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Autore Discussione: Azzorre 2005: il naufragio di Arlecchino ... o di Truffaldino?  (Letto 3921 volte)
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« inserito:: Settembre 03, 2017, 08:50:08 pm »


01 dicembre 2015

Azzorre 2005: il naufragio di Arlecchino

Di Gaia Manzini

I movimenti fluidi, una danza in assenza di peso.
Trentottesimo parallelo Nord e ventottesimo meridiano Ovest, una mattina di gennaio di quasi dieci anni fa. Il mare è una coperta strappata dalla schiuma. La costa svetta sfidando il vento. Però c’è anche qualcos'altro, qualcosa che si muove tra le onde, colorato come l’arcobaleno. Agita braccia e gambe sinuosamente, ma non è una creatura marina. Rodrigo Delgado, un biologo marino che lavora per conto del Dipartimento di Oceanografia delle Azzorre nella Baia di Ribeira de Cabras a Praia do Norte, sull’isola di Faial, lo vede passare. Stringe gli occhi per mettere a fuoco, non capisce di cosa si tratti: sembra un uomo che danza silenzioso, incrociando braccia e gambe, annodandole e poi sciogliendole ancora, come in un film comico, ma con una grazia diversa. Poi arriva un’onda e la strana creatura si distende: è un vestito da Arlecchino. Il pesce che lo segue è in realtà la sagoma scura di una maschera. A qualche metro di distanza, una parrucca dall’aspetto di una spugna s’inabissa verso un banco di corallo.

Sì: tra tutti i pasticci e le disgrazie di Arlecchino, c’è anche un naufragio.
Qualche giorno prima, il cargo CP Valour era salpato dalle coste americane nei suoi 177 metri di lunghezza e 35 di altezza. Tra i tanti container, uno blu chiaro: su un lato riporta il nome del colosso coreano dei trasporti navali, Hanjin. È un viaggio di routine. Ma dopo quasi tremila chilometri, il tempo cambia e il 9 dicembre 2005 alle 17:15 la CP Valour sorpresa da una tempesta s’incaglia al largo di Faial, un’isola delle Azzorre. I giorni di maltempo continuano e rendono impossibile la rimozione della nave. Il rimorchiatore russo Fotiy Krilov rinuncia al salvataggio e attracca al porto di Horta, mentre una patina di nafta, lenta e inesorabile, ricopre Praia do Norte.

Il comandante Rodrigues Cabral, del Comando della Zona Marítima, viene svegliato nel mezzo della notte, accarezza la moglie mezzo addormentata al suo fianco, e cercando di non disturbare il suo sonno si mette al telefono: un armatore di sua conoscenza ha contatti con un’impresa olandese specializzata in questo tipo di recuperi navali. Ma i giorni passano e le operazioni non hanno successo, non quello sperato. L’elicottero Kamov 32 si alza in volo ogni giorno, persino a capodanno, per trasportare dalla nave il materiale più pericoloso. Poi, a gennaio, il tempo peggiora ancora. Un’onda enorme dà uno schiaffo alla nave incagliata e alcuni dei cinquecento container si riversano in mare come enormi pezzi di lego. Tra le onde si diffonde uno sciame di semi di girasole, una nuvola di grani di sesamo, l’ennesima coda di idrocarburi.

Eppure, tra le notizie allarmanti c’è anche qualcosa d’inaspettato, tanto strano da sembrare una luminosa premonizione. Dal container Hanjin fuoriescono costumi, manichini, parrucche, scenografie, fotografie e manifesti di uno spettacolo che è appena stato in tournée negli Stati Uniti: l’Arlecchino servitore di due padroni del Piccolo Teatro di Milano.

Arlecchino alla conquista del West Due mesi prima, a fine settembre 2005, gli attori del Piccolo Teatro sono pronti per la grande tournèe americana. Ferruccio Soleri (Arlecchino), Giorgio Bongiovanni (Pantalone de' Bisognosi), Paolo Calabresi (Dr. Lombardi), Pia Lanciotti (Beatrice), Sara Zoia (Clarice) ed Enrico Bonavera (Brighella) andranno da Broadway a Colorado Spring e poi a Los Angeles, a Berkeley, ad Ann Arbor nel Michigan, a Minneapolis e infine a Chicago. Rimarranno in tournée per otto settimane. È una durata record, se si considera il fatto che si tratta di uno spettacolo di tre ore, recitato oltretutto in dialetto veneto. Certo, Arlecchino è un mito, come un mito è Arlecchino servitore di due padroni, la rivisitazione di Strehler del classico di Carlo Goldoni. Uno spettacolo andato in scena in quaranta Paesi, per un totale di duemiladuecento repliche : fresco, leggero, imprevedibile, nato nel 1947, appena dopo la guerra, per gli americani rimane comunque una novità. Non è neanche uno spettacolo, ma un vero pezzo d’arte. Come una mostra sul Rinascimento, come la Gioconda.

All’Alice Tully Hall di Broadway per quattro serate c’è il tutto esaurito, anche se i biglietti costano sessanta dollari. Una signora lo ha già visto a Sydney, un signore a Parigi. Una ragazza dice di aver pianto quando ha visto Soleri all’Istituto Italiano di Cultura il lunedì sera. C’è addirittura chi farà il bis al Lincoln Center Festival. Ed è qui che arrivano anche molti teenager. Forse per colpa di un errore, ironizza un cronista americano: chissà che non confondano la maschera di Arlecchino per quella di un cattivo armato di motosega, un epigono di Jason Voorhees (quello di Venerdì 13). Ma l’equivoco è subito sciolto una volta iniziato lo spettacolo. Per molti è qualcosa di mai visto: buffo, strano e ingenuo, colmo di poesia, con un che di Charlot e un tocco di Homer Simpson.

Il pubblico americano rimane stregato. Arlecchino è slapstick, è ridicolo in senso archetipico; ma è anche diverso dalla comicità alla quale sono abituati: non è un cartone animato del sabato mattina, né un film di Abbott e Costello (i nostri Gianni e Pinotto). è qualcosa di più semplice, la follia evocata nei comportamenti esagerati, nella manipolazione del linguaggio. Gli sguardi degli spettatori si perdono un po’, costretti a leggere la traduzione in inglese che scorre sopra il palco, ma spesso le parole non sono necessarie. Quando l’affamato Arlecchino si concede un lauto pasto degustando una mosca acchiappata al volo, i bambini in sala vanno in visibilio.

L’Arlecchino gira per il mondo come gli attori dell’antica commedia dell’arte.
Succede anche se la commedia dell’arte è morta, perché ormai non c’è nessuno al mondo che reciti lo stesso personaggio per tutta la vita. Nessuno tranne Ferruccio Soleri. Lui non fa Arlecchino, lui è Arlecchino. E per uno strano cortocircuito del destino, dopo la conquista del West, Arlecchino approda anche alle Azzorre.

Le rotte del destino Gli attori del Piccolo prendono l’aereo da Chicago e tornano trionfanti a Milano. Attenderanno per giorni i loro costumi e gli oggetti di scena, pensando al peggio, pensando di non rivedere mai più le maschere abilmente create da Donato e Amleto Sartori. Poi però al Piccolo Teatro Strehler arriva un messaggio.

È scritto in portoghese, ed è un messaggio di speranza. A rispondere sarà Alessandra Vinanti, responsabile della tournée negli Stati Uniti: "… We thought everything was lost and your message was a sparkling light in this nightmare ..."

Con il naufragio della CP Valour, il teatro, le sue suggestioni, i suoi codici, sembrano guidare i fatti reali. Dopo un senso di sospensione shakespeariano, legato alla tempesta durata più di un giorno, gli abitanti delle isole si rimboccano le maniche.

Già dal 12 dicembre, a Praia do Norte, iniziano le operazioni di pulizia per eliminare i detriti di idrocarburi. Si interrompono il 25 dicembre, ma solo per colpa del maltempo. Ci sono persone di ogni età: qualcuno lavora al Dipartimento Oceanografico, qualcuno è arruolato nella Marina, qualcuno arriva dalla nave Fotiy Krylov, dalla Magadir, dalla stessa CP Valour; da altre isole. C’è qualche pescatore, qualche comune cittadino. E anche alcuni attori. Fanno parte della compagnia amatoriale del Teatro de Giz della città di Horta. Da qualche giorno discutevano sulla stagione teatrale, indecisi su cosa mettere in scena, fin quando la notizia del naufragio non ha messo in allerta tutti i cittadini.

Quando la compagnia de Giz arriva a Praia do Norte il vento è molto forte, la spiaggia nera di detriti, ingombra dei resti del naufragio. Non sanno da dove cominciare, ma cercano di mettersi al lavoro, muniti di grossi rastrelli. Vicino a uno scoglio che affiora sulla battigia trovano una cassa mezzo distrutta. Sul fondo, sotto un panno di stoffa, c’è una maschera. Più in là, accartocciato come uno straccio, un costume a rombi colorati. E ancora: un corpetto, una gonna. Non sanno cosa pensare. Forse provano i costumi, forse no. Sicuramente se li mostrano gli uni con gli altri, se li passano come se avessero trovato un tesoro: c’è qualcosa di misterioso in questa coincidenza. Certo, è un segno. Oppure un’occasione, ancora non lo capiscono di preciso.

Uno di loro avvicina al viso la maschera bagnata, imperlata di granelli di sale. Anche se intorno ci sono quaranta persone in tuta bianca e guanti gialli, la cp Valour incagliata al largo sembra trovarsi al confine tra finzione e realtà. Alcuni attori della compagnia ricordano di aver studiato L’isola degli schiavi di Marivaux (spettacolo messo in scena molte volte dallo stesso Piccolo di Milano). Nella pièce una nave fa naufragio. Padroni e servitori (Silvia e Arlecchino) si trovano catapultati su una bizzarra isola dove saranno invitati a scambiarsi i ruoli. È questo lo spettacolo che la compagnia de Giz metterà in scena mesi più tardi. Ma solo dopo aver fatto qualcos’altro. Sulla superficie delle casse di legno è stampato in rosso il nome del Piccolo Teatro. È così che la compagnia contatta Milano e rende noto il ritrovamento.

Questa però è la storia di un viaggio circolare che non termina alle Azzorre, ma ha ancora qualche chilometro da fare. L’ultima tappa è a Milano nel maggio 2007, per i sessant’anni del teatro fondato da Giorgio Strehler, Paolo Grassi, Nina Vichi. Il teatro de Giz viene invitato ufficialmente. L’anno precedente, infatti, grazie ai finanziamenti della Radio Televisione Portoghese, la compagnia delle Azzorre ha prodotto un film documentario sul ritrovamento dei costumi. S’intitola A ilha de Arlequin, “L’isola di Arlecchino”, per la regia di Josè Medeiros. Verrà proiettato in occasione dei festeggiamenti.

Il 6 maggio a Milano è una sera primaverile, l’aria è frizzante. La forza di Arlecchino, la sua allegria, ha viaggiato oltre le sue intenzioni. Si è fatta comprendere da lingue diverse, da persone impensate. È arrivata dove non si sarebbe mai immaginata, ben oltre l’America: su un’isola fuori dalle rotte dei grandi spettacoli, lontana da qualsiasi cosa. Ed è tornata con ancora più energia di prima. Vivificata dall’incontro tra realtà e finzione. Dall’incrocio improbabile tra uno dei teatri più importanti del mondo e la spontaneità guizzante di un gruppo di giovani.

 Immagine: https://www.piccoloteatro.org/
 
© Istituto della Enciclopedia Italiana - Riproduzione riservata

Da - http://www.treccani.it/magazine/atlante/spettacolo/Azzorre_2005_il_naufragio_di_Arlecchino.html
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« Risposta #1 inserito:: Settembre 03, 2017, 08:56:40 pm »

Funzione complessiva

Il servitore di due padroni è un'opera di intrattenimento, comica e divertente. L'unico personaggio ironico è Smeraldina, che con i suoi a parte sottili fa ridere il pubblico. Solo Beatrice ha uno spessore psicologico: è intraprendente, soffre per amore, è coraggiosa.

L'opera è ancora fortemente legata alla Commedia dell'Arte; molti personaggi rappresentano delle maschere, che parlano in veneziano e possono essere di secondaria importanza. Truffaldino stesso (cioè Arlecchino) è a metà tra una maschera (caricatura) ed un personaggio.

L'Arlecchino di Strehler
Arlecchino servitore di due padroni
Lingua originale    italiano
Stato    Italia
Prima rappr.    24 luglio 1947
Piccolo Teatro, Milano, Italia
Regia    Giorgio Strehler

Il personaggio di Truffaldino deriva dalla maschera della Commedia dell'Arte chiamata Arlecchino, che il regista Giorgio Strehler decise di recuperare. Il 24 luglio 1947 così debuttò al Piccolo Teatro di Milano Arlecchino servitore di due padroni. Il cambio del titolo venne fatto da Strehler in funzione della tournée internazionale che lo spettacolo di lì a poco avrebbe intrapreso sapendo che il nome di Arlecchino, data la sua notorietà, avrebbe richiamato più pubblico che non con il titolo originario di Goldoni.

Lo spettacolo venne pensato a chiusura della stagione, mai immaginando che avrebbe avuto una vita più longeva di quella del suo regista creatore. Le diverse edizioni dello spettacolo cadenzarono per 50 anni le stagioni del Piccolo Teatro di Milano, tuttora è lo spettacolo che più di ogni altro porta nel mondo i gesti del Teatro Italiano.

Tra le varie edizioni si ricordano:

    La prima storica edizione con Marcello Moretti, Franco Parenti e Checco Rissone.
    L'edizione di Villa Litta, con Ferruccio Soleri, giocata all'aperto e contrappuntata da piccoli fuoriscena di vita dei comici intorno al palco.
    L'edizione dell'Addio, che doveva essere un saluto all' Arlecchino e fu giocata tutta su tinte più malinconiche; riportò sul palco di Arlecchino gli antichi attori di vecchie edizioni dello spettacolo: Giulia Lazzarini, Enzo Tarascio, Gianfranco Mauri, Narcisa Bonati, Giancarlo Dettori e con Andrea Jonasson
    L'edizione del Buongiorno, con i giovani attori usciti dalla Scuola del Piccolo Teatro, un'edizione particolarmente vivace e folle, in cui l'Arlecchino Soleri sarà circondato da diverse compagnie che si alternano in un gioco di gioia o rivalità surreale.
    Infine l'edizione del cinquantenario, l'ultima curata da Strehler, con una distribuzione di attori tra passato e futuro, formula che tuttora tiene in forze questo antico gioco di Teatro.

Il ruolo di Arlecchino venne affidato a Marcello Moretti, che lo lascerà, alla morte, a Ferruccio Soleri. Lo spettacolo ebbe ed ha tuttora un enorme successo, tanto da andare in tournée in tutto il mondo, dall'America latina alla Cina, ed essere presentato, nel corso degli anni, ad importanti manifestazioni culturali come il Festival di Edimburgo. Dal 1947 ad oggi lo spettacolo conta 2200 repliche ed è arrivato alla XIII edizione (sebbene la X edizione fu l'ultima ad avere la firma di Strehler). Dal 2002 il ruolo viene anche periodicamente interpretato da Enrico Bonavera.

L'Arlecchino strehleriano è sorprendentemente agile, buffonesco, incastonato in un palco metateatrale intorno e dentro al quale agiscono i vari personaggi. Sul proscenio, una fila di candele che vengono accese all'inizio della rappresentazione e spente al suo termine fanno da filo conduttore tra il teatro moderno e la perduta tradizione della commedia dell'arte, cui i diversi allestimenti di Strehler guardano con nostalgica e sempre rinnovata passione.

Da - https://it.wikipedia.org/wiki/Il_servitore_di_due_padroni
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« Risposta #2 inserito:: Settembre 03, 2017, 09:00:48 pm »

Divertiamoci a teatro 2010/11 - 16 Rassegna di teatro amatoriale

Arlecchino servitore di due padroni
Mestre Teatro Momo
Domenica 12 Dicembre 2010 - 16:00
 
Arlecchino
di Carlo Goldoni
una produzione Teatro Instabile

Arlecchino servitore di due padroni è stato scritto come canovaccio nel 1745 a Pisa (titolo originale: Il servitore di due padroni). Il cambio del titolo venne fatto da Strehler nel 1947, in funzione della tourné internazionale che lo spettacolo di lì a poco avrebbe intrapreso, sapendo che il nome di Arlecchino, data la sua notorietà, avrebbe richiamato più pubblico che non con il titolo originario di Goldoni.

Come diceva lo stesso Goldoni, è una commedia giocosa, una commedia d'intrigo fondata su due motivi drammatici tradizionali: il travestimento e lo sdoppiamento, il primo dà origine alle scene patetiche e il secondo a quelle comiche. L'interesse per le vicende amorose dei personaggi seri è continuamente distolto dalla comicità delle situazioni che nascono dallo sdoppiamento del protagonista, arlecchino, il quale fa della scena un vero e proprio campo da gioco, i cui elementi principali sono la locanda e una strada attigua alla stessa.

Trama Al centro della commedia si colloca Arlecchino, servo di due padroni, che, per non svelare il suo inganno e per perseguire il suo unico intento, ovvero mangiare a sazietà, intreccia la storia all'inverosimile, creando infiniti equivoci e guai.

La commedia si apre in casa di Pantalone de' Bisognosi, anziano mercante che sta assistendo alla promessa di matrimonio tra sua figlia, Clarice, e Silvio, figlio del Dottore Lombardi. I due sono innamorati ed è una fortuna che possano promettersi, dato che Federico Rasponi, agiato torinese a cui Clarice era destinata, è morto in una lite a causa della di lui sorella Beatrice.

Alla promessa Smeraldina, giovane serva di Clarice a casa di Pantalone e Brighella, locandiere veneziano che fa da testimone. Inaspettatamente, nella scena irrompe Truffaldino, il giovane servo venuto per annunciare il suo padrone; si tratta proprio di Federigo Rasponi, venuto in Venezia per incontrare la sua futura sposa e per chiarire gli affari sulla dote della ragazza. In realtà, colui che si presenta in casa degli allibiti personaggi è Beatrice Rasponi, sorella del defunto in vesti da uomo, per riscuotere ingannevolmente i soldi della dote per poter aiutare Florindo Aretusi, suo amante fuggito a Venezia in seguito al colpo mortale inferto di sua mano proprio a Federigo e che lei sta inseguendo.

Brighella riconosce Beatrice ma non svela l'inganno dinanzi ai presenti e, anzi, sta al gioco facendosi da garante per assicurare tutti che lo sconosciuto che si trovavano di fronte fosse proprio Federigo Rasponi. Neanche Arlecchino, incontrato da Beatrice nel Bergamasco, sa nulla della vera identità del suo padrone. Il suo unico obiettivo è riempire la pancia, essendo perennemente tormentato dalla fame e dall'ingordigia. Non soddisfatto del trattamento di Beatrice, che trascura gli orari del pranzo e lo lascia spesso da solo, per uno scherzo del destino si trova a servire un altro padrone, che si rivela essere Florindo Aretusi sotto il falso nome di Orazio Ardenti.

Beatrice e Florindo sono vittime delle bugie, dell'ingordigia e della scaltrezza dell'abile servitore e si ritrovano alloggiati nella locanda di Brighella in cerca l'uno dell'altro. Per svincolarsi da situazioni critiche, Arlecchino non fa altro che creare guai su guai. Per non farsi scoprire, addossa tutte le responsabilità sul fantomatico Pasquale, servo che in realtà non esiste. Anche quando Beatrice e Florindo si rincontreranno, Florindo crederà che il servitore di Beatrice sia Pasquale e viceversa. Arlecchino soffre la fame, mente, corteggia, ama, finge di saper leggere, serve acrobaticamente due padroni in stanze diverse, pasticcia la trama e la risolve, tutto ciò mentre lo pseudo-Federigo Rasponi complica la vita dei due amanti Silvio e Clarice e delle rispettive famiglie.

Proprio quando la situazione sembra irrimediabile, e Beatrice e Florindo minacciano di suicidarsi convinti che i rispettivi amanti siano morti, Arlecchino riesce a risolvere ogni cosa. I due padroni innamorati sono condotti a nozze, Clarice e Silvio e le rispettive famiglie si riappacificano, una volta svelato l'inganno di Beatrice, Truffaldino e Smeraldina ottengono il permesso di sposarsi. Il servo scaltro si svela solo per amore della servetta. Ho fatto una gran fadiga, ho fatto anca dei mancamenti, ma spero che, per rason della stravaganza, tutti si siori me perdonerà .

http://www.culturaspettacolovenezia.it/node/12946
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« Risposta #3 inserito:: Settembre 03, 2017, 09:02:01 pm »

I lazzi di Arlecchino

Arlecchino in un'incisione francese

Se gli altri attori erano legati comunque ad un copione da rispettare, almeno nelle sue parti fondamentali, i servi (ovvero gli zanni), avevano generalmente via libera nell'interpretazione dei loro personaggi.

La presenza scenica, i costumi che li caratterizzavano e davano una precisa riconoscibilità all'attore mascherato, obbligavano lo zanni ad usare più il corpo che non la semplice recitazione, come avveniva invece per gli innamorati o il capitano (altri due ruoli fissi nelle compagnie della commedia dell'arte).

Vi erano comunque anche delle parti recitate e delle battute comiche improvvisate nel repertorio classico degli zanni che sono giunte fino ai tempi nostri.

Padre Adriani, un ecclesiastico amante della commedia, isolò, in un suo libro del Seicento, tutta una serie di battute comiche riferite allo zanni napoletano per eccellenza cioè: Pulcinella.
Pulcinella rappresentava nelle compagnie comiche dell'Italia centromeridionale l'alter ego del bergamasco Arlecchino cioè il personaggio del servo sciocco, colui che nel linguaggio della commedia dell'arte veniva definito col nome di secondo zanni, in opposizione al primo zanni che era invece il servo arguto, in Goldoni rappresentato da Brighella.
Il lazzo cioè la battuta comica, lascia spazio ad una libera interpretazione, sia recitativa che corporea, agli zanni. Le varie testimonianze delle commedie dell'arte messe in scena durante tre secoli, cioè i canovacci raccolti spesso da chi assisteva alle commedie (fra le carte di Galileo, ad esempio, sono stati trovati due resoconti di commedie dell'arte alle quali l'astronomo aveva assistito), ma anche di chi le produceva e metteva in scena, sono testimoni di queste parti libere.

La raccolta più nota, sia per la qualità dell'opera che per la fama, quasi leggendaria che avvolge la figura dell'attore-autore-capocomico Flaminio Scala in arte Flavio, è Il Teatro delle Favole Rappresentative che comprende ben 50 canovacci di commedie dell'arte da lui scritte.

Oggi, data la scarsità dei documenti coevi a queste rappresentazioni, dei lazzi rimangono soltanto delle note lasciate alla libera interpretazione degli attori. Ciò che sappiamo è che la parola lazzo deriva probabilmente dall'italiano laccio, ma ci sono due diverse interpretazioni cioè: il lazzo è una battuta che conclude un'azione particolarmente comica quindi nell'accezione di laccio, inciampo, lacciulo o trappola creata dal comico per chiamare l'applauso.

L'altra interpretazione vuole che il lazzo non sia che una battuta, o un siparietto comico, che interrompe una scena per farne partire una nuova come un'allacciatura tra due parti della commedia.

Qualunque fosse la loro origine nello sviluppo dei canovacci rimane soltanto un accenno di ciò che realmente si svolgeva sul palcoscenico. Ad esempio la definizione del “lazzo della mosca” e tutti gli altri tipi di lazzo non sono meglio specificate in senso drammaturgico ma probabilmente ciascun attore aveva un repertorio personale per ciascun lazzo.
Ad esempio proprio il lazzo della mosca è stato interpretato in due modi nettamente differenti, anche se in periodi lontani tra loro; nel primo, il più antico, Padre Adriani riporta una battuta di Pulcinella: Pantalone dice al suo servo Pulcinella di stare attento che nella casa dove c'è la moglie, come sempre giovane e bella, non entri nemmeno una mosca; al suo ritorno trova invece la casa piena di corteggiatori, chiedendo spiegazioni a Pulcinella questo risponde candidamente che non è entrata nessuna mosca bensì uomini.

L'altro lazzo della mosca viene recitato dall'Arlecchino strehleriano Ferruccio Soleri, in questo caso il lazzo è soltanto corporeo, cioè l'inseguimento dello zanni perennemente affamato di una mosca: quando questi la cattura inizia tutta una serie di gag con le quali Arlecchino rivolgendosi al pubblico esprime la sua felicità a gesti e grida di gioia e durante il quale gioca con la mosca stessa prima di mangiarsela.
Donne e secondi Zanni

Da - https://it.wikipedia.org/wiki/Arlecchino
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