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Autore Discussione: Don Chisciotte - Frammenti di un discorso teatrale  (Letto 3241 volte)
Arlecchino
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« inserito:: Marzo 07, 2017, 12:43:06 pm »


Don Chisciotte
Frammenti di un discorso teatrale

Di Rafael Azcona, Tullio Kezich, Maurizio Scaparro

Note di regia

La solitudine del sognatore

Mi ha sempre incuriosito e affascinato, lavorando sulla figura di Don Chisciotte quel vivere in una realtà del ferro e sognare l’età dell’oro, essere in bilico tra passato e futuro, come capita anche all’uomo di teatro oggi, legato alla sua cultura, alla sua necessità di rivolgere un discorso non massificato a poche centinaia di persone a sera, mentre sulla nostra testa passano messaggi per milioni di individui.
Con la coscienza che quando questo nostro essere uomini cesserà, passeremo la mano ai robot, se non riusciremo a far entrare parole (e idee) come amore, teatro, vita, fantasia nei contenitori nuovi che le tecnologie più avanzate ci hanno preparato e ci preparano per il linguaggio degli anni 2000.
Tra passato e futuro, la vita è il presente, ed il presente rinnovato di questo nostro “Don Chisciotte”, con Pino Micol e Augusto Fornari, è nel viaggio, alla ricerca appunto della Fantasia e dell’Illusione, nel mondo del suo cervello.
Anche per questo accanto alla necessità di ricordare la natura “cavalleresca” del romanzo, ho cercato di privilegiare la natura “carnevalesca” che non solo distingue il cavaliere dalla triste figura e il suo scudiero Sancho Panza, ma anche la varia umanità che li circonda, impegnata in travestimenti e mutamenti continui, reali o apparenti. Mi sembra che l’ “utopia teatrale” abbia nel Don Chisciotte e in Cervantes materia viva e immensa alla quale attingere a piene mani. L’immagine ideale (mi riferisco ad un’immagine più ampia di quella che non si possa realizzare solo in cinema o in teatro) non può prescindere a mio avviso da questa matrice utopica, carnevalesca e quindi teatrale. Così lo spazio che ho scelto per i viaggi della mente di Don Chisciotte è molto semplicemente un “teatro”. Anzi un vecchio cadente rotto “ex teatro”, dove le pareti lasciano scoprire qualche residuo di palchi, dove forse un giorno crescerà l’erba, e dove tuttavia miracolosamente sopravvive un vecchio “palcoscenico”, nudo, con qualche ricordo residuo di macchinerie teatrali, povere e semplici macchine della illusione e della fantasia, che muovono il sipario, modificano le luci, creano il vento, la pioggia, i tuoni.
Semmai, c’è da chiedersi se quella di Don Chisciotte fu vera follia. O piuttosto una consapevole ribellione al linguaggio e al comportamento pianificato che esclude o emargina alcune volontà o possibilità profonde dell’uomo. Come il discorso amoroso. Non a caso avevo citato nei giorni della preparazione del progetto sul Don Chisciotte quanto scriveva Roland Barthes a proposito del discorso amoroso che, come il discorso teatrale è o rischia di essere “un discorso di estrema solitudine, abbandonato dai discorsi vicini, oppure ignorato, svalutato, schernito, tagliato fuori non solo dal potere, ma anche dai suoi meccanismi (scienze, arti, sapere)”.
L’ “isola dell’intelletto” Kantiana, e forse l’isola che Don Chisciotte vuole regalare a Sancho Panza, restano una splendida realtà utopica difficile a vivere nella società che ci stanno, che ci stiamo, costruendo attorno.
Così oggi più di ieri, anche con questo spettacolo, proviamo a ricordare come la figura Don Chisciotte rappresenti la solitudine crescente del diverso, del “pazzo”, del sognatore, dello scienziato, del poeta, e di chiunque tenti di sfuggire all’ omologazione del pensiero e dei sentimenti.
Cercando con il sorriso, e con disperato ottimismo, di essere utili continuando a fare teatro.

Maurizio Scaparro

Da - http://www.ipocriti.com/spettacolo/don-chisciotte/
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« Risposta #1 inserito:: Aprile 22, 2017, 10:43:51 am »

http://www.scuolafilosofica.com/2980/don-chisciotte-della-mancia-chervantes-m
« Ultima modifica: Aprile 22, 2017, 11:21:50 am da Arlecchino » Registrato
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