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Autore Discussione: Stefano Minnucci La primavera europea (economica e politica)  (Letto 1871 volte)
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« inserito:: Giugno 17, 2017, 11:05:11 pm »

Focus
Stefano Minnucci - @StefanoMinnucci
· 17 giugno 2017

La primavera europea (economica e politica)
Tutti gli indicatori segnalano il consolidamento della ripresa

C’è aria di primavera nel Vecchio continente. Dopo un lungo periodo di neve e gelo, l’economia europea comincia a svegliarsi. E come accade in ogni primavera che si rispetti si risvegliano anche i fiori, che nella nostra metafora coincidono con gli ideali europeisti. Parliamo di sentiment riemersi nelle ultime elezioni politiche che sono stati in grado di arginare i vari populismi (Francia in primis). Certo, siamo ancora nella fase dei primi sbadigli, e a dire il vero le rondini che svolazzano non sono ancora moltissime. Ma i segnali che si respirano in queste settimane sono inequivocabili.

Prendiamo anzitutto l’aspetto economico (primo segnale primaverile): i dati di molti Paesi del Vecchio Continente sono migliorati sensibilmente, al punto che mettendoli in fila (anche solo in parte) compongono un quadro che raffigura in maniera evidente il consolidamento della ripresa.

Osservando i numeri dell’occupazione, ad esempio, spicca un incremento di 5 milioni di posti di lavoro in più rispetto al 2013, con una disoccupazione che scende ai livelli più bassi dal 2009; le previsioni economiche della Commissione europea sono incoraggianti; il Fondo monetario internazionale ha evidenziato una ripresa che ormai ha preso slancio; le stime di Eurostat mettono in risalto un Pil europeo che nei primi tre mesi del 2017 è cresciuto dello 0,5%, un numero che proiettato su base annua equivale a un incremento di addirittura due punti percentuali. Tutti i bollettini delle banche d’investimento rivedono le stime di crescita al rialzo. La crisi greca nel frattempo è praticamente tamponata. Corrono gli emergenti (Lettonia, Romania) e rifiatano anche Spagna e Portogallo. Anche la nostra economia cresce. Non ancora come dovrebbe, ma avanza.

In particolare, nel nostro caso, considerando le principali variabili macroeconomiche risulta evidente come l’Italia stia recuperando terreno. Il Pil accelera, il deficit scende, il debito si è stabilizzato e l’avanzo primario gode di buona salute. Certo, la strada da percorrere è ancora molto lunga: la disoccupazione è in doppia cifra e la spesa per le famiglie – ha detto l’Istat – ancora non decolla. E soprattutto, confrontando la nostra economia con quella degli altri big dell’Eurozona, l’Italia sta facendo più fatica. Ma la direzione, notano gli osservatori, è quella giusta. E non a caso l’esecutivo comunitario ha promosso i nostri conti pubblici.

Ma allarghiamo nuovamente lo sguardo al Vecchio continente: qualche settimana fa il direttore del Foglio Claudio Cerasa, con un tweet ha sintetizzato bene il senso degli ultimi dati macroeconomici diffusi. Lo ha fatto usando una frase molto significativa e con due grafici (disoccupazione e Pil) che chiariscono più di mille parole quello che sta accadendo.

E forse non si tratta nemmeno di un fulmine a ciel sereno (qui arriviamo al secondo segnale primaverile, ossia il paragone extra-europeo): monitorando le economie mondiali viene fuori come, nel 2016, la crescita del Vecchio continente abbia superato addirittura quella degli Stati Uniti (1,9 per cento contro 1,6). È la prima volta che accade dall’inizio della lunghissima crisi.

Assieme ai dati economici però – sempre per rimanere sulla nostra metafora stagionale – si risvegliano, come dicevamo, anche gli amori: nell’aria si respirano nuovamente gli ideali di Ventotene.

È come se all’orizzonte (è questo il terzo segnale primaverile) spirasse un vento squisitamente europeista tale da arginare, almeno per il momento, qualsiasi genere di populismo. Al netto del referendum sulla Brexit, le principali elezioni nel Vecchio Continente – quattro negli ultimi sette mesi – sono andate tutte nel senso sperato da Bruxelles; Spagna e Portogallo crescono più del previsto e hanno governi stabili. Beninteso, ci saranno ancora parecchie pioggerelle primaverili dalle quali bisognerà proteggersi. Ed è chiaro che il percorso per un autentico processo di integrazione è ancora molto lungo, tortuoso e ricco di ostacoli (politici e non solo), alcuni dei quali molto faticosi da superare.

Ma l’Europa c’è e dà segnali di vita. Forse come automatica risposta a un Trumpismo che ha spaventato non poco i cittadini del Vecchio continente, o magari come conseguenza dei dati macroeconomici, che giorno dopo giorno migliorano.

O perché no, “per una sorta di eterogenesi dei fini” ha scritto giorni fa Antonio Polito sul Corriere della Sera, il quale ha visto nella minaccia esterna (terrorismo, immigrazione) e nella guerra interna dei partiti populisti contro Bruxelles, due cause in grado di far emergere ciò che è sempre mancato in Europa: “una sfera pubblica comune, l’abbozzo di un demos europeo, un’arena politica in cui in ogni Paese si discute contemporaneamente delle stesse cose. In tutta Europa si parla di Europa “.

Il quarto segnale è rappresentato infine dal giudizio degli osservatori. Senz’altro significativo in questo senso è il commento del Financial Times, quotidiano euroscettico e non sempre lusinghiero nei confronti dell’Ue, che qualche giorno fa ha considerato la ripresa nell’Eurozona “la grande notizia del 2017″.

Insomma, volendo chiudere il ragionamento usando le parole di Mario Draghi (lo ha detto qualche giorno fa a Tel Aviv), potremmo asserire, quasi con una certa distensione, che ormai “la crisi è alle nostre spalle”.

Da - http://www.unita.tv/focus/la-primavera-europea-economica-e-politica-2/
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