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Autore Discussione: BAUMAN.  (Letto 3450 volte)
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« inserito:: Gennaio 12, 2017, 12:12:55 pm »

Bauman: «La felicità è la risposta a ciò che ci consuma»
Di Marco Dotti
10 gennaio 2017

Ci siamo dimenticati della felicità. Alla sua costruzione, ricerca, speranza abbiamo sostituito il desiderio. E il desiderio del desiderio: un castello di carta che, generando iperconsumo di massa, ha dissolto legami, relazioni, forme del fare e del convivere. L'ultima lezione del sociologo polacco Zygmun Bauman: cercare la felicità come apertura all'altro. «La felicità è risolvere problemi, non anestetizzarsi»

Come sopravvivere alla liquidità che caratterizza i nostri tempi, i nostri ritmi, le nostre relazioni, anche le più vitali? C'è un modo per superare quella tendenza ipermoderna alla rarefazione di ogni legame, struttura, senso del luogo, della comunità e del coappartenere che Zygmunt Bauman, il sociologo scomparso ieri a 91 anni, ha chiamato modernità liquida? Per Bauman c'è e consiste nel prendere atto della situazione in cui siamo, rendersi in altri termini conto conto che si vive in una società liquida che richiede, per essere capita e forse superata, nuovi strumenti e antichi fini.

Elites sub-politiche
Possiamo immaginare la modernità - rispondeva Bauman a David Lyon, in uno dei suoi tanti libri intervista - «come una spada con la sua lama affilata che preme continuamente sulle realtà esistenti». Ma il guaio - osservava Umberto Eco, in una "Bustina di Minerva", proprio commentando Bauman - è che la politica e in gran parte l’intellighenzia europee e globali non hanno ancora compreso la portata del fenomeno e chi dovrebbe guidarci dall'altra parte del fiume se ne sta fermo in attesa della corrente.

Eco definirà questa situazione come il terreno di coltura dell' "Ur- Fascismo", Bauman come una condizione di doppio legame, ossia una situazione di incoerenza emotiva e incongruenza di decisioni: « i governi che si presumono ancora sovrani del loro territorio soffrono in realtà di un doppio legame, con alcuni poteri globali e con i loro elettori, locali, e ritenuti anch’essi sovrani. Nessuna meraviglia che siano ondivaghi e precari nelle decisioni. Avidamente ma invano, cercano di avere il piede in due scarpe, ma le richieste dei due campi non si conciliano. Al massimo possono essere ascoltate e, a intermittenza, realizzate. Tuttavia, quasi mai soddisfacendo fino in fondo una delle due parti, per non parlare di entrambi contemporaneamente».

La mappa non è il territorio
Ci muoviamo con mappe che non corrispondono più al territorio che, d'altronde, è un territorio mobile. Usiamo scarpe pesanti dove servirebbe correre e, nel fango, ci muoviamo come su una spiaggia di Capalbio. Una società, scriveva Bauman, «può essere definita "liquido-moderna" se le situazioni in cui agiscono gli uomini si modificano prima che i loro modi di agire riescano a consolidarsi in abitudini e procedure. La vita liquida, come la società liquida, non è in grado di conservare la propria forma o di tenersi in rotta a lungo».

Il problema è che, in questa modernità rarefatta, si assiste a una dissoluzione, ma anche a una progressiva involuzione e chiusura dei rapporti e dei legami, fragili eppure cruenti che strutturano le nostre società.

 Una società può essere definita "liquido-moderna" se le situazioni in cui agiscono gli uomini si modificano prima che i loro modi di agire riescano a consolidarsi in abitudini e procedure. La vita liquida, come la società liquida, non è in grado di conservare la propria forma o di tenersi in rotta a lungo

Gli stati-nazione indipendenti sono ormai incapaci di affrontare i problemi derivanti dall’interdipendenza globale. Con la globalizzazione del potere che lascia indietro la politica locale, spiegava Bauman, «gli strumenti disponibili di azioni collettive efficaci non corrispondono alla misura dei problemi generati dalla nostra condizione globalizzata. Per citare Ulrich Beck, stiamo già in una situazione cosmopolita ma ci manca drammaticamente una consapevolezza cosmopolitica. Abbiamo fallito nella capacità di costruire con serietà istituzioni destinate a gettare le fondamenta di tale consapevolezza».


 La felicità -osservava Bauman - è la sfida dell'umanità presente, per la sua dignità futura
Felicità: la sfida del rischio
In tutto questo, Bauman ricordava che ci siamo dimenticati di una parola semplice eppure stratificata e vitale. L'abbiamo svenduta all'iperconsumo di massa e alla dirompente potenza espansiva delle tecnostrutture del desiderio. La parola è "felicità". Che cos'è la felicità e perché, oggi, può tornare a interrogarci radicalmente?

La felicità - spiegava Bauman - «è uno stato mentale, corporeo, che sentiamo in modo acuto, ma che è ineffabile. Una sensazione che non è possibile condividere con altri. Ciononostante, la caratteristica principale della felicitè è quella di essere un'apertura di possibilità, in quanto dipende dal punto di vista con il quale la esperiamo. Nell'antichità la felicità era una ricompensa per pochi eletti selezionati. In un momento successivo venne concepita come un diritto universale che spettava a ogni membro della specie umana. Successivamente, si trasformò in un dovere: sentirsi infelici provoca senso di colpa. Dunque chi è infelice è costretto, suo malgrado, a trovare una giustificazione alla propria condizione esistenziale».
. Ma esiste una seconda linea di evoluzione del concetto di felicità: la felicità come stato finale, come obbiettivo al quale dobbiamo tendere. La felicità come fine concreto, che abbiamo dimenticato

All'interno di questa seconda prospettiva, ricorda Bauman, `l'evoluzione è stata verso un'esperienza della felicità legata direttamente al piano della vita quotidiana, che nella contemporaneità ha indebolito l'idea della felicità come obiettivo. A ciò si lega anche la parallela evoluzione del concetto di desiderio. Ora, non ci si ferma soddisfatti, e felici, quando un nostro desiderio si realizza. Piuttosto, ci si spinge subito a desiderare qualcos'altro che ci possa soddisfare in maniera migliore. Desideriamo il desiderio più che la realizzazione di esso. Quest'atteggiamento dà luogo ad una catena tendenzialmente infinita di frustrazioni e insoddisfazioni».

Se il desiderio ipermoderno, iperveloce, tecnologicamente drogato non vede né vuole problemi (ma costruisce muri fra noi e il mondo), la felicità è - insegnava Bauman, a commento del lavoro di Erik Gandini La teoria svedese dell'amore di cui abbiamo ampiamente parlato su Vita - è sfida, consapevolezza, presa di coscienza di quei problemi. Ecco perché la felicità è tanto avversata dai fantasmi del mondo liquido.

«Non è vero che la felicità significhi una vita senza problemi. La vita felice viene dal superamento dei problemi, dal risolvere le difficoltà. Si raggiunge la felicità quando ci si rende conto di riuscire a controllare le sfide poste dal destino, ci si sente persi se aumentano le comodità». La felicità -osservava Bauman - è la sfida dell'umanità presente, per la sua dignità futura.

09 gennaio 2017

Da - http://www.vita.it/it/article/2017/01/10/bauman-la-felicita-e-la-risposta-a-cio-che-ci-consuma/142082/
« Ultima modifica: Gennaio 12, 2017, 12:20:47 pm da Arlecchino » Registrato
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« Risposta #1 inserito:: Gennaio 12, 2017, 12:14:36 pm »

A causa di questa fluidità ci troviamo in ciò che Antonio Gramsci chiamava un interregno, una situazione in cui “il vecchio muore e il nuovo non può nascere: in questo interregno si verificano i fenomeni morbosi più svariati”.

da Bauman
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« Risposta #2 inserito:: Gennaio 12, 2017, 12:22:32 pm »

La società liquida
Con questa idea Bauman illustra l’assenza di qualunque riferimento “solido” per l’uomo di oggi.
Con conseguenze ancora tutte da capire
      
La società liquida
L'idea di modernità o società “liquida” è dovuta, come è noto, a Zygmunt Bauman. Per chi voglia capire le varie implicazioni di questo concetto può essere utile “Stato di crisi” (Einaudi, 18 euro) dove Bauman e Carlo Bordoni discutono di questo e altri problemi.
   
La società liquida inizia a delinearsi con quella corrente detta post-moderno (peraltro termine “ombrello” sotto cui si affollano diversi fenomeni, dall’architettura alla filosofia e alla letteratura, e non sempre in modo coerente). Il postmodernismo segnava la crisi delle “grandi narrazioni” che ritenevano di poter sovrapporre al mondo un modello di ordine, si è dedicato a una rivisitazione ludica o ironica del passato, e in vari modi si è intersecato con le pulsioni nichilistiche. Ma per Bordoni anche il postmodernismo è in fase decrescente. Esso era di carattere temporaneo, ci siamo passati attraverso senza neppure accorgercene, e sarà un giorno studiato come il pre-romanticismo. Serviva a segnalare un avvenimento in corso d’opera, ha rappresentato una sorta di traghetto dalla modernità a un presente ancora senza nome.

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« Risposta #3 inserito:: Gennaio 12, 2017, 05:37:16 pm »

È morto il sociologo Zygmunt Bauman
È stato il teorico della «società liquida»

Pubblicato il 09/01/2017
Ultima modifica il 09/01/2017 alle ore 18:37

Il sociologo polacco di origini ebraiche Zygmunt Bauman è morto oggi a Leeds all’età di 91 anni. Lo scrive Wyborcza online. 

Bauman è stato il teorico della «società liquida», le sue analisi sul modo di vivere dell’uomo moderno e sulla sua percezione della realtà lo avevano reso celebre tra gli intellettuali. 

Secondo Bauman, la trasformazione della società aveva privato l’uomo moderno di qualunque riferimento “solido”, lasciandolo privo di strumenti per orientarsi. 

Bauman era nato a Poznan, in Polonia, il 19 novembre 1925 da una famiglia di origini ebree. In seguito all’invasione del suo Paese da parte delle truppe naziste all’inizio della seconda guerra mondiale, Bauman fugge, adolescente, con i genitori in Unione Sovietica e si arruola in un corpo di volontari per combattere contro i nazisti. Finita la guerra, torna nel suo Paese e inizia a studiare sociologia all’Università di Varsavia dove si laurea in pochi anni. Nel 1968, è costretto di nuovo a emigrare in seguito a un’epurazione antisemita messa in atto dal governo polacco e si rifugia prima in Israele, dove ha insegnato all’Università di Tel Aviv, poi in Gran Bretagna dove, dal 1971 al 1990, è stato professore di sociologia all’Università di Leeds, di cui ora era emerito. 

Bauman spiega cos’è la felicità
Era professore emerito di sociologia nelle Università di Leeds e Varsavia. Considerato il teorico della postmodernità, Bauman è autore di moltissimi libri, famosi anche in Italia, nei quali si è occupato di temi rilevanti per la società e la cultura contemporanea: dall’analisi della modernità e postmodernità, al ruolo degli intellettuali, fino ai più recenti studi sulle trasformazioni della sfera politica e sociale indotti dalla globalizzazione. 

Quasi tutti i suoi libri sono stati pubblicati da Laterza: «Vita liquida», «Consumo dunque sono» e «L’arte della vita», «Il demone della paura», «Modernità liquida», «Amore liquido», «Capitalismo parassitario», «L’etica in un mondo di consumatori», «Dentro la globalizzazione. Le conseguenze sulle persone», «Danni collaterali. Diseguaglianze sociali nell’età globale», «Paura liquida», «La società sotto assedio», «Sesto potere», «Stranieri alle porte». 
LEGGI ANCHE Bauman: “Se cediamo alla paura morirà la democrazia” 
LEGGI ANCHE Bauman: “La paura e l’odio si nutrono dello stesso cibo” 

Licenza Creative Commons
Alcuni diritti riservati.

DA - http://www.lastampa.it/2017/01/09/cultura/morto-il-sociologo-zygmunt-bauman-qtUG2XHarjFrdb4PcauR8J/pagina.html?message2=signup_error#form2
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« Risposta #4 inserito:: Gennaio 12, 2017, 11:41:12 pm »

   Opinioni
Gaspare Polizzi   
· 11 gennaio 2017

Questi partiti non ci servono
Bauman ha descritto l’orizzonte di incertezze e di paure che segna il mondo occidentale, dopo la fine delle «grandi narrazioni»


Da anni si parla della crisi dei partiti. Un recente sondaggio ci dice che metà degli italiani gradirebbe una democrazia senza partiti, come se si potesse in una società complessa fare a meno della rappresentanza e della mediazione. Quando Adriano Olivetti scrisse nel 1949 Democrazia senza partiti intendeva restituire alla politica una dimensione collettiva e umana: «non chiedete nulla, ma unicamente che la libertà che lo Stato e i partiti vi riconoscono a parole – quella di scegliervi i vostri rappresentanti – non sia una mistificazione. Il mandato politico, nella sua vera essenza, è soltanto un atto di fiducia degli uomini in un uomo».

Quella di Olivetti era «una difesa appassionata di una dignità che la politica non può abbandonare, e che trova il suo alimento in grandi idealità, in passioni profonde, in opportunità concrete perché la persona riesca a esprimersi pienamente come cittadino».

Oggi le grandi idealità e le passioni profonde si sono perdute, perché si vive in una «società liquida», frutto del declino della modernità. Zygmunt Bauman ci ha fatto conoscere questa «società liquido-moderna di consumatori», evitando di esaltarne i vuoti simulacri e mantenendo quella consistenza del dubbio che emana da un genuino sguardo filosofico.

Bauman ha descritto l’orizzonte di incertezze e di paure che segna il mondo occidentale, dopo la fine delle «grandi narrazioni», della fede in una salvezza ultraterrena o in un riscatto rivoluzionario. E ci ha fatto capire che le paure generano indignazione, risentimento, odio, un individualismo sfrenato che dissolve la comunità sociale. Ma, come ha ricordato Umberto Eco il 29 maggio 2015 in una delle sue “bustine”, non basta citare Bauman per comprendere i fenomeni del nostro tempo: «c’è un modo per sopravvivere alla liquidità»?

C’è, ed è rendersi appunto conto che si vive in una società liquida che richiede, per essere capita e forse superata, nuovi strumenti. Ma il guaio è che la politica e in gran parte l’intellighenzia non hanno ancora compreso la portata del fenomeno. Bauman rimane per ora una “vox clamantis in deserto”». Da questo deserto dobbiamo tentare di uscire. Magari facendo tesoro di tutte le forme di associazionismo che vivono nella «società liquida».

Sostituendo l’idea rigida di partito a quella di una rete nella quale convivano autonomia e pluralismo, accordi funzionali a un programma, che abbia pochi e chiari punti fermi, e accordi flessibili per far convergere le più diverse posizioni sociali e costruire quell’egemonia culturale così ben descritta da Antonio Gramsci, e da Bauman, che di Gramsci fu un ammiratore. Senza dimenticare che la definizione di progetti collettivi richiede sempre un gesto morale. Perché, come ricorda Bauman, l’atto morale ci permette di incontrare l’altro non come una maschera, ma come un volto, nella sua vera identità e non nel ruolo che ricopre. E soltanto «un atto di fiducia degli uomini in un uomo» può far rinascere una democrazia che viva nella dignità delle relazioni sociali. E di riconoscere una missione e un orizzonte verso il quale incamminarsi, insieme.

Da - http://www.unita.tv/opinioni/questi-partiti-non-ci-servono/
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