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Autore Discussione: CORRADO ZUNINO. Acqua, la fabbrica dei veleni che allarma il Veneto  (Letto 2340 volte)
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« inserito:: Settembre 24, 2017, 12:13:52 pm »

Acqua, la fabbrica dei veleni che allarma il Veneto
Nella giornata mondiale che si celebra oggi, due storie di segno opposto: la prima, di inquinamento delle risorse idriche. L’altra, virtuosa, in un rapporto dell’Unesco

Dal nostro inviato CORRADO ZUNINO
22 marzo 2017

TRISSINO (VICENZA). Il pesce preso all'amo a Creazzo, una scardola da fiume, aveva nei tessuti 57,4 nanogrammi (per grammo) di Pfas, composto chimico nato dalla fusione di solfuro di carbonio e acido fluoridrico. Settecento volte sopra la soglia del pericolo. Nel sangue di un operaio che ha lavorato per undici anni nella fabbrica a sedici chilometri da Creazzo - la fabbrica è la Miteni di Trissino, Nord Ovest di Vicenza - analisi private hanno contato 91.000 nanogrammi dello stesso Pfas. In un uomo della modernità, sono studi nordamericani, ci dovrebbero essere dai due ai tre nanogrammi di questo impermeabilizzante per giacconi e smartphone, prodotto dal 1938 e usato nel mondo anche per le pellicole antiaderenti delle padelle, la carta da pizza, la sciolina dei fondisti. I controlli ambientali, ecco, offrono numeri fuori controllo. Serve capire - e al lavoro ci sono tre procure, una delle quali, quella di Vicenza, ha già indagato nove persone per inquinamento di acque e ambiente - se quantità straordinarie di perfluoroalchilici presenti nel corpo producono danni alla salute.

Stefano De Tomasi, ex operaio della Miteni, azienda chimica in perdita e oggi nel portafoglio di due imprenditori tedeschi, ha 49 anni. Vive con una pensione da 840 euro al mese in un appartamento sotto tetto di Valdagno. Due cani e tredici pasticche al giorno gli fanno compagnia. "Ho lavorato undici stagioni, e con grande impegno, nel reparto produzione Pfas e Pfoa", racconta: "Sono stato un uomo allegro fino ai quaranta, ma nel 2007 la depressione mi ha catturato. Una depressione clinica, difficile da spiegare. Avevo accumulato giorni di malattia e l'azienda mi ha licenziato. La salute è peggiorata e nel 2010 mi è scoppiato il cuore. Poi il diabete, l'ipertensione arteriosa. Non ho studiato abbastanza per dire se è colpa del C8, i composti a catena lunga, so che ne producevamo tonnellate e di corsa. Nel 2011 sarebbero stati vietati e i capireparto ci costringevano a lavorare con le macchine in movimento, gli sbuffi dei fumi in faccia. In azienda facevamo controlli del sangue, ma il medico interno mi ha sempre detto che i valori superiori a 40 nanogrammi non si potevano conoscere. Con trecento euro ho scoperto, da solo, che sono a quota 91.000".
Vicenza, 90mila persone in osservazione: viaggio nella fabbrica dei veleni

La seconda battaglia del Pfas - la prima, nella seconda metà dei Settanta, portò alla chiusura della fabbrica allora del Conte Marzotto - si è combattuta a partire dal marzo 2013, quando l'Unione europea definì il Po il fiume più inquinato del continente. Un epidemiologo di Valdagno, Vincenzo Cordiano, ha iniziato allora a incrociare i dati Istat su morti e malattie e oggi può tracciare una virgola di centottanta chilometri quadrati comprendente 79 comuni a sud di Trissino: è l'area rossa, contaminata dal Pfas. Nel reparto della Miteni, già, sono morte ventuno persone su sessantanove, dal 1965. Nessuna di morte naturale. Con un'azione di controllo delle fonti - il caso DuPont nell'Ohio, una transazione monstre a favore delle vittime della multinazionale chimica - il dottor Cordiano ha scoperto che esiste "una probabile correlazione" tra il cancro al rene nelle donne, il cancro ai testicoli negli uomini e gli iperdosaggi del composto. Dopo il coinvolgimento dell'associazione Terra dei Pfas, l'intervento di avvocati che ora chiedono una class action, petizioni di Greenpeace, la Regione Veneto di Luca Zaia ha allestito un controllo medico di massa: novantamila persone, a fronte di una contaminazione che ha i connotati dell'epidemia: da 200mila a 450mila interessati lungo il bacino del Fiume Fratta Garzone. Dice ancora Cordiano: "Lo screening durerà dieci anni, ma i dati ci sono già. Bisogna chiudere la Miteni e cercare una nuova falda d'acqua".

Nelle ultime settimane, in una porzione di terreno sotto le colline, sono usciti nuovi veleni. Questi sotterrati. L'amministratore delegato Antonio Nardone, subentrato da un anno, dice che dal 2011 in fabbrica non si producono più i composti a catena lunga, quelli che restano a lungo nell'intestino. Il Tribunale delle acque di Venezia gli è venuto incontro distribuendo le responsabilità: l'inquinamento di acque e terre è figlio di una concentrazione di concerie e farmacie, non solo colpa dell'azienda chimica. La cosa, se possibile, complica il quadro: l'area industriale compresa tra Vicenza e Trissino potrebbe scoprirsi un'enorme zona rossa.

Il mondo agricolo del Vicentino, viticoltori berici, produttori di latte e formaggi, tace. Operai vecchi e nuovi delle concerie di Sarego dicono invece: "Settant'anni di sviluppo alla cinese ci stanno uccidendo". Il procuratore di Vicenza, Antonino Cappelleri: "È un fatto accertato che ci sia un vastissimo inquinamento delle acque". Per accertare se nuoce alla salute la procura si è affidata all'Istituto superiore di sanità e al professor Tony Fletcher, quello della vertenza DuPont.

© Riproduzione riservata 22 marzo 2017

Da - http://www.repubblica.it/ambiente/2017/03/22/news/acqua_la_fabbrica_dei_veleni_che_allarma_il_veneto-161100423/?ref=RHRS-BH-I0-C6-P1-S1.6-L
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