L’interesse nazionale e le inutili lotte intestine
–di Paolo Pombeni
Forse non è di moda ragionare di interesse nazionale, ma gli avvenimenti degli ultimi mesi avrebbero dovuto indurci a qualche riflessione. Lamentarsi, anche molto rumorosamente, per una certa scarsa valutazione del nostro ruolo a livello internazionale (ma sarebbe bene non esagerare sul tema) può essere comprensibile a patto che ci si chieda come mai ci troviamo in questa difficile situazione. Cavarsela come hanno abbondantemente fatto le varie opposizioni con l’addossare tutte le colpe al governo Renzi e al suo successore Gentiloni fa solo parte del repertorio per cui, si sa, la colpa è sempre del diavolo.
In realtà il nostro Paese soffre dell’immagine che diffonde una politica impegnata per lo più in lotte intestine, senza che ci sia l’occasione per mostrare che, almeno di fronte ad alcune grandi emergenze, si è in grado di lasciar a casa le maschere di parte concentrandosi su quello che è l’interesse del Paese.
Alcuni politici hanno intuito che la gente è più avanti e si chiede come mai la classe politica non riesca a trovare momenti di confronto senza pregiudiziali. Si sarà notato che Renzi ripete sempre più spesso che vuol parlare dei problemi della gente e non “di politica”. Si sarà visto che Berlusconi adotta lo stesso registro ed ora lo ha fatto in modo clamoroso sostenendo la politica del governo sulla missione di appoggio al pattugliamento delle coste libiche.
Il tema del nostro intervento in quelle forme è delicatissimo e richiede certamente una unità nazionale che per una volta sembra arrivare da un buon numero di partiti, ma che deve essere limpida, cioè senza la furberia di mascherarla con il consueto argomento del “finalmente hanno scoperto che avevamo ragione noi”. Il pattugliamento delle acque libiche in contrasto al traffico di immigranti non può infatti essere etichettato come “blocco navale”. Le parole hanno un senso e in quel caso si tratterebbe di una violazione della sovranità libica, per quanto essa sia precaria. Metterebbe in difficoltà Serraj (si è già visto) e non aiuterebbe nessuno.
Nel delicato momento in cui si impostano strategie per contenere i flussi migratori che hanno assunto proporzioni difficilmente gestibili, il Paese deve dare una immagine di unità e di sobrietà. Gli schiamazzi servono solo a peggiorare le nostre possibilità negoziali ed a convincere i partner internazionali che tanto, con un governo a fine corsa con una maggioranza precaria, ci si può permettere tutto.
Il tema della responsabilità della classe politica di fronte a questioni che mettono in gioco la credibilità stessa del Paese è ampio. La vicenda dell’acquisizione da parte di una nostra industria di fatto pubblica della più importante società di cantieristica francese è un altro campanello di allarme. Andavano bene i coreani (poi falliti) non vanno bene gli italiani che, si vocifera, non danno garanzie di affidabilità. Inaccettabile, ovviamente, ma bisogna chiedersi se dietro queste riserve non ci sia la paura di quello che potrebbe succedere col futuro governo che arriverà dopo le elezioni. Se in Francia leggono quello che sta succedendo all’Atac a Roma magari si convincono che Macron ha le sue ragioni per diffidare di un futuro politico incerto.
Gli esempi si possono moltiplicare. La gazzarra parlamentare per il decreto sulle banche venete, gli show sulla revisione dei vitalizi ai parlamentari non aiutano. E lasciamo da parte quanto è successo con la vicenda della riforma della legge elettorale, che certo non ha offerto l'immagine di un parlamento capace di convergere nella ricerca di regole comuni e condivisibili.
Fermiamoci sull’episodio ultimo, il dibattito sulla legge sulla obbligatorietà dei principali vaccini. È triste che in un Paese il fanatismo antiscientifico di frange di popolazione trovi un supporto non circoscritto in parlamento. I rinvii alla “libertà” suonano fasulli: che diremmo se si proponesse di abolire l'istruzione scolastica obbligatoria per lasciare ai genitori la libertà di istruire come credono i propri figli?
In un Paese è necessario ci sia una condivisione di fondo sui grandi temi se ci si vuole presentare sulla scena internazionale con il peso adeguato. Ricordarlo in una fase già preda delle retoriche elettoralistiche è quanto mai opportuno.
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Paolo Pombeni. Paolo Pombeni è professore emerito di storia contemporanea all’ Università di Bologna. E' direttore del Centro Studi per il progetto Europeo (Bologna), Istituto di Studi Avanzati 2010-2012 ...
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