Da Manzoni a Facebook c’è sempre chi alimenta l’odio delle folle
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Già i Promessi Sposi ci vaccinano contro quegli addetti al livore, alla disinformazione e all’odio“Ne’ tumulti popolari c’è sempre un certo numero d’uomini che, o per un riscaldamento di passione, o per una persuasione fanatica, o per un disegno scellerato, o per un maledetto gusto del soqquadro, fanno di tutto per ispinger le cose al peggio; propongono o promovono i più spietati consigli, soffian nel fuoco ogni volta che principia a illanguidire: non è mai troppo per costoro; non vorrebbero che il tumulto avesse né fine né misura”.
Lo descrive in modo terribilmente odierno, nel suo capitolo XII de “I Promessi sposi” – dedicato all’assalto ai forni, durante il quale una folla inferocita arriva quasi a linciare il Vicario di provvisione di Milano (chi doveva assicurare pane e prezzo del pane), salvato all’ultimo dalla famosa carrozza di Ferrer (“adelante, Pedro, con juicio”) – ciò che è accaduto nei momenti immediatamente successivi alle scosse di terremoto che hanno colpito il centro-Italia in questi giorni. Manzoni lo ha scritto nel 1825, e già questo dovrebbe far riflettere sul costume italico di alcuni.
Il passo manzoniano ci vaccina contro il post allucinante della senatrice del movimento cinque stelle Enza Blundo – che evito di riprendere per pietà – e contro quegli addetti al livore, alla disinformazione e all’odio che, non per vera e magari condivisibile indignazione, ma con una tattica cinica infestano i nostri social network.
I provocatori di professione, dunque, si dirà, sembra ce l’abbiano fatta ancora: la schiuma tossica che straparla di magnitudo, sciami sismici, si impanca a geologo provetto e si sostituisce agli esperti della Protezione civile sghignazza soddisfatta. Oppure no? Questa volta credo di no. Credo, stavolta, che tali fondamentalisti dell’onestà abbiano davvero gettato la maschera. Questi fondamentalisti hanno dimostrato di non essere in grado di generare davvero un mondo diverso; possono solo chiamarsi fuori dalle responsabilità che scaricano integralmente sull’Altro, ribadendo una fantomatica innocenza incontaminata. Ma di dare vita a un autentico cambiamento ce ne passa.
La folla, quella in piazza sporca di farina come nel capolavoro manzoniano, o quella davanti ai computer che vomita bile, è poi sempre quella. Lo psicoanalista sa che la folla che si ritiene pura non ha tolleranza verso la diversità (e verso la verità). La purga staliniana era la metafora fisiologica radicale di questa intolleranza. Ci aiuta ancora una volta Manzoni a capire meglio: questi addetti al livore “fanno a chi saprà sparger le voci più atte a eccitar le passioni, a dirigere i movimenti a favore dell’uno o dell’altro intento; a chi saprà più a proposito trovare le nuove che riaccendano gli sdegni, o gli affievoliscano, risveglino le speranze o i terrori; a chi saprà trovare il grido, che ripetuto dai più e più forte, esprima, attesti e crei nello stesso tempo il voto della pluralità, per l’una o per l’altra parte”. “Chi saprà trovare il grido che esprima o crei il voto”; Manzoni le parole non le usa mai a caso.
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