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Autore Discussione: Alberto Mingardi. Baronessa della libertà. Un ritratto di Madame de Staël ...  (Letto 1847 volte)
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« inserito:: Luglio 16, 2017, 04:31:17 pm »

SCIENZA E FILOSOFIA
Libertà in cerca di consenso

–di Alberto Mingardi 15 luglio 2017

Baronessa della libertà. Un ritratto di Madame de Staël (1766-1817)

«Ci sono tre grandi potenze in Europa: l’Inghilterra, la Russia e Madame de Staël». Germaine de Staël moriva il 14 luglio del 1817. La sua vita è un tale romanzo che la tentazione di raccontarlo torna ciclicamente. «Non c’è vulcano al mondo che faccia più fiamme di lei», diceva Benjamin Constant. L’invenzione del romanticismo, gli intrighi a favore di Narbonne e di Talleyrand, l’astio di Napoleone e l’amicizia coi fratelli Bonaparte, i viaggi in Inghilterra e in Russia, gli amori travagliati, una rete di relazioni che andava da Goethe a Wellington: un giorno, il copione planerà sul tavolo di un regista all'altezza.

Quest’alluvione di vita rischia però di sviare l’attenzione degli studiosi: il personaggio storico fa ombra allo scrittore, e lo scrittore fa ombra al pensatore politico. Perciò è particolarmente prezioso il nuovo libro di Biancamaria Fontana, storica del pensiero che insegna all’Università di Losanna, Germaine de Staël. Fontana si concentra sugli anni della Rivoluzione, quando Germaine, poco più che ventenne, assisteva ai lavori dell’Assemblea e operava come una sorta di segretario parlamentare informale per la fazione “costituzionale”: i fautori di una monarchia costituzionale sul modello inglese.

Il padre, Jacques Necker, banchiere ginevrino che fu direttore delle finanze di Luigi XVI, aveva descritto l’opinione pubblica come una forza onnipotente, «paragonabile alla prerogativa regia». Necker, “tre volte sull’altar”, fu richiamato dal re dopo la presa della Bastiglia e, fidando troppo proprio nell'opinione pubblica, venne poi travolto dalle dinamiche democratico-assembleari. Germaine desiderò sempre vendicare la caduta del padre («Madame de Staël era la figlia di Jacques Necker. Questo fu il fatto saliente della sua vita»: così comincia l’Amante di un secolo di Christopher Herold). Maturò anch'essa un’attenzione particolare al tema del consenso, senza illudersi sulle possibilità di raggiungere l’unanimità.

Nell’agosto del 1791, de Staël pubblica un articolo in cui si chiede «Da quali segnali possiamo dire quale sia l’opinione della maggioranza della nazione?». L’opinione pubblica è un po’ il deus ex machina di certo liberalismo. Una più ampia alfabetizzazione, la libera circolazione delle idee, la disponibilità a vasto raggio di gazzette che trattano temi politici, insomma: Internet prima di Internet, dovrebbero bastare perché si faccia strada una visione condivisa del bene pubblico. Che a sua volta dovrebbe coincidere con il mutuo riconoscimento di un certo grado di libertà.

Mentre l’illuminismo di massa produce intolleranza, De Staël ragiona sulla volubilità dell’opinione pubblica, che va a rimorchio degli scandali, delle voci dal sen fuggire, delle fake news. L’opinione pubblica è un campo di battaglia, sul quale i giacobini vincono in virtù di un’organizzazione più efficiente.

Anche per questo, De Staël prima e più di altri riflette sui partiti politici, sul ruolo dell’esecutivo, sull'importanza simbolica della monarchia e sul vuoto che essa può generare: un vuoto destinato ad essere riempito, o da uno Stato onnipotente o da un’altra figura che sappia caricare su di sé una speranza di stabilità (le cose andarono più o meno così).

Il pensiero De Staël è dominato dalla Rivoluzione (come poteva essere altrimenti?). Deve spiegare il fallimento della corrente che da principio sembrava dovesse trionfare, aggiornando le istituzioni francesi all’esempio britannico.

In parte gli esiti della Rivoluzione furono la conseguenza del prevalere di homines novi, impreparati a una sfida di quelle proporzioni. In parte s’impose un’idea astratta: il desiderio di spazzare via tutto, per ricostruire un Paese da zero. In Della letteratura, De Staël sottolinea anche «l’incapacità degli uomini politici di parlare chiaramente e onestamente ai propri elettori, la mancanza di discussione e persino di un linguaggio comune tra i partiti, la conseguente impossibilità di un dibattito costruttivo».

Ci fu, soprattutto fra i moderati, un problema di talenti e individualità. «La rivoluzione francese si è contraddistinta per la sorprendente assenza di personalità eminenti. Più che dagli uomini, ha seguito la direzione invisibile di concetti e principi astratti». Queste idee astratte riuscirono con facilità a incendiare gli animi, anche perché in campo moderato mancavano individualità davvero rilevanti. «L’opinione dei moderati può essere ragionevole e saggia, ma il loro carattere dev’essere audace».

Questo proprio perché De Staël pensa che anche la più abile ingegneria costituzionale non può fare a meno di una certa legittimità: che le idee liberali non possono prescindere dal consenso.

Nelle Riflessioni sulla pace interna, de Staël, come farà poi Constant, guarda alla libertà come libertà dei moderni: «L’unità della nazione sotto la repubblica deve fondarsi sulla diffusa richiesta di libertà: non, tuttavia, la libertà patriottica e partecipativa ispirata al modello delle repubbliche antiche». Quest’idea di libertà come privatezza, come spazio protetto dalle interferenze pubbliche, fatica a trovare una legittimazione che sorregga le istituzioni che la rendono possibile.

Sostiene Biancamaria Fontana che «l’aspetto più interessante della carriera di Madame de Staël non è la sua fedeltà a un ristretto numero di concetti relativamente astratti – la libertà, il progresso o la moderazione – bensì il fatto che fosse consapevole degli effetti limitati che tali concetti possono esercitare sulla realtà». De Staël «sosteneva il governo rappresentativo come regime in grado di favorire i talenti, pur sapendo che era probabile che gli elettori scegliessero personalità volgari e corrotte. Discuteva gli aspetti tecnici delle costituzioni, ben sapendo che la loro efficacia dipendeva in ultima istanza dagli umori del popolo. Difendeva la libertà di stampa, osservando con orrore il fiume di inutile ciarpame che questa libertà inevitabilmente produceva». Il frenetico attivismo politico, la generosità della corrispondenza, l’insaziabile desiderio di non risparmiare neanche un gesto per la causa della libertà non intaccarono mai la lucidità di Germaine De Staël. Che tutt’oggi meriterebbe qualcosa di più che essere ricordata. Meriterebbe di essere letta.

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