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Autore Discussione: Tommaso Cerno - Cari giudici di Mafia capitale, è l’ora di rileggere Sciascia  (Letto 2908 volte)
Arlecchino
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« inserito:: Luglio 30, 2017, 05:49:23 pm »

Tommaso Cerno

Editoriale

Cari giudici di Mafia capitale, è l’ora di rileggere Sciascia
«Forse tutta l’Italia va diventando Sicilia… E sale come l’ago di mercurio di un termometro, questa linea della palma, del caffè forte, degli scandali: su su per l’Italia, ed è già, oltre Roma… »

Abbiamo risentito la frase italiana per eccellenza: la mafia non esiste. Quella dei tempi d’oro. Quando la politica mangiava con loro e i giornalisti venivano ammazzati. Lo dicono ridacchiando mentre uno ‘Stato cecato’ ha inflitto oltre 280 anni di carcere a un’organizzazione criminale guidata da er Cecato vero, Massimo Carminati. Con una sentenza che ripulisce Roma dal lordume. Fra le risatine di avvocati entusiasti per avere mandato in galera i loro assistiti. Ridono perché questa è una sentenza pesante, ma che mostra una visione vecchia della mafia. E fa sembrare loro dei giuristi. Mentre ripetono quello che i mafiosi dicono dal carcere: la mafia non c’è. Un limite culturale dello Stato. Pur con sostanziali passi avanti rispetto agli anni delle assoluzioni choc, degli indulti a comando.

Diciamo che qualcuno dovrebbe rileggersi Leonardo Sciascia. Se si ricorda chi sia. Denunciava già nel 1961 questa tendenza italica, quella di non sapere o volere adattare alla modernità la criminalità organizzata che cambia metodi e modi con maggiore velocità rispetto al codice penale: «Forse tutta l’Italia va diventando Sicilia… E sale come l’ago di mercurio di un termometro, questa linea della palma, del caffè forte, degli scandali: su su per l’Italia, ed è già, oltre Roma… ». A distanza di mezzo secolo da questa profezia, il tribunale infligge pene severissime ai criminali che avevano messo le mani su Roma, ma non cancella la parola “Forse” dalla più celebre citazione de “Il Giorno della Civetta”.

E la mafia certamente ha ascoltato dalle sue lorde tane e dalle sue latitanze. Perché può stare certa che in un Paese come il nostro, invischiato in decine di scandali e omicidi, attovagliato spesso con loschi figuri, affermare in nome del popolo italiano che non solo non siamo riusciti a sconfiggere le mafie storiche, ma siamo stati capaci di farne crescere una nuova, nel cuore di Roma, già graziata ai tempi della Banda della Magliana, è roba troppo grossa per il nostro Stato. Lo sappiamo da anni.

I quattro re di Roma
Carminati, Fasciani, Senese e Casamonica. Ecco i boss che si sono spartiti il controllo della città. Mettendo a freno omicidi e fatti di sangue troppo eclatanti per garantire il silenzio sui propri traffici
Una cosa buona c’è. L’organizzazione criminale di er Cecato, di quel Massimo Carminati, ex terrorista nero, viene smantellata da una condanna pesantissima. È un passo avanti. Ma non basta. L’organizzazione messa sotto i riflettori dall’Espresso nel 2012, quando Roma faceva finta di non conoscere quel signore che se ne stava seduto in un distributore di benzina facendo piedino a un pezzo di politica di tutti i colori, con lo stesso sguardo immobile che tenne durante il processo Pecorelli al fianco di Andreotti, va dietro le sbarre.

Va detta una cosa: in Italia erano in molti a volersi levare di torno Carminati, come è stato, ma a non voler scoperchiare il marcio che nasconde quel suo mondo di mezzo. Sembra che la giustizia vada avanti, però a piccoli passi. Stavolta le pene ci sono, ma c’è pure l’ennesimo rinvio della grande questione che tiene impalata l’Italia.

Siamo in grado di capire che la mafia non porta più la coppola, non usa i pizzini né carica la lupara? Non è facile.

Per questo dico senza paura che questa condanna non è il migliore regalo di Stato alla memoria di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino nell’anniversario delle stragi. E ci costringe a rileggere parole che risuonano come una oscura profezia, anche se stentano a prendere vita dentro un’aula di giustizia. La mafia non è un demone, è normalità. Non è sangue, è aria che respiriamo: «Una associazione per delinquere, con fini di illecito arricchimento per i propri associati, e che si pone come elemento di mediazione tra la proprietà e il lavoro; mediazione, si capisce, parassitaria e imposta con mezzi di violenza». Lo scrisse Sciascia, appunto, nel 1957. Quando quei giudici erano bambini o nemmeno erano nati. Lo scrisse in nome suo. Incurante di loro. Prima o poi lo riscriveranno anche i giudici in una sentenza. In nome del popolo italiano. Quello che può vincere contro gli uomini, i mezz’uomini, gli ominicchi, i (con rispetto parlando) pigliainculo e i quaquaraqua.


Forse tutta l’Italia va diventando Sicilia… A me è venuta una fantasia, leggendo sul giornale gli scandali di quel governo regionale: gli scienziati dicono che la linea della palma, cioè il clima che è propizio alla vegetazione della palma, viene su, verso il nord, di cinquecento metri, mi pare, ogni anno... La linea della palma... Io invece dico: la linea del caffè ristretto, del caffè concentrato... E sale come l’ago di mercurio di un termometro, questa linea della palma, del caffè forte, degli scandali: su su per l’Italia, ed è già, oltre Roma».
Leonardo Sciascia, Il giorno della civetta, 1961

20 luglio 2017© RIPRODUZIONE RISERVATA

Da - http://espresso.repubblica.it/opinioni/editoriale-cerno/2017/07/20/news/cari-giudici-di-mafia-capitale-e-l-ora-di-rileggere-sciascia-1.306517?ref=RHPPLF-BH-I0-C8-P2-S1.8-L
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« Risposta #1 inserito:: Agosto 16, 2017, 08:54:46 am »


Tommaso Cerno

La polemica sulle Ong, le critiche a Minniti.
Il Pd cade nella trappola della destra che vuole trattare i profughi come un'emergenza.
Mentre è il fenomeno globale su cui si gioca la sopravvivenza dei progressisti

I valori migranti della sinistra in stato di choc

Su Twitter devono avere scoperto che l'essere umano da circa tremila anni discute, magari non in chat, del dualismo fra Giustizia e Legge. La solo apparente antinomia fra l'uso della forza da parte di uno Stato per ragioni pratiche e il più alto dovere dell'Uomo di immaginare e realizzare un mondo senza ingiustizie. Si tratta di una dicotomia antica, di non difficile comprensione, in virtù della quale schierarsi con “Medici senza frontiere”, come Roberto Saviano e, poi, molti altri hanno fatto, dovrebbe essere un automatismo, soprattutto a sinistra. Eppure, al tempo stesso, non crea un reale conflitto con la scelta - per me inutile, prima ancora che dannosa - del ministro Marco Minniti e del suo codice.

Riassumendo: il capo dell'Interno impone alle Ong di imbarcare poliziotti armati, esercitando - in modo un po' spiccio, se vogliamo - il cosiddetto diritto positivo (dal latino positum, non vuol dire che è buono), ovvero la forza che uno Stato utilizza su un territorio attraverso le norme per un dato fine. In questo caso la presunta sicurezza dei mari. Ma ecco che Minniti si sente rispondere di no proprio dalle Ong come Medici senza frontiere, quelle cioè che non hanno nulla da nascondere né a lui né ad altri e che, pur nel rispetto delle regole, lavorano per una più alta idea di Giustizia, come spiega il filosofo Roberto Esposito. È così normale che l'ennesimo scontro fra tifoserie in Italia sembra assurdo. Ma il fatto più grave è che ci sia cascata la sinistra. Caduta nella trappola della destra che vuole trattare la questione mediterranea (discutendo, fra l'altro, di una Ong tedesca marginale nelle dinamiche che investono oggi la Libia) come un'emergenza. Visione dal fiato corto.

I retroscena esclusivi dell'attentato di Manchester, con nuovi dettagli sui mandanti e sulla strategia scoperti dall'Fbi; Roberto Saviano racconta ai lettori cosa è e cosa fa Medici senza Frontiere e perché oggi come non mai è importante stare dalla sua parte, insieme alle analisi di Fabrizio Gatti e Roberto Esposito che spiegano perché le Ong sono diventate così "scomode". Il direttore Tommaso Cerno racconta cosa trovate sul numero in edicola da domenica 13 agosto
   
Al contrario, la grande migrazione di inizio millennio non è nemmeno cominciata. E capire questo, cercando i contenuti e i tavoli giusti per discuterne, con soluzioni che anelino alla Giustizia, è il campo su cui si giocherà l'esistenza stessa di una sinistra in Europa nei prossimi decenni. Invece già si arranca adesso, litigando fra Minniti, Del Rio e Salvini (con tutto il rispetto per i tre), anziché renderci conto che in gioco c'è il senso da dare in futuro alla Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, che afferma la circolazione degli “human being”, oggi di fatto negata per ragioni economiche e geopolitiche, fino a costringere dei volontari in nave a sostituirsi all'Occidente che dopo la Seconda guerra mondiale s'era erto a garante dei diritti.

Se la sinistra non fa questo salto, significa che ha fretta di soccombere, come ha già scritto Ezio Mauro su Repubblica.

Inutile aggiungere che il ritornello della “fuga dalle guerre” per quietare gli animi degli elettori spaventati è un rifugio temporaneo. La sinistra non ne uscirà aprendo o chiudendo un porto, ma spostando il timone sui valori fondanti del suo nucleo: l'uguaglianza fra le persone.

E in tema di migranti anche la guerra è una scorciatoia. Sappiamo bene, da molti anni, che in molti paesi non sono in corso conflitti armati, ma la causa che spinge gli “human being” ad abbandonare la propria terra è un nuovo tipo di invasione e, quindi, di guerra: il land grabbing. Una guerra che mette il “centro del mondo” contro le sue periferie, quasi una nemesi della crisi delle nostre città ormai divise in due blocchi sociali. Un fenomeno che ha assunto dimensioni rilevanti a partire dal 2007, l’anno della crisi dei prezzi dei prodotti agricoli. Speculatori soprattutto cinesi cercarono e trovarono nuove terre su cui insediare produzioni intensive di beni primari come prodotti agricoli e biodiesel. È per questo che l’Africa subsahariana e centrale sono diventate “terre di conquista”. Con le multinazionali che esercitano pressioni sui governi dietro la promessa di acquedotti e strade, ospedali e scuole.

Non è un tema di cui si parla a Palazzo Chigi. Che Minniti ci sia o che diserti il Cdm. Eppure è ciò di cui si dovrebbe parlare. E da cui dipende la vita di quelle persone. E il futuro della sinistra.

11 agosto 2017© RIPRODUZIONE RISERVATA

Da - http://espresso.repubblica.it/opinioni/editoriale-cerno/2017/08/09/news/ragion-di-stato-e-valori-migranti-della-sinistra-in-stato-di-choc-1.307791?ref=HEF_RULLO
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« Risposta #2 inserito:: Settembre 25, 2017, 12:01:59 pm »

Il golpe di latta e la vera partita sulla giustizia
Nel 2018 ci saranno le elezioni politiche e quelle per il rinnovo del Csm.

Così politica e giustizia ancora una volta si trovano intrecciate.
Mentre l'esplosione del caso Consip è solo l'ultima conseguenza di riforme mai fatte per ragioni di convenienza

Una coincidenza inquietante aleggia sul 2018. L’anno delle elezioni politiche, quando si sceglierà il parlamento del Paese, coinciderà con il rinnovo del Csm, l’organo di autogoverno dei giudici. Due campagne elettorali parallele, due poteri dello Stato che sulla carta sono separati e che, fatalmente, si intrecciano. Imponendo una domanda: perché politica e giustizia sono così legate fra loro anche dopo l’era di Berlusconi? Una prima risposta è celata nel caso Consip, una normale inchiesta divenuta “prodotto derivato” del berlusconismo d’antan, simboleggiato dalla bufera sul presunto golpe - di latta - contro Matteo Renzi e papà Tiziano, roba che fa sorridere il Paese che ancora oggi finge di indagare su Ustica e su Moro.

Sa bene Renzi e sappiamo noi tutti che il problema della giustizia in Italia è un altro. E non riguarda né Consip né gli appalti pubblici che hanno trascinato, a ragione o a torto, il babbo dell’ex premier e una conventicola di toscani amici suoi nella bufera, con la successiva scoperta che in un mucchio di carte senza rilevanza processuale qualcuno (per ragioni da definire) avrebbe sistemato una trappola. E questa trappola sarebbe scattata per un paio di poliziotti “esagitati” o qualche magistrato “smemorato”. Il problema vero è l’effetto che tutto questo produce: rimettere in corsa la politica e il tentativo che la destra fa da anni - e la sinistra comincia a guardare con meno sospetto - di utilizzare il clima generale per una “controriforma della giustizia”, che porterebbe l’Italia indietro. Il rischio non è Consip, dunque, ma che nessuno fermi questa deriva, perché la giustizia è il vero, contorto nodo irrisolto a sinistra del ventennio berlusconiano. Una mancanza grave e dolosa, che oggi si rivolta contro il Paese, quello dove una politica forte avrebbe il dovere di agire subito. Perché non lo fa? Ci sono una ragione politica e una storica. Quella politica è l’effetto prodotto dallo scontro su Consip: il Pd - nel nome di chissà quale disegno eversivo contro se stesso, autore delle nomine da cui partono poi le accuse - finisce per rispolverare gli slogan di Berlusconi, confondendo “privacy” con “impunità”.

Un'inchiesta sul sistema giudiziario malato in copertina sul nuovo numero dell'Espresso: la lettera aperta al ministro Orlando di Lirio Abbate, la guerra delle toghe di Marco Damilano, le assurde lungaggini dei processi di Paolo Biondani sono tra i servizi di prima pagina. E ancora l'ingrandimento sull'ignoranza dei politici e Vatileaks atto terzo, dove Emiliano Fittipaldi svela la nuova guerra dietro le carte uscite dalle Mura Leonine. Dal 24 settembre #domenicaEspresso

È vero che ci sono stati errori. Così come è capitato che alcuni inquirenti abbiano sbagliato in passato, usando male il potere enorme che avevano, ma - se è vero anche che la sinistra non sottomette l’interesse generale a quello del singolo - tali errori non possono diventare la giustificazione morale a una controriforma che riscrive la parola “garantismo” a uso e consumo dei potenti.

Renzi, premier o no, dovrebbe opporsi a questo e rispondere a due banali domande politiche su Consip: chi e perché ha informato papà Tiziano dell’indagine? Perché al vertice della società ha piazzato tal Marroni Luigi, personaggio che ha rapporti con la vita precedente di Renzi nella sua Toscana?
Non rispondere e barricarsi nel complottismo genera il più berlusconiano dei cortocircuiti: non si potrà nemmeno stavolta discutere davvero di giustizia in Parlamento, perché ci sono di mezzo gli affari del Capo.

Arriviamo così alla ragione storica: questo impasse non avviene per colpa di Ultimo o Woodcock (uno dei due pagherà il conto), né dei giornali e delle loro inchieste, ma avviene perché il centrosinistra - per convenienza politica - non ha affrontato il nodo giustizia quando ne aveva la possibilità. Persuaso forse che un Berlusconi sotto scacco fosse la via migliore per indebolirlo. E creando una contaminazione virale anche all’interno del Pd, che oggi somiglia in certe affermazioni ai berluscones dei tempi che furono.

La giustizia, tuttavia, è un Moloch proprio quando la politica è più debole. Per evitare di esserne ostaggio, Renzi e il Pd dovrebbero fare l’opposto di ciò che gli converrebbe sul breve periodo. Promuovere una riforma che affermi il dovere e il potere di indagare e il diritto di sapere cosa fa il Palazzo, rapidamente e nel rispetto della presunzione di innocenza.

Da questa prospettiva, la polemica su Consip appare pretestuosa da qualunque parte la si guardi. Perché l’unico effetto che ha è mescola re ancora di più due ingredienti, politica e giustizia, che sono benefici se tenuti separati quanto nocivi se mischiati. Capaci di generare un’esplosione che apre nuovi spazi di impunità laddove il Paese chiede al contrario severità, rigore e certezze.

Twitter @Tommasocerno
22 settembre 2017© RIPRODUZIONE RISERVATA

Da - http://espresso.repubblica.it/opinioni/editoriale-cerno/2017/09/22/news/il-golpe-di-latta-e-la-vera-partita-sulla-giustizia-1.310457?ref=HEF_RULLO
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