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Autore Discussione: TRUMP, Giulio Cesare al Rubicone, oppure alle Idi di Marzo.  (Letto 5270 volte)
Arlecchino
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« inserito:: Novembre 10, 2016, 09:46:55 am »

Donald Trump come Giulio Cesare, passa il fiume Rubicone.
“Alea iacta est (il dado è tratto)”.


Nella rappresentazione teatrale cui stiamo assistendo (con l’avvenuta elezione teatrale non lo è più) si può verificare un “attraversamento” storico, dal come eravamo a come potremmo diventare. Grazie a Donald.
Tutto dipende da Trump e dai suoi comportamenti “immediatamente” futuri.

Quello che abbiamo visto, sentito, letto, è il Trump reale o la sua “maschera di scena” che lo ha fatto eleggere?

Magnifica posizione la sua di oggi, può trasformare la sua Campagna elettorale da "letame, a fiori" (in senso metaforico) sulla scenario internazionale e soprattutto (se non farà guerre, come invece Cesare fece dopo il Rubicone) può inaugurare un periodo di relazioni internazionali nuove, concrete, pacifiche e risolutive della fame nel mondo.

Da Presidente ha la possibilità di farlo e il modo originale e inconsueto con cui ha trattato temi che la gente ha compreso, può arrivare a trasformare la denuncia "sboccata" in risultati positivi non soltanto per chi lo ha votato. Non soltanto per gli Americani.

Alcune frasi positive le ha già pronunciate nel primo discorso da Presidente, adesso da subito, messo nel cassetto il “Canovaccio elettorale”, deve stendere le bozze del nuovo Canovaccio quello da protagonista del cambiamento, positivo del Mondo.  

Canovaccio Trump che se diventasse la sua positiva Biografia lo farebbe passare alla storia come un Giulio Cesare dell'era moderna.
Dato i tempi, i problemi e i rischi, oggi molto complessi e diversi, se ne fosse capace non sarebbe un riconoscimento eccessivo.

ciaooo
 
« Ultima modifica: Novembre 22, 2016, 09:50:39 am da Admin » Registrato
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« Risposta #1 inserito:: Novembre 10, 2016, 04:59:08 pm »

Sembra un Canovaccio da Commedia dell'Arte, ma se accadesse ci cambierebbe la vita.

Chissà ... se non lo fanno i "cattivi" chi altri?


ciaooo
« Ultima modifica: Novembre 11, 2016, 05:56:56 pm da Arlecchino » Registrato
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« Risposta #2 inserito:: Novembre 11, 2016, 05:51:18 pm »

Arlecchino Batocio
Pubblicato da Shared via AddThis · 5 min ·

Stiamo dando intere nazioni e qualche impero nella piena disponibilità di persone-votanti che esprimono consensi con criterio gastrico.
Sicuri che vada bene così?

Il capitalismo egoista e miope deve modificare il proprio agire, pena esodi, violenze e guerre.
Siamo sicuri che Inghilterra fuori dall'Europa e Tramp Presidente, siano le chiavi giuste per aprire le porte della giustizia sociale nel mondo?

ciaooo


da FB del 11/11/2016 ore 17,25
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« Risposta #3 inserito:: Novembre 11, 2016, 05:55:22 pm »

L’incoerenza economica delle ricette di Donald Trump

11.11.16
Francesco Daveri

L’impegno a proteggere i perdenti della globalizzazione con la disdetta del Nafta e aliquote fiscali più basse ha portato Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti. Ma, al contrario di quanto promesso dal tycoon, l’aumento del deficit pubblico farà salire il disavanzo commerciale Usa.

Il malessere americano che ha fatto vincere Trump

Donald Trump eredita un paese che cresce stabilmente intorno al 2 per cento annuo e con un tasso di disoccupazione sceso di poco al di sotto del 5 per cento della forza lavoro. È un paese molto diverso da quello che aveva trovato il suo predecessore, Barack Obama, alla fine del 2008. Allora, fallita Lehman Brothers, il Dow Jones era sceso sotto i 9000 punti (dai 13mila di fine 2007) e l’economia era in recessione da quattro trimestri, il che portò la disoccupazione sopra al 9 per cento nei primi mesi del 2009. I numeri che Obama lascia in eredità a Trump sono in tutto simili alle medie secolari che hanno contrassegnato da decenni il buon funzionamento dell’economia americana che, nonostante tutto, è rimasta il motore trainante dello sviluppo mondiale.

Eppure, se Trump ha vinto, è perché in America c’è malessere. Se non ci fosse, un candidato come Bernie Sanders sarebbe stato etichettato come un socialista rétro e non sarebbe certo arrivato a contendere la candidatura alla presidenza degli Stati Uniti a Hillary Clinton nelle primarie del partito democratico. Se in America non ci fosse malessere, il partito repubblicano non avrebbe indicato come candidato alla Casa Bianca un estremista no-global (anche pieno di scheletri nell’armadio) lontano dalla tradizione liberista del Grand Old Party come Donald Trump.

Sanders e Trump non escono dal nulla ma rappresentano – in modi molto diversi – le esigenze degli insoddisfatti dell’America degli ultimi anni. Dei lavoratori che hanno subito le conseguenze delle delocalizzazioni manifatturiere in Messico e in Cina. Degli abitanti delle zone periferiche delle grandi città che vedono nell’afflusso degli immigrati una minaccia e non la tradizionale fonte di eterno ringiovanimento della società americana. Delle tante famiglie americane indebitate, che tra l’altro hanno visto i loro bilanci minacciati dall’aumento del costo dell’assicurazione sanitaria e delle rette universitarie dei figli.

Sostegno fiscale alla classe media con maggiore disavanzo con l’estero

E’ a questi elettori che Donald Trump ha saputo parlare, anche con il suo programma economico. Mentre la signora Clinton prometteva più eguaglianza di opportunità con un “sistema fiscale equo” (con una sovrattassa di 4 punti per i redditi superiori a 5 milioni di dollari) e “liberando l’iscrizione universitaria dai debiti”, va riconosciuto che Trump è stato più concreto nella sua promessa di aiuto alla classe media. Agli americani con un reddito individuale tra i 29 mila e i 37 mila dollari Trump ha promesso di ridurre le aliquote dal 15 al 12 per cento. E il 12 per cento toccherebbe anche a quelli con redditi compresi tra i 37 e i 54 mila dollari che oggi pagano una aliquota marginale del 25 per cento. Sui dati fiscali del 2013 si tratta di circa 30 milioni di persone. Ma anche ai 3 milioni di persone con redditi compresi tra i 91 e i 154 mila dollari Trump ha promesso un taglio di aliquota di tre punti: dal 28 per cento di oggi al 25 per cento. Non sono noccioline. La prospettiva di tanto estese riduzioni di imposta, associata alla promessa di rinegoziare accordi commerciali che – nella retorica di Trump – hanno cancellato i posti di lavoro manifatturieri della Rust Belt, è stato probabilmente vista come una promessa di benessere più concreta rispetto a quella implicita nei piani della signora Clinton.

C’è però un dettaglio su cui il nuovo presidente degli Usa ha sorvolato. Tra le sue promesse ha incluso quella di riequilibrare i conti con l’estero, oggi negativi per 800 miliardi di dollari (è il saldo della bilancia commerciale dello scambio di beni e servizi). Se però il nuovo presidente attuerà davvero il suo piano che prevede una politica fiscale molto espansiva finanziata con emissione di debito pubblico, il risultato più probabile sarà quello di aumentare, non di ridurre, il disavanzo commerciale degli Stati Uniti. L’aumento della domanda interna farà salire le importazioni, chissà magari anche dal Messico. Il probabile apprezzamento del dollaro che potrebbe conseguire dall’aumento dei tassi di interesse necessario a finanziare l’accresciuto debito contribuirà poi ad ampliare il deficit commerciale, rendendo meno competitivi i prodotti americani rispetto  a quelli del resto del mondo. E’ dunque tutt’altro che scontato che le politiche di Trump – anche se attuate come in campagna elettorale – riescano davvero nell’intento di riportare il manifatturiero a Detroit. Non passerà molto tempo prima che le promesse del tycoon oggi vittorioso siano sottoposte al test dei fatti.


In questo articolo si parla di: Donald Trump, elezioni americane 2016
Bio dell'autore
Francesco Daveri
Daveri Francesco Daveri è professore ordinario di Politica economica presso l’Università Cattolica (sede di Piacenza), dove insegna i corsi di Scenari Macroeconomici, International Finance, Economia Internazionale ed Economia Monetaria. La sua ricerca riguarda la relazione tra le riforme economiche, l’adozione delle nuove tecnologie e l’andamento della produttività aziendale e settoriale in Italia, Europa e Stati Uniti. Su questi temi ha svolto anche attività di consulenza per la Banca Mondiale, la Commissione Europea e il Ministero dell’Economia. Fa parte del Consiglio di reggenza della Banca d’Italia (sede di Bologna) e del Comitato di Sostenibilità di Eurizon Capital. Scrive articoli di commento sul Corriere della Sera. Segui @fdaveri su Twitter oppure su Facebook
Altri articoli di Francesco Daveri

Da - http://www.lavoce.info/archives/43823/lincoerenza-economica-delle-ricette-di-donald-trump/
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« Risposta #4 inserito:: Novembre 12, 2016, 02:18:33 pm »

Trump apre su Obamacare, potrebbe salvare alcune parti
Prima intervista dall’elezione al Wall Street Journal: “Dobbiamo unire il Paese”


Pubblicato il 11/11/2016
Ultima modifica il 12/11/2016 alle ore 08:45

L’Obamacare potrebbe sopravvivere in parte sotto la presidenza di Donald Trump. È lo stesso neopresidente ad affermarlo nella sua prima intervista dall’elezione rilasciata al Wall Street Journal.

Trump spiega come Barack Obama gli abbia chiesto di rinunciare alla totale abolizione della riforma sanitaria, e racconta di aver assicurato che valuterà i suggerimenti del presidente uscente.

«Dobbiamo unire il paese, voglio un paese unito», ha detto Trump. 

Rispondendo a una domanda sulla commissione d’inchiesta su Hillary Clinton promessa in campagna elettorale, Trump ha detto: «Non è in cima ai miei pensieri. Le mie priorità sono la sanità, i posti di lavoro, il controllo delle frontiere e la riforma delle tasse».

Poi il presidente eletto ha raccontato di aver parlato con i leader di molti Paesi o ricevuto da loro messaggi, tranne il presidente cinese Xi Jinping. Ha inoltre rivelato di aver ricevuto una «bellissima» lettera del presidente russo Vladimir Putin, con il quale, ha aggiunto, ha in programma una telefonata in tempi brevi

Licenza Creative Commons
Alcuni diritti riservati.

Da - http://www.lastampa.it/2016/11/11/esteri/trump-apre-su-obamacare-potrebbe-salvare-alcune-parti-g0BEoDLFyid1W1CX9FRDLL/pagina.html
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« Risposta #5 inserito:: Novembre 14, 2016, 05:20:24 pm »

Opinioni

Francesco Nicodemo    @fnicodemo
· 13 novembre 2016

La politica è la soluzione

Trump cercherà di ricucire i pezzi e soltanto il tempo ci dirà se si è trattato di strategia comunicativa oppure se realmente il Trump Presidente sarà diverso dal Trump candidato


«La stampa ha fatto il suo mestiere con un lavoro certosino del controllo dei dati, notando gli errori, le esagerazioni, le invenzioni e le menzogne continue di Trump (..) Ma viviamo in un mondo post-fattuale in cui non conta tanto la verità fattuale, ma la verità emotiva di un discorso (..) Allora, è finita l’era dell’illuminismo in cui sembravano vigere la ragione e la scienza?» ha scritto Alexander Stille su La Repubblica lo scorso 10 novembre.

Molti stanno ancora riflettendo sul nuovo Presidente Usa, quale sarà la sua agenda politica? Il suo successo sancisce davvero l’avvento definitivo dell’era post-fattuale? Ancora, come mai pochi avevano previsto la vittoria di Trump? «Un altro fallimento per i sondaggisti» ha scritto tra le altre cose in un tweet Andrew Chadwick, mentre ad esempio, il prof. Mazzoleni ha suggerito loro di ricordare l’esistenza della «spirale del silenzio». E, a proposito del potere persuasivo dei media, molto è stato scritto sull’influenza esercitata da quelli vecchi e nuovi durante la campagna elettorale americana. Hillary Clinton poteva contare sull’appoggio di molte più testate giornalistiche rispetto a Donald Trump, quest’ultimo però sui social ha più follower rispetto alla candidata democratica sia su Facebook che su Twitter.

Secondo i dati di socialbakers.com il post più popolare di Trump pubblicato il 20 ottobre ha totalizzato oltre 1 milione e 800mila interazioni, mentre il post più popolare della Clinton (8 novembre) ne conta poco oltre le 900mila. Anche su Twitter vince Trump, il suo tweet con più retweet ne conta 344mila contro i 128mila del tweet più popolare dell’avversaria.

La corsa alla Casa Bianca è stata dura e ha creato contrapposizioni forti, eppure ora quelle fratture vanno ricomposte perché una nazione deve comunque mostrarsi compatta dopo aver scelto la sua leadership, dal momento che il destino è sempre, inevitabilmente la comunità. Ne ho avuto un’ulteriore conferma lo scorso fine-settimana a Firenze, dove per il settimo anno consecutivo e per tre giorni, ventiseimila persone hanno sentito forte il desiderio di partecipare alla Leopolda: un luogo laico e aperto della politica, in cui donne e uomini, giovani e meno giovani hanno discusso, ascoltato, goduto del clima di fratellanza e amicizia.

Matteo Renzi durante il suo intervento conclusivo ha affermato: «Noi abbiamo semplicemente preso l’onda, forse l’abbiamo vista un po’ prima ma quell’onda c’era già» ed è esattamente così. A volte la politica, la vita in generale, è come un’onda che arriva verso di noi, non è una minaccia, sono i tempi che cambiano, è il mondo che va avanti e sta a noi capire se restare immobili o no, se subire quell’onda e soccombere oppure cavalcarla. È di questo che stiamo parlando, del futuro e delle tante opportunità che offre. Possiamo decidere di lasciarle scorrere via, oppure possiamo coglierle e trasformarle in qualcosa di favorevole. Tutto questo però si può fare solo insieme, si può fare solo con la consapevolezza di essere una grande, sconfinata storia comune in cui ognuno di noi ha una parte e un ruolo.

Dunque anche dopo una campagna elettorale dura fatta di rivendicazioni reciproche e contrapposizioni, deve sempre arrivare il momento di ricompattarsi per avanzare assieme. Accadrà anche in Usa? Trump cercherà di ricucire i pezzi, di declinare al plurale un linguaggio politico che durante le presidenziali era stato sempre al singolare. «Ora è tempo per l’America di ricucire le ferite della divisione (…) a tutti i Repubblicani e Democratici e indipendenti attraverso questa Nazione, io dico è tempo per noi di stare insieme come un solo popolo», sono solo alcune delle prime affermazioni pronunciate dal 45° Presidente degli Stati Uniti dall’Hilton Hotel a New York dopo aver appreso con certezza l’esito della consultazione elettorale. Sembra inverosimile che siano state pronunciate proprio da lui e soltanto il tempo ci dirà se si è trattato di strategia comunicativa oppure se realmente il Trump Presidente sarà diverso dal Trump candidato. Nel suo memorabile discorso sul risultato delle elezioni Obama ha detto «noi siamo tutti nella stessa squadra» ed è esattamente così. La politica divide per poi unire, è lei la risposta, solo lei è la soluzione. Tutto il resto sono ghirigori, speculazioni sull’ombelico, chiacchiere a manovella.

Da - http://www.unita.tv/opinioni/la-politica-e-la-soluzione/
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« Risposta #6 inserito:: Novembre 23, 2016, 04:12:11 pm »

Trump, marcia indietro che gela i sostenitori

Il presidente Usa prende le distanze da tante promesse fatte in campagna elettorale soprattutto quella relativa alla riabilitazione delle energie fossili


Dal nostro corrispondente FEDERICO RAMPINI
22 novembre 2016

NEW YORK - Marcia indietro tutta, anche su Parigi? Donald Trump sta infliggendo una doccia fredda ai suoi sostenitori, prendendo le distanze da varie promesse della campagna elettorale. Già diversi siti e commentatori della destra radicale sono furiosi perché ha detto di non voler continuare le indagini su Hillary Clinton. Nei comizi le folle urlavano entusiaste "Lock her up" (mettetela in carcere), e perfino in un duello televisivo lui glielo disse in faccia, che avrebbe nominato uno "special prosecutor" per incriminarla. Scherzava. Ma fin qui, la retromarcia è comprensibile, perfino prevedibile. Si possono dire cose durissime in campagna elettorale, poi quando uno ha vinto volta pagina, e sotterra l'ascia di guerra. Tanto più che Hillary agli ultimi conteggi ha preso due milioni di voti in più di lui, accanirsi con inchieste giudiziarie contro di lei oltre che una brutta vendetta sarebbe un gesto che acutizzerebbe le divisioni di una nazione già lacerata.

Ma Parigi? Qui la questione è molto più delicata. Non solo Trump ha più volte detto di considerare il cambiamento climatico "una bufala" (o addirittura "un'invenzione dei cinesi per danneggiare la competitività dell'industria americana"); non solo ha promesso più volte di stracciare quegli accordi; inoltre ha inserito quelle promesse in un più generale piano di riabilitazione delle energie fossili, petrolio e carbone.

Oltre ad essere perfettamente in linea con la tradizione repubblicana (i Bush padre e figlio erano espressione della lobby Big Oil), quelle promesse gli valsero voti cruciali, ad esempio tra i minatori delle montagne Appalachian. Wall Street sale dalla sua elezione, anche perché le multinazionali energetiche festeggiano. La Famiglia Koch, potentato petrolchimico di destra che aveva avuto una certa freddezza verso Trump, ora lo appoggia. Insomma retrocedere sull'anti-ambientalismo non gli sarà facile.

Un'avvertenza ulteriore. La frase "possibilista" su Parigi, Trump l'ha pronunciata in queste ore nel corso di un incontro con la direzione e redazione del New York Times, quotidiano liberal che lo ha osteggiato e continua ad essere fortemente critico verso di lui. Trump - anche in questo fedele al suo modello Berlusconi? - ha una certa tendenza a plasmare la sua oratoria sui gusti di chi lo sta ascoltando. Gli piace piacere. Adora accattivarsi l'audience che ha davanti. Se domani sera lo intervistasse un giornalista alla O'Reilly o alla Hannity su Fox News, sarebbe capace di dire cose molto diverse da quelle che ha appena detto al New York Times.

© Riproduzione riservata
22 novembre 2016

Da - http://www.repubblica.it/esteri/2016/11/22/news/trump_parigi_accordo_distanza_da_promesse_campagna_elettorale-152581933/?ref=fbpr
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« Risposta #7 inserito:: Maggio 22, 2017, 12:35:27 pm »

Pensavo fosse talmente assurdo, al punto che qualcosa ci avrebbe sorprendesse.

Staremo a vedere senza farsi illusioni ma neppure belando insulti come molti hanno fatto sino a ieri.

ggiannig
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