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Autore Discussione: Nicoletta Dentico - Farmaci per i paesi poveri, bisogna fare di più  (Letto 2300 volte)
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« inserito:: Novembre 17, 2007, 08:52:41 am »

Farmaci per i paesi poveri, bisogna fare di più

Nicoletta Dentico*


Caro Direttore,

ho letto con estrema attenzione la replica del ministro Bonino alla lettera sulla spinosa questione dell’accesso ai farmaci essenziali nei Paesi poveri, pubblicata dall’Unità il 7 novembre, qui a Ginevra, dove mi trovo alle prese con il negoziato internazionale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) su «Salute Pubblica, Innovazione e Diritti di Proprietà Intellettuale».

A nome di tutti i firmatari, ringrazio il ministro per la sollecita risposta alla nostra lettera. Viceversa, lamento la totale latitanza dell’Italia in questo processo negoziale, la più importante iniziativa nel campo delle politiche farmaceutiche dell’Oms dall’introduzione, esattamente 30 anni fa, del concetto di «farmaci essenziali». L’Italia, semplicemente, non c’è.

La questione è importante invece e non riguarda solo i Paesi in via di sviluppo. La vicenda della Tailandia infatti pone all’attenzione della politica e dell’opinione pubblica non solo la necessità di conciliare il diritto primario alla salute, nella fattispecie il diritto di accesso alle cure, con gli interessi delle aziende farmaceutiche.

Si tratta piuttosto di capire, e di capirci, su un punto: se le regole sancite negli accordi internazionali in ambito commerciale, negoziate con fatica ed introdotte ormai da oltre dieci anni, valgono per tutti i Paesi che le hanno sottoscritte oppure no. La questione insomma riguarda la preoccupante tendenza - peraltro non nuova, già era avvenuto nel 1997 con la vicenda dei farmaci anti-Aids in Sudafrica - a far passare per illegali iniziative che hanno invece tutti i crismi della legalità internazionale.

Le licenze obbligatorie, introdotte dal governo di Bangkok in deroga al brevetto farmaceutico all’inizio del 2007, sono previste dall’articolo 31 dell’Accordo sui Diritti di Proprietà Intellettuale (TRIPs), e sono contenute nella Dichiarazione di Doha (adottata dalla Conferenza Intergovernativa del Wto nel 2001) che recita: «Ogni Paese membro ha il diritto di rilasciare licenze obbligatorie e la libertà di determinare i presupposti di salute pubblica in base ai quali introdurre suddette licenze».

Non esiste distinzione fra malattie infettive e malattie non trasmissibili, malattie dei ricchi e dei poveri. È prerogativa dei governi definire quali farmaci possano meglio rispondere alle loro necessità di salute pubblica.

L’Italia insegna: nel marzo 2007 il nostro Paese ha emesso una licenza obbligatoria contro la farmaceutica Merck per rimuovere - con due anni di anticipo rispetto alla scadenza brevetto - gli ostacoli alla produzione e vendita in Italia del principio attivo «Finasteride» e dei relativi farmaci generici, tra i principali per la cura dell’ipertrofia prostatica (ma usato anche per curare la calvizie).

La licenza obbligatoria imposta dall’Antitrust puntava a «favorire una maggiore dinamica concorrenziale in questo mercato e promuovere significative riduzioni di prezzi e di spesa del Sistema sanitario nazionale in Italia ed in altri Paesi europei, per un maggior sviluppo dei prodotti generici», come recita il comunicato stampa dell’Antitrust.

La Tailandia, per abbassare il costo dei farmaci, ha fatto leva sulla propria capacità produttiva. La decisione di sospendere l’effetto del brevetto e autorizzare la Government Pharmaceutical Organisation (Gpo) a produrre la versione generica, dopo aver negoziato la riduzione del prezzo per oltre un anno con la casa farmaceutica, non fa una piega. Del resto, la stessa Banca mondiale aveva consigliato al governo di Bangkok di avvalersi delle licenze obbligatorie per continuare il suo programma sanitario. Almeno in virtù della propria esperienza, il nostro governo avrebbe potuto dare il proprio sostegno a Bangkok. Così non è stato, malgrado le ripetute richieste da parte delle organizazzioni non governative.

Le disfunzioni di un sistema che premia l’innovazione con regimi di monopolio ed il costo esorbitante dei farmaci sono ormai ampiamente documentate. Ultima in ordine di tempo, la Commissione dell’Oms su Diritti di Proprietà Intellettuale, Innovazione e Salute Pubblica, il cui rapporto del 2006 sta all’origine del negoziato di questi giorni a Ginevra.

Esiste un consenso crescente - da parte del mondo scientifico, e dei policymaker - sulla necessità di svincolare il costo per la ricerca farmaceutica dal costo dei medicinali. Non è un’impresa impossibile, concordo con Bonino, allineare il sistema degli incentivi alle industrie con le necessità della salute pubblica. Se ne sono accorti anche negli Stati Uniti, dove un disegno di legge per creare un fondo di 80 miliardi di dollari l’anno per la ricerca medica è di recente approdato in Senato, in alternativa all’attuale incentivo brevettuale. È un’impresa necessaria se, come scritto nel rapporto dell’Oms, «il solo mercato, e gli incentivi che lo attivano, come la protezione brevettuale, non riescono da soli rispondere ai bisogni dei Paesi in via di sviluppo», dove scarso è il potere d’acquisto dei pazienti.

Peccato che questi temi siano molto lontani dal dibattito politico in Italia. Chiedo al ministro Bonino, la cui sensibilità è nota, di aprire un confronto serio su questi temi, a livello intergovernativo. A Lei, Direttore, la richiesta è di ospitare in futuro il pur non facile racconto su queste patologie del mercato, e sulla necessità di attuare senza impedimenti le regole del diritto, nell’interesse di tutti.

Le malattie non conoscono frontiere.

* Drugs for Neglected Diseases Initiative (DNDi)



Pubblicato il: 16.11.07
Modificato il: 16.11.07 alle ore 9.53   
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