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Autore Discussione: ANTONIO CIANCIULLO - L'Onu: l'effetto serra si può battere"Basta usare lo 0,12%  (Letto 5066 volte)
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« inserito:: Novembre 18, 2007, 06:47:30 pm »

AMBIENTE

Verso la conferenza di Bali che dovrà trasformare in decisioni politiche il rapporto, approvato all'unanimità, degli scienziati vincitori del Nobel per la pace

L'Onu: l'effetto serra si può battere"Basta usare lo 0,12% della ricchezza"

di ANTONIO CIANCIULLO


"IL momento dei dubbi è finito, ora è arrivato il tempo dell'azione". Con questo giudizio di Rajendra Pachauri, presidente dell'Ipcc (Integovernamental Panel on Climate Change) il vertice Onu di Valencia si è chiuso e si è aperto il cammino verso la conferenza di Bali che, a dicembre, dovrà trasformare in decisioni politiche il verdetto degli scienziati vincitori del Nobel per la pace.

Dopo una maratona negoziale di 24 ore, la sintesi che tiene assieme le 4 mila pagine del quarto rapporto Ipcc è stata approvata all'unanimità. Anche i delegati del fronte che finora si è opposto a impegni forti contro il riscaldamento globale (dagli Stati Uniti ai grandi produttori di petrolio) hanno sottoscritto un quadro della situazione molto netto. "Il surriscaldamento del clima è inequivocabile, ed è reso evidente dall'aumento della temperatura media globale dell'aria e degli oceani, dal diffuso scioglimento dei ghiacciai e della neve e dall'aumento globale del livello del mare", si legge nel rapporto.

Le 23 pagine della sintesi contengono un'impressionante carrellata di dati, ma bastano pochi elementi per misurare l'importanza della posta in gioco. Dei dodici anni più caldi nella storia della meteorologia undici sono concentrati nel periodo 1995-2006. L'aumento è stato così forte che "dal 1961 si registra l'innalzamento delle temperature oceaniche, alla profondità di 3 chilometri". E gli animali e le piante hanno già cominciato a reagire migrando e spostandosi di altitudine.

Il giudizio dell'Ipcc è netto anche sulle cause dello sconvolgimento dell'atmosfera: il riscaldamento, con una probabilità che oscilla tra il 90 e il 95 per cento, è da attribuire ai gas serra prodotti bruciando combustibili fossili e deforestando. L'emissione di questi gas è cresciuta del 70 per cento tra il 1970 e il 2004 e la pressione continuerà ad aumentare almeno per i prossimi 10 anni.

A partire dal 2020, però, niente è più prevedibile con ragionevole certezza. Negli scenari dell'Ipcc sono scritti futuri molto diversi. Uno corrisponde all'assenza di ogni correttivo. In questo caso la sesta estinzione di massa nella storia del pianeta appare inevitabile: con le temperature in crescita fino a 6 gradi entro la fine del secolo, 7 specie su 10 potrebbero scomparire.

Ma il segretario delle Nazioni Unite Ban Ki-moon, chiamando i leader del mondo a un'alleanza globale per un'economia verde, ha sottolineato che un altro scenario è possibile. Con una riduzione della crescita del Pil del solo 0,12% si può contenere l'ondata di caldo entro un aumento poco superiore ai 2 gradi rispetto a oggi. Le opzioni tecnologiche ci sono "a condizione che siano disponibili adeguati incentivi".

Per il Wwf il quarto rapporto Ipcc "è il messaggio più forte che poteva arrivare ai governi di tutto il mondo: ora tocca a loro". Il ministro dell'Ambiente Alfonso Pecoraro Scanio ha proposto una svolta in cinque settori: fonti energetiche pulite, trasporti, edilizia, sistema agro-forestale, educazione ambientale. Sono i temi su cui si dovrà misurare la conferenza Onu di Bali, chiamata a decidere la strategia per la riduzione dei gas serra.

(18 novembre 2007)

da repubblica.it
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« Risposta #1 inserito:: Dicembre 13, 2008, 05:32:48 pm »

L'ANALISI

Ambientalisti critici, ma il cambiamento c'è


di ANTONIO CIANCIULLO


Adesso la strada per Copenaghen, l'appuntamento che a fine 2009 dovrà mettere il mondo d'accordo sulla cura contro la febbre del pianeta, è davvero aperta. E non perché la conferenza Onu di Poznan sia stata un grande successo. Tutt'altro, in nottata si chiuderà un'intesa in buona parte formale. Ma perché è finito il gioco dei buoni e dei cattivi con le parti prefissate. Le ultime battute del meeting delle Nazioni unite hanno rivelato uno scenario inedito.

L'Europa, fino a ieri nei panni della prima della classe, soffre la rimonta degli egoismi nazionali scatenati dalla rivolta dei paesi dell'Est guidati dall'Italia. Il commissario europeo all'Ambiente, Stavros Dimas, ha insistito più volte sull'obiettivo di una riduzione del 30 per cento in indiretta polemica con le posizioni più tiepide adottate dal Consiglio europeo. "L'Europa", ha commentato Maria Grazia Midulla, del Wwf, "ha appena deciso di far pagare ai consumatori i permessi per inquinare che le industrie ottengono gratis e di non dare supporto ai paesi poveri nella lotta al cambiamento climatico". La sua è la posizione di Greenpeace e della Legambinte che, pesando i tagli delle emissioni, notano l'indebolimento prodotto dagli accordi di Bruxelles.

Tuttavia c'è un'altra faccia della medaglia, probabilmente la principale. L'affondo contro lo sviluppo delle fonti energetiche pulite non è passato. Alcuni paesi (tra cui l'Italia) hanno ottenuto qualche sconto. Ma l'inversione di marcia, dall'economia del petrolio a quella delle rinnovabili, resta.
Per l'Italia, che non è mai riuscita a modificare il trend che porta alla crescita delle emissioni inquinanti, la necessità di una virata di 180 gradi è dunque confermata. Per questo il responsabile ambiente del Pd, Roberto Della Seta, ha definito l'intesa di Bruxelles "un accordo storico che ha sconfitto il boicottaggio di Berlusconi".

Mentre l'Europa tiene con qualche difficoltà, gli Stati Uniti, confinati per otto anni nel ruolo del grande inquinatore, tornano in pista puntando alla leadership del business che nascerà dallo sforzo di ripulire l'atmosfera. Al Gore, riferendo gli umori di Obama, ha proposto un piano di salvataggio per la conferenza del dicembre 2009: "Non è più tempo di attese e di rinvii, bisogna passare all'azione. Da qui a Copenaghen i capi di Stato devono entrare direttamente in campo".

E anche la Cina, che ha strappato a Washington il primato dell'inquinamento, non sembra intenzionata a restare inerte mentre gli si stringe attorno la morsa dello smog e del deserto. A Poznan si è presentata con un volto diverso e infatti non ha vinto - come era successo nelle precedenti conferenze sul clima - nessun "fossile del giorno", il premio assegnato dalle associazioni ambientaliste ai maggiori inquinatori che l'Italia a Pozan ha ricevuto per ben due volte.

E' vero che partiva da una situazione tecnologicamente arretrata, ma nel 2007 la Cina ha diminuito del 3,7 per cento, rispetto all'anno precedente, il consumo di energia per ogni dollaro di prodotto. Nel 2008 ha chiuso una valanga di centrali inquinanti (15 gigawatt) e si trova con 164 gigawatt di idroelettrico, 10 gigawatt di eolico, 120 megawatt di fotovoltaico. Ha anche installato 130 milioni di metri quadrati di solare termico. E nei prossimi due anni investirà un miliardo e mezzo di euro nell'energia pulita.

Il mondo va avanti. Non è scontato che l'Europa resti in testa.

(12 dicembre 2008)
da repubblica.it
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« Risposta #2 inserito:: Settembre 13, 2011, 10:38:49 am »

CICLO IDRICO di ANTONIO CIANCIULLO

Mancano fogne e depuratori l'Italia rischia la mazzata Ue

Bloccata col referendum la spinta alla deregulation, resta il secondo ostacolo.

L'acqua arriva quasi dappertutto, ma quando rientra nell'ambiente naturale è sporca, inquinata o mal depurata.

L'Europa ci ha messi nel mirino. Ma correre ai ripari non sarà facile servono 64 miliardi


ROMA - "Se qualcuno è indolente nel mantenere il suo argine in buone condizioni e non lo conserva; se così l'argine si rompe e tutti i campi vengono allagati, così colui che era responsabile dell'argine rovinato venderà il necessario per denaro e il denaro ripagherà il grano del quale egli ha causato la perdita" (Codice di Hammurabi, 1780 avanti Cristo).

"Gli Stati membri proteggono, migliorano e ripristinano tutti i corpi idrici superficiali (....) al fine di raggiungere un buono stato delle acque superficiali (...) entro 15 anni dall'entrata in vigore della presente direttiva. (...) Le sanzioni devono essere effettive, proporzionate e dissuasive" (Unione europea, 23.10.2000).

Per evitare il rischio di sanzioni pesanti che entro pochi anni potrebbero abbattersi sui nostri conti pubblici, conviene ripartire da qui, dalla cultura dell'acqua mediterranea che affonda le sue radici nelle tradizioni dei sumeri e degli assiro babilonesi. Magari provando a evitare il ripetersi degli errori che, a partire dall'inaridimento dei campi della mezzaluna fertile fino all'inquinamento da pesticidi, in quattro millenni hanno mostrato un ampio spettro di pericoli.

All'indomani del referendum il mondo dell'acqua cerca dunque di superare il secondo ostacolo. Bloccata la spinta verso la deregulation selvaggia del settore, resta la battaglia per chiudere il ciclo idrico. Da una parte si tratta di ridurre gli sprechi, dall'altra di assicurare che l'acqua utilizzata venga restituita all'ambiente in condizioni tali da non costituire un problema ecologico. Anche perché entro 3 anni, per legge, l'insieme del sistema idrico italiano dovrà tornare a un "buono stato" di salute. Impresa resa difficile da due problemi.

Il primo è strutturale. Come raccontano Erasmo D'Angelis e Alberto Irace in un libro appena uscito ("Il valore dell'acqua") il ventesimo secolo si è chiuso senza aver completato il processo di costruzione del servizio idrico: "Nel 1904 solo 26 capoluoghi di provincia erano dotati di un acquedotto comunale. Ancora nel 1954 una buona parte d'Italia viveva senza l'acqua corrente in casa. In Veneto, ad esempio, su 100 case 48 non erano allacciate all'acquedotto, 52 erano senza gabinetto, 72 senza doccia o vasca da bagno, 15 senza elettricità, 81 senza il gas a rete, 86 senza il termosifone". E alla fine degli anni Novanta una città come Milano fu multata dall'Europa (9 miliardi di lire per ogni mese di ulteriore ritardo) per la mancata costruzione dei suoi depuratori.

Ancora oggi, a fronte di una penetrazione molto ampia degli acquedotti (la copertura supera il 96 per cento), il sistema delle fognature arriva solo all'86 per cento del fabbisogno e la depurazione si ferma al 70 per cento. Per chiudere il ciclo dell'acqua servono 64 miliardi di euro in trent'anni.

E' un intervento necessario perché oggi il livello di qualità delle acque è lontano dalle richieste di Bruxelles: oltre la metà delle stazioni di monitoraggio collocate su fiumi e laghi rivela il mancato raggiungimento dello standard che sarà obbligatorio dal 2016. Al momento, l'insieme di centinaia di migliaia di scarichi non depurati, depurati male o illegali rende questo obiettivo irraggiungibile. E, in caso di inadempienza, le sanzioni europee sarebbero pesanti. "Siamo stati deferiti alla Corte di Giustizia Europea il 5 maggio 2010: le megamulte riguarderanno 178 comuni italiani, 75 dei quali siciliani. In ballo ci sono cifre già rese note da Bruxelles che varieranno da 11 a 714 mila euro al giorno", precisa D'Angelis, presidente di Publiacqua, il gestore del servizio idrico della Toscana centrale.

Per evitare le sanzioni bisogna trovare i fondi per gli investimenti. Come? "Per anni ci hanno raccontato una favola", sostiene Paolo Caretti, del Forum movimenti per l'acqua. "Quella che per trovare i soldi bisognava privatizzare. Un falso, come dimostrano i numeri sui mancati investimenti nelle città in cui gli acquedotti sono stati privatizzati. E, in ogni caso, i privati non tirerebbero fuori neppure un centesimo: se anche trovassero i fondi, arriverebbe tutto dai rincari in bolletta che sono stati l'unica conseguenza reale della fase di privatizzazione. Noi proponiamo un sistema diverso. Chiediamo che sia la finanza pubblica a garantire gli investimenti dirottandoli da voci con priorità più bassa, senza aumentare il peso delle imposte. Inoltre, a parità di prelievo fiscale complessivo, suggeriamo una tassa di scopo sulle bottiglie di acqua minerale in plastica".

Sessantaquattro miliardi sono una bella cifra. Ma c'è chi sostiene che il vero problema non è quello economico. Secondo Roberto Passino, presidente della Commissione nazionale di vigilanza sulle risorse idriche, le tariffe attuali sono perfettamente in grado di garantire gli investimenti attraverso prestiti che saranno ripagati da incassi sicuri e garantiti come quelli del settore idrico.

"Avevamo già preso contatto con l'Associazione bancaria italiana e con la banca europea degli investimenti trovando grande disponibilità", ricorda Passino. "Ma all'ultimo momento c'è stata una frenata perché il sistema creditizio si è trovato di fronte all'assenza di un'interlocuzione affidabile: le decisioni non vengono prese in base alle esigenze tecniche e di programmazione, ma sull'onda delle convenienze clientelari ed elettorali che cambiano di giorno in giorno. Il sistema idrico non ha problemi: è il sistema politico che non funziona".

E, a rendere ancora più difficile la situazione, è arrivata la manovra del governo che penalizza il settore energetico colpendo le multiutilities, le aziende che forniscono elettricità e acqua. "Siamo di fronte a una doppia assurdità", osserva Adolfo Spaziani, direttore di Federutility, l'associazione degli acquedotti pubblici e delle altre aziende di servizi. "Abbiamo fatto importanti investimenti sulle fonti rinnovabili e ora, con il taglio di liquidità, si rende più difficile l'adeguamento delle rete necessario a utilizzare la nuova disponibilità di energia green. Inoltre con la Robin tax si colpiscono le imprese impegnate nel fornire i servizi primari indebolendo così gli sforzi per mettersi in regola nel settore idrico. Tutto ciò all'indomani di un referendum che ha chiesto di rafforzare la capacità della mano pubblica di offrire servizi idrici adeguati".

12 settembre 2011

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