Aspettando Godot. Anzi la Rai
Oliviero Beha
Caro Petruccioli, oggi è un piccolo anniversario, forse non esattamente da celebrare ma da commemorare (letteralmente “fare memoria insieme”) certamente sì. Sarà infatti passato un anno da quando attraverso questo giornale le ho inviato una lettera aperta in cui descrivevo come da titolo in prima pagina «La mia giornata da dimenticato alla Rai».
Come allora anche oggi debbo premettere che non si tratta “solo” di un fatto personale, altrimenti non abuserei di questo spazio. Perché il mio interlocutore continua a essere il capo della più importante azienda culturale di comunicazione del Paese. Culturale se ha contenuti culturali da comunicare, di comunicazione se li sa e/o li vuole comunicare. Senza uno dei due corni crolla tutto.
Questo suggerisce una prima domanda. La Rai è ancora un’azienda culturale (di cultura antropologicamente intesa, naturalmente, alta, bassa e a mezz’altezza, non penso per forza a Kant ma a trasmissioni che ci facciano conoscere e capire la realtà circostante)? E ammesso che abbia un contenuto culturale accertato, come lo comunica? Fa cioè girare idee, riflettere le persone che la seguono in tv, alla radio, sul suo teoricamente assai competitivo (cfr. il blog di Beppe Grillo...) sito internet, accrescere la consapevolezza degli italiani dalla politica alla cronaca, dallo sport allo spettacolo grazie ad associazioni logiche e informazione corretta e il più possibile completa, ecc.? Detto ancora più chiaramente: a che serve e a chi serve oggi la Rai?
Lo so, starà pensando che sono domande ingenue, che in qualche maniera ricalcano una serie di interrogativi che le ponevo vanamente già un anno fa proprio qui.
Tra l’altro chiedevo lumi sulla rivisitazione operativa dell’editto di Sofia e del trio espulso felicitandomi per un Santoro fortunatamente di nuovo in video. E nutrivo una certa qual apprensione sul rapporto dell’Azienda con la politica, cioè con i partiti e con le istituzioni che sempre di più mi dicono coincidere addirittura fisicamente quando si è parlamentari, Presidenti di Commissione magari di Vigilanza e Indirizzo sulla Rai e poi Presidenti di quest’ultima come per merito ed avventura è capitato a Lei, Petruccioli.
Ma sono domande che credo continuino legittimamente a formicolare nella mente di molta gente, specie nella mente di uno che non viene impiegato e - come si dice- ha più tempo per pensare. Un anno in più, dunque, trascorso assai diversamente per me e per Lei, cioè per la Rai, cioè per la relazione determinante tra realtà e informazione (formazione? deformazione?) che essa configura.
Prendiamo in due battute il mio, di anno. Come allora, e ormai vado per il quarto anniversario, la mia giornata aziendale è vuota. Sì, parlo con i colleghi e posso testimoniare senza estremizzarlo il loro grado di rassegnazione e impotenza a migliorare le cose, mescolato a un sanissimo, forse troppo sano istinto di conservazione (del lavoro, se c’è, dello stipendio, del “glamour” di far parte della Rai e della sua storia, “glamour” meno accentuato se si tratta della sua cronaca). Fa il paio con i sentimenti più gettonati nel Paese in qualunque campo. Che vuoi fare, va così, è il versetto talmudico sulla fronte italiana sempre più bassa.
Ma anche alla Rai a rischio effetto-Alitalia qualcuno non demorde. Lungi da me dar pagelle, non avendone né la capacità né la vocazione, ma insomma basta prendere ad esempio la sensibilità anche ultimamente dimostrata da Rai Tre e dal Tg3 sul tema politicissimo delle “morti bianche” (e più in generale la programmazione di Rai Educational, per restare alla tv in chiaro che per il Paese del canone è ancora la vera materia prima in discussione) per verificare che queste isole ci sono. E le maestranze, specie di penultima generazione, sono per lo più singoli e gruppi di valore,che se rimotivati (ma non a parole bensì con gli esempi) riporterebbero in auge l’Azienda.
Lo dice benissimo Loris Mazzetti nel suo «Il libro nero della Rai», prefato dall’ora compianto Biagi cui si poteva far passare meglio l’ultimo lasso di vita.
Poi a riempire gli occhi dello scrivente meteco audiovisivo quasi ogni giorno c’è la visita di una o più scolaresche a Saxa Rubra, introdotte a visitare il plastico della struttura neanche fossero i Musei Vaticani. Inquieto come sono per l’immaginario di quei ragazzini, in fondo niente di più che il futuro di questo Paese, cui viene illustrato con sussiego «qui c’è il tal Tg, qui fanno Uno Mattina», cc. senza ovviamente nulla dire di come funziona il meccanismo (non viene spiegato ai loro genitori, figuriamoci ai figli...), una volta ho chiesto a una giovane supplente d’accompagnamento se era interessata a una comparsata - che so - a «La vita in diretta». «Magari», mi ha risposto con una gratitudine sognante. E alè, anche la scuola è sistemata...
Per il resto, veda, Petruccioli, comincio a perdere le speranze che Lei mi riceva, come Le scrivevo un anno fa riferendomi a un appuntamento promesso “ad horas” nel giugno 2006. Nel frattempo ho vinto la terza causa di lavoro e vado per la quarta, ho fatto in tempo a conoscere il Direttore Generale, Cappon, uomo gentile, assai meno buffo di Meocci e mi auguro meno costoso per l’erario e le nostre tasche, ho assistito a qualche tornatuccia di nomine mi dicono con le stesse regole cencellesche, conscio di non essere in grado di carpirne gli “arcana” anche se hanno provato a sbattermeli in faccia, ho fatto qualche altra propostina progettuale che mi ha garantito sguardi di rispetto ma mai risposte,e ho atteso con fiducia la nuova stagione.
Con il ricordo commosso per quando, un paio d’anni fa, di questi tempi mi veniva detto da più parti: «Adesso che Prodi vince le elezioni hai finito di soffrire, vedrai», dove il vedrai aveva una desinenza beneaugurante modello mondovisione. Rispondevo allora che conoscendo i miei polli per me non sarebbe cambiato niente, e comunque che reputavo più che offensivo, un’autentica aggressione concettuale alla mia professione, l’idea che il mio lavoro dipendesse dal risultato elettorale. Se era così, e pare che per la maggioranza sia così, era/è ormai un lavoro finito. O meglio cambiato, essendosi palesemente mutato in altro.
Nel frattempo invece Lei e i vertici aziendali non vi siete annoiati: è stato un Luna Park. Basti pensare, senza andare troppo indietro in quest’anno che ho passato sotto di Lei ma senza di Lei, alla faccenda “Rai-Mediaset”. Chi l’avrebbe mai detto (forse qualche autore di libri che conosciamo entrambi...)?
Eppure è scoppiata. E quando nel turbine della polemica per la disdetta di un invito a un impressionista del Giornale ad Annozero di Santoro,ai primi di novembre,Lei aveva scritto un editoriale su Repubblica dedicato alla Sua «Rai senza censura»? Come essere in disaccordo? Peccato non abbia potuto affrontare il tema con Lei di persona. Glielo dico da qui. Per non parlare poi della saga del Consigliere Nuovo e del Consigliere Vecchio, cioè Fabiani e Petroni, questione che ancora credo turbi l’apice della Rai.
Sempre dal modestissimo ridotto di osservazione che mi è stato riservato, la sensazione ricorrente è che si assista al gioco dei gusci di noce e del pisello. Sa, vero?, i tre gusci (o nove, è uguale ed è anche più facile farlo con un minimo di destrezza da parte dell’Azionista) da ruotare per non far capire sotto quale di essi sia il pisello. Mi domando infatti sotto quale guscio sia ancora l’Azienda, il suo impegno, il suo compito, la sua responsabilità, e soprattutto se ci sia ancora, l’Azienda, dico il suo spirito (la sua “mission”, la sua “vision”... come si esprimono al marketing). Oltre il derby maggioranza-opposizione, intendo, cui siamo tutti avvezzi da sempre o quasi.
Insomma, buon compleanno epistolare, Presidente: mi perdonerà se oso inviarle, da Abate Faria aziendalista non ancora Conte di Montecristo nella sua nicchia priva di ironia, i migliori auguri di buon lavoro.
www.olivierobeha.itPubblicato il: 13.12.07
Modificato il: 13.12.07 alle ore 8.18
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