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Autore Discussione: Giornalista italiano morto in Ucraina nel 2014: "Andrea fu ucciso da una granata  (Letto 2393 volte)
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« inserito:: Maggio 26, 2017, 05:10:02 pm »

Giornalista italiano morto in Ucraina nel 2014: "Andrea fu ucciso da una granata"
Alcune foto esclusive, ritrovate nella sua macchina fotografica, documentano che Andrea Rocchelli, con il suo interprete, quel 24 maggio non è stato ucciso per caso: era già stato nel luogo dove ha trovato la morte.
La testimonianza di un fotoreporter francese che era con loro

Di MAURO FAVALE E GIULIANO FOSCHINI
24 maggio 2017

TRE ANNI FA, il 24 maggio del 2004, il giornalista e fotoreporter italiano Andrea Rocchelli fu ammazzato a Sloviansk, mentre documentava insieme con il suo interprete, e attivista per i diritti umani, Andrei Mironov, i danni sulla popolazione civile della guerra in Donbass, Ucraina. Le autorità ucraine, al termine di una lunga ma inutile indagine, parlarono di "danno collaterale" della guerra, un incidente insomma, senza dare nomi e perché a quanto accaduto.

Ora, grazie alla spinta dei genitori di Andrea, Elisa e Rino, alla determinazione del loro avvocato Alessandra Ballerini, a al lavoro dei carabinieri del Ros di Milano e della procura di Pavia, l'indagine è stata riaperta. "E' stato un attacco selettivo" dice la mamma di Andrea. E lo fa sulla base delle fotografie trovate nella macchina fotografica di Andrea, a da quelle che Repubblica.it pubblica oggi: Andrea fu colpito da una granata mentre fotografava un treno fermo sui binari, presidiato dall'esercito ucraino. Non fu un caso. Non era infatti la prima volta che andava in quel luogo. Nei giorni precedenti, come documentano le stesse fotografie di Andrea, era stato nello stesso posto per documentare quello che stava accadendo. Evidentemente qualcuno non ha gradito.
 
"Andrea - ha raccontato William Roguelon, un fotoreporter francese che era con Rocchelli e si è salvato per miracolo dall'agguato - mi dice che quel treno serviva a impedire il passaggio dei carri armati. A quel punto vediamo un uomo in abiti civili per strada che ci dice di andare via, che lì c'erano dei soldati. Mironov risponde va bene: ci mettiamo in fila indiana per tornare indietro, verso l'auto. Passano 5-6 secondi e sentiamo colpi di kalashnikov contro di noi. Saltiamo in un fossato profondo, con noi c'è anche il civile che ci aveva avvertito della presenza dei militari.  Da lì proviamo a raggiungere nuovamente l'auto. Arrivati all'altezza della macchina aspettiamo 2-3 minuti che i soldati smettano di sparare. A quel punto, però, partono i colpi di mortaio. Uno colpisce la macchina, capiamo che il bersaglio era la vettura. Noi eravamo coperti, nel fossato, nessuno ci poteva vedere. Decidiamo di tornare indietro, di nuovo verso il treno. Quanti colpi di mortaio ci hanno sparato? Non so, ho smesso di contare quando sono arrivato a 10. Uno abbatte un albero, un altro mi cade vicino, io resto ferito, mi guardo le gambe per vedere se c'era sangue. Fortunatamente riesco a muoverle. Il terzo colpo cade tra l'autista del taxi, Andrea e Andrej: è il colpo mortale per loro due. L'autista e il civile che era poco distante si rialzano e vanno verso la macchina. Io mi rimetto in piedi, passo davanti ai corpi di Andrea e Andrej. Risalgo il fossato vado verso l'auto, ormai mezza distrutta. Intanto ci continuano a sparare addosso. L'autista e l'altro uomo riescono a scappare via col taxi. Io non ce la faccio a rientrare in auto e mi ributto nel fossato. Prendo il telefono e geolocalizzo la mia posizione: mando degli sms ad altri amici giornalisti. Intanto sento dei rumori: c'era qualcun altro che era sceso nel fossato e che continuava a sparare. Io urlo: sono un giornalista, poi mi metto a camminare per andare via, provo ad aggirare la fabbrica. Mi trovo davanti a un gruppo di una ventina di soldati filo russi che erano appena arrivati. Loro mi insultano e mi dicono di andare via. Io proseguo, mani alzate, la mia attrezzatura in evidenza finché non si ferma un'auto: ci salto su e mi faccio portare in ospedale mentre dietro di noi ci continuano a spararci addosso".

Questa testimonianza è ora nel fascicolo dei carabinieri del Ros di Milano, guidati dal colonnello Paolo Storoni, che stanno facendo partire una nuova rogatorio al governo ucraino. "Perché - spiega Rino Rocchelli, il padre di Andrea - le autorità ucraine, nel fascicolo allegato all'autopsia sul corpo di Andrea, parlano di "scaramucce tra filo russi e esercito ucraino per colpa dei filo russi". Una risposta chiaramente insoddisfacente".

"La prima risposta delle autorità ucraine è fuffa" dice l'avvocato Alessandra Ballerini, la stessa che segue la famiglia di Giulio Regeni. "L'atteggiamento è molto simile a quello dell'Egitto nell'indagine sulla morte e la tortura di Giulio. L'Ucraina ci ha inviato testimonianze inutili, il tassista mente e si contraddice. Ora stiamo preparando una nuova rogatoria per esaminare tabulati di alcuni numeri di telefono, per rifare gli esami balistici e sentire altri testimoni. L'indagine è aperta, ancora contro ignoti, ma ci stiamo avvicinando alla verità. è stato un delitto intenzionale: loro dicono che sono giornalisti e vengono attaccati per questo. Non sappiamo al momento di rapporti diplomatici tra Italia e Ucraina. Al momento si può parlare di ostruzionismo ucraino, un muro di gomma molto simile a quello egiziano". Il riferimento a Regeni riecheggia anche nelle parole del senatore Luigi Manconi che sta seguendo la vicenda Rocchelli. "Di Andrea si dice fosse temerario, imprudente, sprovveduto", dice. "Sono gli stessi tratti biografici e caratteriali richiamati per Giulio Regeni. Ebbene entrambi erano uomini, non ragazzini, tutt'altro che temerari. Sono aggettivi che tentano di screditare queste persone e rivelano la pavidità di chi li pronuncia: parole che non ci devono fermare nella ricerca per la verità e la giustizia".

© Riproduzione riservata 24 maggio 2017

Da - http://www.repubblica.it/esteri/2017/05/24/news/svolta_indagini_morte_andrea_rocchelli-166285348/?ref=RHRS-BH-I0-C6-P3-S1.6-T1

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