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Autore Discussione: Stefano Ceccanti - Proporzionale e Bipolare  (Letto 2346 volte)
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« inserito:: Novembre 11, 2007, 04:46:45 pm »

Proporzionale e Bipolare

Stefano Ceccanti


Anche in materia elettorale il diavolo si annida nel dettaglio. Per questo capisco che ci sia in questi giorni una diffusa curiosità a conoscere dettagliatamente bozze, testi provvisori, schemi di articoli e così via. È sbagliato eccedere in questa curiosità perché la questione della riforma va affrontata individuando prima un´analisi del sistema politico, sia quello odierno sia i trend di lungo periodo, passando poi ai criteri di giudizio per agire infine sugli strumenti, valutandoli laicamente rispetto ai criteri. Insomma, anche per la riforma elettorale vale uno schema basato su tre verbi: vedere, giudicare, agire. A livello nazionale l'adozione di un sistema proporzionale con premio, oltre a recidere i rapporti tra eletto ed elettori ha accentuato lo strabismo del sistema. Certo, ha consolidato ulteriormente il bipolarismo (giacché quando si garantisce comunque una maggioranza a chi arriva primo nessuno vuole stare fuori).

Ma ha anche incrementato la già elevata frammentazione.

Il criterio di ristabilire un rapporto col territorio («che dia agli elettori la possibilità di scegliere i rappresentanti», come ha precisato ieri Veltroni) ha una declinazione semplicissima: tutti i sistemi di cui discutiamo presentano collegi uninominali (per intero Francia e Regno Unito, per metà la Germania) e collegi plurinominali con numero limitato di candidati (Spagna, per metà la Germania, come quello usato per le assemblee del Pd). Nessuno usa la preferenza: un´anomalia italiana che, oltre ad elevare esponenzialmente i costi delle campagne e a chiudere gli accessi ai non professionisti della politica, sposta la frammentazione dentro i partiti rendendo il giorno delle elezioni prima di tutto una battaglia fratricida. Non ha quindi coerenza chi invoca il sistema tedesco e contemporaneamente la regressione al voto di preferenza. È evidente che esiste un problema di coinvolgimento nella scelta dei candidati, ma questo va fatto con le primarie in una fase temporalmente distinta dalle elezioni. Il Pd ha già scelto la platea più vasta degli elettori per le Assemblee costituenti, non dovrà essere certo più restrittivo per i candidati alle elezioni. Questo consentirà di dare finalmente attuazione all´articolo 51 della Costituzione e, come in Spagna nei mesi scorsi, di fissare una soglia di decenza del quaranta per cento alle candidature di generi diversi, fermo restando che il Pd nelle proprie liste dovrà osare il 50, proprio come per le Costituenti. L´apertura ai non professionisti della politica passa anzitutto per l´apertura ai talenti femminili.

Torniamo quindi allo strabismo tra bipolarismo sempre più stringente e crescente frammentazione. Ieri Veltroni, tra le possibili vie d'uscita, ha proposto quattro criteri su cui lavorare: «Un sistema su base proporzionale, senza premio di maggioranza, per evitare che le alleanze siano fatte dopo il voto, un sistema che riduca la frammentazione». La somma di questi quattro criteri presenta un aspetto non scontato nella cultura politica tradizionale delle classi dirigenti italiane. Non si può separare, in un sistema parlamentare di una grande democrazia, la rappresentanza dal governo: il criterio per valutare la bontà di un sistema non può essere quello «corto» di fermarsi a vedere in che misura più o meno esatta i voti si sono riflessi in seggi parlamentari, ma deve essere «lungo», deve prevedere il fatto che il sistema elettorale crei un rapporto stretto tra voti, seggi e scelte di Governo.

Altrimenti quella apparente uguaglianza del voto che una proporzionale pura sembra garantire, sarebbe subito contraddetta: alcuni partiti posti al centro del sistema, che possono in astratto stringere alleanze sia alla loro destra, sia alla sinistra, sia trascinando tutti in «grandi coalizioni» finirebbero per avere un ruolo sproporzionato rispetto al Governo. Per questo un buon sistema italiano «a base proporzionale» può e deve avere oggi dei correttivi diversi da un premio, ma non meno efficaci, a cominciare dalla relativa ristrettezza delle circoscrizioni che rappresenta un incentivo a costruire e a stabilizzare grandi partiti a vocazione maggioritaria con un ruolo decisivo anche se non esclusivo in un sistema politico rinnovato. Se il premio va superato, infatti, resta comunque sempre vera quell'esigenza di realizzare un rapporto stringente tra «consenso, potere e responsabilità» che Roberto Ruffilli indicava quando rilanciò lo strumento dei premi nei primi anni'80 contro l'uso spregiudicato del potere di coalizione da parte dei partiti piccoli e medi.

Sembrano quindi esistere le condizioni per un'intesa giacché molte delle forze politiche si stanno già muovendo in un'evoluzione che un sistema a base proporzionale con correttivi diversi dal premio contribuirebbe a favorire: è nato il Pd e molti a destra lavorano per un suo «fratello gemello» con caratteristiche analoghe e collocazione alternativa, può nascere la «cosa rossa» che è già in cantiere e che un incentivo esterno aiuterebbe a coagulare, esistono partiti a vocazione territoriale che vorrebbero dare rappresentanza complessiva ai localismi dialogando col partito uscito vincitore dalle urne senza capovolgere i risultati. Si può chiedere a un originale sistema italiano di tenere conto di tutte queste varie esigenze, come le prime elaborazioni tecniche del Pd sotto la regia di Salvatore Vassallo stanno cercando di fare. Per mantenere l'insieme dei criteri individuati non si può però giungere a un sistema con riequilibri così deboli che, grazie a una rendita di posizione centrista, spingerebbero ad avere come soluzione normale il ricorso a una grande coalizione.

L'esito più probabile che si avrebbe col semplice recepimento del modello tedesco attuale. Chi propone quest'ultimo vuole di fatto che l'Italia debba tornare stabilmente a un blocco al centro analogo al pentapartito o che quantomeno lo debba sperimentare per una fase, per sospendere momentaneamente il bipolarismo per poi ripartire una volta stemperate le eccessive tensioni. Dire questo significa però non avere solo un dissenso tecnico sul sistema elettorale, ma prospettare un altro sistema politico divaricante dalla logica per la quale è nato il Pd. Il Pd è il perno nel centrosinistra di un bipolarismo migliore, non vuol essere l'ala sinistra di un nuovo pentapartito.

Pubblicato il: 11.11.07
Modificato il: 11.11.07 alle ore 15.00   
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