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Autore Discussione: Francesco Nicodemo Siamo di nuovo in cammino e la meta è sempre quella  (Letto 4252 volte)
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« inserito:: Dicembre 12, 2016, 03:22:11 pm »

Opinioni

Francesco Nicodemo   @fnicodemo
· 11 dicembre 2016

Siamo di nuovo in cammino e la meta è sempre quella
Non sposteremo di una virgola il nostro impegno per fare dell’Italia un posto migliore

Durante la settimana che si è appena conclusa ho ricevuto molti messaggi. Tante persone, più di quante potessi immaginare, hanno sentito il desiderio su messenger, WhatsApp e via mail di scrivermi. Ci penso, penso a tutto quello che è successo, istantanee di vita che scorrono veloci nella mia mente come un flashback continuo, poi ricordo questa frase: “Sentinella, quanto resta della notte? La sentinella risponde: viene il mattino, e poi anche la notte!” (Isaia, 21, 11). Rifletto, eppure non riesco ad essere triste.

Già, perché sono grato per quello che ho vissuto, per i posti che ho visitato, per le persone che ho conosciuto e per tutte le esperienze che ho maturato. Le conservo gelosamente e mi accompagneranno per molto tempo. Ovviamente mi dispiace per l’Italia perché sono ancora convinto che la riforma costituzionale avrebbe aperto le porte a un futuro migliore, tuttavia hanno ragione loro, quelli che l’hanno bocciata dal momento che la democrazia ha sempre ragione. Parafrasando le parole che un grande personaggio dei nostri tempi -Barack Obama – ha detto dal Rose Garden dopo il risultato delle elezioni presidenziali in Usa, tutti noi dobbiamo andare avanti presupponendo la buona fede dei nostri cittadini ed è così, rispettiamo la loro volontà prendendone atto.

Se non siamo stati in grado di spiegarci e di farci capire è solo colpa nostra. Anche questa è una lezione importantissima, almeno per me. Non è il tempo delle analisi, non ancora, chi le fa adesso vi prende in giro, nessuno poteva prevedere quello che sarebbe successo e infatti nessuno lo aveva previsto. Ci sarà il tempo di comprendere bene i nostri errori e di farne tesoro. Come sempre, il tema non è cadere, ma rialzarsi in fretta. Nelle prossime settimane quindi, voglio interrogarmi e provare a capire perché la mia generazione e il Sud hanno votato No, quali sono stati i nostri errori, cosa non ha funzionato nel rapporto tra racconto del cambiamento e percezione del cambiamento.

Lo voglio fare non solo perché senza il Sud e la mia generazione non si vincono le elezioni, ma soprattutto perché se non ricuciamo questo strappo la democrazia e le sue Istituzioni rischiano di subire un default di fiducia ancora più pesante. Diceva Zenone: «La ragione per cui abbiamo due orecchie ed una sola bocca è che dobbiamo ascoltare di più, parlare di meno». Ecco allora che voglio ascoltare chi ha votato Sì ma soprattutto chi ha votato No, perché ripartendo d a l l’ascolto forse saremo in grado di dare di nuovo risposte a chi è stato con noi e a chi è stato contro di noi. Perché continuo a pensare che siamo l’unica via possibile in questo Paese per una sano riformismo popolare che significa occuparsi di chi non ce la fa e non ostacolare chi si rimbocca le maniche.

E anche adesso, mentre tutto sembra così difficile, e quasi viene meno il coraggio, dopo tutto questo sentiero percorso insieme, fatto di cadute e di ripartenze, voglio dirvi con animo libero dal rancore e con sguardo sincero, che la meta è sempre quella, che non sposteremo di una virgola il nostro impegno per fare dell’Italia un posto migliore, che non dobbiamo avere paura di nulla, che siamo sempre quelli partiti 6 anni fa da una vecchia stazione con una valigia piena di idee e che non ci fermeremo certamente adesso, che siamo una comunità bella e allegra e continueremo a sostenerci l’un l’altro, che ci si salva e si va avanti se si agisce insieme e non solo uno per uno. Noi andiamo avanti perché quando c’è una meta anche il deserto diventa strada come recita un proverbio tibetano e per noi vale esattamente così. Impareremo dai nostri errori, ci faremo guidare dai nostri principi, ritroveremo il nostro naturale entusiasmo e riprenderemo il cammino, anzi lo stiamo già facendo.

Da - http://www.unita.tv/opinioni/siamo-di-nuovo-in-cammino-e-la-meta-e-sempre-quella/
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« Risposta #1 inserito:: Gennaio 08, 2017, 11:22:42 pm »

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Francesco Nicodemo - @fnicodemo
· 8 gennaio 2017   

Se non esistono più fatti ma solo interpretazioni
Resta il grande tema di formazione ed educazione alla rete e all’immateriale, che non è solo questione tecnologica

La nostalgia non è una categoria politica, sebbene ultimamente il dibattito pubblico in Italia sia alquanto ristagnante, tanto da dover già rimpiangere i giorni in cui ci confrontavamo sulla riforma d el l’articolo 70 della Costituzione. E allora proviamo a interrogarci: come mai alternative politiche conservatrici o addirittura populiste hanno fatto la loro ricomparsa e trovano ascolto? Se vengono presentate proposte che sembrano ritorni al passato e che hanno alla base un’idea di fondo ispirata alla chiusura, la migliore risposta è lavorare a disegni e progetti politici progressisti e riformisti.

Qualche giorno fa mi è capitato di leggere un articolo di Kenan Malik pubblicato dal Guardian dal titolo “Il Liberalismo sta soffrendo ma la democrazia sta funzionando bene” in cui, guardando a grandi linee lo scenario politico internazionale, si riflette sul futuro della democrazia liberale alla luce delle sfide delle politiche reazionarie e populiste. Spesso si dimentica che tra il liberalismo, che ruota intorno alla nozione di individuo, e la democrazia vi è una continua tensione, il rischio è guardare alle masse con il timore che possano intaccare la libertà individuale. La polarizzazione delle due tendenze ha determinato il graduale abbandono degli aspetti più innovativi legati al progresso.

Malik sostiene che al contrario si debba tornare a cercare una sintesi, un modo per tenere assieme da un lato le libertà e i diritti dell’individuo, dall’altro le protezioni sociali e l’identità e l’idea stessa di comunità. La politica sembra ruotare proprio intorno alla dialettica tra individuo e comunità, c’è chi vuole esaltare il primo e chi mira a difendere la seconda, in una tensione continua tra libertà e identità, dimenticando talvolta che in realtà il soggetto viene valorizzato proprio nella sua appartenenza ad una collettività solida e coesa. Perché la democrazia non è solo il diritto individuale a mettere una croce su una scheda elettorale, ma soprattutto affermare la nostre voce politica agendo collettivamente.

D’altro canto a seguire il postulato per cui “uno vale uno” derivano idee come quella del “tribunale del popolo” per valutare la veridicità delle notizie. Grazie alla rete disponiamo di uno strumento ulteriore per esprimere le nostre opinioni, ma esiste infatti anche lì un implicito principio di autorevolezza che dovrebbe assicurare credibilità differente a seconda dei casi. Non si possono mescolare e ignorare professionalità e competenze e porre il fattuale sullo stesso piano della mera opinione.

No, uno non vale uno. Il rischio è che non esistano più fatti appunto ma solo interpretazioni da cui poi derivano prese di posizione che ieri significano una cosa, oggi u n’altra, domani chissà. La presunta svolta garantista del M5S è l’esempio plastico di cosa sia la post-verità. Nel caso di Pizzarotti valeva l’espulsione, nel caso di Nogarin no, in ogni caso decide il sacro blog: “Chi controlla il passato controlla il futuro, chi controlla il presente controlla il passato”. Proprio per questo la postverità è un tema politico-culturale e non normativo, ha a che fare con i corpi intermedi e con la formazione dell’opinione pubblica e non intacca solo lo spazio pubblico della rete, perché tutti i media sono ibridati, e quindi riguarda anche stampa, radio e televisione.

Resta il grande tema di formazione ed educazione alla rete e all’immateriale, che non è solo questione tecnologica. Come ha scritto bene Giovanni Boccia Artieri in un tweet del 6 gennaio, “dobbiamo educarci emotivamente al digitale e non tecnologicamente. Le vite connesse sono condivise ma non sempre condivisibili”. Non sempre condivisibili, appunto perché come sosteneva Charles Prestwich Scott: “Il commento è libero, ma i fatti sono sacri”.

Da - http://www.unita.tv/opinioni/se-non-esistono-piu-fatti-ma-solo-interpretazioni/
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« Risposta #2 inserito:: Gennaio 17, 2017, 11:29:42 am »

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Francesco Nicodemo - @fnicodemo
· 15 gennaio 2017

La partecipazione è democrazia
L’ormai ex Presidente degli Stati Uniti ha constatato che tutte le volte che diamo per scontato il fatto di vivere in una democrazia la mettiamo in pericolo

Qualche giorno fa Ilvo Diamanti ha evidenziato che, come emerge dal Rapporto stilato da Demos su Italiani, Istituzioni e Politica, il 2016 è stato caratterizzato da una maggiore partecipazione dei cittadini. Quest’ultima si è manifestata sia attraverso forme tradizionali come manifestazioni politiche, dibattiti, incontri, non ultimo il voto di dicembre, sia grazie allo spazio offerto dalla rete.

Il maggiore coinvolgimento è un dato positivo ma colpisce che il 48% degli intervistati, quindi uno su due, ritiene che la democrazia possa funzionare anche senza partiti. Al contrario ritengo che sia indispensabile riflettere su come ridare valore a tutti quei soggetti che possono valorizzare ulteriormente la partecipazione per non disperderla e contribuire a rafforzare la demo crazia.

Democrazia, una parola che – come ha sottolineato YouTrend – è stata pronunciata venti volte, in media ogni due minuti e mezzo, da Barack Obama nel suo ultimo discorso il dieci gennaio a Chicago. L’ormai ex Presidente degli Stati Uniti ha constatato che tutte le volte che diamo per scontato il fatto di vivere in una democrazia la mettiamo in pericolo, dal momento che il suo corretto funzionamento dipende dalla responsabilità e dalla consapevolezza di essere cittadini, i quali a prescindere da chi si alterna alla guida, fanno delle scelte e danno linfa al potere.

“La democrazia ha bisogno di voi. Non solo quando c’è un’elezione, non solo quando avete un vostro interesse vicino in gioco, ma lungo tutto il corso della vita “ha detto Obama, aggiungendo che se si è stanchi di discutere con sconosciuti su Internet allora a maggior ragione si deve cercare di parlare nella vita reale. E, a proposito di rete, sempre più spesso troviamo comodo ritirarci nelle nostre “bollee, ovvero in spazi reali o virtuali dove siamo circondati da persone che condividono le nostre stesse prospettive politiche e le nostre stesse opinioni.

Più si permane in questa situazione però, più si iniziano ad accettare solo quelle informazioni che corrispondono alla nostra visione del mondo, azzerando la possibilità di metterla in discussione e di fare affidamento piuttosto all’ evidenza dei fatti. Obama ha ricordato che la politica stessa è una battaglia di idee differenti su come affrontare i problemi, si tratta di posizioni spesso antitetiche ma si deve uscire dalla propria bolla.

Come? Accettando che esistono delle basi comuni di fatti, che non si deve precludere la possibilità di accogliere nuove informazioni, che si deve ipotizzare che il nostro interlocutore può dire qualcosa di condivisibile. Soprattutto, non dobbiamo mai dimenticare che scienza e ragione contano. Se non facciamo tutto questo, parliamo inutilmente, la discussione politica rischia di diventare deprimente e in generale, ogni forma di dibattito risulta improduttivo. Queste parole più che un addio sono un monito e infatti, dopo aver risposto “non posso farlo” alla folla che ripeteva “altri quattro anni”, ha aggiunto che sebbene non più da Presidente egli continuerà da cittadino ad impegnarsi insieme agli altri, quelli a cui ha chiesto la stessa cosa che domandò otto anni fa, di crederci, di credere nella propria capacità di cambiare.

Obama da presidente ritorna ad essere un comune cittadino ma non prima di aver ricordato cosa vuol dire esserlo e agire come tale. Ancora una volta la sua leadership è stata esercitata non per rivendicare le cose fatte ma per mettere sotto i riflettori la comunità, perché “il cambiamento avviene solo quando le persone comuni vengono coinvolte, vengono impegnate e si uniscono insieme per richiederlo. “Esercitare concretamente il proprio status di cittadino vuol dire rinvigorire la democrazia e se a farlo è la comunità, il cambiamento può avvenire. Il leader indica una direzione, è fonte di ispirazione ma ciascuno deve fare la propria parte, ognuno deve contribuire a tracciare nel proprio piccolo parte di un percorso che è comune.

C’è tuttavia chi nel cammino personale di Obama ha occupato un ruolo di primo piano e si tratta di Michelle, moglie, madre delle loro figlie e migliore amica che a sua volta è diventata un modello per le nuove generazioni rendendolo orgoglioso. Ad introdurre il Farewell Address di Obama è stato Eddie Vedder, frontman dei Pearl Jam. Ha cantato Rise, che è stata la colonna sonora di Into the wild. Il testo parla di rialzarsi dalle cadute, di trasformare gli sbagli in oro. Obama nella sua premessa ha detto che si condivide lo stesso destino e ci si alza o si cade insieme, nonostante le differenze di ciascuno. E noi tutti dovremmo fare tesoro di queste parole.

Da - http://www.unita.tv/opinioni/la-partecipazione-e-democrazia/
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« Risposta #3 inserito:: Marzo 01, 2017, 04:51:55 pm »

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Francesco Nicodemo - @fnicodemo
·
26 febbraio 2017
La sfida delle periferie

L’incontro con l’altro può avvenire solo se si è consapevoli della propria identità, delle proprie tradizioni
Ho scritto spesso di comunità. Ognuno di noi ha i propri gruppi e dunque luoghi di riferimento. Quelli in cui molti di noi sono legati fino a poco tempo fa sembravano dimenticati, relegati alle ultime pagine dei giornali, oppure talvolta arrivavano sulle prime solo per fatti di cronaca. Sto parlando delle periferie. Non si tratta soltanto di agglomerati di case e palazzi, spesso si tratta di luoghi che hanno una storia o delle tradizioni comuni ma che l’incuria ha fatto passare in secondo piano.
Del rapporto tra centro e periferia hanno scritto in tanti ma soltanto di recente il tema è entrato anche nell’agenda politica ed è ritornato nel dibattito pubblico. Matteo Renzi lo scorso 14 ottobre scriveva dalla sua pagina Facebook: “Da ex sindaco prima ancora che da premier, credo che la sfida della qualità urbana e delle periferie sia una delle più difficili e affascinanti del nostro t e m p o. Per questo abbiamo investito molto sulle periferie sia a livello economico che culturale, quasi sempre nel silenzio degli addetti ai lavori.”
Il post è stato pubblicato il giorno dopo aver partecipato all’assemblea dell’Anci in cui annunciò che grazie al Cipe c’era la disponibilità delle risorse per finanziare tutti i progetti sulle periferie presentati dalle amministrazioni comunali. Di cosa si parlava? “Dalla rigenerazione urbana di Scampia a Napoli fino al Corviale a Roma, dal quartiere satellite di Pioltello nella città metropolitana di Milano fino alla ferrovia urbana nel profondo sud di Ragusa (..)” Il Presidente del Consiglio Paolo Gentiloni sta proseguendo su questa linea e infatti lo scorso 18 febbraio dal suo account Twitter si leggeva “Con @massimozedda a Cagliari per firmare il primo dei progetti sui quartieri. Qualità, ambiente e cultura devono abitare le nostre periferie” Gli amministratori dunque si prendono cura delle proprie città indicandone i quartieri che hanno bisogno di interventi puntuali e lo Stato si fa trovare presente sia con l’impegno che con le risorse necessarie. È anche questa la politica che mi piace, quella che arriva alle persone soprattutto a quelle che spesso non sono sotto i riflettori.
È giusto che le periferie tornino a vivere, a ritrovare il proprio carattere, a riscoprire o inventare nuovi luoghi di aggregazione sociale e di crescita culturale. Quando parliamo di globalizzazione e di apertura verso l’altro, si ritiene in maniera un po’ superficiale che questa tendenza non possa coesistere con la sopravvivenza delle piccole realtà e delle piccole comunità. In altre parole, si può pensare che alla globalizzazione corrispondano i grandi numeri di persone, i grandi spazi e che quindi inevitabilmente i piccoli centri o i singoli quartieri corrano il rischio di essere dimenticati e messi in un angolo. Non è così.
L’incontro con l’altro può avvenire solo se si è consapevoli della propria identità, delle proprie tradizioni. Un luogo può rapportarsi ad un altro e accogliere chi arriva da altre realtà soltanto se alla base c’è una valorizzazione delle proprie caratteristiche e delle proprie potenzialità. Quando si incontra e si conosce qualcuno, ci si presenta dicendo il proprio nome, ecco noi dobbiamo dare un nome alle nostre comunità e alle nostre periferie. Dobbiamo viverle, attraversarle, conoscerle, in una parola raccontarle. Un esempio di come si possa fare questo è proposto dall’ultimo libro di un mio caro amico: Sergio Ragone.
Sergio ama la sua terra e l’ha raccontata in #Potenzavisibile. Ha parlato con giovani artisti, architetti, professionisti, giornalisti, accademici e giovanissimi studenti universitari. Ha raccolto le loro storie che erano intrecciate con quelle della loro terra, terra di cui viene proposta u n’idea per il futuro per farla splendere ancora, anzi ancora di più. Si tratta di dialoghi, di visioni ma soprattutto di un racconto e una connessione sentimentale con i propri luoghi di appartenenza. Questi ultimi vanno amati, tutelati e narrati per conoscersi meglio e per capire e conoscere meglio chi ha altri luoghi ancora da raccontare.

Da - http://www.unita.tv/opinioni/la-sfida-delle-periferie/


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« Risposta #4 inserito:: Marzo 16, 2017, 12:46:37 pm »

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Francesco Nicodemo - @fnicodemo

· 12 marzo 2017

La riorganizzazione del Pd parta dalla base
La struttura tradizionale del partito non funziona più perché non riesce a coinvolgere

Essere di nuovo al Lingotto è emozionante. Insieme all’entusiasmo, circolano tante idee per ripartire insieme. Il punto ora è capire come fare tesoro di questa esperienza e continuare a coinvolgere tutti, dal momento che non può esistere formazione politica senza una partecipazione costante. Ho provato a dire la mia al seminario “Fare il Partito. Organizzazione, formazione, comunità” e ho riportato un dato di fatto.

La struttura tradizionale del partito non funziona più perché non riesce a coinvolgere, non fotografa il feedback dei territori e non sempre è al passo con le decisioni veloci che i tempi della politica impongono di prendere. Al suo posto propongo una struttura a rete in cui è centrale la figura del community organizer. Ne immagino uno per ogni zona corrispondente ai collegi elettorali in cui è suddiviso il nostro Paese e all’interno della quale ha compiti precisi:

– Operare una vera e propria analisi dei dati di carattere elettorale, anagrafico ed economico;

– Stilare l’elenco delle associazioni di categoria, delle associazioni laiche o religiose, degli ordini professionali, in generale delle formazioni sociali presenti sul territorio;

– Elencare quali sono i componenti del gruppo dirigente locale e quindi parlamentari, amministratori, consiglieri regionali, comunali, ecc.

– Favorire il dialogo su singoli temi, sui provvedimenti in fase di approvazione, sulle proposte presentate dal partito;

– Trasmettere umori e pareri che arrivano dal basso e tradurre le esigenze e i suggerimenti dei cittadini in piani per gli amministratori da attuare nel concreto;

– Organizzare la comunicazione stabilendo modi e tempi;

– Effettuare un’attività costante di fact-checking;

– Contrastare il linguaggio dell’odio in rete.

In questa rinnovata struttura di partito l’online e l’offline si integrano a vicenda. I community organizer infatti si avvalgono sul territorio di gruppi di volontari e non sono semplici influencer, sono molto di più: punti di riferimento e nodi che permettono sia il dialogo tra il gruppo dirigente (locale e nazionale) e la base, sia la circolazione di notizie e il confronto all’interno della base stessa. Grazie a loro le informazioni vengono trasmesse dall’alto verso il basso, cioè dal partito rappresentato da dirigenti e parlamentari, fino agli amministratori locali e agli elettori.

Ancora, è tramite loro che i feedback dai territori arrivano al centro del partito, permettendo a quest’ultimo di definire il programma e le successive azioni da intraprendere. In breve, migliora la qualità del dibattito pubblico reale. Ma non è tutto. Con una struttura organizzativa di questo tipo infatti, ciascuno si sente coinvolto e può diventare a sua volta il community organizer del proprio gruppo di riferimento reale o virtuale, di lavoro, di studio, di amici.

Al centro c’è il militante, al centro c’è ognuno di noi che diventiamo punto di riferimento per altri e questi ultimi per altri ancora e così via. Ciascuno è indispensabile, allo stesso modo ogni singolo individuo può creare la sua rete, “evangelizzare”, diffondere nozioni e fare in modo che altri grazie a lui siano in grado di fare lo stesso con altre persone. Gramsci sosteneva che non fosse possibile separare l’homo faber dall’homo sapiens. «Ogni uomo infine, all’infuori della sua professione esplica una qualche attività intellettuale, è cioè un “filosofo”, un artista, un uomo di gusto, partecipa di una concezione del mondo, ha una consapevole linea di condotta morale, quindi contribuisce a sostenere o a modificare una concezione del mondo, cioè a suscitare nuovi modi di pensare».

Senza pretendere di forzare il senso ben più ampio e complesso delle profonde riflessioni gramsciane, il concetto riportato è dotato di una straordinaria modernità. Che ciascuno di noi infatti dia il proprio senso alla realtà che lo circonda, la filtri e ne offra una personale lettura è evidente ma non accade solo questo, dal momento che la comunica anche e quindi, inevitabilmente condiziona direttamente o meno gli altri. L’utente isolato, l’elettore spasso disorientato, se coinvolto in questa struttura, diventa un soggetto attivo, chiamato in causa a offrire il proprio contributo in base al tempo a disposizione, ai propri interessi e alle proprie competenze. La partecipazione non è limitata solo al momento elettorale, il quale eventualmente rappresenta solo l’ultimo passo di un percorso di coinvolgimento continuo e propositivo in cui la fiducia verso i propri rappresentanti viene costruita giorno dopo giorno.

Da - http://www.unita.tv/opinioni/la-riorganizzazione-del-pd-parta-dalla-base/
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