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Autore Discussione: Pasquale Colizzi - Pontecorvo, una vita per il cinema  (Letto 2586 volte)
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« inserito:: Novembre 18, 2007, 06:19:41 pm »

Pontecorvo, una vita per il cinema

Pasquale Colizzi


E’ stato uno degli autori meno prolifici del nostro cinema. Anche perché sempre più spesso ripeteva che “le condizioni di libertà creativa necessarie perché il nostro mestiere possa essere anche arte sono sempre più rare…”. Gillo Pontecorvo, nato il 19 novembre 1919 e morto giusto un anno fa, il 12 ottobre 2006, ha diretto appena cinque lungometraggi (e mezzo), lasciando però un segno fortissimo nel panorama del cinema mondiale. Per tentare di raccontare l’uomo e la vita, piena come in un romanzo e quasi sempre felice come il suo amore per il mare, la natura, le donne e la musica, Annarosa Morri e Mario Canale hanno girato Gillo. Le donne, i cavalier, l’armi, gli amori. Per ricordare il regista nel giorno della sua nascita, lunedì 19 novembre il doc sarà proiettato all’Auditorium di Roma in una serata ad inviti. Se non siete nella lista, lo stesso giorno LA7 gli dedicherà parte del palinsesto. Alle 14.00 potrete vedere La Battaglia di Algeri, film del ’66 che gli valse il Leone d'Oro e la notorietà internazionale. Alle 23.30 invece sarà trasmesso il documentario inedito di Annarosa Morri e Mario Canale, che LA7 ha coprodotto, con un’attenzione lodole come era accaduto con il recente doc dedicato a Marco Ferreri, tra l’altro sempre del bravo Mario Canale. Altra occasione per vedere il doc martedì 20 alle 11 all’Auditorium della Facoltà di Lettere di Tor Vergata.

Figlio di ebrei pisani benestanti, è cresciuto in una famiglia fucina di scienziati: degli otto figli, un fratello negli Usa ha sfiorato il Nobel, l’altro fu fisico nucleare uscito dalla scuola di “via Panisperna” e fuggito in Urss. Gillo invece si rifugiò giovanissimo a Parigi: bello e vitale, playboy che affrontava il pericolo col sorriso, fu tennista e pescatore, amico di Picasso e Sartre, giornalista e reporter per France Press. In Italia, durante la lotta di liberazione, fu staffetta e poi capo partigiano, in stretto contatto con i vertici del Pci clandestino già in Francia. Decise di fare cinema vedendo Paisà di Rossellini e iniziò un’avventura che per piacergli doveva appassionarlo. E lui si appassionava solo a storie che guardavano al mondo, tutte scritte con il grande amico Franco Solinas e musicate da un altro sodale, Ennio Morricone. Il primo approccio del ’57 non lo soddisfece: La grande strada azzurra, con Yves Montand e Alida Valli, si portava dietro i difetti di uno sceneggiatore e un regista praticamente agli esordi. Poi arrivarono le storie dure e ispirate come Kapò e i campi di concentramento. O che riguardavano la lotta di liberazione popoli oppressi. La Battaglia di Algeri, film leggendario girato quasi in presa diretta, fu commissionato dal Fronte di Liberazione nazionale algerino che era riuscito a cacciare i francesi. Queimada, con un Marlon Brando che ebbe qualche problema con la pignoleria del regista italiano, parla di decolonizzazione. E Ogro, con Gian Maria Volontè, che racconta l’attentato di terroristi rossi al primo ministro Carrero Blanco durante la dittatura di Franco.

Altri film ne scrisse e non li realizzò. Il più curioso era il progetto di Marlon Brando per un film sui Sioux mentre il più grande rimpianto quello sull’uccisione dell’arcivescovo di San Salvador Oscar Romero. Ma alla fine del cinema non sentì tanto la mancanza, anzi. A parte la passione per la musica (fosse tornato indietro sarebbe diventato compositore), in mancanza di suoi film adottava quelli degli altri. Direttore della Mostra di Venezia dal ’92 al ’96, lanciò tanti autori giovani, fu attento ai nuovi strumenti del cinema (che però non amava utilizzare) e portò giovani spettatori al Lido con l’Associazione CinemAvvenire. Molto amato da registi e attori di Hollywood – che arrivavano sempre quando li invitava – Pontecorvo forse può essere contenuto anche in una frase della moglie, quando dice: “Lui stava comodo ovunque, tanto nella roulotte che aveva acquistato per viaggiare quanto all’Excelsior”. Dopo “le donne, i cavalier, l’armi, gli amori”, Annarosa Morri e Mario Canale tentano di rispondere alla domanda più frequente: “Perché Gillo ha fatto così pochi film? Ci viene il dubbio che abbia preferito vivere”.
pasquale.colizzi@fastwebnet.it

Pubblicato il: 17.11.07
Modificato il: 17.11.07 alle ore 20.35   
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