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Autore Discussione: Francesco RADICIONI. Addio a Liu Xiabo, il Nobel dissidente  (Letto 2273 volte)
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« inserito:: Luglio 18, 2017, 05:01:27 pm »


Addio a Liu Xiabo, il Nobel dissidente
L’attivista cinese è morto ieri in ospedale a 61 anni. Da Tiananmen a Charta ’08 ha sfidato il regime chiedendo riforme democratiche.
Il Comitato di Oslo: Pechino è responsabile per la sua fine

Pubblicato il 14/07/2017

Francesco Radicioni
Pechino

Tutta la vita di Liu Xiaobo è stata quella di un uomo in rivolta. Intellettuale, attivista democratico e premio Nobel per la Pace. Nel dicembre 2008, quando la polizia va ad arrestarlo per l’ultima volta, Liu sta lavorando a Charta ’08. Solo due giorni dopo sarebbe stato reso pubblico questo manifesto politico che - fin dal nome - trae ispirazione da Charta ’77, il documento dei dissidenti nella Cecoslovacchia sotto l’influenza sovietica. «La Cina deve andare verso un sistema di libertà, di democrazia, di stato di diritto». 

Centinaia di accademici e attivisti cinesi hanno firmato il documento in cui si chiede a Pechino di garantire quei diritti che nella Repubblica Popolare rimangono tabù: fine del monopolio politico del Partito Comunista, separazione dei poteri, libertà di espressione e una riforma costituzionale in senso federale. Per le autorità cinesi è troppo. Il giorno di Natale 2009 - al termine di un processo che dura una manciata di ore - Liu Xiaobo viene condannato a 11 anni di carcere con l’accusa di «incitamento alla sovversione dei poteri dello Stato». Nel 2010 il comitato di Oslo assegna a Liu Xiaobo il premio Nobel per la Pace: un riconoscimento per la «lunga e non-violenta battaglia per i diritti umani fondamentali in Cina». L’ira di Pechino si abbatte sul Nobel. Definisce il premio a Liu Xiaobo «un grave errore» e annuncia ripercussioni nelle relazioni con la Norvegia. A monito per le altre capitali europee, i rapporti con Oslo vengono congelati per alcuni anni. 

Nonostante gli appelli internazionali, la Cina non consente a Liu Xiaobo di uscire dal carcere neanche per andare a ritirare il premio: alla cerimonia di consegna l’attivista è rappresentato da una sedia vuota. Intanto, a Pechino, finisce agli arresti domiciliari Liu Xia, sua moglie, sebbene nei suoi confronti non siano mai state mosse delle accuse formali. 

Le radici dell’attivismo democratico di Liu Xiaobo devono però essere cercate indietro nel tempo. Pechino, metà degli Anni 80. Liu è un giovane docente di letteratura all’Università Normale in un periodo in cui il mondo accademico cinese ribolle di dibattiti e idee. Quel professore è capace d’incantare i ventenni perché parla con audacia e passione di politica, in una Cina da poco uscita dalla Rivoluzione culturale di Mao. È polarizzante. Una volta disse che «le principali guerre combattute dagli Stati Uniti sono tutte eticamente difendibili». Nel conflitto in Medioriente sceglie di stare dalla parte di Israele. 

Nella primavera del 1989 Liu sta facendo ricerca a New York, quando a Pechino gli studenti marciano su piazza Tienanmen per chiedere democrazia. Il professore non perde tempo e fa rientro a Pechino per partecipare alle manifestazioni. Dopo l’imposizione della legge marziale, tenta una mediazione in extremis con l’esercito per consentire agli studenti di lasciare la piazza prima che - nella notte tra il 3 e 4 giugno 1989 - scatti la repressione. «Se non fosse stato per Liu e per pochi altri - ricorda la giornalista Gao Yu - quella notte il bagno di sangue avrebbe avuto dimensioni maggiori».

Per il ruolo avuto nella primavera di Pechino, le autorità condannano Liu Xiaobo a quasi due anni di carcere per «propaganda contro-rivoluzionaria». Quando esce di prigione l’Australia gli offre asilo politico. Liu rifiuta di lasciare il Paese, per continuare la sua battaglia per la democrazia in Cina. 

È nei circoli degli artisti della Pechino degli Anni 80 che, oltre alla politica, Liu Xiaobo incontra la compagna di tutta una vita. Anche Liu Xia è un’intellettuale: poetessa e con una solida famiglia alle spalle. Nel 1996 vanno a vivere insieme. Pochi mesi dopo per Liu Xiaobo si aprono le porte di un campo di lavoro per alcuni suoi scritti su Taiwan. L’amore tra la poetessa e il «nemico dello Stato» resiste e la coppia si sposa mentre Liu Xiaobo sta scontando questa nuova condanna a tre anni. «Xia è stata provata - fisicamente ed emotivamente - da questi anni trascorsi lontano dal marito e sotto l’invadente presenza della polizia cinese», raccontano gli amici. «Questa è però la vita che Liu Xiaobo ha continuato a scegliere, anche quando la paura e la corsa al denaro riduceva al silenzio un’intera generazione di attivisti democratici in Cina». Il 26 giugno era stato scarcerato per permetterne le cure in ospedale. Nei giorni scorsi Usa e Germania aveva fatto un appello per permettergli di essere curato all’estero, ma Pechino non ha ceduto. Lo avevano anche visitato due dottori stranieri.

La notizia della sua morte ha infiammato i social network. I leader del movimento di Tiananmen hanno duramente condannato il governo cinese: «Spero che il mondo ricordi per sempre come il partito comunista cinese, questo nuovo gruppo nazista, abbia brutalmente torturato a morte Liu Xiaobo», ha scritto su Facebook, uno dei leader del movimento studentesco del 1989, oggi in esilio negli Usa. Anche il Comitato per il Nobel ha puntato il dito contro Pechino: «Il governo cinese ha la pesante responsabilità della morte prematura di Liu». Il segretario di Stato Usa Tillerson ha invece chiesto di liberare la vedova Xia «consentendole di lasciare la Cina, un desiderio che ha già espresso».

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Da - http://www.lastampa.it/2017/07/14/esteri/addio-a-liu-xiabo-il-nobel-dissidente-hnFmvh6SDBevIfiFJdv3qO/pagina.html
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