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Autore Discussione: Giacomo Bottos La fortuna di Croce fuori d'Italia Croce e Gentile (2016).  (Letto 4331 volte)
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« inserito:: Giugno 25, 2017, 05:45:20 pm »

La fortuna di Croce fuori d'Italia
Croce e Gentile (2016)

Di Giacomo Bottos
La fortuna di Croce fuori d’Italia

Se il pensiero e l’opera di Croce sono spesso associati alla specifica vicenda italiana (in relazione al giudizio di una provincialità spesso imputata allo stesso Croce), la sua fortuna all’estero è stata tutt’altro che trascurabile, anche se non omogenea.

A causa della natura multiforme dell’opera crociana, per valutarne la fortuna, oltre a tener conto di traduzioni, recensioni e articoli editi nei vari Paesi, occorre prestare attenzione al ruolo svolto dai rapporti personali che Croce intrattenne con specifiche figure intellettuali. Alcuni di essi furono particolarmente duraturi e intensi, e gli interlocutori di Croce operarono come mediatori e influenzarono la ricezione stessa dell’opera crociana. Per citare solo tre nomi, che assumono valore paradigmatico, possiamo ricordare Karl Vossler, Robin George Collingwood e Georges Sorel, che ebbero intensi rapporti, anche epistolari, con Croce. Ma molti altri potrebbero essere menzionati.

Nonostante vi siano riscontri della ricezione delle opere di Croce in molti Paesi (Ungheria, Paesi scandinavi, Sud America, Giappone), in questo contributo ci si concentrerà sulla fortuna di Croce nei principali Paesi europei (Germania, Francia, Gran Bretagna, Spagna) e negli Stati Uniti. La polemica sulla crisi del marxismo, per il suo carattere specificamente internazionale e per essere legata allo specifico ambiente del socialismo, verrà trattata a parte.

La polemica sulla crisi del marxismo
Fu Antonio Labriola, in una lettera dell’11 gennaio 1896, a fare a Sorel il nome di Croce come possibile collaboratore del «Devenir social» (cfr. A. Labriola, Lettere a Benedetto Croce. 1885-1904, a cura di L. Croce, 1975, pp. 91-92), dando origine a una collaborazione tra Sorel e Croce che portò in primo luogo alla pubblicazione sulla rivista francese di tre articoli del filosofo napoletano: Les théories historiques de M. Loria (1896, 11, pp. 881-905), Essai d’interprétation et de critique de quelques concepts du marxisme (1898, 2, pp. 97-126 e 233-50) e Le livre de M. Stammler (1898, 11, pp. 804-16; cfr. B. Croce, Materialismo storico ed economia marxistica, 1900, 19275, p. VII); tuttavia Sorel, con una lettera del 14 gennaio 1896 (Lettere a Benedetto Croce, a cura di S. Onufrio, 1980, p. 34), aveva rifiutato il primo articolo di Croce – sul comunismo di Tommaso Campanella – per via delle critiche a Paul Lafargue, genero di Karl Marx e uno dei fondatori della rivista.

Le posizioni di Croce acquisirono rilevanza nell’ambito del dibattito europeo sulla crisi del marxismo che esplose intorno alle prese di posizione di Eduard Bernstein. Probabilmente Bernstein fu direttamente influenzato dagli scritti crociani. Pur avendo sviluppato autonomamente alcuni «elementi di pensiero [...] la maniera con la quale Bernstein combina questi elementi risale nelle parti essenziali, appunto a Croce» (B. Gustafsson, Marxism och revisionism [Marxismo e revisionismo], 1° vol., 1969; trad. ted. 1972, p. 216). Bernstein poté consultare gli scritti sul «Devenir social» e ne ricevette in seguito alcuni direttamente dall’autore, inviati su incitamento dello stesso Labriola (Lönne, in L’eredità di Croce, 1985).

L’importanza dell’attività di Croce come critico della teoria marxistica ottenne diversi riconoscimenti, come quello, attribuito a Charles Andler, formulato in una recensione richiamata anche nella prefazione alla seconda edizione (1907) di Materialismo storico ed economia marxistica: «Nessuno avrà più il diritto di parlare di Marx senza essersi fatto un’opinione sui suoi saggi»; «sicuramente, il sig. Croce ha scoperto nel marxismo un errore grossolano, cioè la deduzione della caduta del tasso d’interesse; e il terzo volume del Capitale ne esce completamente distrutto» («Notes critiques. Sciences sociales», 10 marzo 1900, p. 77).

Croce in Germania
Il rapporto con la Germania rivestì sempre per Croce una particolare rilevanza. Questo rapporto conobbe nel tempo, da entrambe le parti, fasi alterne.

L’inizio di una significativa notorietà di Croce in Germania si ha con la pubblicazione dell’Estetica come scienza della espressione e linguistica generale (1902). Primo e principale mediatore del rapporto con il mondo tedesco fu Vossler, con cui Croce intrecciò poi un legame di amicizia destinato a durare a lungo e con cui tenne un carteggio (cfr. Carteggio Croce-Vossler. 1899-1949, 1951) che è riferimento imprescindibile per analizzare le sue relazioni con la Germania. Croce entrò inizialmente in contatto con Vossler in occasione di una polemica intorno ai «principi di sintassi e di stilistica scientifiche» propugnati dal professor Gustav Gröber (cfr. B. Croce, Problemi di estetica e contributi alla storia dell’estetica italiana, 1910, a cura di M. Mancini, 1° vol., 2003, p. 141), principi che Vossler stesso sosteneva. Progressivamente quest’ultimo si persuase della validità delle idee crociane e iniziò a sostenerle convintamente, anche in ambito linguistico, per «rendere accette anche agli specialisti della grammatica le conseguenze inevitabili» dell’Estetica (Carteggio Croce-Vossler, a cura di E. Cutinelli-Rèndina, 1991, p. 57), seppure in una maniera autonoma che dette origine a una discussione con Croce. La discussione si sviluppò prima per via epistolare e poi pubblicamente nella recensione che Croce fece alla traduzione italiana di due opere di Vossler, Positivismus und Idealismus in der Sprachwissenschaft (1904) e Sprache als Schöpfung und Entwicklung (1905; cfr. B. Croce, Conversazioni critiche, serie I, 1950, pp. 87-105).

A ogni modo, i dissensi rimasero limitati e non impedirono a Vossler di mostrare ripetutamente un profondo apprezzamento per l’opera crociana, reiterato in occasione dell’uscita di diversi scritti, a partire dall’Estetica: «Per la storia del pensiero è un avvenimento di somma importanza l’opera sua», aveva scritto in una lettera del 1° agosto 1902 (Carteggio Croce-Vossler, cit., p. 35; l’Estetica stessa sarà anche oggetto di una sua recensione dai toni elogiativi, uscita su «Beilage zur allgemeinen Zeitung», 1902, 207, pp. 481-84).

A firma di Vossler uscirono anche altre recensioni e presentazioni di opere di Croce; per es. un articolo circa la traduzione tedesca dell’Estetica (Benedetto Croce. Aesthetik als Wissenschaft des Ausdrucks und allgemeine Linguistik, «Beilage zur allgemeinen Zeitung», 1905, 207) e un saggio complessivo sulla Filosofia dello spirito crociana (Das System der Philosophie des Geistes, «Deutsche Literaturzeitung», 1910, 25, pp. 1541-50), pubblicato dopo l’uscita della Logica come scienza del concetto puro (1909) e della Filosofia della pratica. Economica ed etica (1909). Anche nella monografia di Vossler Die italienische Literatur der Gegenwart (1914) un capitolo è dedicato a Croce, che viene presentato come autore di una vera rivoluzione filosofica. Punto qualificante della lettura proposta in questo testo è l’idea dell’Estetica come nucleo originario e generatore dell’intero sistema crociano.

È interessante ricordare come anche Max Weber conobbe le opere di Croce. In una lettera dell’11 luglio 1905, Vossler fa presente a Croce di aver «dato un esemplare della Logica […] al prof. Max Weber, che è una delle più belle teste di Heidelberg e che leggerà il vostro lavoro nelle vacanze» (Carteggio Croce-Vossler, cit., p. 68). Weber stesso fa riferimento alle dottrine di Croce prima nell’opera Roscher und Knies und die logischen Probleme der historischen Nationalökonomie (3 voll., 1903-1906; trad. it. in Saggi sulla dottrina della scienza, a cura di A. Roversi, 1980, pp. 105-06) e poi in una lunga nota nel saggio Zur Auseinandersetzung mit Eduard Meyer (1906), dedicata in parte anche a Vossler, nella quale rimprovera a Croce la confusione fra valutazione e spiegazione:

Questa terminologia ha però il difetto di condurre alla confusione tra ‘essere’ e ‘norma’ […]. Io ritengo che la terminologia sua e di Croce, la quale tende sempre a una mescolanza logica del ‘valutare’ e dello ‘spiegare’, e a una negazione dell’autonomia di quest’ultimo, indebolisca la forza persuasiva dell’argomentazione (trad. it. in Saggi sul metodo delle scienze storico-sociali, a cura di P. Rossi, 2001, pp. 242-43, nota).

In generale, le opere di Croce furono recensite e discusse da diversi autori su varie riviste. Da ricordare la positiva recensione di H.Th. Lindemann all’edizione tedesca dell’Estetica (Benedetto Croce: Ästhetik als Wissenschaft des Ausdrucks und allgemeine Linguistik, «Zeitschrift für Philosophie und Philosophische Kritik», 1906, 2, pp. 193-97), il resoconto di Theodor Poppe sulla medesima opera (Poetik und ihre Geschichte, «Jahresberichte für neuere deutsche Literaturgeschichte», 1905, 13, pp. 239-72) e il corposo saggio di Julius Ebbinghaus uscito sui noti «Kant-Studien» in occasione della pubblicazione dell’edizione tedesca del libro di Croce del 1907 Ciò che è vivo e ciò che è morto della filosofia di Hegel (Benedetto Croces Hegel, «Kant-Studien», 1911, 1, pp. 54-84). Pur discutendo criticamente il libro, Ebbinghaus riconosceva un importante ruolo a Croce nel riportare lo studio della filosofia hegeliana al centro dell’attenzione e nel porre agli stessi studiosi tedeschi la necessità di riprendere l’approfondimento di un autore dimenticato.

Un altro contributo significativo da parte di Croce alla cultura tedesca consiste nello stimolo alla conoscenza della filosofia di Giambattista Vico. Croce dedicò il suo La filosofia di Giambattista Vico (2 voll., 1911) a Wilhelm Windelband, con l’esplicito auspicio che questi integrasse la sua Geschichte der neueren Philosophie in ihrem Zusammenhange mit der allgemeinen Kultur und den besonderen Wissenschaften (2 voll., 1878-1880), che trascurava di trattare il pensatore italiano; un’esortazione accolta già nell’edizione del 1911.

Lo stesso Windelband aveva in precedenza fatto pervenire a Croce, tramite Vossler, un invito a tenere una conferenza in rappresentanza del pensiero filosofico italiano presso il III Congresso internazionale di filosofia, tenutosi a Heidelberg nel 1908. Croce vi lesse una comunicazione su L’intuizione pura e il carattere lirico dell’arte (poi in Problemi di estetica, cit., pp. 13-37).

Tuttavia, nonostante questi significativi rapporti e la buona accoglienza critica, in una prima fase l’opera di Croce non raggiunse in Germania una vasta diffusione e notorietà. Ancora nel 1920 Giovanni Castellano, nella sua Introduzione allo studio delle opere di Benedetto Croce. Note bibliografiche e critiche, riteneva che «l’Estetica del C. non ispiegò in Germania l’efficacia che quei critici [i primi recensori] speravano; sebbene di essa si vedano tracce in libri recenti di Estetica (come in quelli dell’Utitz e del Medicus)» (p. 283).

Anche le traduzioni in una prima fase scarseggiarono. Prima della grande guerra, oltre all’Estetica – tradotta, come sopra accennato, nel 1905 – e a Ciò che è vivo e ciò che è morto della filosofia di Hegel – tradotto nel 1909 (Lebendiges und Totes in Hegels Philosophie) –, solo il Breviario di estetica era uscito in edizione tedesca (Grundriß der Ästhetik. Vier Vorlesungen, 1913). Se Teoria e storia della storiografia (1917) uscirà, com’è noto, in tedesco prima che in italiano (Zur Theorie und Geschichte der Historiographie, 1915), in quanto redatta su richiesta dell’editore Mohr, per avere una traduzione completa dei quattro volumi della Filosofia dello spirito (1902-1917), che apparirà presso il medesimo editore, bisognerà attendere il 1930, nell’ambito di un più vasto progetto di traduzione degli scritti filosofici di Croce poi interrotto per la crisi economica. Anche il citato libro su Vico fu tradotto soltanto nel 1927 (Die Philosophie Giambattista Vicos).

Paradossalmente, fu proprio la grande guerra a favorire una più ampia conoscenza e popolarità dell’opera di Croce in Germania. La posizione crociana – di opposizione a strumentalizzazioni che facessero della cultura un uso meramente ideologico e che, per es., tendessero a squalificare la tradizione di pensiero tedesca per fini propagandistici – lo rese maggiormente conosciuto anche al vasto pubblico. Simbolica da questo punto di vista appare la decisione di occuparsi di Johann Wolfgang von Goethe nel 1917, nel pieno del conflitto bellico. Gli studi goethiani di Croce vennero raccolti in volume dopo la fine della guerra (Goethe, con una scelta delle liriche nuovamente tradotte, 1919); vennero subito tradotti in tedesco, a cura dello storico dell’arte Julius von Schlosser (Goethe, 1920), ed ebbero un certo influsso (Lönne, in L’eredità di Croce, 1985). Oltre alle già menzionate traduzioni, nel corso degli anni Venti – che possono considerarsi anni favorevoli per la ricezione crociana – compare una significativa monografia sul pensiero crociano (A.M. Fraenkel, Die Philosophie Benedetto Croces und das Problem der Naturerkenntnis, 1929).

Rilievo notevole è dato alla posizione di Croce nell’importante opera sullo storicismo di Ernst Troeltsch, Der Historismus und seine Probleme (rimasta ferma al primo libro, Das logische Problem der Geschichtsphilosophie, 1922). Troeltsch valuta molto positivamente l’idealismo crociano (trad. it. 2° vol., 1989, pp. 384-98) e lo discute attraverso una comparazione con quello hegeliano, mettendo in evidenza le profonde differenze fra le due filosofie. La filosofia crociana non proviene dalla logica, ma «dall’intuizione dell’elemento concreto-individuale in ambito estetico»; questo muovere dall’individuale porta Croce a cercare di liberare la storia «dal pericolo del carattere marionettistico e di apparenza, che sempre in Hegel la minaccia, poiché questi moveva dall’idea cosmica e non dall’empirico-singolo come tale» (pp. 386-87). Lo sforzo crociano non ha però, per Troeltsch, pienamente successo, in quanto si determina uno iato fra dialettica degli opposti e teoria dei distinti, che non riescono a sintetizzarsi fra loro in maniera adeguata. La storia ora è per lui addirittura una sola cosa con la filosofia, ora è scienza empirica con metodo proprio. Se però ci si interroga su questo metodo specifico [...] si è rinviati ad un oscuro trasparire di questa nella continuità che in sé può essere solo descritta e osservata (p. 391).

Alle menzioni esplicite si aggiungono le relazioni intellettuali con diversi studiosi del mondo tedesco, che si riflettono nei carteggi. Oltre al sempre presente rapporto con Vossler, vale la pena citare anche gli scambi intellettuali ed epistolari con Schlosser – che, come accennato, fu anche traduttore di alcune delle opere crociane –, con il critico letterario e linguista Leo Spitzer, con lo svizzero-tedesco Werner Günther, insegnante di letteratura tedesca prima nei licei e poi all’Università di Neûchatel e autore di due significativi interventi sulla filosofia di Croce (Benedetto Croce und die Pädagogik, «Schweizerische pädagogische Zeitung», 1929, 39, pp. 129-39, e Benedetto Croce, «Revue de théologie et de philosophie», 1937, 25, pp. 45-72, entrambi in trad. it. in L’opera filosofica, storica e letteraria di Benedetto Croce. Saggi di scrittori italiani e stranieri e bibliografia dal 1920 al 1941, 1942, pp. 57-68 e 69-105), con il filologo Erich Auerbach e con lo scrittore Rudolph Borchardt.

Nel corso degli anni Trenta, il rapporto fra Croce e la Germania tende inevitabilmente ad andare incontro a una fase di oscuramento, dovuta al rapido mutare delle congiunture politiche e del sentire culturale diffuso. Significativo sintomo di questo cambiamento è l’impossibilità di trovare in Germania un editore per la Storia d’Europa nel secolo decimonono (1932), che uscì in tedesco nel 1935, ma presso una casa editrice svizzera (Geschichte Europas im neunzehnten Jahrhundert). Croce espresse il sentimento di questo crescente distacco dal clima culturale e politico tedesco in un famoso saggio del 1936, dal titolo La Germania che abbiamo amata (pubblicato il 20 agosto sul quotidiano di Berna «Die Nation» e poi sulla «Critica», 34, pp. 461-66).

L’episodio più rilevante di questo periodo è senz’altro la polemica con Friedrich Meinecke sullo storicismo, polemica che ha origine da quanto Croce scrive (Studii sulla storiografia. La nascita dello storicismo, «La Critica», 1937, 35, pp. 328-43) sul libro dello storico tedesco Die Entstehung des Historismus (1936; trad. it. 1954), discorso poi ripreso in La storia come pensiero e come azione (1938). Croce critica la concezione dello storicismo propria di Meinecke, che consiste nell’«ammissione di quel che d’irrazionale è nella vita umana, nell’attenersi all’individuale [...] e nel proiettare questa visione dell’individuale sullo sfondo della sfera religiosa o del religioso mistero» (Studii sulla storiografia, cit., p. 329).

La stessa concezione che Meinecke ha dell’individuale viene criticata in quanto questo è concepibile per Croce solo come concretezza dell’universale. Inoltre Croce contesta la genealogia dello storicismo proposta da Meinecke, giudicandola parziale. Autori come Justus Möser, Johann Gottfried von Herder e Goethe rappresentano sì momenti importanti nell’emergere dello storicismo, ma questo raggiunge il suo culmine solo nella grande filosofia classica tedesca e in particolare in Georg Wilhelm Friedrich Hegel. A queste critiche segue la risposta di Meinecke in Vom geschichtlichen Sinn und vom Sinn der Geschichte (1939; trad. it. 1948). Al riconoscimento della statura intellettuale di pensatore di Croce si accompagna però il rifiuto della sua concezione, che presenta aspetti «ostinatamente razionalistici». Meinecke respinge l’idea che «ragione e realtà individuale coincidono perfettamente purché s’intenda esattamente la “ragione”» e «la ristretta concezione del Croce che l’individualità storica sia soltanto una “individualità degli atti” e non già delle anime-sostanze” e che la ragione nell’uomo sia il “principio unico dei suoi progressi e delle sue rivoluzioni”» (pp. 92-93). La polemica venne condotta dai due avversari con grande rispetto reciproco e si concluse con una breve nota di Croce in cui si prendeva atto delle rispettive posizioni. Del resto i due condividevano, al di là delle divergenze, la preoccupazione per il corso che gli eventi stavano prendendo in Europa e per la crisi spirituale che si accompagnava a queste evoluzioni. Non a caso entrambi affrontarono, dopo la guerra, il problema del destino della Germania, Meinecke con Die deutsche Katastrophe: Betrachtungen und Erinnerungen (1946) e Croce con Il dissidio spirituale della Germania con l’Europa (1944), che fu pubblicato anche in edizione tedesca (Europa und Deutschland. Bekenntnisse und Betrachtungen, 1946). Quest’ultimo contributo, che avrebbe potuto suscitare molte discussioni, passò invece inosservato (cfr. Buck 1967, p. 130). In generale, infatti, nel secondo dopoguerra l’influsso della filosofia crociana in Germania non appare di rilievo, secondo una tendenza propria anche di altri Paesi.


Croce in Francia
In Francia la fortuna di Croce fu considerevolmente inferiore a quanto ci si sarebbe potuto attendere. Come abbiamo visto, le tesi crociane assumono rilevanza nell’ambito della discussione intorno al marxismo, che però non era all’epoca centrale per la cultura francese come invece lo diventerà in seguito (Pagliano Ungari 1967, p. 43). Sorel profuse ampi sforzi per far conoscere le opere dell’amico con recensioni su riviste, relazioni in società filosofiche e interessamenti per traduzioni (pp. 27-29), ma la sua posizione da ‘irregolare’ nel mondo culturale francese probabilmente non favorì la ricezione del pensiero crociano.

Questo scarso interesse è visibile già dalle traduzioni in francese delle opere crociane. Alcune furono effettuate con breve ritardo rispetto alle edizioni italiane, come quelle del Materialismo storico (Matérialisme historique et économie marxiste. Essais critiques, 1901), dell’Estetica (Esthétique comme science de l’expression et linguistique générale, 1904), di Ciò che è vivo e ciò che è morto (Ce qui est vivant et ce qui est mort de la philosophie de Hegel, 1910), della Filosofia della pratica (Philosophie de la pratique, économie et éthique, 1911) e di La filosofia di Giambattista Vico (La philosophie de Jean-Baptiste Vico, 1913). Invece per altre opere le traduzioni vennero effettuate dopo un notevole intervallo di tempo, come per il Breviario di estetica (1913; trad. Bréviaire d’esthétique, 1923), il Contributo alla critica di me stesso (scritto nel 1915 ma pubblicato nel 1918; trad. Contribution à ma propre critique, 1949), La poesia. Introduzione alla critica e alla storia della poesia e della letteratura (1936; trad. La poésie. Introduction à la critique et à l’histoire de la poésie et de la littérature, 1951) e la Storia d’Europa nel secolo decimonono (Histoire d’Europe au dix-neuvième siècle, 1959). Altre opere – anche importanti, come la Logica o la Teoria e storia della storiografia – non furono tradotte o vennero tradotte con grandissimo ritardo.

Dopo la partecipazione al dibattito sul marxismo, un altro importante motivo di notorietà di Croce in Francia – che probabilmente non giovò alla sua fortuna – fu la sua posizione sulla guerra. L’invito a non strumentalizzare il dibattito intellettuale in funzione propagandistica, da un lato, e il richiamo a motivi teorici propri della filosofia tedesca, dall’altro, non erano generalmente ben visti. Per quanto riguarda il primo punto di vista, la posizione di Croce può essere accostata a quella di Romain Rolland. In effetti nel 1916 egli aderì a un manifesto in sostegno di Rolland (Pagliano Ungari 1967, p. 37) e, dopo la fine della guerra, nel marzo del 1919, firmò la Déclaration d’indépendance de l’esprit inviatagli da Rolland stesso. Croce ribadì tuttavia sempre la specificità della propria posizione, per la quale, se da un lato l’attività intellettuale non andava asservita alla propaganda, la guerra rappresentava tuttavia una necessità, e nell’esistenza pratica – in quanto cittadini di uno Stato – era necessario e giusto sostenere il proprio Paese. Tuttavia queste distinzioni non bastarono a mettere Croce al riparo dalle critiche di neutralismo e dalle accuse di filogermanesimo.

Una circostanza che va ricordata per spiegare la non vastissima diffusione dell’opera crociana è che determinate necessità storiche cui l’opera di Croce rispondeva (come la polemica antipositivistica) trovavano corrispondenza in Francia nella filosofia di Henri Bergson, che presentava tratti di affinità ma anche di divergenza con la filosofia crociana e che dunque poté monopolizzare, con le sue specificità, l’interesse del pubblico francese. Varie recensioni evidenziano questo tema (per es., J. Segond, B. Croce: Estetica come scienza dell’espressione e linguistica generale, «Revue de synthèse historique», 1903, 7, pp. 102-05).

Un altro elemento che non favorì una diffusione ampia del pensiero di Croce fu il suo essere noto a molti, se non come hegeliano, almeno come studioso di Hegel in un periodo in cui il filosofo di Stoccarda non era apprezzato in Francia. Quando poi negli anni Trenta vi fu una rinascita hegeliana, questa avvenne secondo linee e filoni di interesse divergenti da quelli centrali nella ricerca crociana (spesso influenzati dagli orientamenti marxista ed esistenzialista e incentrati, per es., sulla riscoperta delle opere del giovane Hegel).

Comunque il libro di Croce su Hegel, al momento della sua uscita in Italia, fu apprezzato in Francia dai pochi cultori di tale filosofia. Tra gli altri, lo valutarono positivamente Émile Boutroux (Sur la nécessité, la finalité et la liberté chez Hegel. Réponse à la thèse présentée par M. René Berthelot (séance du 31 janvier 1907), «Bullettin de la société française de philosophie», 1907, 7, pp. 141-55) e Samuel Jankélévitch (recensione sulla «Revue de synthèse historique», 1907, 14, pp. 235-38). Quest’ultimo fu peraltro anche autore, nel 1911, della citata traduzione della Filosofia della pratica.

Durante il fascismo, ebbe un’eco significativa l’opposizione di Croce al regime, e anche le sue opere storiografiche furono spesso lette in questa chiave. Per es., Maurice Muret, recensendo la Storia d’Italia (M. Benedetto Croce et ses critiques italiens, «Journal de débats», 1928, 187, p. 3) notava come «sotto i fiori di un bello stile e la copertura di idee generali, in apparenza inoffensive, scivolano, fischiando un’aria antifascista, dei serpenti di grosso calibro, velenosi, ah! quanto velenosi!» (cit. in Pagliano Ungari 1967, p. 71). Tuttavia Croce non fu il punto di riferimento esclusivo dell’emigrazione italiana antifascista in Francia, essendo la sua prospettiva non condivisa da alcune aree e figure significative di tale emigrazione.

Per quanto riguarda le opere estetiche di Croce, esse furono oggetto di notevole attenzione in Francia. Una delle poche monografie in francese specificamente dedicate al filosofo napoletano, quella di Jean Lameere (L’esthétique de Benedetto Croce, 1936) ha appunto per oggetto la sua teoria estetica e presenta un carattere prevalentemente espositivo, anche se in scritti successivi Lameere considera l’estetica crociana un momento sorpassato del pensiero, con il quale si devono tuttavia fare i conti. In generale i giudizi degli studiosi francesi su questa parte del pensiero crociano sono spesso critici. Croce è frequentemente accusato di trascurare l’importanza dell’elemento intellettuale nell’arte da un lato e di sottovalutare l’importanza dell’esecuzione tecnica dell’opera d’arte dall’altra (P. Souday, Benedetto Croce: Bréviaire d’esthétique, «Le Temps», 3 maggio 1923, p. 3; C. Lalo, Benedetto Croce: Estetica come scienza dell’espressione e linguistica generale, «Bulletin italien. Annales de la Faculté des Lettres de Bordeaux et des Universités du Midi», 1902, 2, 4, pp. 333-44; C. Schuwer, La pensée italienne contemporaine: l’idealisme de Croce et de Gentile, «Revue philosophique», 1924, 97, pp. 351-401, e 98, pp. 82-123).

Complessivamente, nonostante una presenza non indifferente dell’opera di Croce in riviste, recensioni e discussioni, essa sembra non essere riuscita a intercettare le correnti più profonde della vita intellettuale francese, lasciando l’impressione di un incontro mancato.

Croce in Gran Bretagna
La Gran Bretagna è probabilmente il Paese che ha riservato al pensiero crociano la più calda accoglienza e dove Croce ha avuto una più nutrita schiera di seguaci.

Già per quanto riguarda le traduzioni, quelle di opere crociane furono molteplici, anche se non sempre felici nella loro resa. Autore di molte di esse fu Douglas Ainslie, ex diplomatico e cultore di letteratura e poesia che si presentò a Croce nel 1908 a Napoli e si offrì di fargli da traduttore (cfr. Nicolini 1962, p. 483). Tradotte da Ainslie comparvero in inglese l’Estetica (Aesthetic as science of expression and general linguistic, 1909, che venne però in seguito rivista da Collingwood), la Logica (Logic as the science of the pure concept, 1917), la Filosofia della pratica (Philosophy of the practical, economic and ethic, 1913), la Teoria e storia della storiografia (Theory & history of historiography, 1921), Ciò che è vivo (What is living and what is dead of the philosophy of Hegel, 1912), il Breviario di estetica (The breviary of aesthetic, 1915), il Goethe (Goethe, 1923), l’Ariosto, Shakespeare e Corneille (1920; Ariosto, Shakespeare and Corneille, 1920) e La poesia di Dante (1921; The poetry of Dante, 1923). Si tratta, però, come detto, di traduzioni scadenti, vista la dubbia preparazione filosofica di Ainslie, mentre invece sono buone quelle curate da Collingwood, di La filosofia di Giambattista Vico (The philosophy of Giambattista Vico, 1913), del Contributo (An autobiography, 1927), dell’Iniziazione all’Estetica del Settecento («La Critica», 1934, 32; Introduction to eighteenth-century aesthetic, «Philosophy. The journal of the British institute of philosophy», 1934, 34, pp. 157-67) e della voce Estetica (Aesthetic) scritta per l’Encyclopaedia britannica (14a ed., 1° vol., 1929, pp. 263-64).

Nonostante queste difficoltà, si formò in Gran Bretagna un gruppo di studiosi sensibili alle dottrine di Croce: oltre al già citato Collingwood, si può menzionare in primo luogo Herbert Wildon Carr, professore di filosofia al King’s College di Londra dal 1918 al 1925 e autore della prima monografia su Croce in lingua inglese (The philosophy of Benedetto Croce. The problem of art and history, 1917), che tenta un’esposizione dei capisaldi del suo pensiero basandosi sul sistema della filosofia dello spirito. Da ricordare poi Edgar Frederick Carritt, fellow a Oxford, e Arthur Bingham Walkley, critico teatrale del «Times». Un altro studioso vicino alle posizioni crociane era John Alexander Smith, che nella prefazione alla ricordata traduzione del Contributo ricorda gli inizi della ricezione britannica del pensiero crociano intorno al 1907-1908 (cfr. Grayson, in L’eredità di Croce, 1985, p. 302). Lo stesso Croce del resto, nella commemorazione che nel 1946 fa di Collingwood (In commemorazione di un amico inglese, compagno di pensiero e di fede. R.G. Collingwood, «Quaderni della “Critica”», 4, pp. 60-73), rievocando l’avvio dei suoi rapporti con la Gran Bretagna, situa il vero spartiacque che segna l’inizio di un interesse non superficiale nei confronti del suo pensiero nel 1909, in corrispondenza della traduzione dell’Estetica. Nel 1920 si potevano annoverare già molti contributi sul pensiero crociano in lingua inglese, molti dei quali figurano nella citata raccolta di Castellano, Introduzione allo studio delle opere di Benedetto Croce.

Carr, autore di diversi saggi oltre che della menzionata monografia, nelle pp. 3-4 di “Time” and “History” in contemporary philosophy with special reference to Bergson and Croce («Proceedings of the British Academy», 1918, 8, pp. 1-19) accosta Croce e Bergson come esponenti, pur nelle rispettive differenze, di un medesimo movimento di rinnovamento filosofico. Il punto di contatto tra queste due filosofie è da reperirsi, secondo Carr, nel fatto che lo spirito si trovi «insidiato da un’illusione»: questa illusione è, per Bergson, «che il cangiamento sia condizionato da cose che non cangiano» e, per Croce, «il concetto dell’esistenza di qualcosa di alieno di fronte all’attività spirituale, indipendente da essa a cui il valore che lo spirito crea sia qualcosa di aggiunto». Carr riconosce le specificità dei due filosofi, per es. in relazione al rapporto fra verità scientifica e verità filosofica, ma ritiene nondimeno che essi raggiungano «per vie nettamente diverse, praticamente un medesimo concetto». Questa non è «una mera coincidenza: ciò designa la tendenza a dare risalto all’aspetto dinamico della realtà come più originale e più esplicativo dell’aspetto statico, e nel riconoscere perciò che la statica è derivata».

Più critico era Bernard Bosanquet, che ritornò a più riprese sul pensiero crociano – come ricordato dallo stesso Croce nel 1936 in occasione della pubblicazione di alcune sue lettere (Lettere di Bernardo Bosanquet, «La Critica», 34, pp. 225-31). Prima Bosanquet recensisce la traduzione inglese della Logica («Mind», 1918, 27, pp. 475-84), poi l’Estetica, criticata nelle Three lectures on aesthetic (1915) applicando un metodo eclettico che viene duramente criticato da Walkley (An eclectic aesthetician, «The Times literary supplement», 3 giugno 1915, p. 184; trad. it. in Introduzione allo studio delle opere di Benedetto Croce, cit., pp. 95-100), e infine si dedica a una critica complessiva del pensiero crociano (The philosophy of Benedetto Croce, «The quarterly review», 1919, 231, pp. 359-77, trad. it. in Introduzione allo studio delle opere di Benedetto Croce, cit., pp. 186-202). Croce considerava la critica di Bosanquet paradigmatica di un atteggiamento accademico che non riusciva ad adattarsi al rinnovamento apportato dal suo pensiero e rimaneva attaccato ai contenuti tradizionali della disciplina.

Un’altra tipologia paradigmatica delle critiche che venivano rivolte alle opere di Croce era assimilabile a quella di stampo attualistico. A questo proposito possiamo riportare una critica di Smith (recensione alla citata monografia di Carr su Croce in «The Hibbert journal», 1918, 16, p. 506; trad. it. in Introduzione allo studio delle opere di Benedetto Croce, cit., pp. 85-86), che verte sulla questione dell’unità dello spirito e vede nelle distinzioni poste da Croce il rischio della perdita di tale unità. Anche la critica rivoltagli da Collingwood in un saggio sulla filosofia della storia (Croce’s philosophy of history, «The Hibbert journal», 1921, 19, pp. 263-78) viene da Croce riportata (cfr. In commemorazione, cit., p. 63) all’influenza attualistica, in particolare per il tramite di Guido De Ruggiero, che si era trasferito in Gran Bretagna ed era diventato grande amico dello stesso Collingwood. In Croce’s philosophy of history, che discute la Teoria e storia della storiografia, quest’ultimo muove a Croce critiche di «dualismo» e «naturalismo». Inviando l’articolo a Croce, Collingwood precisa in una lettera di aver messo in evidenza i punti di dissenso, dando per implicito l’accordo su moltissime delle tesi sostenute dal filosofo napoletano. C’è tuttavia da notare che anche nelle opere successive dello studioso inglese Croce è menzionato solo di sfuggita e spesso in maniera critica. Il problema di una riluttanza di Collingwood a riconoscere il proprio debito nei confronti di Croce fu sollevato da Arnaldo Momigliano in La storia antica in Inghilterra («Il mese», 1945, 18, pp. 728-33). Croce, nel già citato scritto commemorativo, accoglie la spiegazione che fornisce lo stesso Collingwood, ovvero che avrebbe seguito la maniera britannica di dar conto delle idee senza citare le persone. D’altra parte, in via epistolare, egli fornisce sempre grandi attestati di stima nei confronti di Croce.

In Gran Bretagna Croce si recò almeno tre volte in occasioni significative. La prima fu nel 1923, quando venne invitato a Oxford per ricevere una laurea honoris causa, occasione in cui fu ospite di Smith e conobbe Collingwood. La seconda, ancora a Oxford, fu nel 1930, quando partecipò al VII Congresso internazionale di filosofia, dove lesse la celebre relazione sull’Antistoricismo. Infine, nel 1933, tenne sempre a Oxford una conferenza avente per oggetto principalmente il poeta Percy Bysshe Shelley (poi pubblicata nello stesso anno in traduzione inglese con il titolo The defence of poetry: variations on the theme of Shelley; cfr. Lönne, in L’eredità di Croce, 1985, pp. 298-99).

Se la fase più intensa dell’interesse britannico per Croce si ebbe negli anni Dieci e Venti, una certa ripresa vi fu in corrispondenza della Seconda guerra mondiale, soprattutto in relazione a tematiche etico-politiche e al problema del liberalismo. Significativa a questo proposito è la pubblicazione di due antologie di scritti crociani presso la casa editrice Allen and Unwin (Politics and moral, 1946; My philosophy and other essays on the moral and political problem of our time, 1951; per le complesse vicende sulla pubblicazione di quest’ultima, cfr. G. Galasso, Nota del curatore, in B. Croce, La mia filosofia, 1993, 20062, pp. 335-68). All’epoca dell’apparizione della seconda antologia, l’interesse per la filosofia di Croce andava scemando, tanto che Isaiah Berlin, recensendo quella stessa raccolta («Mind», 1952, 61, pp. 574-78), prendeva atto dell’«abisso» che ormai separava «gran parte del continente europeo dal mondo anglo-americano» (cit. in Lönne, in L’eredità di Croce, 1985, p. 304).

Croce negli Stati Uniti
Uno dei primi mediatori dell’opera crociana negli Stati Uniti può essere identificato nella figura di Joel Elias Spingarn, neolaureato alla Columbia University al tempo dell’inizio dello scambio intellettuale con Croce e poi professore di letteratura comparata presso la medesima università. Egli ebbe con Croce un significativo carteggio (poi pubblicato in Carteggio Croce-Spingarn, a cura di E. Cutinèlli-Rendina, 2001) e ne recensì diverse opere sul celebre settimanale di New York «The Nation». Se queste recensioni ebbero senza dubbio un influsso positivo, molto negativo fu l’effetto di un’altra recensione dell’Estetica, scritta da George Santayana e comparsa sul «Journal of comparative literature» (Croce’s Aesthetics, 1930, 1, pp. 191-95), una rivista fondata anche per iniziativa dello stesso Spingarn. La recensione bollava la teoria crociana come astratta e artificiale e legava questi aspetti al suo carattere di filosofia strettamente trascendentale.

A ogni modo, anche per l’azione di Spingarn (nel 1919 tra i fondatori della casa editrice Harcourt, Brace and Howe – dal 1921 Harcourt, Brace and company –, che si adopererà per la diffusione del pensiero di Croce, di Gentile e di altri filosofi europei), il nome di Croce iniziò a diffondersi, tanto che egli fu invitato nel 1912 all’inaugurazione del Rice Institute, assieme ad altri undici studiosi di tutto il mondo. Croce declinò l’invito a venire di persona, ma compose per l’occasione il Breviario di estetica, che venne pubblicato negli atti dell’evento (The breviary of aesthetic, in The book of the opening of the Rice Institute, 2° vol., 1914, pp. 430-517).

Nel 1922 uscì, presso l’editrice Harcourt, Brace and company, una monografia sul filosofo, scritta da un italiano emigrato negli Stati Uniti, Raffaello Piccoli (Benedetto Croce: an introduction to his philosophy), la quale, pur fornendo una buona introduzione al pensiero crociano, ne dava però complessivamente un giudizio critico, qualificandolo come idealismo dogmatico.

Un episodio importante da ricordare è la disputa fra Croce e John Dewey. Nonostante i differenti presupposti filosofici, i due arrivavano spesso a conclusioni simili, in ambito etico, pedagogico ed estetico. Croce recensì il libro del 1934 di Dewey Art as experience (Intorno all’estetica del Dewey, «La Critica», 1940, 38, pp. 348-53), rilevando le convergenze e argomentando che esse non potevano convivere con il vigoroso rifiuto opposto da Dewey ai presupposti della filosofia idealistica. L’articolo venne poi pubblicato in inglese nel 1948 con la risposta di Dewey (On the aesthetics of Dewey e A comment on the foregoing criticisms, «Journal of aesthetics and art criticism», march 1948, 6, rispettivamente pp. 203-07 e 207-09), nella quale egli sosteneva che la condivisione di assunti, piuttosto comune tra gli studiosi di estetica, non giustificava la pretesa che tali assunti implicassero l’accettazione dei presupposti idealistici. Inoltre riteneva che tra lui e Croce non vi fosse un reale terreno di dibattito, vista la loro diversità di presupposti. La discussione (che si concluse con un ulteriore intervento crociano: Dewey’s aesthetics and theory of knowledge, «Journal of aesthetics and art criticism», september 1952, 11, pp. 1-6), si risolse in una sostanziale incomprensione: Dewey probabilmente fraintese la posizione crociana assimilandola a un idealismo dogmatico e Croce ritenne che la posizione di Dewey fosse contraddittoria a meno di non accettare i suoi medesimi presupposti.

Lo storicismo di Croce rendeva la sua prospettiva difficile da accettare anche per Irving Babbit, teorico del ‘nuovo umanesimo’. Alla base del suo giudizio c’era però un sostanziale fraintendimento della prospettiva di Croce, assimilata a un attivistico culto della spontaneità.

Dopo la morte di Croce, un altro significativo contributo fu l’uscita negli Stati Uniti di una nuova monografia incentrata sull’estetica (G.N.G. Orsini, Benedetto Croce. Philosopher of art and literary critic, 1961). Croce continuò ad avere per un certo periodo un influsso nell’ambito della critica letteraria, ma a partire dagli anni Sessanta l’attenzione nei suoi confronti tese a scemare.

Croce in Spagna
La Spagna ha sempre avuto, fin dai primi studi eruditi, un posto significativo negli interessi crociani. Croce tenne nel tempo relazioni con diversi intellettuali spagnoli, fra cui José Sánchez Rojas, che nel 1912 tradusse l’Estetica in spagnolo (Estética como ciencia de la expresión y lingüística general), e Miguel de Unamuno, rettore dell’Università di Salamanca, che scrisse l’introduzione alla traduzione di Sánchez Rojas e restò in relazioni epistolari con Croce per una decina d’anni a partire dal 1911. L’introduzione scritta da Unamuno fu l’occasione per un confronto che rivelò le differenze esistenti fra i due pensatori. Unamuno muoveva da un’annotazione di Croce (nella terza ed., 1908, dell’Estetica, p. 385) sulla maggior fortuna che aveva avuto Karl Christian Friedrich Krause rispetto a Hegel e alla filosofia idealistica tedesca «nella sempre sventurata Spagna». Unamuno rigettava questo giudizio (peraltro poi ridimensionato dallo stesso Croce) e, facendo riferimento alle radici mistiche del pensiero krausiano, contro la riduzione crociana rivendicava il valore dell’esperienza religiosa, un atteggiamento che riteneva proprio della visione del mondo spagnola, anche in coloro che si considerano atei. A ogni modo, pur nel riconoscimento delle differenze, Unamuno continuò anche successivamente a stimare Croce e a considerarlo uno dei pensatori europei più significativi. Croce da parte sua espresse recisamente nel 1948 la sua lontananza dal pensiero di Unamuno (Cervantes. “Persìles y Sigismunda”, «Quaderni della “Critica”», 1948, 12, pp. 71-72).

Segni di interesse per l’opera crociana, pur in assenza di rapporti diretti, ci sono anche da parte di José Ortega y Gasset, il quale dichiara esplicitamente in diversi luoghi il suo apprezzamento per il filosofo italiano (cfr. Cacciatore 2011, pp. 306-08). Egli non si mostra però convinto della teoria crociana dell’inesistenza dei generi letterari (cfr. Observaciones de un lector, «La lectura», 1915, 3, pp. 349-79; trad. it., con il titolo Un primo sguardo su Baroja, in Id., Lo spettatore, 2° vol., 1960, in partic. p. 135), mentre condivide invece la necessità di abbandonare il concetto di giudizio di valore (cfr. Cacciatore, in Croce e la Spagna, 2011, pp. 308-09). L’evoluzione del pensiero di Ortega lo portò però in seguito a una critica più radicale della prospettiva crociana, segnata dalla velleitaria ricerca di un’impossibile unità della cultura e valutata come una risposta inadeguata, così come sono inadeguate le filosofie dei valori e il neokantismo, ai problemi posti dall’epoca. Più vicino si sentiva invece alla tematica della religione della libertà (pp. 310-12).

Per concludere con il panorama spagnolo, vale la pena di citare María Zambrano, che dal 1953 visse in esilio in Italia per dieci anni e che, in un articolo in spagnolo, descrive Croce come «uno degli ultimi grandi pensatori europei» (Algunas reflexiones sobre la figura de Benedetto Croce, «Rivista di studi crociani», 1967, 4, p. 440).

Bibliografia

F. Nicolini, Benedetto Croce, Torino 1962.

A. Buck, Benedetto Croce e la Germania, «Rivista di studi crociani», 1967, 4, pp. 129-40.

G. Pagliano Ungari, Croce in Francia. Ricerche sulla fortuna dell’opera crociana, Napoli 1967.

P. Bonetti, Storia della critica, in Id., Introduzione a Croce, Roma-Bari 1984, 20006, pp.155-91.

L’eredità di Croce, Atti del Convegno internazionale, Napoli-Sorrento, 2-5 febbraio 1983, a cura di F. Tessitore, Napoli 1985 (in partic. K.-E. Lönne, Benedetto Croce mediatore di vita spirituale fra Italia e Germania, pp. 269-86; C. Boulay, Croce e la Francia, pp. 287-96; C. Grayson, Croce e l’Inghilterra, pp. 297-308).

Lettere di Robin George Collingwood a Benedetto Croce (1912-1939), a cura di A. Vigorelli, «Rivista di storia della filosofia», 1991, 46, pp. 545-63.

D.D. Roberts, Croce in America. Influence, misunderstanding and neglect, «Humanities», 1995, 8, pp. 3-34.

Croce e la Spagna, Atti del Convegno di studi, aprile 2008, a cura di G. Galasso, Napoli 2011 (in partic. G. Galasso, Croce e la Spagna, pp. 1-50; G. Cacciatore, Ortega e Zambrano su Croce, pp. 299-330).

Da - http://www.treccani.it/enciclopedia/la-fortuna-di-croce-fuori-d-italia_%28Croce-e-Gentile%29/
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