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Autore Discussione: Da Azione sociale a Forza Nuova Storace tra le «fiamme» ultrà  (Letto 3394 volte)
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« inserito:: Novembre 11, 2007, 05:39:26 pm »

Da Azione sociale a Forza Nuova Storace tra le «fiamme» ultrà

Eduardo Di Blasi


Quando parlano di loro stessi, i movimenti della destra radicale italiana, venuti da almeno un paio di lustri di «prefissi telefonici» alle elezioni politiche (alle ultime la Fiamma Tricolore prese lo 0,6%, Alternativa Sociale, somma di Azione Sociale della Mussolini e Forza Nuova di Fiore lo 0,67%), usano la metafora della divisione dell’atomo: «Uno ha la posizione neutrino, uno la posizione elettrone...». In verità, però, a questa microgalassia di sigle minori, che negli anni ha radicato propri consiglieri comunali, provinciali e regionali in diverse località d’Italia, la Cdl ha deciso da tempo di non rinunciare, ferma nel proposito di portare dentro la grande battaglia con l’Unione, tutto quello a destra c’era o prometteva di esserci. Anche, si direbbe, correndo il rischio di tenere in vita artificialmente l’anomalia di almeno cinque sigle che si contendono la stessa piccola fetta di elettorato destrorso. Stimata, alla grossa, in un 3%. Così, oltre a Francesco Storace, che oggi e domani al Palazzo dei Congressi dell’Eur darà forma compiuta al proprio progetto denominato «La Destra», restano ancora in vita, a presidiare il proprio territorio politico, una serie di formazioni che vanno dalla Fiamma Tricolore di Luca Romagnoli, ad Azione Sociale di Alessandra Mussolini, a Forza Nuova di Roberto Fiore, e, oggi in una fase di evidente riflusso, al Fronte Nazionale di Adriano Tilgher e al Movimento Idea Sociale (Mis) di Pino Rauti.

Su quale consistenza territoriale abbiano questi partiti che vengono in coda al neo-fascismo italiano non è semplice ragionare. «Alle amministrative del 2007 - spiega il capo ufficio stampa della Fiamma Tricolore - abbiamo coperto tutti i collegi italiani ed eletto diversi consiglieri comunali». Secondo la ricostruzione della Fiamma, sono loro il primo partito dell’area. Insidiati, a poca distanza, proprio dal neonato partito di Storace, che però non si è ancora cimentato con la prova di solito più difficile: le elezioni. Secondo questa parte, «La Destra» sarà un’«Alleanza Nazionale di bocca buona», nel senso che non disdegnerà che qualche camerata entri nel movimento. L’abboccamento tra i due partiti, che sembrava cosa fatta mesi addietro (si pensava a una federazione) sarebbe fallito tre domeniche fa. Storace avrebbe respinto la proposta di una divisione dei ruoli al 50%. Fiamma Tricolore, da quattro anni guidato (dopo una guerra di carte bollate con il fondatore Pino Rauti) da Luca Romagnoli, docente di Geografia alla Sapienza ed europarlamentare, è un partito che negli ultimi anni è riuscito ad attrarre una buona parte del movimentismo dell’estrema destra degli anni ‘90. In segreteria siedono tra gli altri Piero Puschiavo, già leader del Veneto Fronte Skinheads, Maurizio Boccacci e Gianluca Iannone (entrambi in Movimento Politico, sciolto dalla Legge Mancino). Il segretario romano è Giuliano Castellino (già Base Autonoma, altra sigla chiusa con la Mancino). È una forma amorfa che vede nei centri sociali e nelle occupazioni di destra, nella musica «non conforme», nell’apertura ai giovani, una delle chiavi della sua «popolarità» (non tradotta per adesso nelle urne). Secondo una vulgata Berlusconi in persona avrebbe chiesto a Romagnoli di sondare il campo della destra estrema alla ricerca di un’alleanza più larga. Storace, sarebbe, in questa versione, troppo logoro per poter adempiere al compito.

L’altro partito strutturato è Azione Sociale, che ha coordinamenti provinciali in tutta Italia. Da destra arrivano voci che vorrebbero la Mussolini, anima del partito, nuovamente vicina ad An. Lei continua a smentire: perché sciogliere un partito che, pur non arrivando all’1% resta fondamentale nell’area di riferimento? Se Rauti e Tilgher non stanno vivendo la loro stagione migliore, è Forza Nuova il movimento più visibile. «Al livello di sezioni - spiega il portavoce romano Gianguido Saletnich - ce ne sono almeno un’ottantina nelle diverse regioni, forse anche di più». Il tesseramento non è obbligatorio ma tra militanti e simpatizzanti si stima tra i 3500 e i 4000 la presenza sul territorio. Fra i cinque, forse è quello che è più rimasto come movimento politico, senza vedere nelle urne la destinazione migliore. Così possono rivendicare con orgoglio: «Noi non siamo mai andati e non andremo ai cortei del centrodestra come ha fatto la Mussolini e come ha fatto la Fiamma. L’ipotesi di accordi elettorali è un’estrema ratio a cui siamo obbligati da un sistema elettorale che non condividiamo: ci siamo costretti».

Pubblicato il: 10.11.07
Modificato il: 10.11.07 alle ore 8.22   
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« Risposta #1 inserito:: Novembre 13, 2007, 03:52:59 pm »

IP M E GLI ULTRAS

L'ipotesi squadristica

di Vittorio Grevi


Riveste un suo preciso significato, sul piano delle strategie giudiziarie, la decisione — adottata ieri dalla Procura di Roma — di rinunciare a procedere con rito direttissimo nei confronti dei quattro «tifosi» arrestati domenica nel corso dei disordini e delle assurde violenze che hanno messo a soqquadro alcuni quartieri della capitale.

Una decisione del genere, incanalando il relativo procedimento penale lungo le vie ordinarie segnate dalla necessaria convalida degli arresti, e dalla successiva prosecuzione delle indagini rivela, infatti, l'intenzione dei magistrati inquirenti di non accontentarsi dell'accertamento dei reati più probabilmente configurabili a carico dei soggetti arrestati (ad esempio danneggiamento, resistenza a pubblico ufficiale, lesioni personali), ma di voler approfondire e, se del caso, allargare il fronte investigativo. Sia al fine di individuare l'eventuale sussistenza di diverse e più gravi figure delittuose (ad esempio i reati di devastazione e saccheggio); sia, comunque, al fine di valutare se si sia trattato di uno scoppio improvviso di follia collettiva, ovvero se dietro agli scontri vi sia stato qualcosa di preordinato, se non addirittura un vero e proprio piano di guerriglia urbana da far scattare alla prima occasione.

A quest'ultima eventualità si riallaccia la notizia diffusa ieri secondo cui la Procura romana potrebbe ipotizzare a carico degli arrestati (come pure degli altri soggetti che venissero poi identificati) la circostanza aggravante della finalità terroristica. Una circostanza che, a quanto risulta, non è stata finora mai contestata al di fuori di situazioni obiettivamente ricollegabili alle attività di gruppi dediti al terrorismo interno o internazionale, inteso in senso stretto, ma che potrebbe trovare una sua consistenza alla luce della definizione della «finalità di terrorismo » introdotta nel codice penale dal decreto legge di fine luglio 2005.

Naturalmente spetterà anzitutto ai magistrati del pubblico ministero verificare se, nelle condotte delittuose accertate in concreto, caso per caso, con riferimento ai diversi soggetti indagati, possa ravvisarsi alcuno degli «scopi » (ad esempio «intimidire la popolazione », ovvero «costringere i pubblici poteri» a determinati atti) che la legge oggi ricomprende tra le «finalità di terrorismo ».
Una verifica delicata, ma non impossibile, soprattutto qualora dovesse essere confermata l'ipotesi di un reticolo di matrice squadristica tra i diversi gruppi di teppisti scatenati, che sarebbe ancora più grave se risultasse riconducibile a un disegno programmato di destabilizzazione politica. Si tratta, comunque, di un riscontro che merita di essere fatto. Anche perché, se così fosse, se cioè dovesse profilarsi, tra l'altro, l'esistenza di un «obiettivo dichiarato di colpire lo Stato nella figura degli operatori di polizia », davvero non ci troveremmo più soltanto di fronte a episodi, per quanto gravissimi e sconcertanti, di semplice teppismo vandalico.


13 novembre 2007

da corriere.it
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