato
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« Risposta #2 inserito:: Novembre 22, 2007, 03:42:34 pm »

Segreteria bocciata in Economia

Il viceministro Visco respinge i cronisti scomodi che gli pongono domande legittime.

Su appalti strani e un tesoretto mai incassato


Peccato, perché pare l'unico ministro, anzi vice, capace di far pagare un po' di tasse agli evasori. Ma Vincenzo Visco ha il brutto vizio, decisamente incompatibile col suo status, di non rispondere ai giornalisti scomodi. Cioè ai giornalisti veri. È accaduto già due volte in pochi mesi con Ferruccio Sansa e Marco Menduni del 'Secolo XIX', autori di due eccellenti inchieste che lo riguardano. La prima (se n'è occupato anche il nostro Marco Lillo) a proposito del 'tesoretto' da 100 miliardi di euro che lo Stato non ha mai riscosso dai concessionari, spesso malavitosi, di videopoker e altre slot-machines. La seconda, recentissima, svela gli imbarazzanti appalti concessi da due enti controllati dal ministero dell'Economia a una società, la Gpsc srl, di cui fino a qualche mese fa era azionista Giovanni Sernicola, capo della segreteria dello stesso viceministro dell'Economia.

Fra gli attuali soci figurano l'ex vice-capogabinetto di Visco, Fortunato Cocco, e il cugino di Sernicola, Filippo Bucarelli. Interessante anche la sede della Gpsc: lo stesso stabile in viale Angelico 163 a Roma, quartiere Prati, che ospita gli uffici della Nens (Nuova economia nuova società), l'associazione privata fondata da Visco e dal collega Pierluigi Bersani, e presieduta fino a pochi mesi fa da Sernicola. Di chi sono gli uffici? Della famiglia dell'architetto Elisabetta Spitz, direttrice del Demanio dello Stato nominata dallo stesso Visco, nonché moglie (ora separata) di Marco Follini, l'ex leader dell'Udc da poco passato all'Unione. E chi rimpinza la Gpsc di appalti pubblici per milioni di euro?

Il Demanio e la Sogei, entrambi controllati dal ministero di Visco. La Sogei, fra l'altro, è la società che doveva controllare sui suoi terminali le giocate delle slot machines, ma non lo faceva perché le macchinette non erano collegate, così i gestori ingrassavano in barba al fisco. Nessun reato, ci mancherebbe. Ma, come osserva Gherardo Colombo, "in Italia pare che le uniche responsabilità siano quelle penali". E quelle morali, deontologiche e politiche?

E i conflitti d'interessi? Sia gentile, viceministro Visco. Anziché respingere i cronisti che si occupano di lei con la frase arrogante "con voi non parlo", si rassegni: un ministro, anche se vice, risponde proprio ai cronisti che si occupano di lui. Meglio chiarire presto quegli strani appalti e spiegare quel tesoretto non incassato. Nel resto d'Europa, i ministri si dimettono per molto meno, persino per aver raccomandato la colf per il permesso di soggiorno. Figurarsi i vice.

(16 novembre 2007)

da espresso.repubblica.it
« Ultima modifica: Ottobre 09, 2011, 05:47:48 pm da Admin » Registrato
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« Risposta #3 inserito:: Luglio 24, 2009, 11:09:32 pm »

Visco: «Condono pericoloso che apre le porte all'illegalità fiscale»

di Bianca Di Giovanni


Lotta ai paradisi fiscali? Sciocchezze.

I paradisi non si sono svuotati con l’altro scudo, e non si svuoteranno neanche stavolta.

Questo è un condono, altro che etica». Vincenzo Visco demolisce la cortina di (innocenti?) illusioni sollevata attorno alla sanatoria per i capitali illegalmente esportati. Storielle del tipo: lo fanno tutti (falso), serve all’economia (ancora più falso), combatterà i paesi off-shore. «È vero il contrario: il condono li legittima». ribatte l’ex ministro. Ma più che i messaggi-narcosi, fanno male le strizzatine d’occhio all’illegalità fiscale, arrivate anche dal campo del centrosinistra, colpiscono i pesanti silenzi delle imprese e i bisbiglii del sindacato. «Lo ripeto -avverte Visco - I soldi detenuti illegalmente all’estero derivano o da evasione, o da riciclaggio o dalla corruzione. Quando si dà uno scudo, cioè si garantisce l’anonimato a chi sana, non si sa se questo è un evasore o un mafioso».

È un fatto gravissimo. Come mai c’è molto silenzio?

«Infatti. Ancora più grave è l’assuefazione all’illegalità e la trasformazione dell’illegalità in qualcosa di positivo è tale che persino nel Pd c’era qualcuno che non era contrario o che ha cambiato idea all’ultimo momento. L’equivoco è che si pensa che così si ricapitalizza l’economia».

Non è vero?

«Magari fosse. La verità è che non c’è nessun vincolo sulla destinazione delle risorse (non poteva esserci). La gente sanerà e investirà poi dove vuole, come è già accaduto. Escludo che si ricapitalizzino le imprese, perché a quel punto si farebbero riconoscere e per il futuro la redditività dell’azienda sarà maggiore di quanto dichiarato. Aggiungo poi che questo scudo potrebbe non funzionare, perché non si può applicare all’Iva».

La Confindustria non ha detto una parola.

«Certo, era a favore, anzi lo ha chiesto. È una delle cose considerate apprezzabili dagli imprenditori. La Confindustria doveva farsi ridare i soldi che il governo deve restituire. Qui si sconvolgono i principi. Allora mettiamola così: le tasse vanno pagate o no? Se la risposta è no, allora anche per i dipendenti qualcosa deve cambiare. Ma ci sono silenzi ancora più inquietanti»

Quali?

«Il quasi-silenzio del sindacato. Nel momento in cui l’unica fonte di gettito che ha una dinamica sostenuta sono le ritenute su lavoro dipendente, qui si va a fare il condono ai grandi evasori».

Come valuta l’intervento sulle plusvalenze dell’oro?

«Dopo le modifiche (il via libera della Bce per la Banca d’Italia, ndr) la misura sostanzialmente non c’è: era pensata solo per Bankitalia. È l’ennesima manifestazione di un duello davvero poco comprensibile. Il vero punto è che questo decreto rivela una verità preoccupante: il governo sta con l’acqua alla gola per quanto riguarda le risorse, e cerca di rastrellarle con i condoni e le tasse sull’oro».

L’altra tesi sul condono è che lo stanno facendo tutti, Obama in testa.

«Questo è falso. Obama ha fatto una riapertura dei termini in cui i contribuenti hanno dovuto pagare tutte le tasse, senza anonimato, anzi con la denuncia di chi li aveva aiutati a portare i soldi all’estero. L’unico sconto era sulle penalità.Non mi pare la stessa cosa. Questo è stato pubblicato su più testate. possibile che tutti se lo scordano? Nessuno ha mai fatto una cosa come questa nella storia del fisco».

Il ministro dice che le entrate tengono, e che c’è un forte recupero di evasione.

«Lo dice solo lui. Io dico il contrario, e qualcosa di questo capisco. La Banca d’Italia dice il contrario, la percezione dei cittadini dice il contrario perché si emettono meno ricevute e scontrini.
La verità è che le entrate vanno male e le spese aumentano in modo inspiegabile. Loro ci convincono del contrario con una tattica mediatica ormai chiara: si ripete all’infinito la stessa cosa, anche se è falsa. Alla fine diventa vera. Anche qui, quello che vedo è una mancanza di reazione. Si dice: c’è la crisi, mica si possono far pagare le tasse. Ma i dipendenti le pagano sempre».

Le tasse sembrano diventate un tabù anche a sinistra. Se ne parla solo per toglierle, non per farle pagare.

Ma magari le togliessero: la verità è che tra una tantum e condoni, si cerca di rastrellare gettito: si consente di evadere a una parte, senza ridurre l’aliquota legale sul lavoro dipendente».

Una teoria sostiene se si abbassano le tasse, la gente pagherà.

«Allora che le abbassino, lo facciano. Finora l’unico ad abbassare legalmente le tasse in Italia sono stato io. Ma se lo si vuole fare, bisogna recuperare evasione, per non perdere gettito. Se poi qualcuno ritiene che si possano abbassare le tasse in disavanzo, lo faccia».


24 luglio 2009
da unita.it
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« Risposta #4 inserito:: Luglio 03, 2011, 10:31:38 am »

Con poche semplici mosse: ecco come il governo ha rovinato il paese

di Vincenzo Visco


Quando nel 2002 il governo di centrosinistra fu sostituito dal governo Berlusconi, l’eredità ricevuta da quest’ultimo era tutt’altro che trascurabile: nel 2000 infatti il Pil era cresciuto del 3,6% (!), il surplus primario era pari al 5-6% del Pil, la bilancia dei pagamenti era in equilibrio, l’occupazione in salita, le tasse in via di diminuzione. Sarebbe stato sufficiente mantenere la rotta per evitare di trovarci di nuovo in una situazione di crisi come quella dei primi anni ’90 e come quella attuale.

Viceversa il governo di centrodestra con cecità assoluta e una evidente inconsapevolezza della realtà economica italiana, in poco tempo liquidò il surplus primario, aumentò il debito, si imbarcò in una serie di misure una tantum che aumentavano l’incertezza sulla tenuta futura della finanza pubblica italiana (condoni a raffica, cartolarizzazioni, finanza creativa), contribuì a far saltare il patto di stabilità lasciò che la nostra posizione competitiva si deteriorasse e si manifestasse di nuovo un deficit nei conti con l’estero, evitò ogni riforma strutturale nella convinzione, del tutto errata, che il modello di sviluppo potesse ritornare ad essere quello degli anni ’70 e ’80 del secolo passato, pur in presenza della moneta unica e di una concorrenza internazionale molto più accentuata che in passato. I due anni del secondo governo Prodi non furono sufficienti a recuperare una situazione per molti versi compromessa. La grande crisi finanziaria ha fatto il resto.

È in questo contesto che va valutata la manovra attuale, varata in una situazione di elevato disavanzo, debito pubblico tornato ai livelli degli anni ’90, crescita asfittica, disoccupazione elevata, disavanzo della bilancia dei pagamenti di 4 punti di Pil, sistema economico sclerotizzato e incapace di riprendersi. La decisione - condivisa da tutti i governi europei - di riequilibrare le finanze pubbliche in tempi molto brevi e senza fare affidamento su nessun meccanismo di gestione collettiva e condivisa dell’extra debito e delle prospettive di crescita dell’Europa, ha contribuito a rendere la situazione altamente drammatica. L’Italia non è la Grecia (nè l’Irlanda, il Portogallo e neppure la Spagna) ma è oggi sicuramente un Paese a rischio che deve cercare di allontanarsi dal baratro che non è poi così distante.

Tutto ciò si poteva evitare, ma otto anni di governo pressoché ininterrotto della destra ci hanno portato a questa situazione. Oggi l’Italia appare (ed è) un Pese che vive al di sopra dei suoi mezzi e quindi è costretta a “rientrare” con le buone (le manovre) o con le cattive (la reazione dei mercati). È un calice amaro che Berlusconi e Tremonti ci costringono a bere.

Non conosciamo ancora l’impatto effettivo della manovra, né se le misure la cui entrata in vigore è prevista per il 2013 e 2014 siano adeguate e credibili vedremo la reazione dei mercati. Il dubbio che il profilo di rientro adottato sia dettato dal desiderio di spostare in avanti, alla nuova legislatura, l’impatto delle misure più impopolari, è molto serio ed evidente; e tutti ricordano la vicenda dello scalone previdenziale e del “concordato di massa” (condono) lasciati in eredità ai governi di centrosinistra nel 2006. C’è anche il ragionevole dubbio che il centrodestra abbia scontato di andare a elezioni anticipate l’anno prossimo e quindi abbia disseminato la strada di bombe a scoppio ritardato.

Tuttavia il problema di fondo è un altro: è possibile, una volta per tutte, uscire dalla tenaglia composta da tagli e misure di contenimento da un lato, e stagnazione, deflazione, disoccupazione dall’altro? Questo è un problema che il governo non si è posto e non si pone. Eppure è evidente che dalla nostra crisi non si esce senza profonde riforme all’assetto istituzionale dell’economia e della finanza pubblica italiana, misure che riguardano la struttura di governo, lo pseudo federalismo che abbiamo creato, il perdurare dello stallo creato dagli interessi corporativi, il diritto dell’economia, l’evasione fiscale, la iniqua distribuzione del carico tributario tra ricchi e poveri, la corruzione.

Si tratta di riforme difficili da varare perché toccano interessi diffusi e radicati che nessuno ha avuto finora la forza di affrontare e neppure pienamente individuare. Interventi che possono apparire in prima battuta impopolari ma che sono gli unici che ci possono consentire di uscire dal pantano attuale. La destra non sa e non può affrontare questi problemi perché ha paura di disarticolare il blocco sociale che la sostiene. Tocca quindi alla sinistra. Si sarà in grado di impostare su questi problemi la costruzione di una nuova coalizione? In caso contrario il tenore di vita degli italiani si ridurrà ancora (cosa che nella situazione attuale appare pressoché inevitabile) ma non vi saranno prospettive di recupero e di crescita. E proseguiremo lungo il sentiero di un inevitabile declino.

1 luglio 2011
da - http://www.unita.it/economia/con-poche-semplici-mosse-ecco-br-come-il-governo-ha-rovinato-il-paese-1.309471
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« Risposta #5 inserito:: Agosto 15, 2011, 06:28:54 pm »

Visco: «Vendono fumo e affossano il Paese»

di Bianca Di Giovanni

Ancora una volta il centrodestra evita di colpire le sue basi di riferimento, producendo un testo fragile e poco credibile. Stavolta l’opposizione ha controproposte forti, non accetterà a scatola chiusa quello che viene proposto». Vincenzo Visco non fa sconti sull’ultima manovra del centrodestra. «Fanno fumo, manca un disegno complessivo per far ripartire il paese», spiega. Come dire, un affastellamento di tagli, nuove tasse («dissimulate, nascoste e improbabili»), e penalizzazioni inaccettabili («sul Tfr i pubblici sono carne da macello»). «Il premier parla di cuore che gronda sangue? ma è il sangue nostro», aggiunge ironico. Si poteva fare diversamente? «Sì - replica secco Visco - Se pagassero quelli che finora non hanno mai pagato, i soldi si troverebbero, senza martoriare il Paese. Il nostro livello di vita uscirà molto peggiorato da questa manovra, non so se gli italiani lo capiscono davvero visto che siamo a Ferragosto».

Il ministro attribuisce alla crisi internazionale i guai di oggi.

«Nella sostanza questa tesi non regge. Gli sconquassi sui mercati sono l’esito prevedibile delle crisi finanziarie. Accade sempre che alla fine vengono coinvolti anche i debiti sovrani. Presentando una manovra spostata sugli ultimi due anni, cioè sulla futura legislatura, il governo ha aggravato la situazione dell’Italia, che già ha forti problemi strutturali».

Eppure l’Europa aveva apprezzato la manovra di luglio.

«Macché, siamo seri. Quello che si è visto sono i soliti rituali. Nessun ufficio tecnico ha valutato quella manovra, ci sono state solo affermazioni politiche. Anche questo accade sempre: se dico che faccio una manovra da 45 miliardi tutti dicono: bene, bravo. Quel testo era squilibrato sia dal punto di vista temporale che distributivo: nessun benestante pagava».

E questa? È migliore?

«Cominciamo col dire che nessuno la conosce: non c’è testo, non ci sono quantificazioni, né tabelle. Fumo. Quanto ai cosiddetti costi della politica, è un obolo versato all’opinione pubblica che lascia il tempo che trova. Prima che arrivino i risparmi, bisogna prevedere una lunga fase di riassetto amministrativo. Qui manca un disegno organico, e non si tiene conto che tutta l’articolazione dello Stato è su base provinciale. Un conto è il livello politico, un altro è quello amministrativo».

Come giudica le norme sul lavoro?

«È chiaro che qui si introduce e generalizza il licenziamento anche senza giusta causa, con corrispettivi monetizzabili. Non so se questo può avere un effetto positivo sul mercato del lavoro, so solo che fa parte di una vulgata molto diffusa».

Verosimile che l’abbia chiesto la Bce.

«Sì, visto che si tratta di un mantra molto diffuso».

Le sembra giusto che la lettera della Bce rimanga segreta?

«Assolutamente no. La ritengo una cosa gravissima. In ogni caso, a parte il lavoro e questi cosiddetti costi della politica, la manovra non c’è».

C’è la delega fiscale.

«No, c’è l’aumento dell’aliquota marginale più elevata. Poi c’è un intervento inaudito sul Tfr dei pubblici, una cosa inaccettabile. Voglio vedere se trattano così i privati: perché questi lavoratori devono essere trattati come carne da macello? E poi l’avete chiesto al ministro se sul Tfr dopo due anni pagano anche gli interessi? Perché se non lo fanno, significa un taglio bello e buono. Che si aggiunge all’aumento nascosto delle tasse locali, visti i tagli a Comuni e Regioni. Non mi pare tanto credibile».

Insisto: c’è la delega.

«Su quello non si può certo votare senza spiegare prima di cosa si tratta. Se le cifre ballano, da 4 miliardi a 12 o 15 miliardi l’anno dopo, di cosa parliamo? Se si vuole operare con il bisturi sulle detrazioni, non si recuperano più di 4-5 miliardi. Oggi comunque il vero punto è un altro: si può e si deve seguire una strada diversa».

Cioè?

«Se dobbiamo avere una raffica di aumenti fiscali, allora paghi chi finora ha pagato poco. È giusta la proposta Pd sui valori immobiliari, e non ha effetti sulla produzione. Da qui si può ottenere un punto di Pil (oltre 15 miliardi). Giusta anche la misura di un contributo di solidarietà sui capitali scudati. Se quella aliquote si alzassero al 20%, si può recuperare un altro punto. Sono misure semplici e efficaci, che non deprimono il Paese».

Ma i soggetti scudati non sono rintracciabili.

«Gli intermediari sanno benissimo dove prendere i soldi».

Sull’evasione sono state recuperate le sue misure.

«Non direi: la soglia a 2.500 euro non è la tracciabilità sui pagamenti, ma solo la soglia per l’antiriciclaggio. Mancano poi tutte le norme quadro, come l’elenco clienti-fornitori. Se si vuole combattere l’evasione non lo si fa con misure sporadiche. Da noi basterebbe stabilire, come in Francia, che le banche comunicano i saldi finanziari al fisco. A questo si potrebbe affiancare una riforma Irpef, che abbassa la pressione parallelamente al recupero dell’evasione. Ma è davvero possibile fare tutto questo da noi? Certi interessi non sono stati toccati».

Sulle privatizzazioni ci sono margini?

«Mah, mi pare che su quel fronte abbiamo già fatto tutto».

14 agosto 2011
da - http://www.unita.it/italia/visco-vendono-fumo-e-affossano-il-paese-1.323001
 
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« Risposta #6 inserito:: Dicembre 17, 2015, 07:25:51 pm »

Dal sito “inpiù.net” del 15 dicembre 2015

ECONOMIA.

UN PO' DI CHIAREZZA SUL CRAC DELLE 4 POPOLARI

Contro strumentalizzazioni e inconsapevolezza

Vincenzo Visco

Il dibattito sulle vicenda del salvataggio delle 4 banche, alquanto confuso e caratterizzato da evidenti strumentalizzazioni e diffusa inconsapevolezza, merita alcune considerazioni:

a) Si deve riconoscere che il sistema finanziario italiano nel suo complesso ha retto piuttosto bene alla crisi: le 4 banche infatti rappresentano solo l’1% dei depositi complessivi. In presenza di un crollo del Pil di 9 - 10 punti percentuali e di una impressionante crescita delle sofferenze, non si tratta di una risultato trascurabile, se pure si aggiungesse qualche altro caso, riguarderà sempre istituti minori con matrice regionale; anche la crisi del Monte dei Paschi la cui gestione è stata a mio avviso discutibile, è stata superata. E’ superfluo ricordare quello che si è verificato in altri Paesi.

b) E’ emersa in modo evidente una gestione del credito, soprattutto da parte delle banche minori, quelle più radicate nel territorio, collusiva, clientelare, ed inefficiente, espressione di un localismo deteriore e degli interessi di gruppi ristretti, che deve far riflettere perché la funzione di queste banche nell’economia è estremamente importante.

c) Il sistema bancario italiano si è fin dall’inizio opposto a interventi pubblici di sostegno per timore di ingerenze politiche, preferendo una politica autoreferenziale, e facendo affidamento su ricapitalizzazioni che alla fine sono avvenute a cari
co dei propri clienti.

d) E’ probabile che vi sia stata una carenza di lucidità da parte dei governi che hanno accettato le nuove regole europee senza rendersi conto del fatto che, essendo esse retroattive, avrebbero potuto comportare problemi visto il comportamento concretamente seguito dalle nostre banche. Trattandosi di decisioni che richiedevano l’unanimità dei consensi, era possibile ottenere soluzioni più equilibrate.

e) La vigilanza sul sistema bancario è in Italia suddivisa tra la Banca d’Italia per
la stabilità (che è stata nel complesso garantita), e Consob per la trasparenza (vale a dire l’affidabilità dei singoli prodotti). Da questo punto di vista il fatto che la Commissione nel 2011 abbia revocato la decisione precedente di indicare gli scenari probabilistici dei singoli titoli offerti alla clientela, ha di fatto esposto i risparmiatori ad arbitrii molto seri che si sarebbero potuti evitare.

f) Rimangono da accertare (e punire) le responsabilità del management delle banche fallite nell’organizzazione della truffa, e impedire per il futuro che titoli rischiosi possano essere impunemente venduti a risparmiatori inconsapevoli.


Da - http://www.nens.it/_public-file/VISCO.INPIU.15.12.15.pdf

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« Risposta #7 inserito:: Novembre 20, 2016, 11:53:07 am »

Dal sito “inpiù.net”

Ici sulle seconde case e democrazia
Che fine ha fatto il 'no taxation without representation'?

Vincenzo Visco
17/11/2016

I giornali hanno riportato la notizia di un emendamento presentato alla legge di bilancio da un deputato del Pd, ma sponsorizzato a quanto pare, dall’Anci, che avrebbe dato la facoltà ai comuni di aumentare l’Ici sulle seconde case. L’emendamento è stato bloccato dal governo perché la linea sarebbe oggi quella di ridurre e non aumentare le tasse. Ma la motivazione non è quella giusta. Della proposta infatti sorprende la spregiudicatezza, anzi il cinismo, che la ispira. Per i sindaci infatti non vi è niente di meglio e di più facile che aumentare le tasse sulle seconde case, vale a dire sui non residenti che non possono votare per il sindaco. Ed è infatti quello che fanno in modo sistematico, in violazione dell’elementare e fondamentale principio “no taxation without representation”. L’equivoco è ovviamente nella distinzione tra prime e seconde case che poco ha a che vedere con la progressività dell’imposizione, come si vorrebbe far credere, dal momento che molte seconde case sono possedute da persone emigrate in passato per lavoro, che esistono contribuenti che hanno solo la seconda casa, ecc.
Se qualcuno avesse tempo, voglia e denaro da spendere, si potrebbe avviare un’azione giudiziaria da portare fino alla Corte Costituzionale con ottime probabilità di vittoria. La verità è che un’imposta sul patrimonio ben fatta non dovrebbe distinguere tra prime e seconde case, ma trattarle tutte nello stesso modo. E se si volesse rendere progressiva una tale imposta essa dovrebbe essere disegnata non come imposta reale, bensì come imposta personale sull’intero patrimonio posseduto a qualsiasi titolo. Tutto ciò dovrebbe essere ovvio in Italia come lo è all’estero.

Da - http://www.nens.it/_public-file/VISCO.%20inpiu.%2017.11.16_2.pdf
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