Donne e attiviste per i diritti umani
Asli Erdogan e Pinar Selek: «Siamo come l’erba: fragile, ma non si spezza mai»
di Eliana Di Caro 13 gennaio 2017
Asli Erdogan in teleconferenza da Istanbul a Milano. (Ansa)
La voce della resistenza turca è risuonata a Milano, al teatro Dal Verme, attraverso la potente testimonianza delle scrittrici Asli Erdogan e Pinar Selek. Asli in video collegamento da Istanbul perché, scarcerata il 29 dicembre scorso dopo quattro mesi di detenzione per l’accusa di terrorismo, non può lasciare il Paese e deve affrontare la prossima udienza del processo il 14 marzo; Pinar, invece, presente all’incontro organizzato da “Tempo di Libri”, la fiera editoriale che si svolgerà a Milano dal 19 al 23 aprile e di cui l’evento del Dal Verme, dedicato alla libertà e ai diritti, ha costituito un’anteprima. Introdotta dall’assessore alla Cultura Filippo del Corno («È un’occasione di conoscenza e di scambio di dialogo che vanno alimentati attraverso i libri»), e da Chiara Valerio, responsabile della prima edizione milanese della kermesse editoriale («Vogliamo che sia una fiera della manutenzione della cultura italiana»), la tavola rotonda ha visto la partecipazione anche del giornalista Lirio Abbate, che vive sotto scorta, e della docente di lingua e letteratura turca all’Università di Napoli, Lea Nocera.
Giornalisti minacciati e uccisi: l’appello di Abbate
Sotto la sapiente regia di Marino Sinibaldi, direttore di Radio 3, si è cominciato con l’intervento di Abbate, il quale ha sottolineato l’eccezionalità dell’Italia: un Paese avanzato, occidentale, moderno dove i giornalisti sono stati minacciati e uccisi per il loro lavoro, «perché scrivevano o perché sapevano. Questa cosa la si subisce, la criminalità organizzata è come la dittatura, la forza va imposta sulla parola che è considerata un’arma. In Sicilia otto giornalisti sono stati uccisi dalla mafia». Abbate ha chiuso con un appello: «Non lasciamo sole le persone che sono minacciate perché scrivono».
La libertà negata di espressione a colloquio con Pinar Selek 19 aprile 2015
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Da qui in poi, la scena è stata tutta per la Turchia, un Paese - ha affermato Sinibaldi - che in questo momento porta tutti i tratti dei conflitti contemporanei e vive in modo drammatico la negazione della libertà di espressione: «È tutto visibile, li vediamo i giornalisti incarcerati e torturati, è sotto i nostri occhi quello che succede lì più che altrove». Lea Nocera ha fatto un utile e sintetico quadro della storia e della società turche, propedeutico alla conversazione delle due scrittrici. Nell’osservare Selek ed Erdogan (nessuna parentela con il premier), si ha la misura dei segni di una lunga lotta. Selek, sociologa, attivista a favore delle minoranze oppresse in Turchia, vive in Francia in esilio forzato dal 2009, ha alle spalle il carcere e le torture che ha raccontato in La maschera della verità (Fandango: si veda l’intervista alla Domenica del Sole del 19 aprile 2015), parla con grinta e grande carica della necessità di resistere ma anche di allontanarsi dalla Turchia per potersi esprimere: «Subivo la tortura e non ho detto neanche una parola, ma ho capito che bisogna andare oltre la Resistenza, bisogna essere in uno spazio libero per creare, non subire passivamente ma essere libere. Per questo la solidarietà internazionale ha un ruolo importantissimo: bisogna far uscire Asli dalla Turchia perché possa continuare a creare, è una grandissima scrittrice. Le frontiere non sono importanti, soprattutto non le hanno istituite le donne».
Siamo come l’erba: fragile, ma non si rompe mai
La sociologa turca Pinar Selek. Ansa / Matteo BazzI
Selek ha voluto ricordare il tempo in cui Asli Erdogan le è stata vicina, quando lei 18 anni fa fu arrestata e trattata come una terrorista: «Era una delle giornaliste che hanno scritto su di me e per me, è venuta in prigione, mi ha aiutata a rialzarmi così come adesso faccio io con lei. A volte ci chiedono “come fate”? Come riuscite a resistere? Siamo come l’erba: fragile, ma non si rompe mai. La nostra amicizia, il fatto di essere insieme ci dà forza. Prima dell’inizio di questo incontro ci siamo parlate tre minuti, le ho detto “sii paziente, ti facciamo uscire”. Le sollecitazioni e le richieste devono essere inviate da tutte le istituzioni. Bisogna insistere, non si fa in due giorni».
Donne militanti
Gli applausi sono diventati ancora più forti e caldi quando è comparso sullo schermo il volto malinconico e un po’ pallido di Asli Erdogan, classe 1967, arrestata con l’accusa di terrorismo per i suoi articoli sul giornale filocurdo Ozgur Gundem. «Ringrazio tutti per il sostegno – ha detto - per aver parlato di me e dei miei libri. Senza l’intervento dei giornalisti, degli scrittori, e delle persone comuni sarei ancora in galera. Centotrentasei giorni in carcere sono stati lunghissimi, orribili anche perché ingiusti, fuori dal diritto. Sono stata accusata e imprigionata per motivi politici e mi è pesato moltissimo. Non sono la sola: ci sono molte persone in carcere di cui si è persa cognizione, non se ne conosce il numero. La situazione è fuori dal controllo della giustizia e del diritto. Siamo a un punto in cui bisogna chiedersi cosa vuol dire reato, colpa, innocenza, parole che vanno messe in discussione».
Solidarietà, scrittura e resistenza
Asli Erdogan si è anche soffermata sul lato umano di un’esperienza che l’ha provata e che vorrà raccontare: «Ho dato un nuovo valore alla vita: ero in cella con venti donne, ho imparato molto nella quotidianità. Del carcere ho già parlato in L’edificio di pietra (non tradotto in italiano ndr), ma ora che c’è questa grossa macchia nera, l’unico modo per affrontarla è la scrittura. La prossima udienza sarà il 14 marzo ma non sarà l’ultima, perché dei 4 reati che mi sono imputati, c’è quello di propaganda terroristica». Per questo le è stato impedito di lasciare il territorio. «In questo momento in Turchia – spiega - vige lo stato di emergenza, con una serie di decreti che prevedono il ritiro del passaporto per qualunque persona sia sotto inchiesta per il reato di appartenenza a un’organizzazione terroristica, anche per il primo grado di parentela (coniugi e figli): una situazione che ha condizionato la vita di molte famiglie».
La serata si è conclusa con la lettura di brani tratti da Il mandarino meraviglioso (Keller), scritto da Asli Erdogan quando era una fisica al Cern di Ginevra. «È il mio primo libro, allora avevo 25 anni e non pensavo di fare la scrittrice», ricorda, ed è l’unico momento in cui dallo schermo un accenno di sorriso le illumina il volto. «Spero un giorno di essere lì con voi».
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