La rivoluzione del latte crudo per il Cheese del ventennale
Niente formaggi pastorizzati nell'undicesima edizione in settembre a Bra
Segnale forte. Cheese si aprirà con gli stati generali del latte crudo.
Per Petrini è «un segnale politico forte in difesa di un modello produttivo artigianale, e dunque di eccellenza, e anche a tutela della biodiversità»
Pubblicato il 28/06/2017 - Ultima modifica il 28/06/2017 alle ore 07:25
Maurizio Tropeano
Torino
«Mettiamola così. Se io ho un animale sano - e i miei lo sono - non ha senso che io debba pastorizzare il latte crudo per poi inserire degli ingredienti chimici per ottenere il formaggio. Posso farlo naturalmente. E sinceramente se sono in un alpeggio a duemila metri vorrei che qualcuno mi spiegasse la logica di pastorizzare quel latte? Farlo vorrebbe dire cancellare parte della storia e della tradizione di queste terre e anche andare contro natura». Andrea Bezzi, a cinque mungeva le vacche insieme al padre sui monti della Val Camonica. Adesso ne ha 48 e dopo un passato sportivo è tornato dell’azienda di famiglia che ha convertito al biologico. Si può considerare un partigiano del latte crudo - «è sano, chi dice il contrario lo fa solo per speculare» - del resto basta salire alla malga di famiglia in Case di Viso, a 1763 metri. Una manciata di case di pietra ben tenute, niente luce elettrica, niente parabole, zero inquinamento, montagna allo stato puro. Non a caso ha ottenuto il riconoscimento di patrimonio dell’umanità da parte dell’Unesco: «Tutti i profumi e i sapori di queste vallate le ritrovi poi in tutti i prodotti che fai».
Jerome Pfister, invece, è arrivato a Mombaldone, in provincia di Asti, insieme ai genitori nel 1991 dalla zona di Zurigo. I suoi genitori hanno iniziato una lunga marcia alla scoperta del latte crudo - lo impone il disciplinare del consorzio Dop della Robiola di Roccaverano - finita l’altro giorno con la consegna del premio del pubblico per il miglior Roccaverano. Racconta: «Per i miei all’inizio non è stato facile scoprire i segreti dei contadini del luogo. C’è voluta pazienza e anche sperimentazione. Sinceramente credo che l’unico modo di lavorare il latte caprino sia a crudo».
C’è un filo rosso che lega queste due realtà e che arriva fino agli Stati Uniti: Slow Food. Nel 1999 per la prima volta Cheese dedicò un laboratorio del gusto ai formaggi tradizionali americani. Negli Stati Uniti la vendita dei formaggi a latte crudo stagionati a meno di 60 giorni è illegale ma da allora si è sviluppato un movimento di casari attenti alla qualità e alla territorialità che nel 2007 si sono dati un rigidissimo disciplinare da cui è nato il presidio Slow Food «e questo ha portato ad un incremento della produzione di formaggi americani», scherza Carlin Petrini. Gli States, dunque, saranno di nuovo ospitati dell’edizione numero 11 che si svolgerà a Bra dal 15 al 18 settembre.
L’edizione del ventennale, però, segna anche il passaggio di un confine: per la prima volta, infatti, non ci sarà spazio per i formaggi prodotti dal latte pastorizzato. Probabilmente ha ragione Bezzi quando afferma che «la gente sta iniziando a svegliarsi forse perché ha capito che il cibo è la miglior medicina». Molto però resta da fare «per dissipare - spiega Petrini - le troppe diffidenze e i lacci legali e burocratici che in tante aree del mondo continuano a frapporre ostacoli in nome di una visione falsamente iper-igienista che impedisce di realizzare uno dei tratti essenziali della biodiversità».
E così rischiano di scomparire produzione storiche perché chi «decide di produrre, seppur nel rispetto delle normative, va incontro ad una vita di casaro resistente con controlli infiniti e distruzione del prodotto perché il latte crudo è considerato pericoloso, fa paura», spiega Pietro Sardo, responsabile scientifico di Cheese. Ecco perché l’evento si aprirà con gli stati generali del latte crudo. Per Petrini è «un segnale politico forte in difesa di un modello produttivo artigianale, e dunque di eccellenza, e anche a tutela della biodiversità».
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