Intelligence Usa: "Putin ordinò di influenzare il voto".
Trump: "Nessun effetto sul risultato"
Il report degli 007 sulle operazioni di hackeraggio durante le elezioni. La Russia puntava ad aiutare il candidato repubblicano screditando la concorrente Clinton. Dem all'attacco: "La nostra democrazia dipende da come reagiremo"
ALBERTO FLORES D'ARCAIS
06 gennaio 2017
NEW YORK - L’accusa adesso è precisa: “Abbiamo determinato che il presidente russo Vladimir Putin ha ordinato nel 2016 una campagna per influenzare l'elezione presidenziale Usa”.
Per l’Intelligence americana non ci sono più dubbi, c’è la longa manu del Cremlino dietro gli hacker che hanno violato i sistemi informativi Usa con l’obiettivo “di minare la fiducia dell'opinione pubblica americana nel processo elettorale democratico, denigrare Hillary Clinton e danneggiarla nel suo tentativo di essere eletta presidente degli stati Uniti”. Un atto di accusa gravissimo, scritto nero su bianco nel rapporto (cinquanta pagine) che i servizi di spionaggio Usa (è firmato dal direttore della National Intelligence James Clapper) hanno consegnato giovedì ad Obama e ieri al nuovo presidente (sarà in carica dal 20 gennaio) Donald Trump.
Quando i particolari sulle accuse a Putin sono stati resi pubblici era passata solo un’ora dall’incontro che Clapper (insieme al capo della Cia John Brennan e al direttore del Fbi James Comey) aveva avuto proprio con The Donald per consegnargli il rapporto e nel tentativo di abbassare i toni di quella che è diventata una guerra aperta tra il prossimo presidente e i vertici dello spionaggio Usa (che Trump ha già deciso di sostituire praticamente in blocco).
"È stato un incontro costruttivo", aveva detto Trump dopo quasi un’ora e mezzo di colloqui, gettando acqua sul fuoco di una polemica che pur tutta la giornata di venerdì aveva costretto tv e giornali online a una serie di ‘breaking news’ sull’argomento. Aveva chiesto che "entro 90 giorni" dal suo insediamento gli venisse presentato un piano “su come combattere e fermare i cyber-attacchi contro” gli Stati Uniti, aveva confermato quello che ripete da giorni (“gli hackeraggi non hanno avuto alcun impatto sulle elezioni”), aveva ammesso solo una generica colpa di Mosca (“Russia, Cina, altri paesi e gruppi hanno compiuto cyber-attacchi contro alcune strutture americane”) e si era scagliato nuovamente contro i media, accusati di scrivere “il falso”.
Nel testo (ora reso pubblico) i capi delle agenzie di intelligence Usa dicono anche che “Putin e il governo russo hanno manifestato una chiare preferenza per il presidente eletto Trump”, ma che gli hackeraggi ordinati dal Cremlino “non hanno avuto alcun effetto sul risultato delle elezioni” e come non ci sia stata “alcuna alterazione delle macchine per votare”.
C’è però la quasi certezza (il testo parla di “alto grado di fiducia”) sul fatto che “i tentativi russi di influenzare l’elezione presidenziale Usa nel 2016 rappresentino la più recente espressione del desiderio di lunga data di Mosca di minare l'ordine democratico liberale Usa” e come questi hackeraggi abbiano dimostrato “una significativa escalation nel livello di attività, scopi e sforzi rispetto a precedenti operazioni” del Cremlino: “Con operazioni ‘coperte’ (segrete) come i cyber-attacchi e anche con operazioni a volto scoperto da parte di agenzie governative russe, media finanziati da Mosca, intermediari di terze parti (Wikileaks, ndr) e attività a pagamento di troll”. Quanto basta e avanza per dare il via a una nuova guerra fredda “digitale” e per mettere in difficoltà Donald Trump, la sua dichiarata (ancora due giorni fa) amicizia con Putin e lo strano asse che lo ha visto difendere (su Twitter) Assange e Wikileaks.
“È una caccia alle streghe” aveva detto il nuovo presidente al New York Times un paio d’ore prima dell’incontro con i capi dell’Intelligence e dopo che il Washington Post aveva pubblicato alcuni contenuti del rapporto con le intercettazioni di funzionari russi che “hanno esultato per la vittoria di Trump”, considerata un “successo geopolitico” per Putin e che hanno celebrato l’avvenimento “congratulandosi fra loro”. E dopo che erano stati identificati “gli intermediari grazie ai quali i russi hanno fornito a Wikileaks le email trafugate dagli hacker di Mosca al partito democratico”.
Evocare gli spettri degli anni Cinquanta dopo aver chiesto che i media americani “vengano messi sotto inchiesta” per le rivelazioni sugli hacker russi al soldo del Cremlino, era sembrata la solita mossa imprevedibile di The Donald. Questa volta il rischio che sta correndo sembra però più alto del solito: perché se è vero che fra pochi giorni cambieranno tutti i vertici dell’Intelligence, lo scontro è ormai aperto anche con esponenti influenti del partito repubblicano. Il senatore John McCain ed altri membri del Congresso si sono schierati pubblicamente dalla parte dell’Intelligence e James Mattis, il generale (in pensione) da lui nominato capo del Pentagono e noto con il nomignolo di Mad Dog, cane pazzo, si è scontrato apertamente con il Transition Team di Trump su alcune nomine cruciali per la Difesa.
Per quanto indeboliti, dopo la perdita della Casa Bianca e di un voto che ha dato una maggioranza considerevole ai repubblicani nel Congresso, i democratici sembrano decisi a fare di questa storia degli hackeraggi “ordinati da Putin” la prima vera battaglia di opposizione contro la Cada Bianca di Trump: “con tutti i mezzi possibili”.
© Riproduzione riservata 06 gennaio 2017
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