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Autore Discussione: Rudy Francesco CALVO. -  (Letto 6066 volte)
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« inserito:: Dicembre 20, 2016, 06:43:42 pm »

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Rudy Francesco Calvo    - @rudyfc
· 19 dicembre 2016

Come (e perché) può cambiare il Mattarellum
Legge elettorale   

I numeri per approvare la nuova legge ci sono anche senza FI, ma un’intesa con Berlusconi renderebbe più semplice il cammino della riforma. Ecco le condizioni che l’ex Cavaliere potrebbe porre

Dunque, si riparte dal “via”. Da quel Mattarellum che rimane ancora l’unica legge elettorale applicata nel nostro Paese riconosciuta come funzionante e al di sopra di qualsiasi sospetto di incostituzionalità. Anche ammesso che si riesca a trovare un’intesa in Parlamento, però, difficilmente la nuova versione della legge ricalcherà in tutto e per tutto quella originaria che porta il nome dell’attuale Capo dello Stato.

Il perché è semplice e riguarda gli attuali equilibri tra i partiti, le coalizioni che si andrebbero a formare e, soprattutto, l’assetto tripolare assolutamente inedito, distante anche da quello che inaugurò il Mattarellum 1.0 nell’ormai lontano 1994: allora, infatti, il terzo polo centrista aveva dimensioni elettorali ben più ridotte del M5S, che oggi si confronta ad armi pari con i principali contendenti di centrosinistra e centrodestra.

Chi ci sta
A rispondere positivamente alla proposta avanzata da Matteo Renzi ieri all’Assemblea nazionale del Pd sono stati sin da subito Lega (“Disposti a presentarlo anche insieme al Pd”, ha confermato oggi Salvini) e Fratelli d’Italia. A questi si sono aggiunti i Conservatori e riformisti di Raffaele Fitto e l’ala di Forza Italia più dialogante con Salvini, rappresentata da Giovanni Toti.

Chi non ci sta
Contro l’ipotesi di un ritorno al Mattarellum, si sono schierati invece i Cinquestelle (che pure avevano avanzato tempo fa un’analoga proposta), ma anche Area popolare e la nascente Sinistra italiana. Se l’opposizione pregiudiziale dei primi era intuibile, centristi e vendoliani spingono per un sistema proporzionale, l’unico che sarebbe in grado di garantire loro una congrua presenza parlamentare anche nella prossima legislatura. E che non li metterebbe di fronte alla difficile condizione di dover concordare un’alleanza predefinita prima del voto.

L’incognita
Cosa farà Berlusconi? Se è vero che i numeri in Parlamento per approvare la nuova legge ci sarebbero anche senza FI, è evidente che un’intesa con quello che rimane ancora il leader del centrodestra rafforzerebbe la proposta di riforma, rendendone più semplice e rapida l’approvazione. Inoltre, lo stesso Berlusconi tornerebbe ad affermare la propria centralità all’interno del partito e della coalizione, mettendosi di traverso rispetto all’ascesa di Salvini.

I correttivi
D’altra parte, però, l’ex Cavaliere è costretto a fare i conti con un quadro politico molto diverso rispetto a quello che lo portò per due volte a vincere le elezioni, proprio con il Mattarellum. Se i collegi uninominali non sono mai piaciuti a FI, per la conclamata difficoltà a trovare candidature competitive sui territori, oggi rischiano di trasformarsi in una débacle: al Nord le candidature nei collegi sarebbero monopolizzate dalla Lega (e una rottura con Salvini certo non aumenterebbero le chance di successo dei nomi forzisti), mentre al Centro e al Sud la competizione rispettivamente con Pd e M5S rischia di lasciare poco spazio al centrodestra.

Per questo, Berlusconi – nel caso in cui decidesse di sedersi al tavolo della trattativa – punterà a un ampliamento della quota proporzionale, che nel Mattarellum originario era solo del 25%, fino al 40-50%. In quel caso, infatti, Forza Italia potrebbe valorizzare i propri voti di lista (per quanto residuali rispetto ai tempi d’oro) e riuscire così a formare un gruppo parlamentare in grado di garantirle un ruolo d’interdizione anche nella prossima legislatura (e fedele al leader, grazie alle liste bloccate). Soprattutto nel caso in cui dalle urne non dovesse uscire una maggioranza autosufficiente.

Per lo stesso motivo, Berlusconi farebbe fatica ad accettare i ‘premietti’ previsti nella proposta della minoranza dem (90 seggi alla prima lista/coalizione, 30 alla seconda). È vero che un centrodestra unito potrebbe riuscire a strappare il ‘premio di consolazione’ al M5S, ma potrebbe essere una vittoria di Pirro se il Pd/centrosinistra riuscisse ad agguantare i 90 seggi in grado di garantire la formazione di un governo autonomo. E inoltre – condizione imprescindibile – il centrodestra riuscirà a presentarsi unito da Alfano a Salvini?

La trattativa potrebbe trovare qui un nodo complicato da sciogliere, se Renzi – com’è possibile – dovesse insistere per una norma che garantisca la governabilità dopo il voto, possibilmente senza passare da una grande coalizione. Bisognerà quindi agire di cesello per limare probabilmente al rialzo la quota dei seggi da assegnare con il proporzionale (più vicina al 50% che al 40%) e al ribasso quella del premio per il vincitore. Dettagli, certo. Ma spesso le discussioni sulle leggi elettorali si sono arenate proprio sui dettagli.

A spazzare via ogni perplessità può essere solo la volontà politica di andare al voto prima possibile. Che Renzi ha e Berlusconi no. Questo, a oggi, è il vero discrimine per la realizzazione di un nuovo ‘patto del Nazareno’, con effetti limitati alla sola nuova legge elettorale.

Da - http://www.unita.tv/focus/renzi-berlusconi-mattarellum-legge-elettorale/
« Ultima modifica: Gennaio 02, 2017, 06:49:40 pm da Arlecchino » Registrato
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« Risposta #1 inserito:: Dicembre 21, 2016, 06:52:29 pm »

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Rudy Francesco Calvo      @rudyfc
· 19 dicembre 2016

Renzi al lavoro sulla nuova squadra.
Priorità: dialogo e apertura alla società

Il segretario torna a dedicarsi a tempo pieno al partito, con in testa la road map che dovrà condurre il Pd a primarie di coalizione e al voto in primavera

Una segreteria del tutto nuova o solo poche sostituzioni chirurgiche per rilanciare l’attività del partito. È questo il primo dubbio sul quale Matteo Renzi sta riflettendo nelle sue ritrovate vesti di segretario del Pd a tempo pieno. La seconda soluzione sarebbe quella più semplice, attuabile in tempi rapidi. La tentazione di un azzeramento è però molto forte nel leader dem, che darebbe così l’idea più netta di una svolta e coglierebbe l’occasione per valorizzare quelle nuove energie provenienti dal basso di cui ha parlato in assemblea, a cominciare dai sindaci. Da qui l’idea di escludere del tutto dalla nuova squadra i parlamentari in carica.

Certo, i tempi si allungherebbero, ma probabilmente non troppo. Anche perché Renzi ha promesso di dare il via, parallelamente alla campagna d’ascolto che occuperà il mese di gennaio, a una “struttura che sia in grado sul programma di fare un lavoro puntuale”. E sui giornali comincia già a girare qualche nome delle personalità che potrebbero essere coinvolte, come il ministro Maurizio Martina, Tommaso Nannicini (già sottosegretario a palazzo Chigi) o Piero Fassino. Ma è ancora presto per il totonomi.

Mercoledì intanto si riuniranno a Roma i segretari provinciali dem proprio per iniziare a impostare il lavoro dei successivi trenta giorni, che culmineranno con la mobilitazione nazionale preannunciata per il 21 gennaio. È il tentativo di aprire finalmente all’esterno quei circoli che finora sono stati in gran parte principalmente un luogo di scontro e di conta fra le correnti e quei potentati locali, con i quali Renzi ha promesso di voler chiudere una volta per tutte. Un primo passo, almeno. Perché se lo stesso Renzi (e Gianni Cuperlo dopo di lui) hanno ben evidenziato lo scollamento tra il gruppo dirigente nazionale (tutto, di maggioranza e minoranza) e la base di iscritti ed elettori del Pd, nessuno ha ancora avanzato proposte organiche per ricucire il rapporto tra il partito e la società, a cominciare proprio dai circoli. E un mese non potrà certo bastare, senza cambiare dirigenti, regole, abitudini ormai incancrenite.

L’allontanarsi del congresso sembra congelare però questa discussione. La road map che Renzi ha in mente per il medio termine è ben diversa e vede come sbocco le elezioni politiche da tenere – nelle sue intenzioni – non più tardi della prossima primavera. Ecco allora la proposta sulla legge elettorale da condurre in porto. Ed ecco l’intenzione – mai in realtà esplicitata – di svolgere le primarie per la scelta del candidato premier del nuovo centrosinistra che, se si voterà con un Mattarellum più o meno rimaneggiato, si presenterà sotto le stesse insegne nei collegi uninominali.

Non si tratta solo di un modo per riaffermare un principio di stampo maggioritario (“la sera del voto si sa chi governa”), mentre dopo l’esito del referendum in molti hanno cercato di riportare il Paese verso le secche del proporzionale. Allargare il confronto a tutto il centrosinistra è anche un modo per chiamare a raccolta quegli elettori che non sono intenzionati a votare Pd, ma che sono a pieno titolo coinvolti in un confronto tra due linee, che ormai vanno ben al di là dei confini del partito, ma che attraversano trasversalmente anche altre forze, a cominciare dalla nascente Sinistra italiana.

Da una parte, la maggioranza dem (renziani, ma anche AreaDem, Giovani turchi e Sinistra è cambiamento di Martina) e il ‘Campo progressista’ guidato da Giuliano Pisapia, riunito proprio oggi a Bologna per l’iniziativa ‘Per un nuovo centrosinistra’ con Cuperlo e i sindaci Merola e Zedda: sono queste le forze intenzionate a dialogare per ricucire i rapporti, con la possibilità di trovare anche qualche sponda sul fronte centrista. Dall’altra, la minoranza bersaniana del Pd e i vendoliani di Sel, che con l’ex premier sembrano ormai aver chiuso i rapporti. Non si capisce ancora con quali conseguenze sul piano politico e organizzativo.

La nuova segreteria del Pd rifletterà molto probabilmente anche questa divisione: in squadra saranno chiamate personalità in grado di gettare ponti, non di alzare muri, né dentro il partito né all’esterno. Programma, comunicazione, organizzazione: tutti i settori principali dovranno avere questa impronta.

Da - http://www.unita.tv/focus/renzi-pd-segreteria-elezioni-primarie-coalizione/
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« Risposta #2 inserito:: Dicembre 22, 2016, 04:37:41 pm »

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Rudy Francesco Calvo    - @rudyfc
· 21 dicembre 2016

Anche i segretari regionali spingono per il voto.
Riunione con Renzi al Nazareno


Via alla fase d’ascolto del territorio per costruire il nuovo programma: attenzione a giovani, Sud, sicurezza e problemi sociali. Nella road map tracciata dal leader dem anche un’assemblea degli amministratori locali

L’obiettivo del voto in primavera non appartiene solo a Matteo Renzi, ma è condiviso anche dai dirigenti locali del Partito democratico. È l’indicazione emersa con chiarezza dalla riunione che il leader dem ha organizzato con i segretari regionali, seguita da quella con i vertici provinciali e, infine, dal brindisi per gli auguri di Natale con il personale sulla terrazza del Nazareno.

Renzi ha invitato i segretari regionali alla mobilitazione dei circoli preannunciata già all’Assemblea nazionale della settimana scorsa e fissata per il 21 gennaio. Un mese di ascolto del territorio, centrato su quelli che sono stati individuati come i temi su cui il partito si dimostra più deficitario (giovani, Sud, disagio economico, sicurezza, immigrazione), che sarà al centro di una nuova riunione già fissata al rientro della pausa natalizia. Il 27 e 28 gennaio a Rimini si terrà quindi un’assemblea degli amministratori locali. La road map si chiuderà a febbraio con un’assemblea programmatica, preceduta (il 4) da un appuntamento dedicato all’Europa, in vista dell’anniversario dei Trattati di Roma.

Sarà “l’inizio della costruzione dal basso di una idea dell’Italia dei prossimi anni, dell’Italia 2020 – spiega il segretario toscano Dario Parrini -. Dobbiamo mettere in conto che ci saranno elezioni a non lunghissima scadenza. Consideriamo il referendum non come un motivo per iniziare una autoflagellazione o una terapia di gruppo, ma la conferma di essere primo partito nel Paese. Nella sconfitta individuiamo un elemento di ripartenza”.

Andare al voto, quindi. E “con qualsiasi legge elettorale – ragiona uno dei partecipanti alla riunione – anche quella che uscirà dalla sentenza della Consulta”. Perché se il Mattarellum rimane la base di partenza del confronto per il Pd, lo stesso Renzi ormai è costretto a fare i conti con l’altra possibilità, quella cioè che non si raggiunga in tempo un’intesa in Parlamento. E allora, piuttosto che ritardare le elezioni, meglio rassegnarsi a una legge proporzionale, con pochi eventuali correttivi per adattare il meccanismo elettorale del Senato a quello della Camera. Un’esigenza imprescindibile per il Capo dello Stato, come lo stesso Mattarella ha avuto modo di sottolineare ieri.

Ma i vertici del Pd sul territorio non hanno portato a Roma solo una spinta verso le urne. Perché il partito sul territorio continua a soffrire ancora troppi problemi organizzativi, economici, di comunicazione. E sono soprattutto i segretari provinciali a farli presenti al Nazareno. Nelle realtà attualmente commissariate, come Roma, i congressi dovrebbero tenersi a febbraio. Mese in cui potrebbe chiudersi (con una proroga) anche il tesseramento 2016, quello valido per le convenzioni nei circoli che rappresentano la prima fase del congresso nazionale che si chiuderà negli ultimi mesi del 2017 con le primarie per eleggere il nuovo segretario.

Da - http://www.unita.tv/focus/anche-i-segretari-regionali-spingono-al-voto-riunione-con-renzi-al-nazareno/
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« Risposta #3 inserito:: Dicembre 24, 2016, 08:56:38 pm »


Opinioni

Rudy Francesco Calvo    - @rudyfc
· 22 dicembre 2016

La vocazione maggioritaria è davvero finita?

Proporzionale o no, solo un partito in grado di parlare a una fetta ampia di elettori può fermare i populismi e attuare le riforme che servono al Paese. Sarà questo un punto al centro del prossimo congresso

La vittoria del No al referendum costituzionale dello scorso 4 dicembre ha avuto come reazione immediata la riesumazione di vecchi istinti proporzionalisti, mai sopiti in certi ambienti trasversali alle forze politiche e presenti anche all’interno dello stesso Pd. Una strada che Matteo Renzi ha immediatamente cercato di sbarrare, riproponendo come base di discussione per il varo della nuova legge elettorale il vecchio Mattarellum, lo stesso che inaugurò la Seconda Repubblica a impronta maggioritaria. Fin qui, sembra assistere a un episodio di Ritorno al futuro.

Sia che il tentativo del leader dem abbia successo, sia che le prossime elezioni vengano celebrate con la legge che uscirà dalla sentenza della Consulta sull’Italicum, è evidente che una fase si è chiusa. Di questo è consapevole lo stesso Renzi e a questo sono costretti a rassegnarsi – in attesa di tempi migliori – anche i più convinti sostenitori del maggioritario. Torneranno le coalizioni, le alleanze (forse perfino quelle decise solo dopo il voto, con gli elettori che andranno alle urne ignari di quello che accadrà), torneranno cespugli e partitini in grado di condizionare con il loro pugno di parlamentari le scelte delle forze maggiori. Era davvero questa la richiesta dei 19,4 milioni di elettori del No? Difficile dirlo (e anche crederlo), certo è questo quello che hanno ottenuto. Contenti loro.

La domanda per chi ha sostenuto dall’inizio (e con sincerità) il progetto del Pd è piuttosto un’altra: ha ancora senso un partito a vocazione maggioritaria? Cioè, può il Partito democratico ambire ancora, in questo contesto, a rappresentare una porzione ampia di elettori, a far convivere al proprio interno linee politiche diverse ma convergenti, a coltivare un dialogo con tutte le forze produttive del Paese? O deve piuttosto rassegnarsi a ritrovare una propria constituency più ristretta (lo “zoccolo duro”) e a rappresentarne le istanze, appaltando ad altri il dialogo con il resto degli elettori di orientamento riformista? Sarà questo probabilmente il discrimine tra i candidati che si presenteranno al prossimo congresso.

Il tema è tutt’altro che teorico a ha molto a che vedere con l’organizzazione che il partito vuole darsi, con il programma che presenterà alle prossime elezioni, con la stessa classe dirigente e con le candidature che saranno messe in campo. Detto fuori dai denti, anche con la possibilità che si verifichi una scissione alla sinistra del Pd.

Nel contesto che abbiamo descritto, difendere la vocazione maggioritaria significa anche dare la possibilità ai Democratici di rappresentare il perno di un sistema politico che altrimenti rischia di finire alla mercé delle forze populiste, siano esse rappresentate dal disfattismo inconcludente dei Cinquestelle o dalla destra intollerante di Salvini. Per salvare il Paese da questa deriva, il Pd non può rischiare di ridursi a una forza marginale del 20-25%, costretta a fare i conti con alleanze eterogenee e ricattatorie, ma deve proseguire nella ricerca di un dialogo con quel 40,8% di elettori che lo votarono nel 2014 (con il sistema proporzionale delle Europee) e con quei 13,4 milioni di italiani che, scegliendo il Sì al referendum, hanno voluto manifestare la propria volontà di cambiare nel profondo l’Italia e le sue istituzioni.

Perché l’altro aspetto al quale i Democratici non possono rinunciare è questo: la spinta al cambiamento. Essa è infatti una condizione indispensabile per battere il populismo e per impedire che una nuova centralità del Pd si trasformi in centralismo, in quell’immobilismo da Prima Repubblica che ne snaturerebbe il progetto politico e non farebbe certo il bene di un Paese, che ha ancora bisogno di riforme profonde.

Da questi principi può ripartire la ricostruzione del Pd, della sua organizzazione al centro e in periferia, di una classe dirigente diffusa, della sua piattaforma programmatica, delle regole interne di convivenza. Se Renzi si impegnerà e riuscirà meglio di quanto fatto finora in questa impresa non facile e se troverà a sostenerlo in questo un partito plurale ma leale, non dilaniato dalle correnti e dai personalismi, potrà tornare a palazzo Chigi con l’ambizione di proseguire il proprio lavoro di riforma e non solo per gestire difficili equilibri parlamentari e contrattare le virgole di ogni provvedimento.

Da - http://www.unita.tv/opinioni/pd-congresso-vocazione-maggioritaria-renzi/
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« Risposta #4 inserito:: Dicembre 29, 2016, 07:05:33 pm »

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Rudy Francesco Calvo   
· 27 dicembre 2016

Il lungo giovedì di Gentiloni

Dalla prima conferenza stampa di fine anno alla nomina dei sottosegretari: il premier si prepara a una giornata complicata

Sono giornate di lavoro per il presidente del Consiglio. Paolo Gentiloni non ha programmato uscite pubbliche, dopo la visita della Vigilia ai territori colpiti dal terremoto, ma la sua attenzione è rivolta su diversi fronti. In particolare, quella di giovedì prossimo si preannuncia come una giornata importante per capire l’impronta che il premier vuole dare al suo Governo, sulla scia di quanto già illustrato nei discorsi programmatici alle Camere.

Alle 11 del 29 dicembre, infatti, Gentiloni affronterà la sua prima conferenza stampa di fine anno nelle vesti di capo del Governo. Sarà l’occasione per ribadire le sue priorità (ricostruzione post-terremoto, Sud, lavoro), ma anche per fare il punto sulle prime questioni spinose che hanno colpito l’esecutivo. I ‘casi’ Fedeli, Poletti e Lotti hanno suscitato clamore, ma non sembrerebbero destinati a conseguenze di un certo rilievo. La mozione di sfiducia nei confronti del ministro del Lavoro non ha aperto crepe nella maggioranza e la solidità dell’indagine a carico del titolare dello Sport è ancora tutta da dimostrare. Lotti potrebbe essere sentito dai magistrati di Roma, ai quali è passata l’inchiesta, proprio in questi giorni.

Più preoccupante per il premier rimane invece la questione Montepaschi. L’intervento previsto dal Governo non sembra bastare alla Bce, che ieri attraverso il proprio organismo di vigilanza ha chiesto a Siena un intervento di 8,8 miliardi per salvare la banca. Di questi, 6,5 dovrebbero giungere proprio da mano pubblica, mentre tra palazzo Chigi e via Venti Settembre si sperava in qualcosa di meno, nonostante la rete di salvataggio fosse stata comunque approntata.

Dopo il confronto in diretta tv con i giornalisti, Gentiloni si sposterà a palazzo Chigi, dove si terrà una riunione del Consiglio dei ministri. Sono tre gli argomenti principali che dovrebbero essere affrontati. Innanzitutto, il classico decreto ‘Milleproroghe’ di fine anno, con diverse misure importanti a cominciare dalla proroga dei contratti co.co.co. e a tempo determinato della Pubblica amministrazione.

Oltre a un altro decreto ‘Omnibus’, sul tavolo del Governo dovrebbe arrivare anche il completamento della squadra con la nomina dei sottosegretari. Gli interventi, come già nel caso dei ministri, dovrebbero essere pochi e mirati rispetto alla composizione dell’esecutivo precedente. Un modo per dare continuità all’azione intrapresa da Renzi, ma anche per confermare il carattere ’emergenziale’ del Governo, che dovrà accompagnare il Paese alle urne. Restano in ballo soprattutto l’eventuale ingresso di rappresentanti di Ala e l’attribuzione della delega ai servizi segreti, al momento trattenuta dal premier. Sulla prima questione, la trattativa va avanti ma Gentiloni non ha offerto alcuna garanzia al gruppo di Verdini. Sulla seconda, l’ipotesi più accreditata sui giornali rimane quella dell’ingresso al Viminale di Emanuele Fiano, che vanta l’esperienza e le conoscenze adeguate per ricoprire la delicata casella.

Da - http://www.unita.tv/focus/gentiloni-conferenza-fine-anno-sottosegretari/
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« Risposta #5 inserito:: Gennaio 02, 2017, 06:49:23 pm »

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Rudy Francesco Calvo     -  @rudyfc

· 31 dicembre 2016
Perché il Governo vuole rafforzare controlli ed espulsioni

Immigrazione   
Nuove tensioni a Torino tra le palazzine dell'ex villaggio olimpico da tempo occupate da famiglie di immigrati e profughi, 24 novembre 2016. ANSA/ ALESSANDRO DI MARCO   

Cosa dice la circolare del capo della Polizia, Gabrielli, sulle nuove attività di contrasto all’immigrazione irregolare. La destra protesta, ma le ragioni sono più profonde

“Una specifica attività di controllo delle diverse forze di polizia” per gli immigrati “in posizione irregolare” e una maggiore attenzione ed efficacia per l’” allontanamento degli stranieri irregolari “. Sono questi i due principi sottolineati nella circolare trasmessa ieri dal capo della Polizia Franco Gabrielli, d’intesa con il ministro dell’Interno Marco Minniti. Un provvedimento che giunge a pochi giorni dalla sparatoria che ha portato all’uccisione a Sesto San Giovanni del terrorista killer di Berlino Anis Amri e che si accompagna a misure specifiche antiterrorismo previste per questo Capodanno.

Sono due gli obiettivi che l’azione prevista dalla circolare si prefigge: individuare “fenomeni di sfruttamento e di inquinamento dell’economia del territorio collegati a forme di criminalità organizzata di livello nazionale e transnazionale” e prevenire i rischi connessi alla “crescente pressione migratoria” e a “uno scenario internazionale connotato da instabilità e da minacce” di stampo terroristico.

Secondo alcune anticipazioni che non hanno ancora ricevuto conferme ufficiali, potrebbe aumentare anche il numero dei Centri di identificazione ed espulsione (Cie) attivi nel nostro Paese. Attualmente sono 5 (Roma, Torino, Brindisi, Caltanissetta e Bari), per un totale di 350 posti disponibili; a questi si aggiungono i Centri di primo soccorso e accoglienza (Cpsa), quelli si accoglienza (Cda) e quelli per i richiedenti asilo (Cara), per un totale di 18 strutture.

Un giro di vite che ha rilanciato immediatamente la polemica politica su un tema da sempre cavalcato dalla destra e, in particolare dalla Lega.

Rincara la dose la leader di FdI, Giorgia Meloni: “L’unica svolta seria sarebbe quella di fermare l’invasione attraverso un blocco navale al largo delle coste libiche. Ma per farlo serve un altro Governo”.

Anche da sinistra e dall’interno dello stesso Pd giungono però critiche nei confronti della circolare avallata dal Viminale. “Penso sia un ritorno al passato, un inginocchiarsi all’onda populista europea che, davanti al fenomeno migratorio, chiede un approccio securitario – commenta all’AdnKronos il sindaco di Lampedusa, Giusi Nicolini – una risposta che fa acqua da tutte le parti e che produce solo clandestinità e nuovi morti. Credo sia una non-soluzione, che rischia di alimentare un circolo vizioso di illegalità e intolleranza”.

Ma qual è l’obiettivo politico del Governo? Da una parte, c’è certamente la volontà di coniugare sicurezza e accoglienza: le politiche di integrazione, infatti, perdono di efficacia se i cittadini non riscontrano una pari severità ed efficacia in quelle rivolte al contrasto dei fenomeni illegali.

Dall’altra, però, c’è anche un fronte esterno da presidiare: quello dell’immigrazione è uno dei fronti più caldi nella dialettica tra Italia e Unione europea. Fare i ‘compiti a casa’, rafforzando controlli e identificazione dei migranti, ma anche aumentando i rimpatri effettuati per gli irregolari, rafforza infatti la posizione del nostro Paese nel confronto con i partner europei, soprattutto quando si tratterà di chiedere maggiore solidarietà ai Paesi più recalcitranti e quando ci si siederà al tavolo per rivedere le norme contenute nel Trattato di Dublino, che al momento impone l’accoglienza dei profughi solo ai Paesi di arrivo.

Da - http://www.unita.tv/focus/immigrati-circolare-gabrielli-cosa-dice-perche-controlli-espulsioni/
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« Risposta #6 inserito:: Gennaio 03, 2017, 09:08:28 pm »

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Rudy Francesco Calvo    - @rudyfc
· 30 dicembre 2016

Guida ai primi appuntamenti politici del 2017
Occhi puntati sulla Corte costituzionale, ma non solo. Ecco le date da segnare sul calendario

Si preannuncia un altro anno intenso per la politica italiana, con molte incognite legate soprattutto alla sopravvivenza del Governo e all’eventuale chiusura anticipata della legislatura. Difficilmente la strada verso il voto – più o meno lunga – potrà essere tracciata già nelle prime settimane dell’anno, ma nel mese di gennaio non mancheranno appuntamenti importanti, in grado di anticipare cosa accadrà. Ecco allora le date da segnare nell’agenda della politica al rientro dalla pausa natalizia.

1 gennaio: l’Italia al centro del mondo
All’inizio del 2017 l’Italia assume la presidenza di turno del G7 (cruciale sarà il vertice di Taormina di fine maggio) e un seggio non permanente nel Consiglio di sicurezza dell’Onu. Assieme alla riunione del Consiglio europeo di marzo per il 60esimo anniversario dei Trattati di Roma, si tratta degli appuntamenti internazionali che spingono soprattutto il Capo dello Stato a voler evitare una campagna elettorale nel primo semestre dell’anno.

10 gennaio: mozione di sfiducia al ministro Poletti
La richiesta è stata presentata da M5S, Lega e Sinistra italiana sia alla Camera che al Senato, dove la maggioranza non può contare su numeri solidissimi. La minaccia della minoranza Pd di votare a favore della sfiducia, non tanto per le dichiarazioni di Poletti sui giovani, quanto piuttosto come strumento per ottenere profonde modifiche all’uso dei voucher, rischia quindi di mettere in serie difficoltà il Governo. Ieri il premier Gentiloni ha detto di considerare superato l’incidente, ma anche di voler apportare correttivi allo strumento dei voucher, senza per questo considerarli un “virus che diffonde lavoro nero”. Basterà a convincere i suoi compagni di partito più riottosi? Anche se una parte delle opposizioni (FI, Ala) non dovrebbe votare la sfiducia, il Governo deve guardare con attenzione a questo primo test dell’anno.

11 gennaio: la Corte costituzionale decide sul referendum sul Jobs Act
Le anticipazioni di stampa prevedono una bocciatura da parte della Consulta per il referendum più ‘caldo’ presentato dalla Cgil, cioè quello per il ripristino dell’articolo 18 (per la sua formulazione, infatti, potrebbe apparire come un quesito ‘propositivo’, in quanto allargherebbe la platea di chi beneficerebbe della tutela contro i licenziamenti più di prima), mentre potrebbero passare il vaglio dei giudici costituzionali sia il quesito sui voucher, sia quello sulla responsabilità solidale in materia di appalti. In questi ultimi due casi, il Parlamento potrebbe legiferare in tempo per neutralizzare il rischio del referendum. Se anche quello sull’articolo 18 dovesse passare, però, solo le elezioni politiche anticipate potrebbero scongiurare il ricorso alle urne contro uno dei provvedimenti più importanti del governo Renzi. Un motivo per accelerare la corsa alle urne, evitando così un brutto colpo all’immagine del Pd?

17 gennaio: elezione del presidente del Parlamento europeo
Al momento le due grandi famiglie del Pse e del Ppe non hanno ancora trovato un accordo per scongiurare una inedita conta per decidere il nuovo presidente. Segno dei difficili rapporti che persistono ancora a livello internazionale su molti punti tra Socialisti e Popolari, a cominciare dall’immigrazione e dalle questioni economiche. In corsa per la poltrona più importante dell’aula di Strasburgo ci sono due italiani: Gianni Pittella, candidato unitario del Pse, e Antonio Tajani, scelto dal Ppe.

21 gennaio: mobilitazione Pd
È il clou di quella campagna d’ascolto annunciata da Matteo Renzi dopo la sconfitta referendaria e le sue dimissioni da premier. I dettagli non sono stati ancora definiti (sarà una riunione dei segretari regionali e provinciali a farlo al rientro dalla pausa di fine anno), ma il segretario dem vorrà certamente mostrare un Pd in forze e pronto a tornare a confrontarsi con i cittadini.

24 gennaio: la decisione sull’Italicum
È questa la vera chiave di volta della legislatura. La Corte costituzionale aveva rinviato il proprio pronunciamento a dopo il referendum costituzionale e la vittoria del No sembra aprire la strada – secondo le indiscrezioni – anche alla bocciatura di alcuni punti della legge elettorale. Dall’intervento della Consulta (sul premio di maggioranza? sui capilista bloccati? sulle pluricandidature?) si potrà anche capire se la legge che rimarrà in vigore potrà essere immediatamente utilizzabile per andare al voto, magari estendendola con poche modifiche anche al Senato, dove è in vigore il Consultellum di stampo proporzionale, oppure (ad esempio, nel caso in cui ne uscisse una legge non in grado di assicurare governabilità) sarà più necessario un intervento del Parlamento. Con tempi e in direzioni difficili da immaginare.

27-28 gennaio: assemblea degli amministratori del Pd
Un appuntamento importante per il partito guidato da Matteo Renzi, intenzionato a ripartire proprio dai sindaci per rafforzare la struttura interna e la capacità di rappresentare i territori, ma che assume ancora più rilievo proprio perché giunge a pochi giorni di distanza dal pronunciamento della Corte costituzionale. Il leader dem a Rimini è chiamato a chiarire le proprie intenzioni sulla strada da intraprendere per arrivare alle urne.

28 gennaio: la destra in piazza
Mentre i dem si riuniscono sulla riviera romagnola, Giorgia Meloni chiama a raccolta il popolo della destra a Roma per una manifestazione, alla quale parteciperà anche la Lega di Salvini, ma non Forza Italia. La richiesta è semplice: tornare al voto prima possibile. E questo potrebbe essere l’unico punto di contatto proprio con l’appuntamento di Rimini.

Da - http://www.unita.tv/focus/guida-appuntamenti-politica-gennaio-2017/
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« Risposta #7 inserito:: Gennaio 06, 2017, 02:27:17 pm »

   
Rudy Francesco Calvo      @rudyfc
· 4 gennaio 2017

Legge elettorale, l’indizio numero uno per capire come andrà
   
La scelta del nuovo presidente della commissione Affari costituzionali al Senato è il primo tassello del puzzle dell’intesa. Ecco le possibili soluzioni

Al rientro dalle vacanze altoatesine con la famiglia, Matteo Renzi vuole subito mettere sul tavolo della politica la questione della riforma elettorale. Come ribadiscono in questi giorni i maggiorenti dem, a cominciare dal vicesegretario Lorenzo Guerini, il Pd vuole verificare se sia possibile un’intesa larga tra i partiti a cominciare dalla propria proposta sul Mattarellum e vuole farlo prima che arrivi la sentenza della Consulta sull’Italicum e prima che il dibattito si sposti nelle aule parlamentari (la commissione Affari costituzionali ha calendarizzato il tema per la fine di gennaio).

Per il momento, le altre forze politiche rimangono in una sorta di surplace, un equilibrio precario – aiutato dal clima ancora tardo-festivo – che potrebbe però presto vacillare in una direzione o in un’altra. Cioè, verso un Mattarellum corretto oppure verso una legge più marcatamente proporzionale. Magari vicina al modello tedesco, che ha il merito di utilizzare i collegi uninominali per la selezione degli eletti e può condurre facilmente a una Grande coalizione, vero obiettivo di Berlusconi.

Per capire come può evolversi il dibattito sulla riforma, che poi è strettamente connesso alla possibile durata della legislatura, può essere allora utile osservare ogni minima oscillazione nelle scelte dei partiti.

Con la nomina di Valeria Fedeli e Anna Finocchiaro come nuove ministre del governo Gentiloni, a palazzo Madama si sono liberate due poltrone importanti, quelle rispettivamente di vicepresidente dell’Assemblea e di presidente della commissione Affari costituzionali. Nel primo caso, l’avvicendamento dovrebbe riguardare esclusivamente i Democratici e si risolverà probabilmente all’interno della maggioranza interna al partito. La guida della prima commissione, invece, può costituire un elemento importante per oliare i rapporti politici in vista del dialogo sulla nuova legge elettorale. Basti pensare al ruolo centrale che la stessa Finocchiaro ha avuto negli anni scorsi nelle trattative per l’Italicum e per la riforma costituzionale.

Una possibile ipotesi è quella che vede un segnale di apertura nei confronti della minoranza del Pd, per ricompattare il partito. Ma il clima interno non sembra favorire questa soluzione e anche un nome di mediazione come quello di Vannino Chiti, in prima fila nelle battaglie anti-Italicum ma sostenitore del Sì al referendum, non sembrano essere accolti con favore dai post-bersaniani, rappresentanti in commissione da due nomi di primissimo piano come Gotor e Migliavacca.

L’altra possibilità, politicamente più audace, è quella di un’intesa bipartisan in grado di portare alla guida della commissione un esponente di Forza Italia. Potrebbe essere Lucio Malan, oppure un nome proveniente da un’altra commissione. In questo caso, l’elezione sarebbe destinata a slittare ancora un po’, ma costituirebbe un segnale chiaro a sostegno di un’intesa tra l’attuale maggioranza e FI per il varo di una nuova legge elettorale.

Più probabile è però la terza via. Cioè che si arrivi a individuare in tempi piuttosto rapidi un nome interno al Pd (probabilmente trasferendolo da un’altra commissione), che sia di stretta fiducia del segretario Renzi e del presidente dei senatori Zanda e che abbia anche quell’esperienza e quelle capacità diplomatiche in grado di farlo considerare come un interlocutore affidabile dagli altri gruppi parlamentari di maggioranza e opposizione.

È la soluzione più semplice, certo, ma non per questo meno delicata. La rosa dei nomi non è larghissima (i papabili non sono più di tre-quattro) e sarà esaminata da Renzi – insieme ovviamente a Zanda – al suo rientro a Roma, incrociando questa partita con le nomine in segreteria e con la proposta del nuovo vicepresidente del Senato, prima di proporre i nomi al gruppo dem e agli alleati di maggioranza.

Da - http://www.unita.tv/focus/legge-elettorale-senato-presidente-commissione-affari-costituzionali/
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« Risposta #8 inserito:: Gennaio 12, 2017, 12:35:17 pm »

   Focus
Rudy Francesco Calvo    - @rudyfc

· 10 gennaio 2017
Renzi lavora alla nuova segreteria: giro di incontri per chiarire i ruoli

Giornata di lavoro intenso per il segretario del Pd. La squadra sarà definita la prossima settimana: cadono i paletti su uscenti e parlamentari, mentre si conferma un ruolo politico centrale

Matteo Renzi vuole chiarirsi bene le idee, prima di pensare ai nomi. Per questo, la nuova segreteria del Pd non vedrà la luce prima della prossima settimana. Il leader dem ha passato la propria giornata al Nazareno per una serie di incontri, che gli sono serviti proprio ad analizzare meglio la situazione interna al partito, prima di decidere come procedere.

Il vicesegretario Lorenzo Guerini e il presidente Matteo Orfini sono stati quelli presenti più a lungo nella sua stanza, in serata è arrivata anche Debora Serracchiani. Ma le riunioni si sono svolte senza un format rigido, tra colloqui a quattr’occhi, contatti telefonici, qualche incontro a pranzo. Renzi ha parlato con quelle persone che godono maggiormente della sua fiducia, da quelle che possono essere delle attente sentinelle nei gruppi parlamentari (Ettore Rosato alla Camera, Andrea Marcucci al Senato) ad altre che lo hanno accompagnato sin dall’inizio della propria ascesa ai vertici del partito, pur mantenendo sempre una propria autonomia, fino ovviamente al suo staff ristretto.

Il metodo, insomma, non è certo quello dell’uomo solo al comando. E su questa stessa linea dovrebbe muoversi anche la nuova segreteria, che dovrebbe diventare un organo politico a pieno titolo. Non certo un caminetto di capicorrente, ma un gruppo coeso per quanto plurale di personalità che si assumeranno insieme al leader il compito di guidare il partito fino alle elezioni, che Renzi continua a ‘vedere’ tra la fine della prossima primavera e, al massimo, l’inizio dell’autunno.

Coerentemente con questa linea, nella nuova squadra non dovrebbe essere rappresentata la minoranza post-bersaniana. Per il resto, anche alcuni paletti che sembravano emergere nei giorni scorsi potrebbero cadere. Non è affatto detto, ad esempio, che in segreteria non ci siano parlamentari o che si proceda con un azzeramento totale dell’attuale team, con l’eccezione dei vicesegretari. Renzi, infatti, potrebbe retrocedere da questa idea, verificando come alcuni degli attuali componenti abbiano lavorato bene e potrebbero portare il proprio contributo anche nei prossimi mesi. Su tutti, sono quelli di Filippo Taddei e di Emanuele Fiano i nomi più accreditati per una riconferma. Piero Fassino rimane in pole position per la politica estera, mentre i sindaci Falcomatà (Reggio Calabria), Buonajuto (Ercolano) e Palazzi (Mantova) potrebbero rappresentare i territori.

Due figure chiave saranno quelle affidate all’ex sottosegretario Tommaso Nannicini, che dovrà coordinare i lavori per la stesura del programma, e a Maurizio Martina. Il compito del ministro, però, dovrà ancora essere definito nel dettaglio, per renderlo compatibile con gli impegni di governo. Ancora vaghi rimangono ruoli e nomi di eventuali personalità ‘esterne’ che potrebbero portare il proprio supporto al partito (sui giornali circolava il nome dello scrittore Gianrico Carofiglio, ma anche del presidente della fondazione Volta Giuliano da Empoli.

Renzi dovrebbe rimanere a Roma anche per la prima parte di domani, per poi rientrare a Pontassieve per festeggiare con la famiglia il suo 42esimo compleanno. La prossima settimana dovrebbero tornare al Nazareno i segretari provinciali e regionali per definire meglio la mobilitazione del partito prevista per fine mese (21-22 gennaio). Quindi dovrà essere convocata una riunione della Direzione per approvare la composizione della nuova segreteria, probabilmente già prima dell’assemblea degli amministratori locali fissata per il 28 gennaio.

Da - http://www.unita.tv/focus/renzi-segreteria-incontri-nazareno/
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« Risposta #9 inserito:: Febbraio 14, 2017, 06:02:55 pm »

Focus

Rudy Francesco Calvo    - @rudyfc
· 3 gennaio 2017

Cosa prevede il “reddito di inclusione” proposto dal Governo
Povertà   

L’idea di un decreto per accelerare i tempi di attuazione. Allo studio un assegno e una serie di servizi per il sostentamento e l’accesso al lavoro

Una provvedimento a sostegno delle famiglie più in difficoltà, che non appaia come una semplice misura di sussistenza da elargire in maniera indifferenziata, ma sia collegato a un effettivo percorso di inserimento sociale e lavorativo. A rilanciarlo oggi sono il ministro Maurizio Martina e la relatrice al Senato Annamaria Parente, ma la proposta iniziale è del ministro del Welfare Giuliano Poletti (allora come componente del governo Renzi) ed è già stata approvata dalla Camera il 14 luglio scorso.

L’idea che circola in queste ore è di accelerare l’iter, trasformando il disegno di legge delega, per il quale il Governo avrebbe sei mesi di tempo dopo l’approvazione del Parlamento per rendere operativa la norma, in un disegno di legge da applicare immediatamente (proposta Parente) o addirittura in un decreto che sottolinei il carattere di urgenza e renda più rapido anche l’esame delle due Camere (proposta Martina).

Ecco cosa prevede nello specifico la proposta attualmente all’esame della commissione Lavoro e Previdenza sociale del Senato.

Non solo soldi
Il provvedimento prevede due diverse forme di assistenza. La prima è quella più strettamente economica, con un assegno mensile (potrebbe aggirarsi intorno ai 400 euro) che garantisca appunto quel ‘reddito di inclusione’ in grado di consentire alle famiglie che ne beneficiano di accedere ai beni di consumo fondamentali per la loro sussistenza. La seconda consiste invece in una serie di servizi alla persona da garantire gratuitamente in maniera uniforme in tutto il territorio nazionale. Si tratta di progetti personalizzati di attivazione e di inclusione sociale e lavorativa, da elaborare e gestire in collaborazione con le amministrazioni locali sulla base delle effettive esigenze degli interessati.

Il disegno di legge delega prevede anche la necessità di un riordino dei servizi e, più in generale, delle prestazioni di natura assistenziale attualmente previsti, che possono essere anche ricondotti all’interno di quelli previsti da questo provvedimento.

Chi ne può beneficiare
Le famiglie beneficiarie dovrebbero essere una buona parte di quel milione e 600mila considerate dall’Istat al di sotto della soglia di povertà. La platea sarà individuata sulla base dell’indice ISEE. È concessa la priorità alle famiglie con figli minori o con disabilità gravi o con donne in stato di gravidanza, oppure ancora con persone disoccupate di età superiore ai 55 anni. Sarà l’Inps a verificare la persistenza delle prerogative necessarie, non solo per impedire le truffe, ma anche per far sì che i beneficiari seguano effettivamente i piani di inserimento professionale e l’assegno non si trasformi così in una sorta di ‘stipendio’ garantito dallo Stato (come sarebbe invece il ‘reddito di cittadinanza’).

I fondi
I soldi sono stati già stanziati. Si tratta del Fondo per la lotta alla povertà e all’esclusione sociale previsto dalla legge di stabilità e quantificato in un miliardo e 150 milioni di euro. A questa cifra, si potranno aggiungere le risorse provenienti dai programmi operativi nazionali e regionali finanziati con fondi strutturali europei.

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